[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A A A A A

CAPITOLO 17

 

Il saluto della Regina del cielo a santa Elisabetta e la santificazione di Giovanni.

 

215. Compiuto il sesto mese della gravidanza di santa Elisabetta, il futuro precursore di Cristo nostro bene se ne stava nel suo grembo, quando la madre santissima Maria arrivò alla casa di Zaccaria. Il corpo del bambino Giovanni era più perfetto di quello degli altri, sia per il miracolo intervenuto nel suo concepimento da madre sterile, sia perché veniva destinato a ricevere la santità più grande tra i figli di donna, che Dio gli teneva preparata. Tuttavia, la sua anima era ancora immersa nelle tenebre del peccato che aveva contratto in Adamo, come gli altri figli di questo primo e comune padre del genere umano. E non potendo i mortali, per legge comune a tutti, ricevere la luce della grazia prima di uscire a quella materiale del sole, dopo il primo peccato che si contrae con la natura, il grembo materno viene a servire come da carcere di tutti noi che fummo rei nel nostro padre e capo Adamo. Cristo Signore nostro volle graziare il suo grande profeta e precursore con il grande beneficio di anticipargli la luce della grazia e la giustificazione sei mesi dopo che santa Elisabetta l'ebbe concepito, affinché la sua santità fosse privilegiata come doveva esserlo la missione di precursore e di battista.

216. Dopo il primo saluto di Maria a santa Elisabetta, le due cugine si ritirarono insieme in disparte, come ho già detto. Subito la Madre della grazia salutò di nuovo la sua parente e le disse: «Dio ti salvi, mia carissima cugina; la sua divina luce ti comunichi grazia e vita». A queste parole di Maria santissima, santa Elisabetta fu piena di Spirito Santo e tanto illuminata nel suo intimo che in un momento conobbe altissimi misteri. Quésti effetti, come anche quelli che nel medesimo tempo sentì il bambino Giovanni nel grembo di sua madre, derivarono dalla presenza del Verbo incarnato nel talamo di Maria. Da qui, servendosi della voce di lei come strumento, cominciò a fare uso della potestà che il Padre eterno gli aveva dato per salvare e giustificare le anime come loro redentore. Siccome, poi, se ne serviva come uomo, stando nel grembo verginale quel corpicino concepito da otto giorni si mise - cosa mirabile! - in posizione umile per pregare il Padre. Chiese la giustificazione del suo futuro precursore e la ottenne dalla santissima Trinità.

217. San Giovanni nel grembo materno fu la terza persona per cui il nostro Redentore pregò in particolare, stando in Maria santissima. Sua madre fu la prima per la quale egli ringraziò, supplicò e pregò il Padre; come sposo di lei, san Giuseppe fu il secondo nelle preghiere del Verbo incarnato; il precursore Giovanni, poi, fu il terzo ad entrare nelle domande particolari per persone determinate, nominate dal Signore. Tanta fu la felicità e tali i privilegi di san Giovanni! Cristo Signore nostro presentò all'eterno Padre i meriti e la passione e morte che veniva a patire per gli uomini ed in virtù di questo domandò la santificazione di quell'anima; scelse il bambino, il quale doveva nascere santo, come suo precursore, perché rendesse testimonianza della sua venuta nel mondo e preparasse i cuori del suo popolo a conoscerlo e riceverlo. Chiese, quindi, che per un compito così sublime si concedessero a tale persona eletta le grazie, i doni ed i favori adeguati; il Padre concesse tutto ciò che il suo Unigenito incarnato domandò.

