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Maria beatissima celebra con i suoi angeli altre feste

CAPITOLO 13

Maria beatissima celebra con i suoi angeli altre feste, in par­ticolare quelle della sua Presentazione, di san Gioacchino, di sant'Anna e di san Giuseppe.

 

625. La gratitudine per quanto ci è concesso dalla ma­no del sommo sovrano è una virtù così nobile che con es­sa conserviamo il nostro rapporto con lui: egli ci favorisce come potente, sovrabbondante e munifico, e noi lo rin­graziamo come poveri, umili e obbligati. È proprio di chi offre per la sua larghezza l'accontentarsi della riconoscen­za di chi è nel bisogno, ed essa è un contraccambio velo­ce, facile e dilettevole, che soddisfa il donatore impegnan­dolo ad essere di nuovo generoso. Ciò succede tra gli uo­mini magnanimi e a maggior ragione tra il Signore e i suoi figli, poiché noi siamo la stessa miseria e indigenza, men­tre egli è ricco e tale che, se possiamo immaginare in lui qualche necessità, questa non è necessità di ricevere, ben­sì di dare. Quindi, nella sua saggezza, giustizia e rettitu­dine non ci respinge mai perché sprovvisti, ma perché im­memori di quello che ci è prodigato; vuole dispensarci tan­to, ma a condizione che gli rendiamo lode. La corrispon­denza nei benefici minori lo muove a farne di più grandi e a moltiplicarli, e soltanto chi è umile se li assicura, dal momento che conseguentemente è di certo anche grato.

626. La maestra di questa scienza fu la beatissima Ver­gine, giacché, avendo ella sola avuto tutta la pienezza di grazie che poterono essere comunicate a una semplice crea­tura, non dimenticò o tralasciò di apprezzarne alcuna con la massima eccellenza. Aveva assegnato a ciascuna dei par­ticolari cantici con altri singolari esercizi, destinando allo scopo dei giorni dell'anno e in essi delle ore, e a tale pre­mura aggiungeva quella di governare la comunità eccle­siale, istruire gli apostoli e i discepoli, consigliare l'enor­me quantità di persone che andavano a consultarla, non negandosi mai a nessuno e non trascurando mai di preoc­cuparsi delle esigenze dei fedeli.

627. Se la riconoscenza vincola l'Altissimo e lo induce alla liberalità, chi riuscirà a ponderare quanto doveva toc­carlo quella che la prudentissima Madre gli palesava in mo­do eccezionale per tutte le sue innumerevoli e sublimi elar­gizioni? Noi discendenti di Adamo in paragone siamo ne­gligenti, pigri e così duri di cuore che il poco, ammesso che facciamo qualcosa, ci pare molto; al contrario, alla diligente Regina il molto pareva poco e, compiendo tutto il possibi­le per le sue forze, si giudicava manchevole. Ho già di­chiarato altrove che agiva in maniera simile a Dio, che è un atto purissimo che opera con il medesimo essere senza poter cessare nelle sue operazioni infinite, partecipando ineffabilmente di questa prerogativa: sembrava tutta un'o­perazione infaticabile e continua, e ciò non sorprende se si pensa che la grazia, che in tutti è impaziente al vedersi oziosa, stava in lei senza limiti e senza la comune misura.

628. Non so spiegare la mia affermazione meglio che ri­ferendo lo stupore degli angeli, che sovente di fronte a quel­lo che contemplavano dicevano tra sé o parlando con sua Maestà: «In costei l'Eterno si mostra mirabile più che in tut­ti gli altri! In costei la natura umana ci sorpassa considere­volmente! Sia sempre esaltato chi vi ha plasmato, o Maria. Voi siete il vanto e la bellezza dei mortali. Voi siete oggetto di santa emulazione addirittura per noi che siamo esseri spi­rituali e suscitate meraviglia nei cittadini del paradiso. Sie­te il portento dell'Onnipotente, la manifestazione della sua destra, la sintesi delle opere del Verbo, il vivo ritratto delle sue perfezioni, l'effigie dei suoi passi e l'immagine in tutto somigliante a colui che si è incarnato nel vostro grembo. Voi siete degna guida della Chiesa militante e gloria specialmente di quella trionfante, onore del nostro popolo e riparatrice del vostro. A tutte le nazioni sia nota la vostra virtù ed emi­nenza, e ogni generazione vi acclami e benedica. Amen».

