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CAPITOLO 19

 

Da Betlemme, Maria santissima e Giuseppe si recano con il bambino Gesù a Gerusalemme per presentarlo nel tempio, e adempire la legge.

 

585. Stavano già per compiersi i quaranta giorni, nei quali, secondo la prescrizione della legge, la donna che avesse partorito un figlio maschio era giudicata immonda; e questa rimaneva nella purificazione del parto fino a che in seguito non andava al tempio. La Madre della purezza, per adempire questa legge insieme con l'altra dell'Esodo, in cui Dio ordinava che gli santificassero ed offrissero tutti i primogeniti', decise di passare a Gerusalemme, dove si doveva presentare nel tempio con l'Unigenito dell'eterno Padre e suo e purificare come le altre madri. Nell'adempimento di questi due precetti, per quanto le riguardava, non ebbe dubbio né difficoltà alcuna ad ubbidire come le altre madri, non perché ignorasse la propria innocenza e purezza, giacché fin dall'incarnazione del Verbo la conosceva, e sapeva che non aveva contratto il comune peccato originale. Neppure ignorava che aveva concepito per opera dello Spirito Santo, partorendo senza dolore, e restando sempre vergine e più pura del sole. Tuttavia nella sua prudenza non esitava ad assoggettarsi alla legge comune, e vi veniva stimolata anche dall'ardente affetto, che sempre nutriva nel cuore, di umiliarsi, e immedesimarsi con la polvere.

586. In ordine però alla presentazione che riguardava il suo Figlio santissimo, poté avere qualche difficoltà, come successe nel caso della circoncisione, perché lo conosceva per vero Dio, superiore alle leggi che egli medesimo aveva imposto. Fu tuttavia informata della volontà del Signore con luce divina, e dagli stessi atti dell'anima santissima del Verbo incarnato, perché in essa vide i desideri che aveva di sacrificarsi, insieme con l'offrirsi ostia viva all'eterno Padre, in riconoscenza per aver creato la sua anima santissima, e per aver formato il suo corpo purissimo, destinandolo come sacrificio gradito per il genere umano e per la salvezza dei mortali. Sebbene l'umanità santissima del Verbo ebbe sempre questi atti, non solo come comprensore conformandosi alla divina volontà, ma anche come viatore e redentore, egli bramò, secondo la legge, di fare questa offerta a suo Padre nel suo santo tempio, dove tutti lo adoravano e magnificavano come nel luogo adibito all'adorazione, all'espiazione e ai sacrifici.

587. La grande Signora parlò quindi del viaggio con il suo sposo. Avendo disposto di giungere a Gerusalemme nel giorno stabilito dalla legge, prepararono il necessario, e presero congedo dalla pia donna, loro albergatrice. Dopo averla lasciata piena di benedizioni del cielo, i frutti delle quali ella raccolse copiosamente, anche se ignara del mistero dei suoi ospiti divini, decisero subito di visitare la grotta della natività, per iniziare di là il loro viaggio con l'ultima venerazione di quell'umile sacrario, ricco però di felicità, benché per allora non conosciuto. La santissima Madre consegnò a san Giuseppe il bambino Gesù per prostrarsi a terra, ed adorare il suolo, testimone di misteri tanto venerabili. Dopo aver fatto ciò con devozione e tenerezza incomparabile, si rivolse al suo sposo, e gli disse: «Signore, datemi la benedizione per eseguire con essa questo viaggio, come me la date ogni volta che esco dalla vostra casa. Inoltre vi supplico di darmi licenza di camminare scalza, dovendo portare nelle mie braccia la vittima, che si deve offrire all'eterno Padre. Quest'opera è misteriosa, e desidero farla con le condizioni e con la magnificenza che richiede, per quanto mi sarà possibile». La nostra Regina usava una specie di scarpe che le coprivano i piedi, e le servivano quasi come calze. Erano fatte con un'erba usata dai poveri, come canapa o malva, curata e tessuta grossolanamente e fortemente; anche se povere, erano pulite e dignitose.

