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CAPITOLO 15

Si narra che il nostro salvatore Gesù venne condotto incatenato al palazzo del sommo sacerdote Anna; ciò che accadde in quell'occasione e ciò che patì la stia santissima Madre.

1256. Degna cosa sarebbe parlare della passione, delle ignominie e dei tormenti di Gesù con parole così vive ed efficaci da penetrare più di una spada a doppio taglio, fino a dividere con intensa sofferenza la parte più intima di noi stessi. Difatti, le pene che gli furono inflitte non furono comuni: non si troverà mai dolore simile al suo dolore ! La sua persona non era come quella degli altri uomini; inoltre egli non patì per sé né per le sue colpe, ma per noi e per i nostri peccati. È opportuno, dunque, che descriviamo i travagli del suo martirio non in modo usuale, ma forte ed incisivo, così da proporli ai nostri sensi. Me infelice, che non posso dar efficacia alle mie espressioni, né trovare quelle che l'anima mia desidera per manifestare questo segreto! Esporrò solo ciò che arriverò a comprendere e mi spiegherò come potrò e mi sarà propinato, benché la scarsezza del mio talento coarti e limiti la grandezza dell'illuminazione, e i termini inadeguati non arrivino a dichiarare il concetto più nascosto del cuore. Supplisca a tale lacuna la vitalità della fede che noi, membri della Chiesa, professiamo. E se i vocaboli sono ordinari, siano. straordinari l'afflizione e il sentimento, sia altissimo il giudizio, veemente la comprensione, profonda la riflessione, cordiale la riconoscenza e fervente l'amore, poiché tutto sarà meno della verità dell'oggetto e meno di quanto noi dovremmo corrispondere come servi, amici e figli adottati per mezzo della morte di Cristo, nostro bene.

1257. Il mansuetissimo Agnello, catturato e legato, fu condotto dall'orto degli Ulivi al palazzo dei sommi sacerdoti, e per primo a quello di Anna. Quel turbolento squadrone di soldati e di ministri camminava preavvisato dai consigli del discepolo traditore che aveva raccomandato a tutti loro di non fidarsi del Maestro, ma di arrestarlo sotto buona scorta, ben stretto con corde, perché come uno stregone sarebbe potuto sfuggire dalle loro mani. Questi esecutori di malvagità erano anche irritati e provocati occultamente da Lucifero e dai principi del suo regno di tenebre, affinché trattassero il Signore empiamente, senza umanità né dignità. E, come strumenti obbedienti alla volontà del dragone, non lasciarono cadere niente di quanto venne permesso di eseguire contro di lui. Lo legarono con una catena di grossi anelli di ferro, in maniera tale che dopo avergli circondato i fianchi e il collo venivano a sopravanzare i due estremi. A questi attaccarono delle manette con le quali bloccarono quelle divine mani che avevano creato l'intero universo: strette in questo modo gliele posero non al petto, ma al dorso. Avevano preso la catena dalla casa di Anna, dove serviva per alzare la porta di un carcere, fatta a saliscendi; con l'intento di catturare il Salvatore l'avevano tolta di là e accomodata con le manette mediante dei lucchetti. Tuttavia, dopo che lo ebbero serrato in questa morsa inaudita, non rimasero né soddisfatti né sicuri, poiché subito lo avvolsero con due corde molto lunghe: una gliela gettarono al collo e incrociandogliela sul petto gliela girarono intorno al corpo, stringendolo con forti nodi e lasciando pendenti le estremità, affinché due di loro lo trascinassero; con la seconda, invece, gli legarono le braccia e le mani dietro alla schiena lasciandone ugualmente pendere due lunghi capi, dai quali altri due di loro potessero trascinarlo.