629. La nostra Principessa celebrava con essi i favori che le erano stati concessi, supplicandoli di assisterla non soltanto per il suo fervente amore, che meritava e solleci­tava tutti i mezzi per l'inestinguibile sete che provoca il fuoco della carità nell'animo in cui arde, ma pure per la sua profonda umiltà, con la quale si confessava più debi­trice degli altri, che esortava ad aiutarla a pagare benché fosse l'unica ad esserne capace. In questo modo trasferiva sulla terra, nel suo oratorio, la corte del supremo Re, e fa­ceva del mondo un cielo.

630. Ricordava la sua Presentazione al tempio nella da­ta corrispondente, cominciando dalla vigilia e spendendo l'intera notte in esercizi e ringraziamenti, come in occasio­ne dell'Immacolata Concezione e della Natività. Meditava il beneficio di essere stata condotta dal sommo Bene nella sua casa in tanto tenera età e tutto quanto aveva ricevuto mentre vi dimorava, ma ancor più ammirevole è che, ri­colma di luce superna, richiamasse alla memoria gli inse­gnamenti che le avevano impartito il sacerdote e la sua mae­stra durante l'infanzia. Aveva la stessa cura in ordine a ciò che aveva appreso dai suoi genitori e successivamente dai Dodici, ed eseguiva nuovamente tutto nel grado conveniente alla sua maturità. Sebbene le fossero sufficienti le parole di Cristo, rammentava quelle di tutti, perché in materia di umi­liarsi e di obbedire come inferiore non perdeva alcun pun­to o ingegnoso segreto. Oh, a che inarrivabile livello portò gli ammonimenti dei sapienti: «Non appoggiarti sulla tua intelligenza e non credere di essere saggio; non disprezzare i racconti e gli avvertimenti degli anziani, e ascolta le lo­ro massime; non aspirare a cose troppo elevate, piegati in­vece alle umili»!

631. Sentiva come un'affezione naturale al ritiro di cui aveva goduto allora, anche se si era prontamente sotto­messa al comando di lasciarlo per gli imperscrutabili fini del nostro Creatore, che in tale anniversario la compensa­va con dei doni singolari. Il Salvatore scendeva dall'empi­reo avvolto da un eccezionale splendore e scortato dai suoi ministri, e proclamava: «Colomba mia, venite a me, che sono vostro Signore e vostro figlio. Voglio darvi un'abita­zione più sicura ed eccellente, che sarà in me medesimo: venite, carissima amica mia, alla vostra legittima stanza». A questo dolcissimo invito i serafini la sollevavano dal suo­lo, poiché al cospetto di Gesù stava prostrata finché egli non la pregava di rialzarsi, e con sublimi armonie la col­locavano al suo fianco. Subito la Vergine percepiva o ca­piva che la divinità di lui la riempiva tutta come tempio della sua gloria e la penetrava, rivestiva e circondava co­me il mare fa con il pesce che tiene in sé; per quel con­tatto sperimentava effetti ineffabili, avendo una specie di possesso di sua Maestà che non posso spiegare, nel quale provava grande soddisfazione e giubilo pur non vedendo­lo faccia a faccia.

632. Ella chiamava questa immensa grazia "il mio al­tissimo rifugio" e la solennità "festa dell'essere di Dio", e componeva mirabili cantici di gratitudine. Alla sera, poi, magnificava il nostro sovrano per tutti i patriarchi e i pro­feti, da Adamo a Gioacchino ed Anna: per quanto aveva elargito loro, per quanto avevano predetto e per quanto di essi riferiscono i testi sacri. Rivolgendosi a suo padre e sua madre esprimeva riconoscenza per essere stata offerta tan­to piccola all'Onnipotente, e chiedeva che nella Gerusa­lemme trionfante lo lodassero per ciò a nome suo e le im­petrassero da lui che l'educasse a farlo e la guidasse in ogni sua azione; soprattutto, li implorava di esaltarlo per averla esentata dal peccato originale allo scopo di sceglierla perché lo accogliesse nel suo grembo, dal momento che considerava sempre inseparabili tali favori.

633. Viveva pressappoco nello stesso modo le memo­rie dei suoi genitori, che entravano nel suo oratorio con l'Unigenito e con una moltitudine di spiriti celesti. Con questi ultimi ringraziava il suo diletto per averle conces­so di nascere da persone così rette e conformi alla sua volontà e per come le aveva premiate, e ideava altri inni che ripetevano con musica soavissima e forte. Ciascun co­ro dei suoi angeli e di quelli che in simili circostanze si univano ad essi le illustrava un attributo dell'Eterno e uno del Verbo fatto uomo, in un colloquio che le procurava incomparabile gioia e l'accendeva ulteriormente nell'a­more e che era causa di enorme gaudio accidentale an­che per i due santi. A questi Maria domandava infine di benedirla, restando stesa nella polvere mentre risalivano al paradiso.

