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CAPITOLO 12

 

Quello che venne nascosto al demonio nel mistero della nascita del nostro Salvatore, e ciò che avvenne sino alla circoncisione.

 

500. Per tutti i mortali fu una grande fortuna e felicità la venuta nel mondo del Verbo eterno fatto uomo, mandato da Dio Padre, perché egli venne per dar vita e luce a tutti noi che vivevamo nelle tenebre e nell'ombra della morte. Se i reprobi e gli increduli inciamparono e inciampano in questa pietra angolare, cercando la loro rovina dove potevano e dovevano trovare la risurrezione alla vita eterna, ciò non fu colpa di questa pietra, ma di chi la rese pietra di scandalo inciampando in essa. Solo per l'inferno fu terribile la nascita del bambino Gesù, l'invincibile che con potenza veniva a spogliare del suo tirannico impero colui che, facendosi forte della menzogna, custodiva il suo castello con indisturbato, ma ingiusto possesso da così lungo tempo. Per detronizzare il principe del mondo e delle tenebre, fu giusto che gli venisse nascosto il mistero di questa venuta del Verbo, poiché non solo era indegno per la sua malizia di conoscere i misteri della Sapienza infinita, ma anche conveniva che la divina provvidenza facesse in modo che l'astuzia perversa di questo nemico lo accecasse e ottenebrasse, perché egli con essa aveva introdotto nel mondo l'inganno e la cecità della colpa, rovesciando tutto il genere umano di Adamo nella sua caduta.

501. Per questa disposizione divina vennero nascoste a Lucifero ed ai suoi ministri molte cose che naturalmente avrebbero potuto conoscere alla nascita di Gesù e nel corso della sua vita santissima. Infatti, se avesse conosciuto con certezza che Cristo era vero Dio, è chiaro che non gli avrebbe procurato la morte, anzi l'avrebbe impedita, come dirò a suo tempo. Del mistero della nascita, egli conobbe solo che Maria santissima, non avendo trovato alloggio da nessuna parte, aveva partorito un figlio in povertà e in una grotta abbandonata. Dopo ebbe conoscenza della circoncisione di Gesù e di altre cose, che, considerata la sua superbia, potevano più oscurargli la verità che rivelargliela. Non seppe però in che modo avvenne la nascita, né che la felice Madre restò vergine dopo il parto così come lo era prima. Ignorò gli annunci degli angeli ai giusti ed ai pastori, i loro discorsi, ed anche l'adorazione che prestarono al divino bambino. Non vide neanche la stella, né comprese la causa della venuta dei Magi e, anche se li vide mentre erano in viaggio, giudicò che ciò fosse per altri fini temporali. Nemmeno i demoni conobbero la causa del mutamento avvenuto negli elementi, negli astri e nei pianeti, anche se videro i cambiamenti che subirono. Nonostante ciò, il fine rimase loro nascosto, come anche il colloquio che i Magi ebbero con Erode, il loro ingresso nella capanna, l'adorazione che resero al bambino Gesù e i doni che offrirono. Sebbene conobbero il furore di Erode, che ancor più cercarono di aizzare, contro i bambini, non compresero allora il suo depravato intento, e perciò fomentarono la sua crudeltà. Anche se Lucifero immaginò che egli intendesse prendere di mira il Messia, ciò gli parve comunque una pazzia e si burlava di Erode, perché nel suo superbo giudizio era follia pensare che il Verbo venuto ad assoggettare il mondo, avesse fatto ciò in modo nascosto ed umile; anzi, supponeva che dovesse eseguire ciò con grandiosa potenza e maestà, dalla quale invece era lontano il divino bambino, nato da madre povera e disprezzata dagli uomini.

