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L'anima di Maria santissima entrò nell'empireo

CAPITOLO 21

L'anima di Maria santissima entrò nell'empireo; poi, ad imi­tazione di Cristo nostro redentore, tornò sulla terra a risu­scitare il suo santo corpo, con il quale il terzo giorno dopo la propria morte salì un'altra volta alla destra del Signore.

 

760. A proposito della gloria e della felicità di cui par­tecipano i santi nella visione beatifica, san Paolo dice con Isaia che occhio mortale non ha visto, né orecchio ha udi­to, né cuore umano ha potuto penetrare quello che Dio ha preparato per coloro che lo amano e che in lui sperano. Conformemente a questa verità professata secondo la fede cattolica, non stupisce ciò che si racconta sia successo a sant'Agostino: nonostante fosse un grande luminare della Chiesa, mentre si accingeva a scrivere un trattato sulla con­dizione dei beati, gli apparve il suo grande amico san Gi­rolamo, che in quel momento era morto ed entrato nella gioia del Signore, e lo disingannò, dichiarandogli che non avrebbe potuto conseguire il suo intento come desiderava, dal momento che nessuna lingua né penna degli uomini sarebbe stata in grado di manifestare la minima parte dei beni goduti dagli eletti in paradiso. Quand'anche di quel­la realtà non avessimo altra testimonianza dalla sacra Scrit­tura se non il sapere che è definitiva, ciò supererebbe già la nostra capacità di comprensione, che non può raggiun­gere l'eternità neppure con grandi sforzi, poiché Dio, per quanto lo si possa conoscere e amare in misura crescen­te, è inesauribile ed incomprensibile. Egli chiamò all'esi­stenza tutte le cose senza che queste consumassero il suo potere; neanche se creasse innumerevoli altri mondi sa­rebbe indebolito, perché rimarrebbe sempre infinito ed im­mutabile. Allo stesso modo, nonostante i santi che lo con­templano e ne godono siano un numero incalcolabile, egli resta da essere conosciuto ed amato senza fine; infatti, sia nella vita mortale sia in quella incorruttibile, ciascuno par­tecipa di lui in maniera limitata e in base alla propria di­sposizione.

761. Se, per tale motivo, la gloria di un beato qualsia­si, fosse anche il più piccolo, è ineffabile, che diremo di quella di Maria santissima, lei che, fra i santi, è la più si­mile al suo Figlio? Che diremo, se anche nella grazia li su­pera tutti, come l'imperatrice o la regina i suoi vassalli? Questa verità si può e si deve credere, ma finché siamo nel mondo non è possibile intenderla, né spiegarne la minima parte, perché la sproporzione e l'insufficienza delle nostre parole la possono più oscurare che chiarire. Adoperiamo­ci dunque ora non per comprenderla, ma per meritare che ci sia manifestata nella futura esistenza, quando otterremo la felicità che speriamo in misura maggiore o minore a se­conda delle opere compiute.

762. Il nostro Redentore entrò nel cielo, avendo alla sua destra l'anima immacolata della Madre. Ella fu la sola tra i mortali a non dover passare attraverso il giudizio parti­colare, che quindi per lei non ebbe luogo. Non le fu chie­sto conto dei benefici ricevuti, né le venne imputato alcun peccato, come le era stato promesso al momento in cui era stata preservata dalla colpa d'origine, era stata eletta regi­na e aveva avuto il privilegio di non essere sottomessa al­le leggi dei figli di Adamo. Per la stessa ragione, alla fine dei tempi comparirà ancora alla destra del Signore, a lui associata nel giudizio universale a cui ella, a differenza de­gli altri, non sarà sottoposta. Se nel primo istante della sua concezione fu aurora limpidissima e rifulgente, carezzata dai raggi del Sole divino al di sopra dello splendore dei più ardenti serafini; se in seguito si sollevò sino a toccare lo stesso Dio quando il Verbo si unì con la sua purissima sostanza nell'umanità di Cristo, ne conseguiva che per tut­ta l'eternità ella fosse sua compagna, con la somiglianza possibile tra Figlio e Madre, essendo egli Dio e uomo ed ella semplice creatura. Con questo titolo il Salvatore la pre­sentò all'Altissimo, al quale si rivolse in presenza dei bea­ti attenti a questa meraviglia; gli disse: «Padre mio, la mia amantissima Madre, vostra cara figlia e diletta sposa del­lo Spirito Santo, viene a ricevere il possesso della corona imperitura che le abbiamo preparato in premio dei suoi meriti. Questa è colei che nacque tra gli uomini come ro­sa tra le spine, intatta, pura e bella, degna di essere ac­colta nelle nostre mani, là dove non arrivò nessun altro e dove non possono pervenire quanti sono stati concepiti nel peccato. È lei la nostra prescelta, unica e singolare, alla quale abbiamo dato di accedere alle nostre perfezioni, su­perando la comune legge dei mortali; è in lei che abbia­mo depositato il tesoro della nostra divinità inaccessibile; è lei che con fedeltà assoluta ha conservato e fatto frutti­ficare i talenti che le abbiamo affidato; è lei che non si è mai allontanata dalla nostra volontà e che ha trovato gra­zia ai nostri occhi. Padre mio, il tribunale della nostra mi­sericordia e giustizia è rettissimo e ricompensa con ab­bondanza i servizi dei nostri amici. È giusto che a mia Ma­dre, in quanto tale, sia concesso il premio; se nella vita e nelle opere mi fu simile, per quanto lo possa una sempli­ce creatura, deve esserlo pure nella gloria e nel posto che occuperà accanto alla nostra Maestà, affinché dov'è la san­tità per essenza vi sia anche la somma santità per parte­cipazione».

