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CAPITOLO 25

 

Come ad un anno e mezzo la santissima bambina Maria cominciò a parlare. Le sue occupazioni fino all'ingresso nel tempio.

 

388. Venne il tempo in cui il sacro silenzio della purissima Maria doveva infrangersi in modo salutare e gradito a Dio per ascoltare sulla nostra terra la voce di quella tortora divina, annunciatrice della primavera della grazia. Prima però di ricevere il permesso dal Signore di cominciare a parlare con gli uomini - che avvenne nel diciottesimo mese della sua infanzia - ebbe una visione intellettuale della Divinità, non per intuizione, ma per immagini. Il Signore le rinnovò le visioni che altre volte aveva ricevuto e moltiplicò le grazie ed i favori. In questa visione si svolse tra la bambina e il Signore un dolcissimo colloquio che con timore oso riportare con mie parole.

389. La piccola Regina parlò dunque a Dio e disse: «Altissimo Signore ed incomparabile Dio! Come potete essere così prodigo di favori con la più povera e la più inutile delle creature? Come potete riversare, con così amabile degnazione, la vostra grandezza sulla vostra ancella che è incapace di ricambiarvi? Dunque l'Altissimo si degna di guardare l'umiltà della sua serva? L'Onnipotente arricchisce la tapina? Il Santo dei santi s'inchina sulla polvere? Io, o Signore, sono la più piccola fra tutte le creature; sono quella che merito meno i vostri benefici. Che cosa farò dunque alla vostra presenza? Con che cosa vi ricambierò di ciò che vi devo? O Signore, che cosa ho mai io, che non vi appartenga, se siete voi a darmi la vita, l'essere e il movimento? Io mi rallegro anche, mio amatissimo Signore, nel vedere che non c'è bene che non sia vostro e che fuori di voi stesso la creatura non possiede nulla; che sia consuetudine e gloria per voi innalzare chi è più basso, favorire chi è più misero e dare l'essere a chi non lo ha, affinché la vostra magnificenza sia maggiormente conosciuta ed esaltata».

390. Il Signore le rispose e disse: «Colomba e diletta mia, tu trovasti grazia ai miei occhi; tu sei la mia amica, scelta per la mia delizia. Ed io voglio manifestarti ciò che maggiormente desidero e bramo da te». Questi accenti del Signore ferirono di nuovo il cuore tenerissimo, sebbene forte, della bambina, sciogliendolo d'amore; e l'Altissimo compiacendosene proseguì dicendo: «Io sono il Dio della misericordia e amo con immenso amore i mortali: tra i molti che mi hanno tradito con i loro peccati conto alcuni uomini giusti ed amici che mi hanno servito e mi servono di cuore. Ed io ho stabilito di salvarli, inviando loro il mio Unigenito, perché non siano privi della mia gloria, né io della loro eterna lode».

391. A questa dichiarazione, replicò la bambina Maria:

«Altissimo Signore e re potente, vostre sono le creature e vostro è ogni potere; voi Solo siete il santo, la guida suprema di tutto il creato. La vostra stessa bontà v'impegni ad affrettare la discesa del vostro Figlio unigenito per redimere i figli di Adamo. Giunga finalmente il giorno sospirato dai miei antichi Padri e vedano i mortali la vostra eterna salvezza. Perché mai, o mio amato Signore, essendo voi il padre pietoso delle misericordie, rimandate tanto l'opera della salvezza per i vostri figli prigionieri ed afflitti, che da tanto tempo l'aspettano? Se la mia vita può contribuire a qualcosa, io ve la offro, pronta a sacrificarla per loro».