1258. L'Onnipotente e il Santo così ridotto si lasciò catturare e sottomettere, come se fosse stato il più facinoroso ed il più svigorito dei nati, avendo preso su di sé l'iniquità di tutti noi e, per operare il bene, la debolezza e l'impotenza con cui siamo incorsi nel peccato. I soldati lo legarono nel Getsèmani, tormentandolo anche con insulti: come velenosi serpenti con bestemmie, ingiurie ed inauditi obbrobri sputarono il sacrilego veleno, che avevano dentro, contro colui che è adorato e magnificato da ogni essere vivente in cielo e sulla terra. Partirono allora tutti quanti dal monte degli Ulivi con clamori e gran tumulto, conducendo in mezzo a loro il Redentore, tirandolo alcuni per le corde dinanzi ed altri per quelle che portava al dorso, attaccate ai polsi. E con questa inconcepibile brutalità a volte lo facevano camminare in fretta, precipitosamente, altre lo tiravano indietro e trattenevano, altre ancora lo strattonavano da un lato e dall'altro, dove la forza diabolica li spingeva. Questi ministri di empietà spesso lo buttavano anche al suolo dove egli, avendo le mani incatenate, sbatteva con il suo venerabile volto, rimanendo malconcio, pieno di polvere e riportando molte ferite. Quando cadeva gli si gettavano addosso, dandogli calci, calpestandolo, passando sopra la sua regale persona e calcandogli la faccia. Ed elevando vituperi con urla e scherni, lo saziavano di umiliazioni, come deplorò Geremia.

1259. Satana, in mezzo al furore violento che aveva acceso in costoro, stava molto attento alle opere di sua Maestà, pretendendo di irritarne la pazienza al fine di comprendere se fosse veramente un semplice uomo. E difatti questo dubbio angustiava la sua acerrima superbia più di tutte le sue grandi pene. Ma quando riconobbe la mansuetudine, la tolleranza e la dolcezza che egli mostrava fra tanti oltraggi e affronti, e quando vide che li riceveva con volto sereno e austero senza turbamento né alterazione, si infuriò ancor di più. E come impazzito ed imbestialito, tentò di prendere le corde per tirarlo assieme ai suoi demoni con maggiore violenza di quella che mettevano in atto gli stessi manigoldi, al fine di provocare con più crudeltà la sua mitezza. Questo intento, però, fu impedito da Maria santissima, la quale dal luogo dove stava ritirata osservava scrupolosamente, con la chiara visione che aveva, tutto quello che si andava eseguendo contro suo Figlio. Di fronte all'ardimento di Lucifero, usò il potere di regina e gli comandò di non accostarsi ad offenderlo come aveva determinato. Nel contempo, le forze di questo nemico vennero meno ed egli non poté realizzare il suo desiderio, perché non era conveniente che la sua malvagità si frapponesse in quella maniera nella passione di Gesù. Tuttavia, gli fu permesso per disposizione divina di provocare i suoi contro di lui e di incitare i giudei, poiché erano fautori della sua morte e detentori delle sue sorti. Così fece e, rivoltosi ai principi delle tenebre, disse: «Chi è mai costui che, venuto al mondo, con la sua pazienza e le sue opere ci tormenta e distrugge in tal modo? Nessuno, da Adamo fino ad oggi, ha conservato tale imperturbabilità in mezzo ad una sofferenza così atroce, e non si sono mai viste tra i mortali un'umiltà e una mansuetudine simili. Dunque, come potremo starcene quieti con un esempio tanto raro e potente da attirare tutti dietro di sé? Se questi è il Messia, senza dubbio aprirà il cielo e chiuderà la strada per la quale conduciamo i mortali alla perdizione, e noi resteremo vinti e delusi nei nostri propositi. E quand'anche non fosse che un uomo, io non posso accettare che venga lasciato un modello tale di pazienza. Venite, dunque, esecutori della mia perfidia, e perseguitiamolo per mezzo dei suoi nemici che, obbedienti alla mia autorità, hanno indirizzato contro di lui la furiosa invidia che ho loro comunicato».