634. Nel giorno dedicato al suo castissimo sposo, ce­lebrava il matrimonio in cui egli le era stato dato come fedele compagno per nascondere i misteri dell'incarna­zione e per compiere con eccelsa sapienza le opere della redenzione, e, poiché teneva depositato nel suo pruden­tissimo cuore questo consiglio immutabile della Provvi­denza, ponderandolo e stimandolo opportunamente, era straordinariamente esultante. Giuseppe arrivava con stu­pendo fulgore e con migliaia di ministri superni, che in­tonavano con allegrezza e compostezza i nuovi motivi scritti dalla nostra Maestra per i benefici ricevuti insie­me a lui.

635. Dopo aver speso in tale maniera parecchie ore, la Regina passava le rimanenti discorrendo delle perfezioni e delle prerogative divine, perché in assenza del Signore que­sto era ciò che la rallegrava maggiormente. Poi, per prende­re congedo lo supplicava di intercedere per lei e di rendere onore alla Trinità da parte sua, gli raccomandava le neces­sità dei credenti e degli apostoli e si faceva benedire, conti­nuando alla sua partenza le consuete manifestazioni di umiltà. Segnalo due cose: in quelle occasioni Cristo, duran­te la sua permanenza quaggiù, l'assisteva e le si mostrava trasfigurato come sul Tabor, rimunerando la sua profonda devozione e rinnovandola meravigliosamente; inoltre in esse, come in altre delle quali parlerò in seguito, ella aggiungeva una premura conveniente alla sua pietà e degna della nostra attenzione, e cioè sfamava molti poveri, apparecchiando e servendoli con le proprie mani stando in ginocchio. A tal fi­ne, ordinava all'Evangelista di trovare e condurle innanzi i più trascurati e bisognosi, ed egli eseguiva puntualmente il suo comando. La Vergine preparava pure un altro pranzo più delicato per mandarlo agli infermi indigenti che erano negli ospedali e non potevano essere portati a casa sua, e li andava a consolare e sollevare con la sua presenza. Istruì su tutto questo i suoi figli, affinché la imitassero palesandosi per quanto possibile obbligati con lodi e gesti caritatevoli.

 

Insegnamento della Regina del cielo

636. Mia eletta, l'ingratitudine nei confronti dell'Altissi­mo è una delle colpe più brutte e che rendono più odiosi ai suoi occhi e a quelli dei beati, che hanno una specie di orrore per questa turpissima villanìa. Eppure, benché essa sia per loro così pericolosa, i mortali non commettono nes­sun altro peccato con più sconsideratezza e frequenza. È certo che il medesimo Dio, per non essere tanto offeso dal­la generale dimenticanza delle sue elargizioni, vuole che la Chiesa compensi in qualche misura la mancanza in cui in­corrono i suoi membri e tutti gli altri, e dunque sono in gran numero le preghiere e i sacrifici a sua gloria; però, siccome i favori della sua liberalissima destra appartengo­no non solo alla comunità ecclesiale ma anche ad ognuno in particolare, ciò non basta ad estinguere il debito, che si è singolarmente tenuti a soddisfare.

637. Quanti vi sono che non hanno mai fatto atti di au­tentica riconoscenza verso colui che ha concesso e con­serva loro la vita, e accorda loro salute, vigore, nutrimen­to, decoro e averi materiali? Altri, poi, sono mossi ad essi non dall'amore per il Donatore, bensì dall'amore per se stessi e per le realtà terrene che si compiacciono di pos­sedere, inganno che si desume da due fattori. Il primo è che, allorché le perdono, si rattristano, adirano ed abbat­tono, senza essere capaci di pensare ad altro né altro im­plorare e apprezzare, perché hanno caro esclusivamente quello che è apparente e caduco. E sebbene sovente sia per loro una grazia l'essere privati delle buone condizioni fisi­che, delle facoltà e di cose simili affinché non vi si ab­bandonino disordinatamente, reputano tale evento una sventura e sempre desiderano correre dietro a ciò che ha termine, per perire assieme ad esso.

