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Maria santissima assiste san Giacomo nel suo glorioso mar­tirio e porta la sua anima in cielo

CAPITOLO 2

Maria santissima assiste san Giacomo nel suo glorioso mar­tirio e porta la sua anima in cielo, mentre il suo corpo è trasferito in Spagna; san Pietro è imprigionato e quindi mi­steriosamente liberato dal carcere.

 

392. Il nostro grande apostolo san Giacomo arrivò a Ge­rusalemme quando tutti i suoi abitanti insorgevano contro i seguaci del Redentore. Il drago e i suoi ministri avevano occultamente suscitato tale protesta, infettando più vio­lentemente con il loro velenoso fiato i cuori dei perfidi giu­dei e accendendo in essi lo zelo per la loro legge e la ge­losia della lieta novella proclamata da san Paolo, il quale, pur non essendosi trattenuto più di quindici giorni, aveva convertito molti in forza della virtù divina che agiva in lui, lasciando tutti colmi di stupore e di meraviglia. Quegli in­creduli, che si erano risollevati alla notizia della sua par­tenza, ben presto tornarono ad alterarsi per il sopraggiun­gere del nuovo predicatore, ugualmente ripieno di sapien­za e di ardore per il nome di Gesù; Lucifero, che non igno­rava la sua venuta, aizzava ed aumentava lo sdegno dei sommi sacerdoti e degli scribi, facendo in modo che fosse la causa di un ulteriore veleno che li turbasse e irritasse. Egli entrò in città annunciando con profondo fervore il Si­gnore crocifisso e la sua morte e risurrezione, e in breve tempo portò alla fede alcuni uomini, tra i quali uno chia­mato Ermogene e un altro chiamato Fileto, entrambi stre­goni che avevano stretto un patto con satana: il primo era più dotto nella magia, mentre il secondo era suo discepo­lo. Di ambedue vollero servirsi i suoi nemici per piegarlo con una disputa o, se avessero fallito, per togliergli la vi­ta con qualcuno dei loro malefici.

393. I demoni architettarono questa efferatezza per mez­zo dei giudei, strumenti della loro iniquità, poiché non po­tevano avvicinarsi di persona, schiacciati dalla grazia che sentivano in lui. Al momento della controversia, Fileto fu il primo ad affrontare l'Apostolo, perché, se non fosse riusci­to a convincerlo, sarebbe subentrato in sua vece il più esper­to Ermogene. Propose i suoi sofisticati e falsi argomenti, ma il suo rivale li dileguò come i raggi del sole dissipano le te­nebre, parlando con tanta luce ed efficacia che dovette ar­rendersi e aderire al Vangelo, di cui divenne da allora di­fensore; temendo però il suo maestro, supplicò il santo di proteggerlo da lui e dalle arti diaboliche con le quali lo avreb­be perseguitato per distruggerlo. Egli gli diede un piccolo panno che aveva ricevuto dalle mani di Maria beatissima e con tale reliquia gli permise di resistere ai sortilegi per di­versi giorni, finché Ermogene stesso non iniziò la disputa.

394. Questi non poté esimersene, benché ne avesse ti­more, perché si era impegnato a discutere con lui per scon­figgerlo. Si preoccupò così di rafforzare le proprie tesi er­rate con ragionamenti più sottili rispetto a quelli addotti dal suo allievo, ma i suoi sforzi risultarono vani contro il potere e la scienza del cielo, che nel suo avversario erano come un torrente impetuoso. Fu superato e obbligato a confessare Cristo e i suoi misteri, come era accaduto a Fi­leto, e a causa di ciò i diavoli si adirarono e lo maltratta­rono per il dominio che avevano avuto su di lui. Per re­spingerli, avendo appreso che il suo compagno se ne era liberato con quanto gli era stato regalato, chiese il mede­simo favore e san Giacomo gli donò il bastone che usava; con esso li mise in fuga perché non l'affliggessero e nep­pure gli si accostassero.

