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CAPITOLO 11

 

La virtù della fortezza che ebbe Maria santissima

 

568. La virtù della fortezza si pone al terzo posto fra le quattro cardinali e serve per moderare l'irascibilità. La bramosia, la cui corrispettiva virtù è la temperanza, precede l'irascibilità, perché la tensione verso l'oggetto bramato oppone resistenza all'impeto collerico, che preclude il raggiungimento di ciò che si brama. Pertanto tratterò prima dell'irascibilità e della sua virtù corrispondente, la fortezza, perché questa elimina gli ostacoli che si frappongono al conseguimento dell'oggetto bramato. Perciò la fortezza è virtù più nobile della temperanza, della quale dirò nel capitolo seguente.

569. Il dominio che la virtù della fortezza esercita sull'irascibilità si riduce a due specie di attività. Queste sono: usare dell'ira secondo ragione e con le dovute circostanze che la rendano lodevole e apprezzabile, ossia rinunciare ad adirarsi reprimendo la passione, quando è più opportuno, dato che tanto il trattenerla quanto il darle libero sfogo può essere lodevole o no, a seconda del fine e di altre circostanze contingenti. La prima di queste attività o specie si chiama fortezza, benché alcuni dottori la chiamino intrepidezza. La seconda poi si chiama pazienza, che è la parte più nobile e più alta della fortezza, ed è quella che principalmente ebbero ed hanno i santi, sebbene le persone mondane, falsando il giudizio e i nomi, siano solite chiamare la pazienza pusillanimità e fortezza la presunzione, l'impazienza e la temerità, perché non conoscono gli atti veri di questa virtù.

570. Maria santissima non ebbe moti sregolati, dettati dall'irascibilità, che dovesse reprimere con la virtù della fortezza, perché nell'innocentissima Regina tutte le passioni erano ordinate e subordinate alla ragione e questa a Dio, che la guidava in tutte le azioni e i movimenti. Questa virtù le fu però necessaria per opporsi agli impedimenti che il demonio in diversi modi le metteva affinché non conseguisse tutto ciò che prudentemente ed ordinatamente desiderava per sé e per il suo Figlio santissimo. In questa valorosa resistenza e battaglia, nessuna fu più forte di lei fra tutte le creature, né tutte insieme poterono giungere alla fortezza di Maria nostra regina, dato che non ebbero tante lotte col comune nemico. Quando era necessario usare di questa fortezza o intrepidezza con le creature umane, ella era tanto dolce quanto forte, o - per meglio dire - era tanto forte quanto soavissima nell'agire, perché tra tutte le creature solo questa divina Signora seppe rappresentare nelle sue opere quell'attributo dell'Altissimo che, nel suo operare, unisce la soavità con la fortezza. Questo fu per la nostra Regina il modo di praticare la fortezza, senza conoscere nel suo generoso animo alcun timore disordinato, perché era superiore ad ogni cosa creata. Né tantomeno fu impavida e audace senza moderazione, non potendo cedere a questi estremi contrari alla virtù, perché con somma sapienza conosceva i timori che si dovevano vincere e l'ardire che si doveva fuggire; così, come unica donna forte, era vestita ad un tempo di fortezza e di bellezza.