588. San Giuseppe le rispose di alzarsi, perché stava genuflessa, e le disse: «L'altissimo Figlio dell'eterno Padre, che tengo nelle mie braccia, vi dia la sua benedizione. Vi sia anche accordato di portarlo nelle vostre, strada facendo. Però non dovete andare scalza, perché il tempo non lo permette; e il vostro desiderio non mancherà di essere gradito al Signore, che ve lo ha dato». San Giuseppe usava di quest'autorità di capo nel comandare a Maria santissima, benché con grande rispetto, per non defraudarla di quel compiacimento che la gran Regina sentiva nell'umiliarsi ed ubbidire. Siccome anche il santo sposo ubbidiva a lei, e si mortificava ed umiliava nel comandarle, venivano ad essere entrambi ubbidienti ed umili reciprocamente. Quanto al negarle di andare scalza a Gerusalemme, san Giuseppe lo fece per timore che il freddo nuocesse alla sua salute. Tale timore nasceva in lui dal non sapere dell'ammirabile struttura del corpo verginale e perfettissimo di lei, né di altri privilegi dei quali la divina destra l'aveva dotata. L'ubbidiente Regina non replicò più al santo sposo, e diede ascolto al suo ordine di non andare scalza. Per ricevere dalle sue mani il bambino Gesù, si prostrò a terra e lo ringraziò, adorandolo per i benefici, che in quella sacra grotta aveva operato insieme con lei per tutto il genere umano. Pregò inoltre sua Maestà, affinché conservasse quel sacrario con riverenza, e tra cattolici, e perché fosse sempre da loro stimato e venerato; infine lo affidò e raccomandò di nuovo al santo angelo destinato a custodirlo. Si coprì poi con un manto per il cammino e, ricevendo nelle sue braccia il tesoro del cielo, dopo averlo portato al suo petto verginale, lo avvolse con grande diligenza nei panni per difenderlo dal rigore dell'inverno.

589. Uscirono dalla grotta chiedendo entrambi la benedizione al bambino Dio, e sua Maestà la diede loro visibilmente. San Giuseppe accomodò sull'asinello la cassettina delle fasce del bambino, e con esse i doni dei re, che avevano riservato per offrirli al tempio. Con ciò si ordinò da Betlemme a Gerusalemme la processione più solenne che mai si sia vista nel tempio. In compagnia del principe dell'eternità Gesù, della regina sua Madre e di Giuseppe suo sposo, partirono dalla grotta della natività i diecimila angeli che avevano prestato la loro assistenza nel corso di questi misteri, e gli altri che discesero dal cielo col santo e dolce nome di Gesù al momento della circoncisione. Tutti questi servitori celesti apparivano in forma umana visibile così belli e risplendenti che, in confronto della loro bellezza, tutto ciò che nel mondo è prezioso e dà diletto era meno del fango e dell'immondezza a paragone dell'oro finissimo, e oscuravano il sole quando splendeva allo zenit, mentre, all'imbrunire, trasformavano le notti in giorni chiarissimi. Della loro vista godevano la divina Regina ed il suo sposo Giuseppe. Celebrarono tutti il mistero con nuovi ed altissimi cantici di lode al bambino divino, che andavano a presentare al tempio. Camminarono così per due leghe, tante quante vi sono da Betlemme a Gerusalemme.