395. Il futuro martire, nell'operare queste e altre con­versioni, fu sostenuto dalle preghiere, dai gemiti e dai so­spiri che la Madre offriva dal suo oratorio in Efeso, dove, come si è già detto, conosceva per visione tutto quello che gli apostoli e i credenti compivano e aveva particolare cu­ra di lui poiché era prossimo al supplizio. I due perseve­rarono per qualche tempo nella fede, ma poi l'abbandona­rono fino a perderla completamente in Asia, come consta dalla seconda lettera a Timoteo, in cui san Paolo lo infor­ma che Bigello o Fileto e Ermogene si sono allontanati dal­la verità. Sebbene il seme della parola fosse giunto a spun­tare nei loro cuori, non affondò radici per opporsi alle ten­tazioni del principe del male, che avevano servito a lungo e con il quale avevano grande familiarità. Restarono sem­pre in loro i segni malvagi e le radici perverse dei vizi, che tornarono a prevalere facendoli precipitare.

396. Quando i giudei videro frustrata la loro vana fi­ducia, concepirono rinnovato sdegno contro Giacomo e de­cisero di eliminarlo condannandolo a morte come brama­vano. Con il denaro si accattivarono Democrito e Lisia, centurioni della milizia romana, e segretamente concerta­rono che costoro l'avrebbero catturato con le persone che avevano a disposizione e per dissimulare il tradimento avrebbero finto un tumulto o una rissa in uno dei giorni e dei luoghi in cui egli avrebbe predicato, consegnandolo nelle loro mani; l'attuazione di tale crudeltà fu a carico di Abiatar, che in quell'anno era il sommo sacerdote, e di Gio­sia, uno scriba con le sue stesse idee. Come pensarono, co­sì eseguirono. Essi si accesero d'ira perché, mentre l'Apo­stolo proclamava al popolo gli arcani della redenzione uma­na dimostrandoli con mirabile sapienza e con la testimo­nianza delle Scritture, gli uditori si mossero a lacrime di compunzione. Dato il segnale ai soldati, Abiatar ordinò a Giosia di prenderlo e questi gli buttò una corda al collo con l'accusa di sobillatore e promotore di una nuova reli­gione contro l'impero.

397. Si avvicinarono Democrito e Lisia con la loro gen­te, e lo condussero da Erode, figlio di Archelao, che era stato preparato interiormente dall'astuzia di Lucifero ed esternamente dalla malizia e dall'astio dei giudei. Il re, che incitato da questo aveva cominciato contro i discepoli, da lui aborriti, la persecuzione di cui parla san Luca nel ca­pitolo dodicesimo degli Atti, inviando truppe per oppri­merli e arrestarli, decretò che fosse decapitato subito, co­me era reclamato. Fu inesprimibile il gaudio del prigio­niero quando fu legato a somiglianza del suo Maestro e comprese ormai arrivato il momento, tanto atteso, di pas­sare da questa vita a quella imperitura attraverso il mar­tirio, come la Regina gli aveva preannunciato. Per tale be­neficio fece umili e fervorosi atti di riconoscenza, e pub­blicamente confessò e dichiarò ancora di credere in Gesù; ricordandosi, poi, di quello che le aveva domandato in Efe­so, cioè che lo assistesse nel suo trapasso, la chiamò dal profondo.

398. La Vergine , che era attenta a tutto ciò che gli ac­cadeva e con intensa preghiera lo accompagnava e favori­va, l'ascoltò dal suo oratorio e, stando assorta, osservò scen­dere una moltitudine immensa di spiriti superni di tutte le gerarchie: alcuni si diressero verso Gerusalemme circon­dandolo mentre veniva condotto al supplizio e altri si re­carono da lei. Uno di quelli di grado superiore le disse: «Imperatrice delle altezze, il Signore dell'universo vi co­manda di andare in fretta alla città santa per consolare il suo ministro e stargli accanto nell'estremo combattimento, nonché di esaudire i suoi pii desideri». Ella accondiscese con enorme gioia e gratitudine, magnificando l'Onnipo­tente per l'aiuto che concede a chi confida nella sua scon­finata misericordia e si pone sotto la sua protezione. Frat­tanto, il condannato era portato all'esecuzione e durante il tragitto compiva molti miracoli, sanando tutti coloro che soffrivano di varie malattie e liberando anche diversi in­demoniati; infatti, allorché si era diffusa la voce che stava per essere ammazzato, numerosi bisognosi erano accorsi per rimediare alla loro condizione prima che mancasse il comune mezzo del loro conforto.

