[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A A A A A

CAPITOLO 21

 

Il Signore prepara Maria santissima per la fuga in Egitto e l'angelo parla a san Giuseppe, altre avvertenze a questo riguardo.

 

606. Quando Maria santissima ed il gloriosissimo san Giuseppe ritornarono dall'aver presentato nel tempio il loro bambino Gesù, stabilirono di trattenersi in Gerusalemme nove giorni, per andare al tempio nove volte e offrire ogni giorno la sacra ostia del figlio loro affidato, quale rendimento di grazie per lo straordinario favore che avevano ricevuto tra tutte le creature. La divina Signora venerava con speciale devozione il numero nove, in memoria dei nove giorni nei quali fu preparata ed abbellita per l'incarnazione del Verbo, come si disse all'inizio di questa seconda parte nei primi dieci capitoli; ed anche per i nove mesi, nei quali lo portò nel suo grembo verginale. E con questa considerazione desiderava far la novena con il suo Dio bambino, presentandolo altrettante volte all'eterno Padre, come offerta gradita per i sublimi ideali che la gran Signora aveva. Cominciarono la novena, e ogni giorno andavano al tempio prima dell'ora terza, e stavano fino a sera in orazione. Sceglievano, col bambino Gesù, il luogo più basso, da cui potessero degnamente ricevere quel meritato onore che il padrone del convito diede nel Vangelo all'umile invitato, quando gli disse: «Amico, passa più avanti». Tanto meritò la nostra umilissima Regina; ed in tal modo fece con lei l'eterno Padre, alla cui presenza ella elevava il suo spirito. In uno di questi giorni pregò, e disse:

607. «Re altissimo, Signore e creatore dell'universo, sono alla vostra divina presenza come inutile polvere e cenere, che solo la vostra ineffabile bontà ha innalzato alla grazia, che io non conobbi né potei meritare. Mi ritrovo, mio Signore, ad esservi grata, indotta dal torrente impetuoso dei vostri favori. Quale degna ricompensa però potrà offrirvi colei che essendo niente ricevette dalla vostra generosissima mano l'essere e la vita, e anche misericordie e favori senza paragoni? Colei che è creatura limitata, quale contraccambio potrà rendere alla vostra immensa grandezza, quale ossequio alla Maestà vostra, quale regalo alla vostra divinità infinita? La mia anima, il mio essere e le mie facoltà, tutto ricevetti e ricevo dalla vostra mano. Molte volte l'ho sacrificato ed offerto alla vostra gloria. Confesso il mio debito non solo per ciò che mi avete dato, ma molto più per l'amore con il quale me lo avete donato. Fra tutte le creature, inoltre, la vostra bontà infinita mi preservò dalla contaminazione della colpa e mi elesse per dare natura umana al vostro Unigenito, per portarlo nel mio grembo ed al mio petto, pur essendo, come figlia di Adamo, di natura fragile e terrena. Conosco, o altissimo Signore, questa vostra ineffabile bontà e, nel volerne essere riconoscente, viene meno il mio cuore e la mia vita si trasforma in amore del vostro divino amore. Vedo di non avere nulla con cui ripagare tutto quello che la vostra potenza ha manifestato nella vostra serva, ma già il mio cuore si rianima e si rallegra pensando a colui che devo offrire alla vostra grandezza. Egli è una cosa sola con voi nella sostanza, uguale nella maestà, nelle perfezioni e negli attributi; la generazione del vostro intelletto, l'immagine del vostro essere, la pienezza del vostro stesso compiacimento, il vostro unigenito e dilettissimo Figlio. Questo è, o eterno Padre ed altissimo Dio, il dono che vi offro, la vittima che vi presento, sicura che l'accetterete. Avendolo ricevuto Dio, ve lo restituisco Dio ed uomo insieme. Io non ho, Signore, né avranno le creature altra cosa maggiore da dare, né vostra Maestà avrà mai altro dono più prezioso da domandare loro. È così grande che basta come ricompensa di quanto io ho ricevuto. In nome loro e mio lo offro e lo presento alla vostra grandezza. Sono Madre del vostro Unigenito e nel dargli carne umana lo feci fratello dei mortali, di cui egli volle essere redentore e maestro. A me compete essere loro protettrice, prendere la loro causa come mia, e pregare per la loro salvezza. Padre del mio Unigenito, Dio delle misericordie, io ve lo offro con tutto il mio cuore; con lui e per lui chiedo che perdoniate ai peccatori, che spargiate sopra il genere umano le vostre consuete misericordie, e che facciate nuovi prodigi, compiendo ancora le vostre meraviglie. Questi è il leone di Giuda, divenuto ora agnello per togliere i peccati del mondo. Questo è il tesoro della vostra divinità».