218. Questo avvenne prima del saluto di Maria santissima. Quando l'umile Signora pronunciò le parole riferite, Dio guardò con benevolenza il bambino nel grembo di santa Elisabetta e gli concesse il perfetto uso della ragione, illuminandolo con aiuti speciali della luce divina, affinché con quelli si preparasse conoscendo il bene che gli veniva fatto. Giovanni fu purificato dal peccato originale, costituito figlio adottivo del Signore e riempito dallo Spirito Santo con abbondantissima grazia e con pienezza di doni e virtù; inoltre, le sue facoltà furono santificate e rese soggette alla ragione. Si adempiva così ciò che l'angelo san Gabriele aveva detto a Zaccaria, cioè che suo figlio sarebbe stato pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre. Il fortunato bambino vide il Verbo incarnato, servendogli quasi da vetrata le pareti dell'utero e da cristallo purissimo il talamo del grembo verginale di Maria santissima; qui adorò, in ginocchio, il suo redentore e creatore. Questo fu il movimento ed il giubilo che sua madre santa Elisabetta riconobbe e senti nel suo bambino e nel suo grembo. Giovanni fece molti altri atti nel ricevere questo beneficio, esercitando le virtù di fede, speranza, carità, culto divino, gratitudine, umiltà, devozione e tutte le altre che lì poteva operare. Da quell'istante cominciò ad acquistare meriti e a crescere nella santità, senza mai perderla né cessare di operare con tutto il vigore della grazia.

219. Santa Elisabetta conobbe nel medesimo tempo il mistero dell'incarnazione, la sanrificazione di suo figlio ed il fine e i misteri di questa nuova meraviglia, nonché la purezza verginale e la dignità di Maria santissima. In questa occasione la santissima Regina, stando tutta assorta nella visione di questi misteri e di Dio che li operava nel suo Figlio santissimo, restò tutta divinizzatà e piena della luce e dello splendore delle doti di cui partecipava. Santa Elisabetta la vide con questa maestà e come attraverso un vetro purissimo contemplò il Verbo incarnato nel talamo verginale, come in una lettiga di cristallo infiammato. Di tutti questi ammirabili effetti fu strumento efficace la voce di Maria santissima, tanto forte e potente quanto dolce all'udito dell'Altissimo. Tutta questa virtù era come partecipata da quella che ebbero le onnipotenti parole Avvenga di me quello che hai detto, con le quali attirò il Verbo eterno dal seno del Padre alla sua mente ed al suo grembo.

220. Meravigliata di quello che sentiva e scopriva in misteri così divini, santa Elisabetta fu mossa tutta da giubilo dello Spirito Santo e, guardando la Regina del mondo e ciò che in lei scorgeva, ad alta voce proruppe in quelle parole che riferisce san Luca: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto ègiunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore. In queste parole profetiche santa Elisabetta riassunse la grandezza di Maria santissima, conoscendo con la divina luce quanto in lei il potere divino aveva operato ed attualmente operava e anche ciò che doveva succedere in futuro. Intese tutto ciò anche il bambino Giovanni nel grembo di lei, da dove sentiva le parole di sua madre, la quale, illuminata in occasione della santificazione di lui, magnificò Maria santissima come strumento della loro felicità in nome suo e del figlio, che ancora non poteva lodarla e benediila con la propria bocca.

221. Alle parole con cui santa Elisabetta magnificò la nostra grande Regina, la maestra della sapienza e dell'umiltà rispose riferendole tutte al loro Autore e con voce molto dolce intonò il cantico del Magnificat, che san Luca riferisce. Disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili: ha ncolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre ».

222. Come santa Elisabetta fu la prima che udì questo dolce cantico dalla bocca di Maria santissima, così pure fu la prima che lo comprese e lo commentò. Vi intese grandi misteri tra quelli racchiusi in così poche parole. Con esse lo spirito di Maria santissima magnificò il Signore per l'eccellenza del suo essere infinito, riferi e diede a lui tutta la gloria e la lode, come a principio e fine di tutte le sue opere, conoscendo e proclamando che solo in Dio si deve gloriare e rallegrare ogni creatura, poiché egli solo è tutto il suo bene e la sua salvezza. Celebrò anche l'equità e la magnificenza dell'Altissimo nel guardare agli umili e porre in essi con abbondanza il suo divino amore ed il suo spirito. Confessò, inoltre, quanto sia cosa degna che i mortali vedano, conoscano e ponderino come, per mezzo di questa umiltà, ella conseguì che tutte le nàzioni la chiamassero beata e come con essa meriteranno la medesima fortuna anche tutti gli altri umili, ciascuno nel suo grado. Lodò ancora il nome santo e ammirabile dell'Onnipotente e tutte le misericordie e grazie che le aveva concesso, chiamandole cose grandi, perché nessuna fu piccola in una capacità e disposizione tanto immensa quanto quella di questa grande Regina e signora.