392. Allora l'Altissimo con grande benevolenza le ordinò che, da quel momento in poi, più volte e tutti i giorni, gli chiedesse di affrettare l'incarnazione del Verbo per il riscatto di tutto il genere umano; e che piangesse i peccati degli uomini che ostacolavano la loro stessa redenzione e salvezza. E subito le dichiarò che era giunto il tempo di esercitare tutti i sensi e che per sua maggior gloria conveniva ormai che parlasse con le creature umane. La bambina per adempire bene questo precetto si rivolse a Dio e disse:

393. «Altissimo Signore di incomprensibile grandezza, come oserà la polvere; l'infima delle creature, trattare misteri così alti e reconditi e considerati di inestimabile prezzo perfino da voi? Come potrò esigerne da voi il compimento e che cosa può mai ottenere la creatura che non vi ha servito in niente? Tuttavia voi, o mio diletto, vi sentirete obbligato dalla stessa necessità e così l'inferma cercherà la salute, l'assetata desidererà le sorgenti della vostra misericordia ed ubbidirà alla vostra divina volontà. E se voi ordinate, o Signore, che io apra le mie labbra per trattare e parlare con altri fuori di voi stesso, che siete tutto il mio bene e il mio desiderio, vi supplico di volgere lo sguardo alla mia fragilità e al pericolo in cui potrei cadere. È molto difficile, infatti, per la creatura dotata di ragione, non eccedere nelle parole e non sbagliare ed io, perciò, tacerei tutta la vita, con il vostro consenso, per non cadere nel rischio di perdervi. E se ciò dovesse accadere, per me sarebbe impossibile vivere anche un solo istante».

394. Questa fu la risposta della bambina Maria, che temeva tantissimo il nuovo e pericoloso ministero della parola che le veniva comandato; sicché per quanto dipendeva dalla sua volontà, se Dio glielo avesse consentito, avrebbe desiderato osservare un perfetto silenzio e starsene zitta tutta quanta la vita. Quale umiliazione e quale esempio sublime per l'insipienza dei mortali! Colei che parlando non poteva peccare, temeva tanto il pericolo della lingua; e noi, che non possiamo parlare senza peccare, ci sentiamo morire e ci consumiamo per farlo. Dunque, o dolcissima bambina e Regina di tutto il creato, perché volete tacere? Non considerate, o mia Signora, che il vostro silenzio sarebbe rovina del mondo, tristezza per il cielo e perfino, a nostro limitato modo di intendere, una grande perdita per la santissima Trinità? Non sapete che con la risposta «Fiat mihi» all'arcangelo, contribuirete, in un certo modo, al compimento di tutto ciò che è stato preordinato, dando all'eterno Padre una figlia, all'eterno Figlio una madre, allo Spirito Santo una sposa, riparazione agli angeli, rimedio agli uomini, gloria ai cieli, pace alla terra, un'avvocata al mondo, salute agli infermi, vita ai morti, compiendo inoltre la volontà di Dio circa tutto quello che egli può desiderare fuori di se stesso? Ora, se dalla vostra sola parola dipende la maggior opera dell'onnipotenza divina e il bene di tutto il creato, come potete, o Signora e maestra mia, tacere, mentre è d'uopo che voi parliate? Parlate pure, o bambina, e la vostra voce si faccia sentire in tutto il cielo!

395. Iddio si compiacque del prudentissimo riguardo della sua sposa ed il suo cuore fu nuovamente ferito dall'amorevole timore della nostra bambina. Soddisfatte della loro diletta, le tre divine Persone, conferendo tra loro circa la sua richiesta, pronunciarono le parole del Cantico dei Cantici: «Piccola è la nostra sorella e ancora non ha seni; che faremo per la nostra sorellina il giorno in cui parlerà? Se lei fosse un muro, le costruiremmo sopra un recinto d'argento. Piccola sei agli occhi tuoi, sorella nostra diletta, ma grande sei e sarai agli occhi nostri. Per questo disprezzo di te stessa con uno dei tuoi capelli hai rapito il nostro cuore. Sei piccola anche nella stima che hai di te stessa e proprio questo ci affeziona a te e ci fa innamorare ancora di più. Non hai capezzoli per nutrire con le tue parole e neppure la legge sull'impurità, che non volli e non voglio che s'intenda fatta per te, ti riconosce donna. Ti umilii, mentre sei grande sopra ogni altra creatura; temi, mentre sei sicura; vuoi prevenire il pericolo, mentre non ti può minacciare. Che faremo noi con la nostra sorella il giorno che per nostra volontà aprirà le sue labbra per benedirci, quando invece i mortali le aprono per bestemmiare il nostro santo nome? Che faremo per celebrare un giorno così festivo come è quello in cui parlerà? Con che cosa premieremo questa sua precauzione così umile e sempre gradita ai nostri occhi? Dolce fu il suo silenzio e dolcissima sarà al nostro orecchio la sua voce. Se lei è un muro forte, per essere stata edificata con la virtù della nostra grazia e rafforzata con la potenza del nostro braccio, riedifichiamo allora sopra una così grande fortezza, nuove torri d'argento, aggiungendo così nuovi doni ai passati. E siano d'argento questi doni, perché ne divenga più ricca e preziosa; siano purissime le sue parole quando parlerà, candide, terse e sonore al nostro orecchio; sulle labbra abbia sempre diffusa la nostra grazia e sia sempre con lei la nostra onnipotente mano e protezione».