571. Nella parte della fortezza che riguarda la pazienza, Maria santissima fu più ammirabile, poiché ella sola partecipò dell'eccellente pazienza di Cristo suo figlio santissimo, che consiste nel patire e soffrire senza colpa, e patire più di tutti quelli che hanno commesso colpe. Tutta la vita di questa celeste Regina fu un continuo sopportare tribolazioni, specialmente durante la vita e la morte del nostro redentore Gesù Cristo, tempo in cui la sua pazienza superò tutti i pensieri delle creature e solo il medesimo Dio, che gliela diede, può degnamente farla conoscere. Mai questa candidissima Colomba si sdegnò con impazienza contro creatura alcuna, e nessuna pena o molestia, delle immense che più, le parve grande, né mai si contristò, né cessò di riceverle tutte con allegrezza e rendimento di grazie. E se la pazienza, secondo l'ordine in cui la pone l'Apostolo, è il primo parto della carità e la sua primogenita, ne segue che la nostra Regina, essendo madre dell'amore, lo fu altresì della pazienza, che si vuole misurare con l'amore. Di fatto, quanto più amiamo e stimiamo il Bene eterno, tanto più ci determiniamo a patire, per conseguirlo e non perderlo, quanto di penoso può sopportare la pazienza. Per questo Maria santissima fu pazientissima al di sopra di tutte le creature, e fu madre di questa virtù per noi che, ricorrendo a lei, troveremo questa torre di Davide con mille scudi di pazienza, che da essa pendono, con i quali si armano gli uomini forti della Chiesa e i campioni della milizia di Cristo nostro Signore.

572. La nostra pazientissima Regina non diede mai segni esteriori di femminile debolezza o di ira, perché tutto prevedeva con la luce e la sapienza divina, benché questa non le togliesse il dolore, anzi l'accrescesse. In verità, nessun altro poté conoscere il peso delle colpe ed offese infinite contro Dio come lo conobbe questa Signora, ma non per questo si alterava il suo invincibile cuore. Né per la malvagità di Giuda, né per le ingiurie e le ignominie dei farisei cambiò mai atteggiamento e molto meno la disposizione interiore. E, benché nella morte del suo Figlio santissimo parve che tutte le creature e gli elementi sensibili volessero perdere la pazienza con i mortali, non potendo tollerare l'ingiuria e l'offesa del loro Creatore, tuttavia solo Maria, nmase immobile e pronta a ricevere Giuda, i farisei e i sacerdoti se dopo aver crocifisso Cristo nostro Signore avessero fatto ricorso a lei, Madre di pietà e misericordia.

573. La mansuetissima Imperatrice del cielo avrebbe ben potuto sdegnarsi e adirarsi con quelli che diedero al suo Figlio santissimo così vergognosa morte senza oltrepassare i limiti della ragione e della virtù, tanto più che lo stesso Signore castigò, e giustamente, questo peccato. Tuttavia, mentre mi trovavo in queste riflessioni, mi fu fatto intendere che l'Altissimo aveva disposto che questa gran Signora non avesse tali moti e atti, e ciò perché non voleva che fosse strumento di castigo e accusatrice dei peccatori colei che era stata eletta mediatrice e avvocata loro. Veramente Dio la fece Madre di misericordia, affinché attraverso di lei giungessero agli uomini tutte le misericordie che egli voleva elargire ai figli di Adamo e vi fosse chi degnamente moderasse l'ira del giusto giudice, intercedendo per i colpevoli. Questa Signora esercitò l'ira solo col demonio in ciò che fu necessario per la pazienza e la tolleranza e per vincere gli impedimenti che questo nemico ed antico serpente poteva opporre al bene operare.

574. Alla virtù della fortezza si riducono inoltre la magnanimità e la magnificenza, perché partecipano delle qualità di essa in qualche cosa, dando fermezza alla volontà nella materia che loro appartiene. La magnanimità consiste nell'operare cose grandi, alle quali segue l'onore grande della virtù, e per questo si dice che ha per materia i grandi onori. Da ciò derivano a questa virtù molte proprietà che hanno i magnanimi, come aborrire le adulazioni e le simulate ipocrisie, che solo gli animi abbietti e vili amano; non essere avidi, né interessati, né amici di ciò che è più utile, ma solo di ciò che è più onesto e grande; non parlare di se stessi con iattanza; occuparsi poco delle cose piccole impiegando le proprie forze più per quelle grandi; essere più inclini a dare che a ricevere, perché tutte queste cose sono degne di maggior onore. Ma non per questo questa virtù è contro l'umiltà, perché una virtù non può essere contraria all'altra. Infatti la maguanimità fa sì che con i doni e le virtù si renda l'uomo meritevole di grandi onori senza però desiderarli ambiziosamente e disordinatamente. Inoltre, l'umiltà insegna all'uomo a riferirli a Dio e a disprezzare se stesso per i suoi difetti e per la propria natura. A causa poi delle difficoltà che incontrano nelle opere grandi e lodevoli della virtù, essi ricercano una speciale fortezza che si chiama magnanimità. Il giusto mezzo di questa sta nel proporzionare le forze con le azioni grandi, affinché non le lasciamo per pusillanimità, né le intraprendiamo con presunzione o disordinata ambizione, o con brama di vanagloria, perché il magnanimo disprezza tutti questi vizi.