763. Questo decreto del Verbo incarnato venne appro­vato dal Padre e dallo Spirito Santo. Subito l'anima san­tissima di Maria fu innalzata alla destra del suo figlio e Dio vero e collocata sul seggio regale della beatissima Tri­nità, a cui né uomini, né angeli, né serafini giunsero o giungeranno mai. In ciò consiste la sublime ed eccellente superiorità della nostra Signora: essere assisa sul medesi­mo trono delle Persone divine quale imperatrice, mentre i santi occupano il posto di servi e ministri del supremo Re. All'eminenza di quella posizione, inarrivabile per chiunque altro, nella Vergine immacolata corrispondono le doti di gloria, comprensione, visione e fruizione, perché ella gode al di sopra e più di tutti di quell'oggetto infinito, del qua­le in paradiso si sperimenta il gaudio per gradi e varietà innumerevoli. Nessuno tra i beati conosce, penetra, inten­de l'essere divino e i suoi attributi come lei; nessuno le è pari nell'amare e nel gioire dei misteri imperscrutabili del­l'Altissimo. Inoltre, sebbene tra la gloria della Trinità e quel­la della Regina del cielo vi sia una distanza illimitata, poi­ché la luce della Divinità è inaccessibile e in essa sola si trova 1'immortalità, sebbene nelle doti anche l'anima san­tissima di Cristo superi senza misura sua Madre, pure lo splendore di lei è di gran lunga più intenso di quello dei santi, somigliando a Cristo in una maniera incomprensi­bile e incomunicabile nella vita presente.

764. È intraducibile in parole la nuova esultanza che i beati acquistarono quel giorno, componendo e cantando nuovi cantici di lode all'Onnipotente e alla sua Figlia, ma­dre e sposa, nella quale egli esaltava le opere della sua de­stra. E benché nel Signore la gioia interiore non possa ac­crescersi perché è immutabile ed infinita sin dal principio, in quest'occasione le dimostrazioni esteriori della sua com­piacenza nell'adempimento dei suoi eterni disegni furono maggiori. Dal trono regale infatti usciva una voce come se fosse stata della persona del Padre, che diceva: «Nella glo­rificazione della nostra amatissima Figlia i nostri desideri sono stati appagati e la nostra santa volontà è stata pie­namente eseguita. Dal nulla, abbiamo dato l'essere ad ogni vivente, affinché fosse partecipe dei nostri beni e tesori incommensurabili, conformemente alla nostra immensa bontà. Intanto gli stessi che noi facemmo capaci di rice­vere la vita divina hanno reso inutile per sé questo bene­ficio. Solo la nostra diletta Figlia non ebbe parte alla di­subbidienza degli altri e meritò ciò che essi hanno di­sprezzato da indegni figli della perdizione. Mai, in nessun momento, ella ha tradito il nostro amore; a lei spettano i premi che con il nostro comune e condizionato volere ave­vamo preparato per gli angeli ribelli e per gli uomini che li hanno imitati, se avessero tutti cooperato con la grazia loro concessa rispondendo alla nostra chiamata. Con il suo abbandono e la sua obbedienza, ella ha compensato que­sta ingratitudine, ci ha dato pieno compiacimento nelle sue azioni e ha meritato di sedere accanto alla nostra Maestà».