396. Nello stesso tempo in cui, a nostro modo di intendere, conferivano le tre divine Persone, la nostra divina bambina venne consolata e confortata nell'umile angustia di dover incominciare a parlare. Il Signore le promise allora di essere presente in lei e di dirigerla nelle parole, affinché tutte fossero di suo gradimento. Impetrò così da sua Maestà di nuovo la benedizione, per aprire le sue labbra piene di grazia. Quindi per agire in tutto con attenzione e prudenza, la prima parola che proferì, la rivolse ai suoi genitori, san Gioacchino e sant'Anna, chiedendo loro la benedizione, poiché erano quelli che dopo Dio le avevano dato la vita. I due fortunati santi la sentirono parlare con gioia e nello stesso tempo videro che cominciava a camminare da sola. Sua madre Anna felice, prendendola in braccio, le disse: «Figlia mia e diletta del mio cuore, sia per volontà e per gloria dell'Altissimo che noi ascoltiamo la tua voce e le tue parole e che tu cominci a camminare per crescere nel suo servizio. Siano le tue espressioni e le tue parole poche, misurate e ben ponderate; ed i tuoi passi siano retti e indirizzati al servizio e all'onore del nostro Creatore».

397. La santissima bambina ascoltò queste ed altre parole che sua madre sant'Anna le disse; le scrisse nel suo tenero cuore, per custodirle con profonda umiltà ed obbedienza. Nell'anno e mezzo seguente, fino al compimento dei tre anni, quando andò al tempio, furono però molto poche le parole che pronunciò, eccetto quando la chiamava sua madre per sentirla parlare e le ordinava di conversare con lei sui misteri divini. E questo faceva la bambina, ascoltando ed interrogando sua madre. Colei che in sapienza superava tutti i mortali voleva invece essere istruita ed educata: e così figlia e madre s'intrattenevano in dolcissimi colloqui sul Signore.

398. Non sarebbe facile e neanche possibile narrare quello che fece la bambina Maria, durante questi diciotto mesi in cui visse in compagnia di sua madre che, contemplando alcune volte la propria figlia, più degna di venerazione dell'arca figurativa dell'alleanza, versava copiose e dolci lacrime d'amore e di gratitudine. Mai le rivelò però il segreto che teneva chiuso nel suo cuore, cioè che lei era eletta a diventare madre del Messia, nonostante trattassero molte volte di questo ineffabile mistero, nel quale Maria si infiammava di ardentissimo amore e diceva cose sublimi su di esso e sulla propria dignità che ancora ignorava. Nella fortunatissima madre sant'Anna cresceva così sempre più l'allegrezza, l'amore e la cura per la propria figlia, il suo tesoro più prezioso.

399. Le forze della tenera bambina Regina non erano proporzionate agli umili lavori cui la spingevano la profonda umiltà ed il suo amore, poiché la signora di tutte le creature, stimandosi l'ultima, voleva mostrarsi tale anche in tutto ciò che faceva, occupandosi dei lavori più vili e più servili della casa. E credeva che se non avesse servito tutti, non avrebbe soddisfatto il suo debito né corrisposto al volere del Signore; ma nell'appagare il suo infiammato amore restava indietro, perché le sue forze non arrivavano a quanto desiderava. I supremi serafini baciavano la terra su cui lei posava i suoi santi piedi. Tuttavia si sforzava alcune volte di compiere dei lavori umili, come pulire e spazzare la casa e, siccome non glielo permettevano, cercava di farlo quando si trovava da sola; allora l'assistevano e l'aiutavano i santi angeli, affinché raccogliesse in qualcosa il frutto della sua umiltà.