502. Trovandosi Lucifero in tale inganno, e avendo saputo alcune notizie riguardanti la nascita di Gesù, riunì i suoi ministri nell'inferno, e disse loro: «Non trovo ci sia da temere per ciò che abbiamo visto nel mondo, perché la donna che abbiamo tanto perseguitato ha sì partorito un figlio, ma questi è nato in condizioni di estrema povertà ed è così sconosciuto, che non hanno trovato alloggio nell'albergo. Noi ben conosciamo quanto sia distante dal potere che ha Dio e dalla sua grandezza. Se deve venire contro di noi, come ci è stato mostrato ed abbiamo compreso, non sono forze, quelle che costui ha, tali da resistere alla nostra potenza. Non vi è dunque da temere che questi sia il Messia, tanto più che vedo che lo si dovrà circoncidere come gli altri uomini, cosa che non spetta a colui che deve essere il Salvatore del mondo, mentre questi ha bisogno del rimedio per la colpa. Tutti questi segni sono contrari all'intento di una venuta di Dio nel mondo, per cui mi pare che possiamo essere sicuri che egli non è ancora venuto». I ministri del male approvarono tale giudizio del loro capo dannato, e restarono persuasi che non fosse venuto il Messia, perché tutti erano complici nella loro malizia che offuscava le loro menti. Non entrava nella vanità e superbia implacabile di Lucifero l'idea che la maestà e grandezza divina potesse umiliarsi. Dato che egli ambiva l'applauso, l'ostentazione, la venerazione e la magnificenza e che, se avesse potuto ottenere che tutte le creature lo adorassero le avrebbe obbligate a farlo, non entrava nel suo modo di ragionare il pensiero che Dio, avendo il potere di costringerle a ciò, permettesse che avvenisse l'opposto, e si assoggettasse all'umiltà che egli, satana, tanto aborriva.

503. O figli della vanità, che esempi sono questi per il nostro disinganno! Molto ci deve attirare e spronare l'umiltà di Cristo nostro bene e maestro. Se però questa non ci muove, almeno ci trattenga ed impaurisca la superbia di Lucifero. O vizio e peccato formidabile sopra ogni ponderazione umana, che accecasti in tal maniera un angelo pieno di scienza, che perfino della stessa bontà infinita di Dio non poté formarsi altro giudizio, se non quello che fece di se stesso e della sua propria malizia! Or dunque, come ragionerà l'uomo che per se stesso è ignorante, se gli si aggiungono la superbia e la colpa? O infelice e stoltissimo Lucifero! Come potesti ingannarti in una cosa tanto piena di ragione e di bellezza? Che cosa vi è di più amabile dell'umiltà e della mansuetudine unita alla maestà ed al potere? Come ignori, o vile creatura, che il non sapersi umiliare è debolezza di giudizio, e nasce da un cuore meschino? Colui che è magnanimo e veramente grande non si appaga della vanità, né sa desiderare ciò che è vile, né lo può soddisfare ciò che è apparente e fallace. È evidente che sei tenebroso e cieco di fronte alla verità e guida oscurissima dei ciechi", poiché non giungesti a conoscere che la grandezza e la bontà dell'amore divino' si manifestava ed esaltava con l'umiltà e con l'ubbidienza, sino alla morte di croce.

504. La Madre della sapienza e signora nostra osservava tutti gli abbagli e la pazzia di Lucifero nonché dei suoi ministri, e con degna ponderazione di misteri così profondi magnificava e benediceva il Signore, perché li nascondeva ai superbi e agli arroganti, e li rivelava agli umili e ai poveri, cominciando a vincere la tirannia del demonio. La pietosa Madre faceva fervorose orazioni per tutti i mortali, che per le loro colpe erano indegni di conoscere subito la luce, che era apparsa nel mondo per la loro salvezza, e presentava tutto al suo Figlio santissimo con incomparabile amore e compassione verso i peccatori. Ella trascorse in tali opere la maggior parte del tempo in cui dimorò nella grotta di Betlemme. Poiché quel luogo era scomodo e tanto esposto alle inclemenze del tempo, la grande Signora stava ancora più attenta a riparare il suo tenero e dolce bambino e, previdentissima, aveva portato con sé una mantellina, oltre alle fasce ordinarie, e con essa lo ricopriva, tenendolo continuamente sotto la sacra protezione delle sue braccia, tranne quando lo porgeva al suo sposo Giuseppe. Per renderlo più felice, volle infatti che anch'egli la aiutasse in ciò, servendo il loro Dio fatto uomo nel ruolo di padre.