765. Il terzo giorno dopo che Maria santissima aveva cominciato a godere di questa gloria per non lasciarla più, Dio manifestò ai santi la volontà di far tornare l'anima del­ la Vergine sulla terra perché, riunendosi al suo corpo, lo risuscitasse e fosse di nuovo sollevata in corpo ed anima alla destra del Figlio senza aspettare la generale risurre­zione dei morti. Gli eletti non potevano ignorare l'oppor­tunità di tale dono, conseguenza delle prerogative da lei ri­cevute e della sua sublime dignità di regina dell'universo, giacché anche per i mortali è talmente credibile che, qua­lora la santa Chiesa non l'avesse riconosciuta, sarebbe sta­to giudicato empio e insensato colui che avesse preteso di negarla. In quella circostanza, tuttavia, i beati ne compre­sero la convenienza con maggior chiarezza e, non appena il Signore manifestò loro in se stesso la sua decisione, ne conobbero pure il momento preciso. Quando giunse, Cri­sto scese dal cielo con l'anima della Madre purissima alla sua destra, accompagnato da molte legioni di angeli e da­gli antichi padri e profeti. Arrivarono al sepolcro nella val­le di Giosafat e, stando tutti davanti a quel tempio vergi­nale, il Salvatore si rivolse ai santi dicendo:

766. «Mia Madre fu concepita senza colpa, affinché dal­la sua sostanza immacolata prendessi l'umanità con cui io venni nel mondo e lo redensi dal peccato. La mia carne è la sua carne, ed ella ha collaborato con me all'opera della salvezza. Per questo devo risuscitarla, come io stesso risu­scitai da morte, e voglio che ciò avvenga nel medesimo tempo e alla medesima ora, per renderla completamente simile a me». I giusti dell'antica alleanza con nuovi inni ringraziarono il Creatore per il beneficio compiuto; in par­ticolare si distinsero i nostri progenitori Adamo ed Eva e dopo di essi sant'Anna, san Gioacchino e san Giuseppe, i quali avevano speciali ragioni per magnificare Dio in quel­la meraviglia della sua onnipotenza. Subito, per ordine del Figlio, l'anima della gran Signora entrò nel corpo castissi­mo e lo risuscitò, dandogli vita immortale e gloriosa e co­municandogli le quattro doti di chiarezza, impassibilità, agilità e sottigliezza che le sono proprie.

767. Così Maria santissima in anima e corpo uscì dal sepolcro senza rimuovere il masso che lo sigillava, né mu­tare la posizione della tunica e del sudario che avevano ri­coperto la salma. È impossibile narrare come la bellezza della Vergine beata rifulgesse, e perciò non mi trattengo a farlo. Mi basta dire che ella diede all'Unigenito del Padre la forma di uomo nel suo talamo inviolato e gliela diede limpida e senza macchia perché riscattasse il genere uma­no. In cambio sua Maestà, con questa nuova grazia, le con­ferì una magnificenza analoga alla sua. In tale corrispon­denza tra Figlio e Madre, tanto misteriosa e divina, cia­scuno fece quello che poté: Maria generò Cristo simile a se stessa in quanto fu possibile e Cristo risuscitò Maria co­municandole la sua gloria, nella misura in cui ella poté ri­ceverla in quanto semplice creatura.