608. Queste ed altre simili preghiere la Madre della pietà e misericordia fece nei primi giorni della novena cominciata nel tempio. L'eterno Padre rispose a tutte, accettandole insieme all'offerta del suo Unigenito come sacrificio gradito, e s'innamorò di nuovo della purezza della sua unica ed eletta figlia, contemplandone con compiacimento la santità. Come ricompensa di queste suppliche l'invincibile Signore le concesse grandi e nuovi privilegi, grazie ai quali ella avrebbe ottenuto, per i suoi devoti, tutto quanto avesse domandato, fino alla fine dei tempi. Inoltre, i grandi peccatori, quando si fossero avvalsi della sua intercessione, avrebbero ottenuto il perdono. Infine, nella Chiesa di Cristo suo figlio santissimo, ella sarebbe stata con lui cooperatrice e maestra, specialmente dopo la sua ascensione al cielo, quando cioè sarebbe rimasta in terra come mediatrice della potenza divina, come si dirà nella terza parte di questa Storia. L'Altissimo comunicò a Maria santissima, in queste suppliche, molti altri favori e misteri che non si possono spiegare a parole, né manifestare con i miei termini limitati.

609. Al quinto giorno dopo la presentazione e la purificazione, trovandosi la divina Signora nel tempio con il suo Dio bambino nelle braccia, le si manifestò la Divinità, benché non intuitivamente. Subito fu tutta trasfigurata e ricolmata di Spirito Santo. Ne era già traboccante, tuttavia Dio, infinito nel suo potere e nelle sue ricchezze, non dona mai così tanto che non gli resti più nulla da donare alle semplici creature. In questa visione astrattiva l'Altissimo volle preparare di nuovo la sua unica sposa, predisponendola alle sofferenze che la sovrastavano. Parlandole e confortandola, le disse: «Sposa e colomba mia, le tue intenzioni e i tuoi desideri sono graditi ai miei occhi ed in essi mi diletto sempre. Non puoi però proseguire la novena che hai iniziato, perché voglio che tu soffra in altro modo per amore mio. Per allevare tuo figlio e salvargli la vita uscirai dalla tua casa e, con lui e con il tuo sposo Giuseppe, lascerai la tua patria; vi trasferirete in Egitto, dove dimorerete sino a che io ordinerò diversamente, perché Erode vuole la morte del bambino. Il viaggio è lungo, scomodo e pieno di disagi: soffrili per me, perché io sono e sarò sempre con te».

610. Qualunque altra santità e fede avrebbe potuto ammettere qualche turbamento - come l'hanno sofferto in grande misura gli increduli -, vedendo che un Dio onnipotente fugge da un misero mortale, e che, per aver salva la vita, si mette in disparte e si allontana, come se potesse essere davvero capace di questo timore o non fosse uomo e Dio nel tempo stesso. Tuttavia, la prudentissima ed ubbidiente Madre non replicò né dubitò, e nemmeno si turbò o alterò a questa impensata novità. Ella così rispose: «Signore e padrone mio, la vostra serva è qui con il cuore disposto a morire, se sarà necessario, per amor vostro; disponete di me secondo la vostra volontà. Solo chiedo che la vostra immensa bontà, non considerando la scarsità dei miei meriti e le mie ingratitudini, non permetta che arrivi ad essere contristato il mio Figlio e signore, ma che le sofferenze vengano solo sopra di me, che merito di patirle». Il Signore la affidò a san Giuseppe, affinché ella, in questo viaggio, vi si attenesse in tutto. Con ciò finì la visione, nella quale fu solo elevata nell'anima senza perdere i sensi, dal momento che teneva nelle braccia il bambino Gesù. Da questa, tuttavia, traboccarono nei sensi altri doni spirituali, quasi testimoniando che l'anima stava più dove amava che nel corpo che vivificava.