575. La magnificenza realizza anche opere grandi e può essere quella virtù comune che in tutte le materie virtuose compie cose grandi. Ma siccome vi è una particolare difficoltà nel fare grandi spese, anche quando sono giuste, si chiama in modo speciale magnificenza quella virtù che inclina a spese grandi regolandole con la prudenza, in modo che il cuore non sia misurato quando la ragione le consiglia e non sia prodigo quando ciò non conviene, distruggendo e consumando ciò che non è necessario. Inoltre, sebbene questa virtù sembri confondersi con la liberalità, tuttavia i filosofi le distinguono, perché il magnifico guarda unicamente alle cose grandi senza tenere conto di altro, mentre il liberale mira solo all'amore e all'uso moderato del denaro. Quindi, uno potrà essere liberale senza giungere ad essere magnifico, se si trattiene nel distribuire ciò che ha maggior grandezza e valore.

576. Queste due virtù della magnanimità e della magnificenza si trovarono nella Regina del cielo con alcune qualità che non poterono ottenere gli altri che ebbero tali virtù. Solo Maria non trovò resistenza né difficoltà nell'operare tutte le cose grandi e solo lei le fece tutte grandi, anche nelle materie piccole, e fu la sola a comprendere perfettamente la natura e la qualità di queste virtù, come di tutte le altre. Così poté dare ad esse la suprema perfezione, senza che questa fosse diminuita in lei né da inclinazioni contrarie, né dal non conoscere il modo di giungervi, né dall'attendere ad altre virtù, come avviene ai più santi e prudenti, i quali, quando non possono realizzare il tutto, scelgono ed operano ciò che sembra loro migliore. In tutte le opere virtuose questa Signora fu tanto magnanima che sempre si attaccò a ciò che era più grande e più degno di onore e di gloria. Gloria ella stessa meritava da tutte le creature, ma si mostrò magnanima nell'allontanarla da sé, riferendola solo a Dio ed operando nella stessa umiltà ciò che vi è di più grande e magnanimo in questa virtù. In Maria la sua magnanima umiltà, che operava in grado eroico, era come in concorrenza con le altre sue virtù parimenti magnanime, per cui erano unite insieme come altrettante pietre preziose, che con la loro bella varietà facevano a gara per trovare quale di esse ornasse meglio la figlia del Re divino, colei cioè che, al dire di Davide suo padre, portava la sua gloria dentro di sé.