223. Siccome le miseric6rdie dell'Altissimo dalla pienezza di Maria santissima ridondarono a tutto il genere umano ed ella fu la porta del cielo attraverso la quale tutti salirono e salgono e attraverso la quale noi tutti dobbiamo accedere alla partecipazione della Divinità, ella confessò che la misericordia del Signore con lei si sarebbe estesa a tutte le generazioni, comunicandosi a quelli che lo temono. Come le misericordie infinite di Dio innalzano gli uomini e cercano quelli che lo temono, così al contrario il potente braccio della sua giustizia disperde i superbi nei pensieri del loro cuore e li rovescia dai loro troni per collocare su di essi i poveri e gli umili. Questa giustizia del Signore diede le prime prove di se stessa con meraviglia e gloria in Lucifero, capo dei superbi, e nei suoi seguaci, quando il braccio onnipotente dell'Altissimo li allontanò e gettò fuori, perché essi stessi si precipitarono, da quel sublime posto nella natura e nella grazia che avevano nella volontà originaria della mente divina e del suo amore, con il quale vuole che tutti siano salvi. In verità, ciò che li fece precipitare fu il vaneggiamento con il quale pretesero di salire dove non potevano né dovevano; con questa arroganza urtarono contro i giusti ed imperscrutabili giudizi del Signore, che così allontanarono e fecero cadere il superbo angelo e tutti quelli del suo seguito. Al loro posto furono collocati gli umili per mezzo di Maria santissima, madre ed archivio delle antiche misericordie.

224. Per questa medesima ragione, la clementissima Signora afferma anche che Dio arricchì i poveri ricolmandoli dell'abbondanza dei suoi tesori di grazia e gloria. Quanto a coloro che sono ricchi di stima di sé, di presunzione e di arroganza e quanto a quelli che riempiono il loro cuore dei falsi beni che il mondo ritiene ricchezza e felicità, invece, l'Altissimo cacciò e caccia tutti costoro lontano da sé, lasciandoli privi della verità, la quale non può entrare in cuori tanto occupati e pieni di menzogna e falsità. Accolse il suo servo e figlio Israele, ricordandosi della sua misericordia, per insegnargli dov'è la prudenza, dov'è la forza, dov'è l'intelligenza, dov'è la longevità e la vita, dov'è la luce degli occhi e la pace. A lui insegnò il cammino della prudenza e gli occulti sentieri della sapienza e della disciplina, che si nascose ai capi delle nazioni e non fu conosciuta dai potenti che dominano le belve che sono sulla terra, si divertono e giocano con gli uccelli del cielo ed ammassano tesori d'argento e d'oro. E non giunsero a trovarla i figli di Agar e gli abitanti di Teman, che sono i superbi sapienti e prudenti di questo mondo. Ma l'Altissimo l'affida a quelli che sono figli della luce e di Abramo per mezzo della fede, della speranza e dell'ubbidienza, perché così promise a lui ed alla sua posterità e generazione spirituale, per il benedetto e fortunato frutto del grembo verginale di Maria santissima.