611. L'amore incomparabile che ella portava al suo santissimo Figlio, riflettendo sulle sofferenze sovrastanti il bambino e che aveva conosciuto nella visione, intenerì alquanto il suo cuore materno e misericordioso. Spargendo molte lacrime, uscì dal tempio per ritirarsi nel suo alloggio, senza manifestare al suo sposo la causa del suo dolore. Egli l'attribuiva alla sola profezia di Simeone, che avevano udito. Siccome, però, il fedelissimo sposo Giuseppe l'amava tanto e di sua natura era gentile e sollecito, si turbò nel vedere che la sua sposa così piangente ed afflitta non gli manifestava la causa di ciò, se una nuova causa vi era. Questo turbamento fu una delle varie ragioni per cui il santo angelo gli parlò in sogno, come accadde in precedenza, circa la gravidanza. In quella medesima notte, mentre san Giuseppe dormiva, gli apparve in sogno lo stesso santo angelo e gli disse come riferisce san Matteo: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». Nel medesimo istante si alzò il santo sposo pieno di sollecitudine e di pena, prevedendo quella della sua amatissima sposa. Avvicinatosi alla stanza in cui ella stava ritirata, le disse: «Signora mia, la volontà dell'Altissimo dispone che siamo rattristati. Il suo santo angelo mi ha parlato e manifestato che Dio vuole e ordina che noi col bambino fuggiamo in Egitto, poiché Erode medita di togliergli la vita. Fatevi animo, Signora, in questa sofferenza, e ditemi che cosa posso fare per vostro conforto, poiché la mia vita è a servizio vostro e del nostro dolce bambino».

612. Rispose la Regina: «Sposo e signor mio, se dalla generosissima mano dell'Altissimo riceviamo tanti beni di grazia, è giusto che con gioia accettiamo le fatiche passeggere. Porteremo con noi il Creatore del cielo e della terra; se egli ci ha messi vicino a sé, quale mano sarà tanto potente da farci del male, sia pure quella del re Erode? Il luogo in cui noi portiamo tutto il nostro bene, il sommo bene, il tesoro del cielo, il nostro Signore, la nostra guida e vera luce, non può essere per noi terra d'esilio; anzi, là è il nostro riposo, la nostra porzione e la nostra patria. Abbiamo tutto con la sua presenza; andiamo dunque a compiere la sua volontà». Maria santissima e san Giuseppe si avvicinarono alla culla del bambino che in quel momento, non a caso, dormiva. La divina Madre lo scoprì, ma egli non si svegliò, aspettando le sue tenere e dolorose parole: «Fuggi, mio diletto, simile a gazzella o ad un cerbiatto sopra i monti degli aromi. Vieni, diletto mio, andiamo nei campi, passiamo 1a notte nei villaggi. Dolce amore mio - aggiunse la tenera madre -, agnello mansuetissimo, il vostro potere non viene limitato da quello che hanno i re della terra; tuttavia, con immensa sapienza volete nasconderlo per amore degli stessi uomini. Chi, tra i mortali, può pensare, mio Bene, di togliervi la vita, visto che il vostro potere annienta il loro? Se voi date la vita a tutti'S, perché vogliono toglierla a voi? Se li cercate per dare loro la vita eterna, perché essi tentano di uccidervi? Chi potrà comprendere gli arcani misteri della vostra provvidenza? Suvvia, Signore e luce dell'anima mia, permettetemi ora di svegliarvi perché, anche se dormite, il vostro cuore veglia».

613. Parole simili a queste disse anche san Giuseppe. Subito la divina Madre, inginocchiatasi, svegliò e prese nelle sue braccia il dolcissimo bambino. Egli, per intenerirla di più e per manifestarsi come vero uomo, pianse un poco. Oh, meraviglie dell'Altissimo in cose tanto piccole per il nostro inadeguato discernimento! Subito, però, si calmò e diede in modo visibile, ad entrambi i genitori, la benedizione che essi gli domandavano. Raccogliendo i loro poveri pannicelli nella cassettina che avevano portato, partirono senza indugio poco dopo mezzanotte, conducendo con sé l'asinello sul quale la regina era venuta da Nazaret. In fretta si diressero verso l'Egitto, come dirò nel capitolo seguente.