577. Anche nella magnificenza la nostra Regina fu grande, perché, sebbene fosse povera, e, soprattutto nello spirito, senza amore alcuno a cosa terrena, con tutto ciò dispensò magnificamente quanto il Signore le diede, come accadde quando i re Magi offrirono preziosi doni al bambino Gesù e anche in seguito, nel tempo in cui visse in seno alla Chiesa, dopo l'ascensione del Signore al cielo. Ma la maggior magnificenza fu che, essendo ella signora di ogni cosa creata, dispose tutto affinché magnificamente, per quanto dipendeva da lei, si spendesse a beneficio dei bisognosi e per l'onore e il culto di Dio. Insegnò a molti questa virtù, essendo maestra in tutto perfetta nelle opere per compiere le quali i mortali devono lottare contro basse inclinazioni e vili costumi, senza neppure giungere a dare ad esse il grado di prudenza che si richiede. Comunemente i mortali, secondo la propria inclinazione, desiderano l'onore e la gloria della virtù ed essere reputati straordinari e grandi. Per siffatta inclinazione e brama fuorviano, tralasciando di indirizzare questa gloria della virtù al Signore di tutto. Sbagliano i mezzi e, se si presenta loro l'occasione di fare qualche opera di magnanimità o di magnificenza, vengono meno e non la fanno, perché sono di animo abbietto e vile. D'altronde, volendo comparire grandi, eccellenti e degni di venerazione, si appigliano ad altri mezzi falsamente proporzionati ed effettivamente viziosi, come il mostrarsi iracondi, gonfi, impazienti, cipigliosi, alteri e millantatori. Ora, siccome tutti questi vizi non sono magnanimità, anzi mostrano grettezza di cuore, essi non acquistano gloria né onore tra gli uomini saggi, ma piuttosto vituperio e disprezzo, poiché l'onore si trova più fuggendolo che cercandolo e più con le opere che con i desideri.

 

Insegnamento della Regina del cielo

 

578. Figlia mia, se con attenzione procuri, come io ti comando, di intendere la qualità e la necessità di questa virtù della fortezza, con essa avrai in mano le redini dell'irascibilità, che è una delle passioni che molto presto si muovono e turbano la ragione. Inoltre, avrai uno strumento col quale potrai operare ciò che vi è di più grande e perfetto nelle virtù, come tu desideri, e col quale potrai resistere e superare gli impedimenti dei tuoi nemici, che ti si oppongono per intimidirti quando si tratta di ciò che vi è di più difficile nella perfezione. Ma tieni ben presente, o carissima, che l'irascibilità serve alla bramosia per resistere a chi le impedisce ciò che brama; ne consegue che, se la bramosia diventa disordinata ed ama ciò che è vizioso e bene apparente, subito anche l'irascibilità lo diventa di conseguenza; quindi, invece di essere fortezza virtuosa, incorre in molti vizi esecrabili e brutti. Da ciò comprenderai come dall'appetito sregolato della propria eccellenza e gloria vana, causato dalla superbia e dalla vanità, nascono tanti vizi derivanti dall'ira, quali le discordie, i contrasti, le risse, la iattanza, i clamori, l'impazienza, la pertinacia ed altri vizi, che hanno come radice la bramosia, quali l'ipocrisia, la menzogna, il desiderio della vanità, la curiosità e il voler comparire in tutto più degli altri uomini e non per quello che si è veramente a causa dei propri peccati e delle proprie miserie.

579. Da tutti questi vizi così brutti ti vedrai libera se con forza mortifichi e trattieni i moti sregolati della bramosia mediante la temperanza, della quale parlerai qui di seguito. Quando, però, brami ed ami ciò che è giusto e conveniente, anche se ti devi servire, per conseguirlo, della fortezza e dell'irascibilità ben regolata, fallo in modo da non eccedere, perché chi vive soggetto al proprio amore sregolato corre sempre il pericolo di adirarsi per troppo zelo di virtù. E talvolta si maschera e cela questo vizio sotto il manto del buon zelo: la creatura si lascia ingannare, adirandosi per quello che essa brama per sé e volendo che sia creduto zelo di Dio e del bene del prossimo. Per questo è tanto necessaria e gloriosa la pazienza che nasce dalla carità e si accompagna con la larghezza e la magnanimità, poiché colui che ama veramente il sommo e vero Bene facilmente soffre la perdita dell'onore e della gloria apparente, disprezzandola da magnanimo come cosa vile e di nessun conto. Quantunque poi gliela diano le creature, non la stima, e negli altri travagli si mostra invincibile e costante; con questo si va guadagnando, per quanto può, il bene della perseveranza e della tolleranza.