1260. L'Autore della nostra salvezza si assoggettò allo spietato sdegno che il drago risvegliò e fomentò in quello squadrone di giudei, nascondendo il potere con il quale li avrebbe potuti reprimere o annichilire, e tutto ciò affinché la nostra redenzione fosse più copiosa. I soldati, maltrattandolo, lo condussero legato al palazzo di Anna, alla cui presenza lo posero come malfattore, degno di condanna a morte. Era usanza presentare così incatenati i delinquenti che meritavano il castigo capitale, e proprio quei legacci ne erano una testimonianza. In tal modo lo tiravano come se gli intimassero la sentenza prima che la pronunziasse il giudice. Il sacrilego sacerdote, pieno di superbia e di arroganza, uscì in una sala e si sedette sulla sedia o tribunale che vi si trovava. Subito un'immensa moltitudine di demoni lo circondò, mentre satana gli si pose accanto. I ministri e i soldati gli mostrarono Gesù incatenato, dichiarando: «Ecco, signore, conduciamo qui quest'uomo cattivo, che con i suoi incantesimi e con le sue malvagità ha turbato tutta Gerusalemme e l'intera Giudea; ma questa volta non gli ha giovato l'arte magica per sfuggire dalle nostre mani».

1261. Il Signore era assistito da innumerevoli angeli che lo riconoscevano e adoravano, i quali erano meravigliati degli imperscrutabili giudizi della sua sapienza, poiché egli consentiva di essere presentato come peccatore, mentre l'iniquo sacerdote si mostrava giusto e zelante dell'onore che empiamente pretendeva di strappargli insieme alla vita. Intanto 1'amantissimo Agnello taceva senza aprire bocca, come aveva predetto il profeta Isaia, ed allora Anna con tono imperioso lo interrogò riguardo ai suoi discepoli e a quello che egli predicava, al fine di calunniare la risposta, se avesse contenuto qualche parola che desse motivo di accusa; ma il Maestro della santità, che regge ed emenda i più saggi, offrì all'Eterno l'umiliazione di essere portato come reo dinanzi al sommo sacerdote, e di venire interrogato da lui come delinquente ed autore di una falsa dottrina. Alla domanda sul suo insegnamento, egli replicò con volto umile e lieto: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito citi che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Difese così il suo ammaestramento e la sua credibilità, rimettendosi ai suoi ascoltatori. D'altra parte la verità e la virtù si accreditano e si garantiscono da se stesse, anche tra i peggiori nemici.

1262. Riguardo ai suoi seguaci non disse nulla, sia perché non era opportuno, sia perché questi non si trovavano allora nella disposizione d'animo da poter essere da lui lodati. Quantunque la risposta che aveva dato fosse stata così sapiente e consona alla domanda, una delle guardie si mosse con inconcepibile audacia e, alzando la mano, colpì il suo sacro e venerabile volto e nel percuoterlo lo riprese: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Sua Maestà ricevette questa ingiuria e pregò il Padre per colui che lo aveva offeso, stando pronto a voltarsi per offrire l'altra guancia e prendere, se fosse stato necessario, un altro schiaffo, adempiendo così ciò che egli stesso aveva insegnato; ma, affinché quell'insolente non restasse soddisfatto ed imperturbato per quell'atto di inaudita malvagità, ripeté con grande serenità e mansuetudine: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Oh, spettacolo di nuova meraviglia per gli spiriti sovrani! Oh, come a saperlo non dovrebbe tremare il cielo e spaventarsi tutto il firmamento? Costui è colui di cui disse Giobbe: non solo è saggio di mente, ma tanto potente e forte che nessuno resistendogli può con ciò aver pace; sposta i monti con il suo furore, prima che essi possano accorgersene; scuote la terra dal suo posto e sbatte le sue colonne le une contro le altre; comanda al sole che non sorga e pone alle stelle il suo sigillo; egli è colui che fa cose grandi ed incomprensibili; è colui alla cui ira nessuno può far fronte e dinanzi al quale si piegano quelli che sostengono il mondo. Questi è colui che per amore dei medesimi uomini tollera di essere percosso da un ministro scellerato con uno schiaffo sul volto!