399. Contemporaneamente gli angeli fecero sedere Ma­ria su un trono risplendente e la sollevarono sino al posto in cui era sul punto di essere giustiziato. Giacomo si in­ginocchiò per terra offrendosi in sacrificio e, alzati gli oc­chi al cielo, scorse nell'aria colei che stava invocando, ve­stita di divini splendori e di eccezionale bellezza, scortata dai suoi custodi. Davanti a uno spettacolo tanto straordi­nario arse di giubilo e fervore, e si commosse tutto in se stesso. Voleva gridare acclamandola vera Madre di Dio e signora di tutto, ma uno degli esseri supremi lo trattenne e dichiarò: «Servo dell'Eterno, conserva dentro di te que­sti preziosi sentimenti e non manifestare ai giudei la vici­nanza e la grazia della nostra sovrana, perché non ne so­no degni né sono capaci di capire, e anziché venerarla la odierebbero». Alle sue parole egli si contenne e in segreto, muovendo le labbra, le si rivolse così:

400. «Voi che avete generato il mio Salvatore, mia dife­sa, consolatrice degli afflitti, rifugio dei miseri, datemi la vostra benedizione, da me oltremodo sospirata in quest'o­ra. Presentate per me a vostro Figlio l'olocausto della mia vita, già acceso dalla brama di morire per l'onore del suo nome sull'altare delle vostre pure e candide mani, affinché sia accetto a colui che per me si immolò sulla croce. Affi­do il mio spirito in esse e attraverso di esse in quelle del mio Creatore». Dopo che ebbe pronunciato questo, guar­dando la Regina che parlava al suo cuore, gli venne tagliato il capo dal carnefice. Ella - o ammirabile benignità! - po­se la sua anima accanto a sé e la portò nell'empireo dinanzi al suo Unigenito, arrecando speciale gaudio e gloria a tut­ti i cittadini del paradiso, che si congratularono con lei in­tonando inni di lode. L'Altissimo accolse quell'anima e la collocò in un luogo eminente tra i principi del suo popolo, e la Vergine , prostrata davanti al suo seggio di maestà in­finita, compose un cantico come rendimento di grazie per il trionfo del primo apostolo martire. In questa occasione non contemplò la beatissima Trinità con visione intuitiva, ma astrattiva, e fu colmata di ulteriori benedizioni e favo­ri per sé e per la Chiesa , per la quale fece grandi richieste. La benedissero anche tutti i santi, e quindi gli angeli la ri­condussero al suo oratorio in Efeso, in cui uno di essi era rimasto con le sue sembianze mentre era assente. Quando vi giunse si stese al suolo, come era suo costume, ringra­ziando di nuovo per tutto ciò che era accaduto.

401. Quella notte i discepoli di san Giacomo raccolse­ro il suo corpo e di nascosto lo trasportarono al porto di Ioppe, dal quale per disposizione superna salparono con esso per la Galizia. Maria inviò loro uno dei suoi ministri perché li guidasse e li indirizzasse là dove era volontà ce­leste che sbarcassero ed essi avvertirono il suo aiuto, ben­ché non lo vedessero, poiché per tutto il viaggio interven­ne in loro soccorso, e spesso miracolosamente; quindi, è anche grazie a lei che la Spagna possiede a sua protezio­ne il tesoro di quelle sacre membra, nello stesso modo in cui ebbe l'Apostolo ancora in vita come maestro e primo testimone della fede, che ben si radicò nei suoi abitanti. Egli spirò nel quarantunesimo anno del Signore, il venti­cinque marzo, cinque anni e sette mesi dopo la sua par­tenza da Gerusalemme per recarsi lì a predicare, e sette anni dopo la crocifissione del Redentore.