505. La prima volta che il santo sposo ricevette il bambino divino nelle braccia, Maria santissima gli disse: «Sposo e rifugio mio, ricevete nelle vostre braccia il Creatore del cielo e della terra, e godete della sua amabile compagnia e dolcezza, affinché il mio Signore e Dio trovi nella vostra deferenza le sue compiacenze e delizie. Prendete il tesoro dell'eterno Padre, e partecipate del beneficio del genere umano». Parlando poi interiormente col divino bambino, gli disse: «Amore dolcissimo dell'anima mia, luce dei miei occhi, riposate nelle braccia del vostro servo ed amico Giuseppe mio sposo: scambiate con lui le vostre delizie, e per esse perdonate le mie indelicatezze. Sento vivamente la vostra mancanza anche per un solo istante, ma a chi ne è degno, desidero comunicare senza invidia il bene che con cuore sincero ricevo». Il fedelissimo sposo, riconoscendo la sua nuova fortuna, si umiliò sino a terra, e rispose: «Signora e regina del mondo, sposa mia, come io, indegno, avrò l'ardire di tenere nelle mie braccia quello stesso Dio, alla cui presenza tremano le colonne del cielo? Come questo vile verme avrà animo di accettare un favore tanto raro? Io sono polvere e cenere, ma voi, o Signora, supplite alla mia scarsezza, e chiedete all'Altezza sua che mi guardi con clemenza, e mi assista con la sua grazia».

506. Il santo sposo, fra il desiderio di ricevere il bambino Gesù ed il timore reverenziale che lo tratteneva, fece atti eroici di amore, fede, umiltà e profonda venerazione. Poi, con questo animo e con un prudentissimo tremore, s'inginocchiò e lo ricevette dalle mani della sua Madre santissima, spargendo dolcissime e copiose lacrime di gioia, tanto nuova per il fortunato santo, quanto nuovo era il favore. Il bambinello lo guardò affettuosamente e, nello stesso tempo, lo rinnovò tutto interiormente con effetti così divini che non è possibile esprimerli a parole. Il santo sposo formò nuovi cantici di lode, vedendosi arricchito con così magnifici favori e benefici. Avendo dunque il suo spirito goduto per qualche tempo degli effetti dolcissimi che provò tenendo nelle sue braccia quel medesimo Signore che nelle sue racchiude i cieli e la terra, lo restituì alla felice e fortunata madre, mentre entrambi, Maria e Giuseppe, stavano in ginocchio per darlo e per riceverlo. Con grande riverenza la prudentissima Signora lo prendeva sempre tra le braccia e lo porgeva al suo sposo, e altrettanto egli faceva, quando toccava a lui questa felice sorte. Prima di avvicinarsi a sua Maestà, la gran Regina e san Giuseppe facevano tre genuflessioni, baciando la terra con atti eroici di umiltà, culto e venerazione, ogni volta che lo ricevevano l'uno dalle braccia dell'altra.

507. Quando la divina Madre giudicò che fosse giunto il tempo di dargli il latte, con umile riverenza ne domandò il permesso al suo stesso Figlio, e ciò perché, anche se lo doveva alimentare come figlio e vero uomo, guardava a lui sia come vero Dio sia come Signore, e conosceva la distanza tra l'essere divino infinito del Figlio e il suo di semplice creatura. Poiché tale conoscenza nella prudentissima Vergine era indefettibile e continua, non avvenne mai che incorresse neppure in una minima inavvertenza. Era sempre attenta in tutto, e comprendeva ed operava con pienezza ciò che era in sommo grado sublime e perfetto. Era diligente nell'alimentare, servire e custodire il suo bambino non con affannosa sollecitudine, ma con incessante attenzione, riverenza e prudenza, al punto di suscitare nuova ammirazione negli stessi angeli, la cui conoscenza non giungeva a comprendere le opere eroiche di una così giovane donna. Come le offrirono sempre la loro assistenza in tutto il tempo in cui dimorò nella grotta della natività, così la servivano ed aiutavano in tutte le cose, che erano necessarie per onorare il bambino Gesù e la sua stessa Madre. Tutti quanti questi misteri sono così dolci ed ammirabili e talmente degni della nostra attenzione e del nostro ricordo, che non possiamo negare che la nostra stoltezza di dimenticarceli sia molto riprovevole, e che noi siamo nemici di noi stessi quando ci priviamo del loro ricordo, nonché degli effetti divini che da esso ricevono i figli fedeli e riconoscenti.