225. Santa Elisabetta all'udire la Regina' delle creature penetrò questi arcani misteri e ne intese anche molti altri maggiori ai quali non arriva il mio intelletto; non solo questi che io posso manifestare. Non mi voglio dilungare su tutto quello che mi è stato rivelato, perché estenderei troppo questo discorso. Le dolci conversazioni divine di queste due signore sante e prudenti, Maria santissima e sua cugina Elisabetta, mi rammentano i due serafini che Isaia vide davanti al trono dell'Altissimo, i quali proclamavano l'uno all'altro quel cantico divino e sempre nuovo Santo, santo, santo..., mentre con due ali si coprivano il capo, con due i piedi e con le altre due volavano. È chiaro che l'ardente amore di queste donne superava tutti i serafini; e Maria purissima da sola amava più di tutti loro. Bruciavano in questo incendio divino, stendendo le ali dei loro cuori per manifestarli l'una all'altra e per volare alla più sublime penetrazione dei misteri dell'Altissimo. Con altre due ali di rara sapienza coprivano il proprio capo, perché tutte e due proposero e concertarono di mantenere il segreto del re, custodendolo per tutta la vita, ed anche perché sottomisero e ridussero in servitù la propria ragione, credendo con docilità, senza alterigia né curiosità. Coprirono similmente i piedi del Signore ed i propri con ali di serafini, stando umiliate ed annientate nella bassa stima di se stesse alla vista di tanta maestà. E se Maria santissima racchiudeva nel suo grembo verginale il Dio della maestà, con ragione e con tutta verità diremo che copriva il trono dove il Signore aveva la sua sede.

226. Quando fu ora che le due signore uscissero dal loro ritiro, santa Elisabetta offrì alla Regina del cielo la sua persona come schiava e tutta la sua famiglia e la sua casa per il suo servizio; chiese, poi, che per sua quiete e per potersi raccogliere accettasse una cameretta che usava ella stessa per l'orazione, come più appartata ed adatta a tale scopo. La divina Principessa con umile riconoscenza accettò quella stanza e la scelse per suo ritiro e per dormirvi; così, nessuno vi entrava tranne le due cugine. Nel resto del tempo si offrì per assistere santa Elisabetta come serva; per questo, infatti, come le disse, era venuta a visitarla e consolarla. Oh, che dolce amicizia fu mai quella e quanto sincera ed inseparabile, essendo unita con il più grande vincolo dell'amore divino! Vedo che il Signore fu ammirabile nel manifestare questo grande mistero della sua incarnazione a tre donne prima che ad alcun altro del genere umano: la prima fu sant'Anna, come ho detto a suo luogo; la seconda fu sua figlia, cioè la madre del Verbo, Maria santissima; la terza fu santa Elisabetta e suo figlio con lei, però nel grembo di sua madre, per cui egli non si reputa come un'altra persona a cui sia stato manifestato. La ragione di questo fu che la stoltezza di Dio è più saggia degli uomini, come disse san Paolo.

227. Maria santissima ed Elisabetta uscirono dal loro ritiro quando già era cominciata la notte, essendovisi trattenute a lungo. La Regina vide Zaccaria che se ne stava nel suo mutismo, gli domandò la sua benedizione ed il santo gliela diede. Sebbene lo guardasse con compassione e tenerezza vedendolo muto e conoscesse il mistero che era racchiuso in quella sofferenza, per il momento non si mosse a porvi rimedio; ma pregò per lui. Santa Elisabetta, la quale già conosceva la buona sorte del castissimo sposo Giuseppe - benché egli ne fosse ancora ignaro - lo onorò e festeggiò con grande stima e riverenza. Egli, però, dopo che ebbe dimorato per tre giorni nella casa di Zaccaria, chiese alla sua umilissima sposa licenza di fare ritorno a Nazaret, lasciandola in compagnia di santa Elisabetta perché l'assistesse nella sua gravidanza. Il santo sposo prese congedo rimanendo d'accordo che sarebbe ritornato a prendere la nostra Regina quando ella gliene avesse mandato avviso. Santa Elisabetta gli offrì alcuni doni da portare a casa sua. Egli di tutto accettò molto poco, e questo poco per l'insistenza di lei, essendo uomo di Dio e non solo amante della povertà, ma anche di cuore magnanimo e generoso. Tornò, quindi, a Nazaret con l'animale che aveva portato con sé. Li lo servi, in assenza della sua sposa, una vicina, sua parente, la quale, anche quando si trovava in casa Maria santissima signora nostra, soleva prestare la sua opera portando ciò che le veniva chiesto.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