402. Questo consta dal capitolo dodicesimo degli Atti, dove san Luca dice che, per la soddisfazione mostrata dai giudei per la sua uccisione, Erode fece imprigionare anche Pietro con l'intenzione di decapitarlo appena trascorsa la Pasqua dell'agnello e degli azzimi, che viene celebrata nei quattordici giorni della luna di marzo. Poiché nell'anno quarantunesimo quei giorni corrispondevano agli ultimi di quel mese secondo il calcolo solare del quale ci serviamo, da ciò si comprende che il suo supplizio precedette di po­co tale cattura, che avvenne il venticinque marzo e che poi seguirono la carcerazione e la Pasqua. La Chiesa non ne fa memoria nella data precisa, perché coincide con l'in­carnazione e di solito anche con i misteri della passione; la festa è stata dunque trasferita al venticinque luglio, quan­do il suo corpo fu trasportato in Spagna.

403. La sua morte e la rapidità con cui l'iniquo re gliel'a­veva procurata accrebbero ulteriormente l'empia crudeltà dei giudei, convinti che tormentandolo avrebbero avuto pronto lo strumento della vendetta. Lucifero e i suoi giu­dicarono la cosa nella medesima maniera e, come costoro con richieste e adulazioni, lo persuadevano con suggestio­ni a comandare l'arresto del vicario di Cristo, come in ef­fetti fece per mantenersi la loro benevolenza per i suoi fi­ni temporali. I demoni lo temevano molto per la forza che sperimentavano a loro danno e perciò segretamente acce­lerarono i tempi. Egli fu tenuto legato alle catene per es­sere giustiziato appena dopo la Pasqua e, sebbene il suo cuore fosse ben saldo, senza preoccupazione alcuna e con la stessa tranquillità che se fosse stato libero, tutti i fede­li della città erano in profondo affanno. A causa di questa sofferenza moltiplicarono le suppliche all'Altissimo affin­ché lo salvasse, perché la sua scomparsa avrebbe rappresentato un'immane rovina, e invocarono pure l'ausilio e la potente intercessione della Regina, dalla quale tutti aspet­tavano un rimedio.

404. Tale angustia non le era nascosta benché fosse in Efeso, poiché i suoi clementissimi occhi osservavano quan­to succedeva per mezzo della visione chiara che aveva di tutto, ed ella intensificava la preghiera con sospiri, pro­strazioni e lacrime di sangue, implorando la sua scarcera­zione e la difesa dei devoti. Le sue orazioni penetrarono i cieli e giunsero a ferire il suo Unigenito, che scese perso­nalmente e la trovò stesa al suolo con il volto verginale at­taccato alla polvere. Rialzandola, le parlò con tenerezza: «Madre mia, moderate il vostro dolore e manifestatemi ciò a cui anelate, perché io ve lo concederò e otterrete grazia presso di me per conseguirlo».

405. Con la presenza e le affettuose parole di Gesù ri­cevette coraggio, consolazione e gioia, giacché le pene dei credenti erano la ragione del suo martirio e il vedere san Pietro detenuto e in attesa dell'esecuzione l'affliggeva ol­tre ogni immaginazione, come anche l'apprensione per le possibili conseguenze nella comunità primitiva. Rinnovò le sue domande e dichiarò: «Mio diletto, voi conoscete bene le angosce della vostra Chiesa, le cui grida sono ar­rivate al vostro orecchio e invadono il mio intimo af­franto. Si propongono di uccidere il suo pastore: se per­mettete che questo avvenga adesso, il vostro piccolo greg­ge sarà disperso e i lupi infernali trionferanno su di voi come bramano. Or dunque, affinché io viva ordinate con autorità al mare e alla tempesta che i venti e le onde che investono questa piccola nave si quietino. Proteggete il capo del collegio apostolico e i vostri nemici restino con­fusi e, se sarà vostra volontà e a vostra gloria, si volga­no verso di me le tribolazioni, perché io patirò per i vo­stri figli e lotterò contro gli avversari invisibili con l'aiu­to della vostra destra».