508. Tale è l'intelligenza che mi fu data della grande venerazione con cui Maria santissima e il glorioso san Giuseppe trattavano il divino bambino, e della riverenza dei cori angelici, che potrei prolungare molto questo discorso. Ma anche se così non faccio, voglio almeno confessare che, in mezzo a questa luce, mi ritrovo assai turbata e rimproverata, conoscendo la poca venerazione con la quale audacemente ho finora trattato con Dio, e le molte colpe, che quanto a questo ho commesso, mi sono state palesate. Tutti i santi angeli, che accompagnavano la Regina per assisterla in queste opere, rimasero in forma umana visibile dalla nascita di Gesù sino a quando la santa famiglia fuggì in Egitto, come poi dirò. La cura dell'umile ed amorosa Madre verso il suo bambino divino era così incessante, che soltanto quando doveva prendere qualche sostentamento lo passava dalle sue braccia alcune volte in quelle di san Giuseppe ed altre in quelle dei santi principi Michele e Gabriele, perché questi due arcangeli l'avevano pregata che, mentre essi mangiavano o san Giuseppe lavorava, lo consegnasse loro. Così, deponendolo nelle mani degli angeli, si adempiva mirabilmente ciò che disse Davide: «Sulle loro mani ti porteranno». La diligentissima Madre non dormiva, per custodire il suo figlio santissimo, sino a che era egli stesso a dirle di dormire e riposare, ed egli, in premio della sua vigilanza, le concesse un genere di sonno nuovo e più miracoloso di quello che ella sino allora aveva avuto. Pertanto, se in passato nel tempo in cui dormiva il suo cuore vegliava, senza che cessassero le rivelazioni interiori e la contemplazione divina, da questo giorno in poi il Signore aggiunse a questo un altro miracolo. La grande Signora infatti, dormendo quanto le era necessario, conservava un tale vigore nelle braccia da sostenere il bambino come se fosse stata nella veglia, e lo guardava con l'intelletto, come se lo avesse guardato con gli occhi del corpo, conoscendo così intellettualmente tutto quello che ella ed il bambino esteriormente facevano. Con questa meraviglia si compì ciò che si legge nel Cantico: Io dormo, ma il mio cuore veglia.

509. Ora, come potrei, con così brevi espressioni e così limitati termini, spiegare gli inni di lode e di gloria che la nostra celeste Regina faceva al suo Dio fatto bambino, alternandone il canto con i santi angeli, ed anche col suo sposo Giuseppe? Anche solo di questo vi sarebbe molto da scrivere, perché tali inni erano assai frequenti, ed il loro canto infatti è riservato al godimento speciale degli eletti. Solo fra i mortali fortunatissimo e privilegiato fu in ciò il fedelissimo san Giuseppe, il quale molte volte ne era reso partecipe e li intendeva. Né questo era l'unico favore, ma godeva di un altro di singolare pregio e consolazione per l'anima sua, che la prudentissima sposa gli procurava, poiché ella molte volte, parlando con lui del bambino, lo chiamava loro figlio, non perché fosse figlio naturale di Giuseppe, colui che solo era Figlio dell'eterno Padre e della sola sua Madre vergine, ma perché, nel giudizio degli uomini, era ritenuto figlio di Giuseppe. Questo favore e privilegio era per il santo d'incomparabile stima e godimento, e perciò la divina Signora sua sposaglielo rinnovava frequentemente.