1263. Il sacrilego servo per l'umile ed efficace risposta di Gesù restò come disorientato nella sua malvagità. Tuttavia né questa confusione né quella in cui poté entrare il sommo sacerdote, a motivo di tale insolenza commessasi alla sua presenza, mosse lui e i giudei a moderarsi, in qualche modo, contro l'Autore della vita. Mentre continuavano a ricoprirlo di vituperi, giunse alla casa di Anna san Pietro insieme a san Giovanni che, essendo conosciuto, si introdusse facilmente nel palazzo. L'altro, invece, rimase fuori, fino a quando la portinaia, una serva del sommo sacerdote, alla richiesta di Giovanni, non lo lasciò entrare perché vedesse quello che stava succedendo al Redentore. I due si trovarono davanti alla sala del sommo sacerdote e, poiché in quella notte faceva freddo, Pietro si accostò al fuoco preparato dai soldati. La serva lo guardò allora con attenzione e, riconoscendolo come uno dei seguaci di Cristo, si avvicinò dicendogli: «Forse anche tu sei dei discepoli di quest'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». La domanda gli fu rivolta con una specie di disprezzo e di rimprovero, tanto che egli con debolezza e viltà si vergognò. Quindi si appartò dalla conversazione ed uscì fuori, anche se immediatamente dopo, seguendo il Maestro, si sarebbe diretto verso l'abitazione di Caifa, dove per altre due volte avrebbe negato di conoscerlo.

1264. Per il nostro Salvatore fu più grande questa sofferenza che quella dello schiaffo, essendo la colpa odiosa e nemica della sua immensa carità e le pene amabili e dolci, perché con esse avrebbe vinto i nostri peccati. Al primo rinnegamento pregò l'Eterno per il suo futuro vicario e dispose che, per mezzo dell'intercessione di Maria santissima, gli venisse elargita la grazia dopo le tre negazioni. Intanto ella dal suo oratorio osservava tutto ciò che avveniva e, serbando in se stessa il propiziatorio e il-sacrificio, cioè il suo stesso Unigenito sacramentato, si rivolgeva a lui per le sue richieste e i suoi affetti amorosi: esercitava così eroici atti di compassione, culto e adorazione. Allorché fu messa al corrente del rinnegamento di san Pietro pianse amaramente e non smise sino a quando non ebbe l'illuminazione che l'Altissimo non gli avrebbe ricusato gli aiuti e lo avrebbe rialzato dalla caduta. La purissima Principessa sentì nel suo corpo verginale tutte le percosse e i tormenti del suo diletto, nelle stesse parti in cui egli veniva maltrattato. Non appena sua Maestà venne stretto con le corde e le catene, ella avvertì nei polsi un dolore tanto atroce che le fuoriuscì il sangue dalle mani, come se queste fossero state realmente legate, e lo stesso accadde in tutti gli altri patimenti. Siccome a tale angoscia si univa quella del cuore, nel vedere soffrire il Verbo incarnato ella giunse a versare lacrime di sangue: il braccio dell'onnipotente era l'artefice di questa meraviglia! Sentì anche il colpo dello schiaffo come se nel contempo quella mano sacrilega avesse percosso insieme il Figlio e la Madre. Dinanzi a questo atto oltraggioso e in mezzo a tutte queste bestemmie ed irriverenze, invitò gli spiriti celesti a magnificare e ad adorare con lei il Creatore, come ricompensa degli obbrobri che egli subiva dai peccatori. E con prudentissime parole - ma molto lamentevoli e dolorose - discuteva con essi della causa della sua amara compassione e del suo pianto.

Insegnamento della Regina del cielo

1265. Carissima, a cose grandi ti chiama e t'invita la divina luce che vai ricevendo circa i misteri del Signore e miei su ciò che patimmo per il genere umano e che continuiamo a patire per il cattivo contraccambio che esso ci rende, come irriconoscente ed ingrato verso tanti benefici. Tu vivi nella carne peritura e sei soggetta a queste ignoranze e miserie, ma con la forza di quanto comprendi si generano e si risvegliano in te innumerevoli atti di ammirazione e di afflizione sia per la dimenticanza e la poca partecipazione ed attenzione dei mortali ad arcani così eccelsi, sia per i beni che essi perdono a causa della loro accidia e della loro tiepidezza. Dunque, quale sarà la sentenza che esprimeranno su tutto ciò gli angeli e i santi? Quale sarà quella che presenterò io al cospetto del sommo sovrano, nel vedere il mondo e ancor più i fedeli in una condizione così pericolosa di spaventosa spensieratezza, dopo che il mio Unigenito è morto per loro, dopo che hanno ottenuto me come madre e avvocata e hanno avuto come esempio la sua purissima vita e la mia? In verità ti dico: solo la mia intercessione e i meriti che porto dinanzi all'Altissimo, del Figlio mio e suo, possono sospendere il castigo e placare il suo giusto sdegno, perché non distrugga la terra e non flagelli duramente i membri della comunità ecclesiale che, pur conoscendo la sua volontà, non l'adempiono. Io però sono molto disgustata nel trovare così poche persone che piangono con me e consolano il Redentore nelle sue pene. Questa durezza per i cattivi cristiani nel giorno del giudizio sarà la punizione di maggior turbamento, perché si accorgeranno allora con dolore irreparabile che non solo furono ingrati, ma disumani e crudeli verso di lui, verso di me e verso se stessi.