590. In tale occasione, non senza disposizione divina, il tempo era così inclemente per il freddo ed il gelo che, non perdonando al suo Creatore, tenero bambino, lo affliggeva al punto di farlo tremare e piangere, come vero uomo, nelle braccia della sua amorosa Madre, lasciando che il cuore di lei fosse ferito di compassione e di amore, più di quanto il corpo di lui fosse molestato dalla sua inclemenza. La potente Imperatrice si rivolse ai venti ed agli elementi e, come loro signora, tutti li riprese con divina indignazione, perché offendevano il loro stesso Fattore, e con il suo potere comandò loro di moderare il rigore verso il bambino Gesù, ma non verso di lei. Gli elementi ubbidirono al comando della loro legittima e vera Signora, e l'aria fredda si cambiò per il bambino in un soave e temperato vento leggero. Al contrario, quanto alla Madre, non corresse la smisurata sua rigidezza, e così era lei a risentirne, e non il suo dolce bambino, come ho detto in altre occasioni. Si rivolse anche contro il peccato colei che non lo aveva contratto, e disse: «O colpa sregolata ed in tutto inumana! Per il tuo rimedio è necessario che il medesimo Creatore d'ogni cosa sia afflitto dalle creature, alle quali diede l'essere. Mostro terribile ed orrendo, offensivo nei confronti di Dio e distruttore delle creature, tu le rendi abominevoli ai suoi occhi, e le privi della maggior felicità, che è l'essere amiche di Dio. O figli degli uomini, sino a quando sarete tardi di cuore, ed amerete la vanità e la menzogna? Non siate tanto ingrati verso il vostro Dio altissimo e crudeli contro voi stessi, e aprite gli occhi per vedere il pericolo che incombe su di voi! Non disprezzate i precetti del vostro Padre celeste, e non dimenticate l'insegnamento della vostra Madre, che vi generò per mezzo della carità, poiché l'Unigenito del Padre, prendendo carne umana nelle mie viscere, mi ha fatta Madre di tutta l'umanità. Io come tale vi amo, e se mi fosse possibile, e così volesse l'Altissimo, patire tutte le pene che vi sono state dal tempo di Adamo sino ad ora, le accetterei volentieri per la vostra salvezza».

591. Nel tempo in cui la nostra Signora celeste si trovava in viaggio col bambino Gesù, accadde in Gerusalemme che Simeone, sommo sacerdote, fosse illuminato dallo Spirito Santo, che gli fece conoscere che il Verbo incarnato stava per essere presentato al tempio, nelle braccia della sua Madre. La santa vedova Anna ebbe la stessa rivelazione, insieme a quella della povertà e dell'affanno con cui essi venivano accompagnati da Giuseppe, sposo della purissima Signora. Conferendo subito i due santi su questa rivelazione ed ispirazione, chiamarono l'inserviente del tempio, che aveva la cura dei beni in dotazione e, dandogli indicazioni dei viandanti che venivano, gli comandarono di uscire alla porta della strada di Betlemme, e di riceverli nella sua casa con ogni carità e benevolenza. Così fece l'inserviente, e in tal modo la gran Regina ed il suo sposo ebbero grande consolazione per la sollecitudine che avevano di trovare un alloggio, che fosse decente per il loro bambino divino. Lasciatili nella sua casa, il fortunato albergatore ritornò a dar conto dell'avvenuto al sommo sacerdote.

592. In quella sera, prima di ritirarsi a riposare, Maria santissima e Giuseppe trattarono di ciò che dovevano fare. La prudentissima Signora lo avverti di portare al tempio, quella stessa sera, i doni dei re, per offrirli in silenzio e senza strepito, come appunto si devono fare le elemosine e le offerte. Gli raccomandò anche di portare, al ritorno, le tortorelle che, il giorno seguente, avrebbero dovuto offrire pubblicamente col bambino Gesù, e san Giuseppe eseguì ogni cosa. Come forestiero e poco conosciuto, diede la mirra, l'incenso e l'oro a colui che riceveva i doni nel tempio, senza dargli modo di intendere chi avesse offerto un'elemosina così grande. Quantunque avesse potuto con essa comprare l'agnello, che i più ricchi offrivano con i loro primogeniti, non fece così, perché sarebbe stata una cosa sproporzionata all'umile e povera condizione della madre, del bambino e dello sposo, offrire in pubblico doni così ricchi. Non era inoltre conveniente derogare in cosa alcuna alla loro umiltà e povertà, anche se per un fine pio ed onesto, perché la Madre della Sapienza fu in tutto modello di perfezione, ed il suo Figlio santissimo lo fu della povertà, nella quale nacque, visse, e morì.