400. La casa di Gioacchino non era molto ricca, ma nemmeno povera. Quindi conformemente allo stato dignitoso della sua famiglia, sant'Anna desiderava adornare la sua santissima figlia con il miglior vestito che poteva permettersi, sia pure entro i limiti della morigeratezza e della modestia. L'umilissima bambina accettò questo segno di affetto e delicatezza materni, senza opporsi, per tutto il tempo in cui ancora non parlava. Quando invece incominciò a parlare, chiese umilmente a sua madre che non le mettesse vestiti costosi ed eleganti ma che fossero grossolani, poveri e, se possibile, usati da altri e di colore scuro, cinereo, simile a quello che oggi usano le monache di santa Chiara. La santa madre, che riguardava e venerava la propria figlia come sua Signora, le rispose: «Figlia mia, io farò quello che mi chiedi riguardo alla forma ed al colore del vestito che desideri, però tu sei una bambina debole e non puoi portare stoffe grossolane come chiedi; perciò in questo ubbidirai a me».

401. La bambina, ubbidiente al volere di sua madre sant'Anna, non replicò, perché mai lo faceva. Si lasciò così vestire di quell'abito che le diede e che fu, però, del colore e della forma che aveva desiderato: simile agli abiti con cui sogliono vestire i bambini, per i quali si è fatto un voto. Certo lei lo avrebbe desiderato più povero e ruvido, ma compensò questo con l'obbedienza, che è la virtù più sublime del sacrificio. Così la santissima bambina fu ubbidiente a sua madre e allo stesso tempo povera nel vestire, ritenendosi indegna anche di quello che usava per difesa naturale della vita. Nell'obbedienza ai genitori fu bravissima e prontissima per tutti i tre anni che visse in loro compagnia perché, conoscendo per divina scienza i loro pensieri e gli intimi desideri, si teneva pronta ad ubbidire in tutto. Per quello, poi, che faceva da sé chiedeva sempre il permesso e la benedizione di sua madre, baciandole la mano con umiltà e riverenza. E benché la prudente madre esternamente vi acconsentisse, tuttavia internamente era colma di venerazione per la grazia e la dignità della figlia.

402. Questa, alcune volte, in tempi favorevoli, si ritirava in solitudine per godere con più libertà della vista e dei colloqui divini con i santi angeli e per manifestare loro con segni esterni l'ardente amore verso il suo e loro Dio. Faceva molti esercizi; si prostrava piangendo ed affliggeva quel corpicino, delicato e innocente, per i peccati dei mortali, implorando la misericordia dell'Altissimo affinché prodigasse loro grandi benefici: doni e grazie che fin d'allora cominciò ad ottenere. E benché il dolore interiore, per le colpe che conosceva, e la forza dell'amore, che le causava tale dolore, producessero in lei, gli effetti di una pena e di un tormento intensissimo, tuttavia, non soddisfatta di questo, cominciò ad usare in quell'età le prime forze corporali. Le mise in pratica con la mortificazione e la penitenza, per essere in tutto Madre di misericordia e mediatrice della grazia, senza trascurare neppure per un istante, alcuna azione per cui ottenere benedizioni su di sé e su di noi.

403. Giunta all'età di due anni cominciò a distinguersi molto nella dedizione e nella carità verso i poveri. Chiedeva a sua madre sant'Anna l'elemosina per loro; e la pia madre piena di bontà e di compassione veniva incontro sia ai poveri che alla sua santissima figlia, esortando quest'ultima, maestra di carità e di perfezione, ad amarli e riverirli. Oltre quello che riceveva dalla madre, la santa bambina, fin da quella tenera età, riservava parte del suo cibo per distribuirlo ai poveri. Poteva così dire con più diritto di Giobbe: «Dalla mia fanciullezza crebbe con me la compassione ». Dava poi l'elemosina, non come chi fa un beneficio gratuito, ma come chi soddisfa un debito di giustizia, dicendo nel suo cuore: «A questo fratello e signor mio ciò è ben dovuto, perché, se lui non lo possiede, io lo possiedo senza meritarlo». Consegnandogli l'elemosina gli baciava la mano e, se si trovava da sola, gli baciava anche i piedi o, non potendo far questo, baciava il suolo che il povero aveva toccato. Mai dava, però, l'elemosina a qualcuno senza farla anche all'anima, pregando per essa; e così i poveri andavano via rifocillati nel corpo e nello spirito.