614. Per concludere, mi fu concesso di comprendere la concordanza di san Matteo e san Luca sopra questo mistero. Tutti e quattro gli Evangelisti scrissero con l'assistenza e la luce dello Spirito Santo e con questa stessa luce ciascuno conosceva ciò che scrivevano gli altri tre e ciò che tralasciavano di dire. Per volontà divina, dunque, tutti e quattro scrissero in alcune parti dei Vangeli i medesimi episodi ed azioni della vita di Cristo, Signore nostro; in altre, invece, gli uni scrissero ciò che tralasciavano gli altri, come risulta dal Vangelo di san Giovanni e dagli altri tre. San Matteo scrisse l'adorazione dei Magi e la fuga in Egitto, ma quest'ultima non fu scritta da san Luca. Egli narrò la circoncisione, la presentazione e la purificazione, che furono tralasciate da san Matteo. Questi, dopo aver narrato il ritorno dei re Magi, comincia subito a raccontare che l'angelo parlò a san Giuseppe affinché fuggissero in Egitto, senza parlare della presentazione. Da ciò, però, non consegue che non vi fu prima la presentazione del Dio bambino, perché è certo che ciò accadde dopo che i re si furono congedati e prima di partire per l'Egitto, come narra san Luca. Così ancora lo stesso san Luca scrive che dopo la presentazione e purificazione ritornarono a Nazaret. Da ciò, però, non consegue che non fossero andati prima in Egitto, perché senza dubbio vi andarono, come scrive san Matteo.

San Luca non parlò di questa fuga, perché già scritta da san Matteo. Ciò accadde immediatamente dopo la presentazione e prima che Maria santissima e san Giuseppe ritornassero a Nazaret. Non dovendo san Luca scrivere questo viaggio, era necessario, per continuare il filo della sua storia, che dopo la presentazione scrivesse il ritorno a Nazaret. Il fatto di dire che, terminato ciò che comandava la legge ritornarono in Galilea, non fu un negare il viaggio in Egitto, ma continuare la narrazione, tralasciando di raccontare la fuga da Erode. Dal medesimo testo di san Luca si desume che l'andata a Nazaret avvenne dopo che furono tornati dall'Egitto. Infatti, egli dice che il bambino cresceva e si fortificava con sapienza e si riconosceva in lui la grazia. Ciò non poteva avvenire prima che fossero giunti gli anni dell'infanzia, quando nei bambini si scopre il principio dell'uso di ragione e cioè dopo il ritorno dall'Egitto.

615. Ho anche compreso quanto sia stolto lo scandalo degli increduli, i quali iniziano ad urtare in questa pietra angolare, Cristo nostro bene, dalla sua fanciullezza, vedendolo fuggire in Egitto per difendersi da Erode, come se in questo vi fosse una mancanza di potere e non già un mistero finalizzato a scopi ben più alti di quello di difendere semplicemente la sua vita dalla crudeltà di un uomo peccatore. Per rasserenare un cuore ben disposto, bastava quello che dice il medesimo Evangelista, secondo il quale si doveva avverare la profezia di Osea, che, in nome del Padre eterno, dice: Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio. I fini che egli ebbe nell'inviarlo in quel luogo e nel richiamarlo, sono molto misteriosi; di essi parlerò più avanti. Se anche tutte le opere del Verbo non fossero state tanto ammirabili e piene di grazie, nessuno, che abbia buon senso, può biasimare o ignorare l'amabile provvidenza con la quale Dio governa le cause seconde, lasciando operare la volontà umana secondo la sua libertà. Per questa ragione e non per mancanza di potere, permette nel mondo tante ingiurie contro di lui e offese di idolatrie, eresie e di altri peccati, che non sono minori di quello di Erode. Infatti permise quello di Giuda e di coloro che in concreto maltrattarono e crocifissero il Signore Gesù. È chiaro che avrebbe potuto impedire tutto questo, ma non lo fece. Ciò non solamente per operare la redenzione, ma anche perché conseguì per gli uomini di potere agire per mezzo della loro libera volontà, dando ad essi la grazia e gli aiuti che convenivano alla sua divina provvidenza, affinché operassero il bene, se gli uomini avessero voluto usare della loro libertà per il bene, come l'adoperano per il male.