 

228. Figlia mia, affinché nel tuo cuore si accenda maggiormente la fiamma del tuo costante desiderio di conseguire la grazia e l'amicizia di Dio, voglio che tu conosca la dignità, l'eccellenza e la felicità grande di un'anima, quando giunge a ricevere questa bellezza. È, però, tanto ammirabile e preziosa che non la potrai comprendere, sebbene io te la manifesti; molto meno, poi, è possibile che tu la spieghi con le tue parole. Fissa lo sguardo nel Signore e contemplalo con la luce divina che ricevi; in essa conoscerai come è più gloriosa opera per il Signore giustificare un'anima sola che avere creato il cielo e la terra, con tutta la loro perfezione naturale. Se le creature, per mezzo di queste meraviglie che percepiscono in molta parte per mezzo dei sensi, conoscono che Dio è grande ed on nipotente, che cosa direbbero mai e che cosa penserebbero se vedessero con gli occhi dell'anima quanto vale e quanto conta la bellezza della grazia in tante creature capaci di riceverla?

229. Non ci sono parole adeguate per quello che è in se stessa quella partecipazione del Signore e delle sue perfezioni, che la grazia santificante contiene; è poco chiamarla più pura e bianca della neve, più risplendente del sole, più preziosa dell'oro e delle gemme, più cara, amabile e piacevole di tutti i regali e le carezze più dilettevoli, perché è più bella di tutto quanto può immaginare il desiderio delle creature. Considera similmente la bruttezza del peccato, per giungere ad una maggiore conoscenza della grazia alla vista del suo contrario, poiché né le tenebre, né la corruzione, né ciò che c'è di più orribile, spaventoso e ripugnante arriva a potersi comparare con il peccato e con il suo cattivo odore. Molto conobbero di questo i martiri ed i santi, i quali, per conseguire questa bellezza e non cascare in quella infelice rovina, non temettero il fuoco, né le fiere, i rasoi, i tormenti, le carceri, le ignominie, le pene, i dolori, né la medesima morte, né il prolungato e continuo patire; infatti, tutto questo è meno, pesa meno e vale meno che un solo grado di grazia, per conseguire il quale non si deve tenere conto di tutto il resto. Un'anima può avere questo e molti altri gradi, benché sia la più abbandonata del mondo. Non conoscono ciò gli uomini che stimano e bramano solamente la fuggitiva ed apparente bellezza delle creature e ritengono vile e spregevole colui che non ne ha.

230. Da questo conoscerai alquanto il grande beneficio che il Verbo incarnato fece al suo precursore Giovanni nel grembo di sua madre; egli lo conobbe e questo lo fece esultare di gioia. Conoscerai similmente quanto devi fare e patire per ottenere questa felicità, per non perdere né macchiare una così stimabile bellezza con colpa alcuna, per leggera che sia, e per non ritardarla con nessuna imperfezione. Voglio, inoltre, che tu, ad imitazione di quello che io feci con Elisabetta mia cugina, non accetti né stringa amicizia con creature umane e tratti solamente con coloro con i quali puoi e devi parlare delle opere dell'Altissimo e dei suoi misteri e con chi ti può insegnare il cammino vero del suo divino beneplacito. Anche se avessi grandi impegni e preoccupazioni, non devi dimenticare né lasciare le tue devozioni e l'ordine della vita perfetta; infatti, questo non si deve conservare ed osservare solo quando ci è comodo, ma anche nelle maggiori contraddizioni, difficoltà ed occupazioni, perché alla natura imperfetta basta poco per rilassarsi.