1266. Considera dunque il tuo dovere: innalzati sopra ogni cosa terrena e sopra te medesima, perché io ti ho chiamata ed eletta affinché ricalchi le mie orme e mi accompagni in quello in cui mi lasciano sola le creature che il Maestro ed io abbiamo tanto beneficato e obbligato. Pondera diligentemente quanto costò al mio Unigenito riconciliare gli uomini con il suo eterno Padre e guadagnar loro la sua amicizia. Piangi ed affliggiti perché molti vivono in questa dimenticanza, e molti altri si affaticano con tutti i loro sforzi per distruggere e perdere ciò che costò il sangue e la crocifissione dello stesso Dio, e ciò che io dalla mia concezione ho procurato e di continuo procuro a vantaggio della loro salvezza. Risveglia nel tuo cuore un'amara contrizione nel constatare che nella santa Chiesa hanno numerosi successori i sommi sacerdoti sacrileghi ed ipocriti, che con falsa apparenza di pietà condannarono Gesù. Ed è così che rimangono ben radicate la superbia, il fasto ed altre gravi colpe che vengono intronizzate e rese lecite, mentre l'umiltà, la verità, la giustizia e le virtù restano oppresse e tanto soffocate da far prevalere solo la cupidigia e la vanità. Pochi sono coloro che conoscono la povertà di Cristo e ancor meno sono coloro che l'abbracciano. La fede è come ostruita e non si dilata per la smisurata ambizione dei potenti; in molti cattolici resta spenta e così tutto ciò che deve avere vita rimane morto e si dispone per la perdizione. I consigli del Vangelo cadono nell'oblio, i precetti sono violati, la carità è quasi estinta. Mio Figlio offrì le sue guance alle percosse con mansuetudine, ma chi perdona un'ingiuria per comportarsi come lui? Anzi, il mondo ha emanato una legge per il contrario e non solo gli infedeli l'hanno seguita, ma anche gli stessi credenti.

1267. Poiché conosci questi peccati, desidero che tu, in riparazione di essi, imiti quello che io feci nella passione e in tutto il mio pellegrinaggio: la pratica delle virtù contro i vizi. Per compensare il nostro Salvatore per le bestemmie lo benedicevo, per le imprecazioni lo lodavo, per le infedeltà lo confessavo, e così operavo per tutte le altre offese. Sull'esempio di Pietro, cerca di schivare i pericoli che corrono i discendenti di Adamo, giacché tu non sei più forte dell'Apostolo, e, se qualche volta ti capita per debolezza di cadere, piangi subito con lui e chiedi la mia intercessione. Ripara le tue mancanze e i tuoi errori ordinari con la pazienza nelle avversità; accoglile con volto sereno, senza alcun turbamento, qualsiasi esse siano: infermità, molestie delle creature o anche quelle che avverte lo spirito per la contraddizione delle passioni e per la lotta contro i nemici invisibili e spirituali. Ben puoi patire per tutto questo, e lo devi, tollerandolo con fede, speranza e magnanimità di cuore e di mente, poiché ti avverto che non vi è esercizio più vantaggioso e utile all'anima quanto il soffrire: esso dà luce, disinganna, distoglie dalle cose terrene e conduce al Signore. Ricordati che sua Maestà viene sempre incontro al debole, liberandolo e proteggendolo, perché egli sta dalla parte del tribolato.