616. Con questa stessa dolcezza della sua provvidenza, egli dona tempo ed aspetta la conversione dei peccatori, come fece con Erode. Se usasse del suo potere assoluto e facesse grandi miracoli per fermare gli effetti delle cause seconde, si sovvertirebbe l'ordine della natura e, in un certo modo, egli sarebbe contrario, come autore della grazia, a se stesso come autore della natura. Perciò Dio riservò i miracoli a momenti particolari, in cui volle manifestare la sua onnipotenza e farsi conoscere come creatore di tutto, senza dipendere dalle medesime cose da lui create e mantenute in vita. Né deve destare sorpresa il fatto che abbia permesso, per mano di Erode, la morte di bambini innocenti. Non era conveniente difenderli con miracoli, poiché quella morte procurò loro la vita eterna con abbondante premio. E questa, senza confronto, vale più della temporale, che si deve posporre e perdere per acquistarla. Se quei bambini fossero vissuti e morti di morte naturale, forse non sarebbero stati tutti salvi. Le opere del Signore sono in tutto giuste e sante, benché noi non riusciamo subito a conoscere le ragioni della sua giustizia, anche se in lui le conosceremo quando lo vedremo faccia a faccia.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

 

617. Figlia mia, tra le cose che per il tuo insegnamento devi considerare in questo capitolo, la prima sia l'umile riconoscenza dei benefici che ricevi, perché tra le generazioni sei tanto distinta ed arricchita con quello che mio Figlio ed io facciamo verso di te, senza che lo meriti. Io ripetevo molte volte il versetto di Davide: Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Con questo sentimento di gratitudine, mi umiliavo sino alla polvere, stimandomi inutile tra le creature. Ora se tu sai che io facevo ciò, essendo vera Madre di Dio, considera bene quale sia il tuo obbligo, mentre con tanta verità ti devi confessare indegna e immeritevole di quello che ricevi e povera per contraccambiarlo e ripagarlo! Devi supplire a questa inadeguatezza della tua miseria e fragilità, offrendo all'eterno Padre l'ostia viva del suo Unigenito fatto uomo, specialmente quando lo ricevi nell'Eucarestia e lo tieni nel tuo petto. Imiterai Davide, il quale, dopo la domanda che faceva a se stesso su cosa avrebbe dato al Signore per tutti i benefici che gli aveva concesso, rispondeva: «Alzerò i1 calice della salvezza e invocherò il nome del Signore». Devi attendere alla tua salvezza, attuando ciò che conduce ad essa; ricambiare, comportandoti in modo perfetto; invocare il nome del Signore, e offrirgli il suo Unigenito. Egli è colui che fece prodigi e realizzò la salvezza, e che solo può essere contraccambio adeguato di quanto riceveste dalla sua mano onnipotente, sia tu singolarmente sia tutto il genere umano. lo gli diedi natura umana, affinché vivesse fra gli uomini e appartenesse a ciascuno di essi. Egli si pose sotto le specie del pane e del vino per appartenere maggiormente a ciascuno, e perché ognuno ne gioisse e lo offrisse al Padre come sua proprietà. Le anime suppliscono con questa offerta a ciò che senza di essa non potrebbero dare all'Altissimo. Egli ne resta appagato poiché non può desiderare né chiedere agli uomini cosa più gradita.

618. Un'altra offerta da lui molto apprezzata è quella che gli fanno gli uomini abbracciando e sopportando con il medesimo animo e con pazienza le sofferenze e le avversità della vita terrena. Il mio santissimo Figlio ed io fummo eminenti maestri di questa dottrina. E sua Maestà incominciò ad insegnarla dall'istante in cui lo concepii nel mio grembo. Subito iniziammo a peregrinare: già dalla sua nascita soffrimmo la persecuzione nell'esilio a cui ci obbligò Erode ed il patire continuò fino a quando morì sulla croce. Io fui tormentata fino alla fine della mia vita, come tu potrai conoscere e scrivere. Poiché soffrimmo tanto per le creature e per la loro salvezza, desidero che tu, come sua sposa e mia figlia, ci sia simile e ci imiti, soffrendo con cuore grande e faticando per guadagnare al tuo Signore e padrone la salvezza, tanto preziosa ai suoi occhi, delle anime che egli riscattò con la sua vita ed il suo sangue. Non devi mai allontanare alcuna pena, difficoltà, amarezza o sofferenza, se per mezzo di qualcuna di queste puoi guadagnare qualche anima a Dio o aiutarla ad uscire dal peccato e a migliorare la sua vita. Non ti abbatta l'essere così inutile e povera, né il fatto che il tuo sofferto desiderio possa avere poca riuscita, poiché non sai come lo accetterà l'Altissimo e quanto ne rimarrà soddisfatto. Se non fosse per altro, tu devi faticare assiduamente, e non mangiare il pane oziosa nella sua casa.