593. Simeone era, come dice san Luca, giusto e timorato, ed attendeva la redenzione d'Israele. Lo Spirito Santo, che era su di lui, gli aveva rivelato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dallo Spirito, venne al tempio, perché in quella notte, oltre a ciò che aveva inteso, fu nuovamente illuminato dalla luce divina, ed in essa conobbe con maggior chiarezza tutti i misteri dell'incarnazione e della redenzione. Comprese anche che in Maria santissima si erano adempite le profezie d'Isaia, che una vergine avrebbe concepito e partorito un figlio, e che dal tronco di lesse sarebbe spuntato un virgulto, cioè Cristo, e tutto il rimanente di queste e di altre profezie. Ebbe luce molto chiara dell'unione delle due nature nella Persona del Verbo, e dei misteri della passione e morte del Redentore. Con l'intelligenza di cose tanto sublimi, il santo Simeone rimase elevato e tutto infervorato, con il desiderio di vedere il Salvatore del mondo. Siccome aveva già notizia che egli veniva a presentarsi al Padre, si portò al tempio nel giorno seguente, mosso dallo Spirito, cioè in forza di questa luce divina. Ivi successe ciò che dirò nel capitolo seguente. Anche la santa donna Anna ebbe rivelazione, nella medesima notte, di molti di questi misteri, e grande fu il gaudio del suo spirito, perché ella era stata maestra della nostra Regina, quando questa aveva dimorato nel tempio. L'Evangelista dice che non si allontanava da esso, servendo di giorno e di notte con digiuni ed orazioni. Profetessa, figlia di Fanuele della tribù di Aser, era vissuta sette anni con suo marito, e aveva già ottantaquattro anni. Come in seguito vedremo, parlò profeticamente del bambino Gesù.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

594. Figlia mia, una delle miserie, che rendono infelici o poco felici le anime, è il contentarsi di fare le opere di virtù con negligenza e senza fervore, come se operassero cosa di poca importanza o casuale. Per questa ignoranza e viltà di cuore poche arrivano alla relazione e all'amicizia intima col Signore, la quale solo si consegue con l'amore fervente. Esso si chiama fervente o fervoroso, perché, come l'acqua bolle col fuoco, così questo amore, con la violenza soave del divino incendio dello Spirito Santo, solleva l'anima sopra di sé, sopra ogni cosa creata, e sopra le sue stesse opere. Perciò essa, amando, si accende di più, e dal medesimo amore le nasce un insaziabile affetto, col quale non solo disprezza e dimentica tutto ciò che è terreno, ma persino quanto vi è di buono non la soddisfa né sazia. Come il cuore umano, quando non consegue quello che molto ama, se ad esso è possibile conseguirlo, s'infiamma di più nel desiderio di ottenerlo con nuovi mezzi, così, se l'anima ha fervente carità, sempre per via di questa stessa si ritrova a desiderare di operare per l'amato; e quanto mai essa opera le pare poco, per cui cerca di progredire, e passa dalla volontà buona alla perfetta, e da questa a quella del maggior beneplacito del Signore, sino a giungere alla perfettissima ed intima unione e trasformazione nel medesimo Dio.

595. Da ciò intenderai, o carissima, la ragione per cui desideravo andare scalza al tempio per presentarvi il mio Figlio santissimo, e adempire parimenti la legge della purificazione, perché alle mie opere davo tutta la pienezza della perfezione possibile, con la forza dell'amore, che sempre ricercava da me ciò che era più perfetto e gradito al Signore. Ciò che mi trasportava a farlo era questa fervorosa bramosia di operare tutte le virtù al colmo della perfezione. Impegnati ad imitarmi con tutta la diligenza che conosci in me, perché ti avverto, amica mia, che questa sorta di amore e di operare è quella che l'Altissimo sta desiderando ed aspettando come dietro i cancelli, secondo quanto disse la sposa, ed osserva come questa opera tutte le cose così da vicino che solo un cancello si frappone, perché essa goda della sua vista. Perciò egli, vinto ed innamorato, se ne va dietro le anime che così lo amano e lo servono in tutte le loro opere, mentre al contrario si allontana dalle tiepide e negligenti, o le assiste solamente con una provvidenza comune e generale. Tu aspira sempre al grado più perfetto e puro delle virtù, ed in esse studia ed inventa sempre nuovi modi ed obblighi di amore, in maniera che le tue forze, le tue facoltà ed i tuoi sensi siano sempre intenti ed occupati in ciò che è più sublime ed eccellente per il compiacimento del Signore. Infine, comunica e sottoponi tutti questi desideri all'ubbidienza ed al consiglio del tuo maestro e padre spirituale, per eseguire ciò che egli ti comanderà, perché questa è la prima cosa, e la più sicura.