768. Dal sepolcro prese avvio una solenne processione che si allontanò progressivamente verso l'alto, mentre si udi­va una musica paradisiaca. Ciò accadde alla medesima ora della risurrezione del nostro Salvatore, nella domenica suc­cessiva al transito di sua Altezza, dopo la mezzanotte. Per questo motivo, sul momento il prodigio non fu noto a tut­ti gli apostoli, ma solo a quelli che vegliavano al sacro se­polcro. I santi e gli angeli entrarono nell'empireo nell'ordi­ne in cui erano partiti dalla terra; da ultimo venivano il Re­dentore e, alla sua destra, la Regina vestita con abiti in tes­suto d'oro - come dice Davide -, tanto bella da suscitare l'ammirazione dei cortigiani del cielo, che si volsero a guar­darla e a benedirla con rinnovato giubilo e canti di lode. Si udirono allora quegli elogi misteriosi che di lei lasciò scritti Salomone: «Uscite, figlie di Sion, a vedere la vostra Signora, che le stelle mattutine esaltano e i figli dell'Altis­simo festeggiano. Chi è costei che sale dal deserto come un bastoncino di profumi aromatici'? Chi è costei che sorge come l'aurora, più bella della luna, fulgida come il sole, e terribile come schiere a vessilli spiegati? Chi è costei che sale dal deserto, appoggiata al suo diletto, spargendo deli­zie in abbondanza? Chi è costei, nella quale Dio stesso ha trovato compiacimento più che in tutte le creature, al di sopra delle quali egli la solleva fino alla sua inaccessibile luce e maestà? Oh, meraviglia mai vista! Oh, novità degna della sapienza infinita! Oh, prodigio di quell'onnipotenza che tanto magnifica ed innalza la sua umile serva!».

769. Rivestita di questa gloria, la vergine Maria giunse in corpo e anima al cospetto delle tre divine Persone, che l'accolsero con un abbraccio indissolubile. Il Padre le dis­se: «Salite più in alto degli altri viventi, mia eletta, figlia e colomba mia». E il Verbo incarnato: «Madre mia, voi che mi avete dato l'umanità e, imitandomi perfettamente, ave­te contraccambiato tutto il bene che ho fatto, ricevete ora dalle mie mani il premio da voi meritato». E lo Spirito San­to: «Mia sposa amatissima, entrate nella gioia perenne che corrisponde al vostro fedelissimo amore: amate e godete senza più preoccupazioni, poiché l'inverno del soffrire è già passato e siete giunta all'eterno possesso dei nostri am­plessi». Ella rimase assorta nella Trinità santissima e come sommersa da quello sconfinato abisso del mare divino, men­tre i santi erano pieni di stupore e di nuovo gaudio acci­dentale. Poiché l'opera dell'Onnipotente si manifestò con ul­teriori meraviglie, ne riferirò qualcosa, se potrò, nel pros­simo capitolo.

 

Insegnamento della Regina del cielo

770. Figlia mia, è deplorevole ed inescusabile l'ignoranza degli esseri umani nel non rammentare di proposito la glo­ria che il Signore riserva per coloro che si dispongono a me­ritarla. Voglio che tu pianga amaramente questo oblìo così pernicioso e che te ne dolga; chi volontariamente dimentica la felicità imperitura, infatti, è in evidente pericolo di per­derla. Nessuno ha una buona scusa al riguardo, non solo per­ché conservarne la memoria o cercare di acquistarla non co­sta troppa fatica, ma anche perché, al contrario, tutti si dan­no molto da fare, spendendo ogni loro energia, per scordar­si dello scopo per il quale furono creati. Di certo una simile trascuratezza nasce dal fatto che essi si abbandonano alla su­perbia della vita, all'avidità degli occhi e alla concupiscenza della carne. Impiegando in ciò ogni facoltà dell'anima e l'in­tero arco dell'esistenza, non resta loro né sollecitudine, né at­tenzione, né spazio per pensare con calma, o anche senza calma, alla celeste beatitudine. Dicano intanto gli uomini e confessino se tale ricordo reca loro più travaglio del seguire le cieche passioni procurandosi riconoscimenti e piaceri tran­sitori, che presto svaniscono e che molte volte essi, dopo es­sersi tanto affannati, neppure conseguono.

771. Quanto è più facile per i mortali non cadere in sif­fatta perversità! Lo è soprattutto per i figli della Chiesa, i quali custodiscono la fede e la speranza, che senza alcuno sforzo insegnano loro questa verità! E quand'anche conse­guire il gaudio perenne richiedesse loro un impegno pari a quello necessario per ottenere prestigio e beni apparen­ti, sarebbe davvero grande pazzia affaticarsi per il falso e le pene eterne come per il vero e l'eterna gloria. Tu cono­scerai molto bene, figlia mia, questa detestabile stoltezza e su di essa piangerai, se consideri il tempo in cui vivi, co­sì turbato da guerre e discordie. Rifletti: sono numerosi gli infelici che vanno in cerca della morte per una breve e va­na ricompensa di onore, di vendetta e di altri vili interes­si del genere, non curandosi del loro destino più di quel che farebbero se fossero irragionevoli. Sarebbe una fortu­na per loro estinguersi con la morte corporale, come ac­cade a quelle cose che con tanta avidità ricercano, ma poi­ché la maggior parte di essi opera contro la giustizia e co­loro che pur praticandola vivono immemori del proprio fi­ne ultimo, gli uni e gli altri muoiono per sempre.