638. Il secondo è che, per la cieca bramosia dei beni transitori, non si ricordano di quelli celesti, che non san­no discernere e gradire. Questo errore è ripugnante e ter­ribile tra i cristiani, ai quali l'immensa misericordia del­l'Onnipotente, senza che alcuno la vincolasse e muovesse con il proprio retto comportamento, applicò in modo spe­ciale i meriti della passione del mio Unigenito. Costoro po­tevano nascere in altri secoli, antecedentemente alla sua incarnazione, oppure tra i pagani, gli idolatri e gli eretici, dove sarebbe stata inevitabile la dannazione. Egli, invece, li ha gratuitamente attratti alla fede illuminandoli sulla si­cura verità; li ha giustificati mediante il battesimo e ha dato loro i sacramenti, dei ministri e degli insegnamenti; li ha posti sul diritto sentiero e li soccorre con aiuti, li as­solve quando hanno sbagliato, li rialza quando sono ca­duti, li aspetta per la conversione, li invita con clemenza e li premia con eccezionale larghezza; li difende tramite gli angeli; si offre loro come pegno e come alimento di vi­ta spirituale, e non passa giorno od ora senza accumulare i suoi benefici.

639. Dimmi, quindi: quale gratitudine si deve a tanto liberale e paterna benignità? E quanti l'hanno? È ammi­revole soprattutto che non si siano sbarrate le porte e prosciugate le fonti della sua bontà, e questo accade poi­ché è infinita. La principale radice di una così spaven­tosa grettezza è la loro esorbitante ingordigia e avidità delle ricchezze mondane, che fa sia sembrare da poco quelle che ricevono sia ignorare le altre, più elevate. A tale stoltezza se ne accompagna solitamente una peggio­re, cioè la supplica per ottenere dal Signore non soltan­to ciò di cui hanno bisogno, ma anche ciò che ambi­scono per capriccio e che serve alla loro rovina. Fra gli uomini non è normale che si cerchi alcunché presso chi si è offeso, a maggior ragione se allo scopo di offender­lo ancor più. Per quale motivo dunque un essere vile e spregevole, nemico dell'Eterno, gli domanda il benesse­re, l'onore, la roba e altre cose che ha costantemente usa­to contro di lui?

640. E aggiungendo che mai lo ha ringraziato perché lo ha creato, redento, chiamato, atteso, perdonato e gli tiene preparata la medesima gloria di cui gode egli stes­so, qualora voglia acquistarla, è chiaramente un'inaudita temerarietà e audacia che ardisca chiedere essendosene così reso assolutamente indegno, se prima non se ne pen­te. Ti garantisco che questo frequente peccato è uno dei più evidenti segni di riprovazione in coloro che lo com­mettono sconsideratamente. È un cattivo indizio pure il fatto che l'equo giudice distribuisca abbondanza di favo­ri temporali a chi è immemore del proprio riscatto, giac­ché costui dimenticando il mezzo della salvezza anela a quello della morte e il suo conseguimento non è che un castigo.

641. Ti manifesto il pericolo affinché tu ne abbia terro­re e te ne allontani, ma intendi bene che la tua ricono­scenza non ha da essere ordinaria e comune, dal momen­to che ciò che ti è stato prodigato sorpassa ogni tua pon­derazione. Non lasciarti indurre a sminuirti con il prete­sto della modestia e a non stimarlo convenientemente. Ti è noto l'impegno del demonio nel tentare di farti sparire da davanti agli occhi le elargizioni di sua Maestà e mie, procurando che tu ritenga le tue mancanze e miserie in­compatibili con esse e con la luce che ti è stata concessa. Esci ormai del tutto da questo inganno, comprendendo che tanto più ti abbasserai ed annienterai quanto più attribui­rai a Dio quello che ti è accordato dalla sua generosità, e che quanto più gli dovrai tanto più povera ti troverai per pagare il debito. Questa consapevolezza non è presunzio­ne, bensì avvedutezza, e trascurarla non è umiltà, bensì ot­tusità oltremodo riprensibile, perché non puoi essere gra­ta di qualcosa di cui sei all'oscuro né puoi amare molto se non ti sai costretta e stimolata dai doni che ti obbligano. Sei giustamente preoccupata di non perdere la grazia e l'a­micizia dell'Altissimo, che ha operato con te quanto basta per numerose anime, ma è assai diverso l'avere prudente­mente paura di privartene e il dubitarne; il tuo avversario nella sua astuzia prova a farti equivocare e ad introdurre in te un'incredula pertinacia coperta con il manto della buona intenzione e del santo timore. Impiega quest'ultimo nel custodire il tuo tesoro e nell'avere una purezza angeli­ca, imitandomi con diligenza e mettendo in pratica tutti gli insegnamenti che a tal fine ti impartisco nella presen­te Storia.