404. Non meno ammirabili furono l'umiltà e l'obbedienza della santissima bambina nel farsi insegnare a leggere e istruire su altre cose, come è naturale in quell'età. Così l'educarono i suoi genitori; e tutto imparava colei che era piena di scienza infusa su tutte le cose create. Taceva ed ascoltava, con stupore degli angeli che ammiravano in una tale bambina una prudenza tanto singolare. Sua madre sant'Anna, conformemente all'amore e all'illuminazione che riceveva, stava attenta alla divina Principessa e per le sue azioni benediceva l'Altissimo. Avvicinandosi però il tempo di condurla al tempio, cresceva con l'amore anche il batticuore, al pensiero che al termine dei tre anni, stabiliti dall'Onnipotente, le sarebbe stato imposto di adempiere il voto. La bambina Maria incominciò così a preparare sua madre, manifestandole, sei mesi prima, il desiderio che aveva di vedersi già nel tempio. Le parlava dei benefici che aveva ricevuto dalla mano del Signore, di come fosse doveroso adempiere alla sua santissima volontà e di come nel tempio, dedicandosi a Dio, sarebbe stata più vicina a lei di quanto non lo fosse in casa.

405. Sant'Anna ascoltava le prudenti parole della sua bambina Maria; e benché fosse rassegnata alla volontà divina e volesse adempiere la promessa di offrire la sua amata figlia, tuttavia la forza dell'amore naturale verso un pegno così unico e caro - il tesoro di cui ella conosceva il valore inestimabile - combatteva nel suo fedelissimo cuore con il dolore della sua assenza, che già la opprimeva pur essendo vicino alla bambina. E senza dubbio di una pena così veemente e dura ne sarebbe morta, se la mano onnipotente dell'Altissimo non l'avesse confortata, perché la dignità e la grazia - note solo a lei - della sua divina figlia, le avevano rapito il cuore; e la sua presenza e il suo tratto erano più desiderabili della sua stessa vita. Con questa angoscia rispondeva talvolta alla bambina, dicendo: «Figlia mia diletta, per molti anni ti ho desiderato, per pochi invece merito di godere della tua compagnia, purché si adempia la volontà di Dio. Tuttavia sebbene non mi oppongo alla promessa di portarti al tempio, nondimeno mi resta tempo per adempierla; abbi per ora pazienza, finché arrivi il giorno in cui si avvereranno i tuoi desideri».

406. Pochi giorni prima che compisse tre anni, Maria santissima ebbe una visione astratta della Divinità, nella quale le fu manifestato che già si avvicinava il tempo in cui Dio ordinava che fosse portata al suo tempio, per vivere ivi dedicata e consacrata al suo servizio. A questo annuncio il suo purissimo spirito si riempì di nuova gioia e riconoscenza; e parlando con il Signore lo ringraziò e disse: «Altissimo Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, mio eterno e sommo bene, poiché io non posso lodarvi degnamente lo facciano, a nome di questa umile serva, tutti gli spiriti angelici, perché voi, immenso Signore, che di nessuna cosa avete bisogno, riguardate questo vile vermiciattolo con la grandezza della vostra prodiga misericordia. Come mai proprio a me questo beneficio: che mi riceviate nella vostra casa ed al vostro servizio, mentre non merito neppure l'angolo più oscuro e spregevole della terra? Lasciatevi muovere dalla vostra bontà, così che io possa supplicarvi di ispirare ai miei genitori il compimento della vostra santa volontà».