 

Insegnamento che mi diede la Regina dei cielo

 

510. Figlia mia, ti vedo santamente invidiosa della felicità delle mie opere, nonché di quelle del mio sposo e dei miei angeli, stando in compagnia del mio Figlio santissimo, perché noi l'avevamo sotto gli occhi come tu vorresti averlo, se fosse possibile. Ora voglio consolarti, indirizzando il tuo affetto a ciò che devi e puoi operare secondo la tua condizione, per conseguire nel grado possibile la felicità che vai considerando in noi e che ti rapisce il cuore. Considera dunque, o carissima, quel tanto che ti fu dato di conoscere delle differenti vie, per cui Dio conduce nella sua Chiesa le anime, che egli ama e cerca con paterno affetto. Tu hai potuto acquistare questa conoscenza mediante l'esperienza di tante chiamate e della luce particolare che hai ricevuto, poiché sempre alle porte del tuo cuore hai trovato il Signore, che bussava ed aspettava tanto tempo, sollecitandoti con replicati favori e altissima dottrina, sia per insegnarti ed assicurarti che la sua benignità ti ha disposta e destinata allo stretto vincolo del suo amore e dei suoi intimi colloqui, sia perché tu con attentissima cura acquisti la grande purezza che si richiede per questa vocazione.

511. Tu non ignori affatto, poiché te lo insegna la fede, che Dio si trova in ogni luogo per essenza, presenza e potenza della sua divinità, e che a lui sono manifesti tutti i tuoi pensieri, nonché i tuoi desideri e gemiti, senza che gliene resti nascosto alcuno. Oltre ad essere ciò tanto vero, se tu t'impegnerai, da serva fedele, per conservare la grazia che ricevi per mezzo dei santi sacramenti e per altri canali divinamente disposti, il Signore starà con te in un altro modo di speciale assistenza, con la quale ti amerà e accarezzerà come sua sposa diletta. Ora, conoscendo tutto questo, se pur lo comprendi, dimmi che ti resta ancora da invidiare e desiderare, mentre ottieni il compimento dei tuoi desideri e dei tuoi sospiri? Ciò che ti rimane da fare, e che io voglio da te, è che così, santamente invidiosa, ti adoperi ad imitare la conversazione e le qualità degli angeli, nonché la purezza del mio sposo ed a copiare in te la forma della mia vita per quanto ti sarà possibile, affinché tu ti renda degna abitazione dell'Altissimo. Nel mettere in pratica questo insegnamento devi esercitare tutto quello sforzo, quella brama o santa invidia per cui avresti voluto ritrovarti con noi a vedere e adorare il mio Figlio santissimo nella sua nascita ed infanzia, perché se mi imiterai, puoi stare sicura che avrai me per tua maestra e rifugio, ed il Signore nell'anima tua con stabile possesso. In tal modo rassicurata, gli puoi parlare deliziandoti con lui e abbracciandolo come colei che lo ha con sé, poiché appunto per comunicare queste delizie alle anime pure egli prese carne umana e si fece bambino. Sebbene bambino però, sempre lo devi considerare come grande e come Dio, in modo che le carezze siano accompagnate da rispetto e l'amore dal timore santo, perché l'uno gli è dovuto e dell'altro egli si compiace per la sua immensa bontà e magnifica misericordia.

512. Devi mantenerti continuamente in questa conversazione col Signore e senza intervalli di tiepidezza che lo disgustino, perché la tua occupazione legittima e perenne deve consistere nell'amare e lodare il suo essere infinito. Quanto a tutto il rimanente, voglio che tu ne usi molto di sfuggita, così che le cose visibili e terrene ti trovino per trattenerti solo un momento in esse. Tu devi considerarti sempre di passaggio, e che non hai altra cosa a cui attendere di cuore, fuori del sommo e vero Bene che cerchi. Devi imitare solamente me, e solo per Dio devi vivere; tutto il resto non deve esistere per te, né tu per esso. Voglio però che i beni e i doni che ricevi, tu li dispensi e comunichi a beneficio dei tuoi prossimi con l'ordine della carità perfetta, poiché essa non si estingue per questo, anzi ancor più cresce. In ciò devi osservare il modo che si addice alla tua condizione e al tuo stato, come altre volte ti ho detto ed insegnato.