406. Egli rispose: «Carissima, con la virtù e il potere che avete avuto da me, desidero che vi regoliate secondo il vo­stro volere: costruite e abbattete quanto ritenete sia conve­niente, ma vi sia noto che contro di voi si rivolterà tutto il furore dei diavoli». La prudentissima Signora lo ringraziò per questo beneficio e, offrendosi di combattere la guerra di sua Maestà, affermò: «Dio mio, mia speranza, la vostra ancella è pronta a faticare per le anime che costarono il vo­stro sangue. Benché io sia polvere inutile, voi siete infinita sapienza e potenza, e se mi assiste il vostro favore non te­merò il drago. Dal momento che nel vostro nome dispone­te che io decida e compia quello che è opportuno, intimo a Lucifero e ai suoi ministri, che stanno sconvolgendo i cri­stiani, di precipitare tutti nei loro antri e di ammutolire fi­no a quando la vostra provvidenza non darà loro licenza di risalire sulla terra». Le sue parole furono tanto efficaci che, nell'istante in cui le pronunciò ad Efeso, i demoni che era­no a Gerusalemme piombarono negli abissi senza riuscire a resistere alla forza superna che operava in lei.

407. Essi intesero che quella sciagura proveniva dalla nostra Maestra, che chiamavano nemica perché non osa­vano nominarla. Confusi e atterriti, rimasero nelle loro ca­verne finché non fu loro consentito di risollevarsi per af­frontarla in battaglia, come poi riferirò, e in questo tem­po esaminarono quali mezzi potessero scegliere a tale sco­po. Conseguito il trionfo contro il principe del male, per ottenerlo anche contro Erode e i giudei, Maria disse al Re­dentore: «Adesso, mio sovrano, se è vostro beneplacito un angelo andrà a liberare il vostro vicario». La proposta fu subito approvata e, per volontà di entrambi, come di su­premi monarchi, uno degli spiriti più eccelsi che erano pre­senti si recò alla prigione.

408. Appena vi giunse, nella notte precedente il giorno in cui Pietro doveva essere giustiziato, lo scorse legato tra i due soldati che lo custodivano insieme ad altri che sorvegliavano la porta, profondamente addormentato come loro perché privo di angustie. Per svegliarlo dovette scuoterlo e quello, assonnato, udì che gli era comandato: «Alzati in fretta, met­titi la cintura, allacciati i sandali, prendi il mantello e vieni con me». Gli caddero le catene e, senza capire che cosa gli stesse avvenendo e di che tipo di visione si trattasse, seguì il messaggero divino, il quale prima di sparire gli fece attra­versare alcune vie e gli rivelò che l'Altissimo lo aveva sciol­to dai ceppi per intercessione della Vergine. Quando tornan­do in sé comprese il misterioso beneficio, ne rese grazie.

409. Gli parve bene porsi al sicuro, informando innanzi­tutto i discepoli e Giacomo il Minore, per eseguire ciò con il consiglio di tutti. Si diresse velocemente alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, cioè al cenacolo do­ve erano riuniti, non senza afflizione, molti fedeli. Picchiò al portone e una serva, di nome Rode, scese per domandare chi fosse. Ella riconobbe la sua voce e, ricolma di gioia, la­sciandolo fuori corse a dare la notizia agli altri, che pensa­rono ad una sua fantasia; la fanciulla insisteva, ma essi, lon­tani dal supporre che il loro capo avesse potuto riacquistare la libertà, immaginarono che fosse il suo angelo. Intanto, egli in strada continuava a bussare e dunque finalmente gli fu aperto e fu accolto con enorme giubilo. Raccontò quanto era successo, affinché avvisassero in segreto Giacomo e gli altri fratelli. Prevedendo che immediatamente Erode lo avrebbe cercato scrupolosamente, decisero di allontanarlo dalla città quella notte stessa, per evitare che fosse di nuovo catturato. Allorché il re scoprì l'accaduto e non fu in grado di ritro­varlo, fece castigare le guardie e s'infuriò contro i cristiani, anche se, per la sua superbia e la sua empia condotta, Dio gli sbarrò la strada e lo punì severamente.