772. Questo dolore è più grande di ogni altro ed è una disavventura senza pari. Affliggiti, lamentati e piangi in­consolabilmente per la rovina di tante anime riscattate dal sangue di mio Figlio. Ti assicuro, carissima, che, se gli es­seri umani non ne fossero indegni, la carità mi indurreb­be ad inviare loro dal cielo, dove mi trovo nella gloria a te nota, parole che potessero essere sentite in tutto il mon­do. Gridando direi: «Uomini mortali ed ingannati, che co­sa fate? Per che cosa vivete? Sapete per caso che cosa sia vedere Dio faccia a faccia, partecipare del suo splendore e godere della sua compagnia? A che cosa pensate? Chi vi ha turbato ed oscurato la capacità di giudizio? Che cosa otterrete se perdete questo vero bene senza averne altro? La fatica è breve, il godimento infinito e la pena eterna».

773. Tu, compenetrata da un simile dolore che io cerco di risvegliare in te, impegnati con ogni sollecitudine per non in­correre nel medesimo pericolo, tenendo presente quale vivo esempio la mia vita, che come sai fu un continuo intenso pa­tire; quando giunsi a ricevere il premio, però, tutto quello stra­zio mi parve un niente e lo scordai come se fosse stato una cosa da poco. Risolviti a seguirmi nella sofferenza, o amica, e, se questa fosse più acuta di quella di tutti i mortali, con­siderala leggerissima: nulla ti sembri difficile, gravoso o mol­to amaro, anche se si trattasse di passare per il ferro e il fuo­co. Stendi la mano a compiere gesta eccelse e fornisci i sen­si, che sono i tuoi domestici, delle doppie vesti del soffrire e dell'agire con ogni tua facoltà. Nello stesso tempo, voglio che non ti lasci contagiare da un altro comune errore dei figli di Adamo, i quali dicono: «Contentiamoci di assicurarci la sal­vezza: ottenere maggiore o minore gloria non ha molta im­portanza, poiché staremo tutti in paradiso». Una tale igno­ranza, figlia mia, deriva da grande stoltezza e da scarso amo­re verso Dio e perciò non garantisce la salvezza, ma anzi la mette a repentaglio; coloro che pretendono di fare con l'On­nipotente questi patti lo disobbligano e lo spingono a lasciarli nel pericolo di perdere la beatitudine stessa. La fragilità uma­na opera nel bene in misura sempre inferiore rispetto al suo desiderio, per cui, quando questo non è ardente, realizza mol­to poco e rischia di essere privata della vita eterna.

774. Chi si accontenta della mediocrità e del minimo grado di virtù lascia sempre spazio, nella volontà e nelle inclinazioni interiori, ad altri affetti per cose terrene e lo fa di proposito. Un amore del genere non può essere conser­vato senza che si trovi subito in opposizione all'amore di­vino: è impossibile perciò voler mantenere l'uno e l'altro contemporaneamente. Quando la creatura decide di amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze, come egli co­manda, il Signore medesimo tiene in conto questa deter­minazione anche se l'anima, a causa di altri suoi difetti, non raggiunge i beni più sublimi. Il disprezzarli, però, o il non dare loro valore intenzionalmente non è da figli, né da veri amici; al contrario è da schiavi che si contentano di vivere tralasciando il resto. Se i santi potessero ritornare ad acquistare qualche grado di gloria col soffrire i tormenti del mondo intero fino al giorno del giudizio, di certo lo fareb­bero, perché conoscono realmente quanto valga il premio e amano Dio con carità perfetta. Non conviene che sia lo­ro accordata simile possibilità che invece fu concessa a me, come hai scritto in questa Storia. Col mio esempio ciò re­sta confermato e viene comprovata l'insipienza di quelli che, per evitare di abbracciare la croce di Cristo, vogliono una mercede limitata, andando contro la disposizione della bontà infinita dell'Altissimo, il quale desidera che le sue creature abbiano molti meriti e siano ricompensate copio­samente con la suprema felicità del cielo.