 

Insegnamento della Regina del cielo

410. Carissima, a causa degli effetti provocati in te dal singolare favore che Giacomo ricevette alla sua morte dal­la mia pietà, voglio rivelarti un dono che l'Eterno mi con­fermò quando gli portai la sua anima nell'empireo. Altre volte ti ho accennato qualcosa riguardo a questo segreto, ma adesso lo capirai meglio affinché ti preoccupi di esse­re veramente mia affezionatissima figlia. In quell'occasio­ne, il Padre mi parlò davanti a tutti i beati: «Colomba mia, eletta per mio compiacimento fra tutte le creature, sap­piano gli spiriti superni e i santi che a mia lode, a vostra esaltazione e a vantaggio degli uomini vi do la mia paro­la che, se essi al momento del trapasso vi invocheranno e si rivolgeranno sinceramente a voi sul suo modello, solle­citando il vostro intervento presso di me, io inclinerò ver­so di loro la mia clemenza, li guarderò con occhi benevo­li, li difenderò dai pericoli dell'ultima ora e scaccerò i cru­deli nemici che in quel passaggio si sforzano di farli peri­re. Attraverso di voi elargirò loro considerevoli aiuti per­ché resistano e si pongano in stato di grazia se collabore­ranno; voi me li presenterete ed essi otterranno il premio dalla mia destra generosa».

411. Tutta la Chiesa trionfante ed io con essa ringra­ziammo e magnificammo sua Maestà. Benché spetti ai ministri celesti il compito di condurre le anime al tribu­nale del giusto giudice appena vengono liberate dall'esi­lio terreno, ciò fu concesso anche a me, in modo subli­me ed eminente, e sovente faccio uso dei miei privilegi, così come accadde con alcuni degli apostoli. Poiché ti ve­do ansiosa di apprendere come potrai avere da me que­sto beneficio tanto prezioso, ti esorto a non privartene per ingratitudine o disattenzione. Innanzitutto lo guada­gnerai con la purezza, che è quello che più bramo da te e dagli altri, giacché il mio grande ardore per l'Onnipotente mi costringe a desiderare da tutti, con infinita ca­rità e tenerezza, l'osservanza della sua legge, perché nes­suno si allontani dalla sua amicizia; questo è quanto de­vi anteporre alla vita, morendo piuttosto che peccare con­tro il tuo sommo Bene.

412. Obbediscimi, segui il mio insegnamento, impe­gnati nell'imitare quello che di me scopri e scrivi, non frapporre intervalli nell'amare e non dimenticare mai, neppure per un istante, il profondo affetto al quale ti legò la sua immensa misericordia. Sii grata per ciò di cui sei debitrice a lui e a me, che è al di là delle tue possibilità di comprensione finché sei viatrice. Sii fedele nel corri­spondere, fervorosa nella devozione, pronta per quanto è più perfetto. Dilata il cuore e non permettere che si re­stringa con la pusillanimità, come il demonio pretende­rebbe da te. Stendi la mano a imprese forti e ardue, con­fidando sempre nel Signore; non ti avvilire e non ti ab­battere nelle avversità, non impedire il disegno di Dio in te né gli altissimi fini della sua gloria, tieni accesa la fe­de e la speranza nelle maggiori angustie e tentazioni. Per compiere tutto questo, trova ausilio nell'esempio dei miei servi e nella conoscenza che ti ho dato della felicissima sicurezza di coloro che sono sotto la protezione divina: con la fiducia e la dedizione verso di me, Giacomo ebbe nel martirio il particolare favore che ho spiegato e superò innumerevoli travagli, conquistando la corona; nella stes­sa maniera, Pietro stava tranquillo e sereno in prigione, senza mai perdere la pace interiore, e meritò che il mio Unigenito ed io avessimo una simile sollecitudine per la sua salvezza. I mondani figli delle tenebre non sono de­gni di tale soccorso, poiché si appoggiano sulle realtà vi­sibili e sulla loro astuzia diabolica. Sollevati e scuotiti da questi inganni, aspira a quello che è più eccelso, perché sarà con te il braccio vigoroso che operò in me tante me­raviglie.