407. Immediatamente sant'Anna ebbe un'altra visione, nella quale il Signore le ordinò di adempiere la promessa, portando al tempio sua figlia per presentarla a Dio, nello stesso giorno in cui compiva tre anni. Non vi è dubbio che questo precetto fu per la santa madre di maggior dolore di quanto non fu per Abramo quello di sacrificare Isacco; ma il Signore stesso la consolò e confortò, promettendole la sua grazia ed il suo sostegno, quando le avrebbe tolta la sua amata figlia e sarebbe rimasta da sola. La santa madre si mostrò allora rassegnata e pronta per adempiere quello che l'altissimo Signore le comandava; ed ubbidiente fece questa orazione: «Signore, Dio eterno, padrone di tutto il mio essere, io ho già offerto al vostro tempio e per il vostro servizio la figlia mia, che voi mi avete donato con ineffabile misericordia; è vostra ed io ve la dono, rendendovi grazie per il tempo in cui l'ho tenuta e per averla concepita e cresciuta. Ricordatevi, però, o Dio e Signor mio, che nel custodire questo vostro inestimabile tesoro io ero ricca. Avevo compagnia in questo deserto ed in questa valle di lacrime; allegrezza nella malinconia; sollievo nei miei travagli; specchio per regolare la mia vita ed esempio di sublime perfezione, che spronava la mia tiepidezza ed infervorava il mio affetto. E per questa sola creatura, io attendevo la vostra grazia e la vostra misericordia. Ora temo nel ritrovarmi senza di lei, che mi manchi tutto! Guarite, o Signore, la ferita del mio cuore e non trattatemi secondo quello che merito, bensì guardatemi come pietoso Padre di misericordia. Io porterò mia figlia al tempio, come voi, o Signore, mi comandate».

408. Nello stesso tempo san Gioacchino aveva avuto un'altra visita o visione divina, nella quale il Signore gli comandava lo stesso ordine che aveva comunicato a sant'Anna. I santi coniugi conferirono tra loro due e conoscendo la volontà divina decisero di adempierla con rassegnazione; stabilirono così il giorno per portare la bambina al tempio. Il dolore che il santo vegliardo sentì nel profondo del suo cuore fu immenso, ma non così violento come quello di sant'Anna, perché lui ignorava il mistero altissimo che sua figlia sarebbe divenuta la Madre di Dio.

 

Insegnamento della Regina del cielo

 

409. Figlia mia, carissima, considera che tutti i viventi nascono destinati alla morte. Non conoscono il termine della loro vita, ma sanno con certezza che il loro tempo è breve e l'eternità è senza fine ed in essa l'uomo raccoglierà solamente ciò che avrà seminato di cattive o di buone opere; queste daranno allora il loro frutto, di morte o di vita eterna. In un viaggio così pericoloso non vuole perciò Dio che qualcuno conosca con certezza se sia degno del suo amore o del suo disprezzo, affinché, se dotato di ragione, questo dubbio gli serva da stimolo a cercare con tutte le sue forze l'amicizia del Signore. E Dio giustifica la sua causa dal momento in cui l'anima comincia a fare uso della ragione, perché da allora accende in essa una luce e sinderesi, che la stimola e la inizia alla virtù; la distoglie dal peccato, insegnandole a distinguere tra il fuoco e l'acqua approvando il bene e correggendo il male, scegliendo la virtù e riprovando il vizio. Egli inoltre risveglia l'anima e la chiama a sé con ispirazioni sante, con impulsi continui e per mezzo dei sacramenti, dei comma di fede, dei precetti, dei santi angeli, dei predicatori, dei confessori, dei superiori, dei maestri; di ciò che l'anima prova in sé nelle afflizioni e nei benefici che Dio le manda; di ciò che sente nelle tribolazioni altrui, nelle morti ed in altri avvenimenti e mezzi che la sua provvidenza dispone per attirare tutti a sé, perché vuole che tutti siano salvi. Di tutte queste cose Dio fa una catena di grandi aiuti e favori, di cui la creatura può e deve usare a suo vantaggio.

410. A tutto ciò si oppone la parte inferiore e sensitiva dell'uomo che, con il fomite del peccato, inclina verso le cose sensibili e muove la concupiscenza e l'irascibilità, affinché, confondendo la ragione, trascinino la volontà cieca ad abbracciare la libertà del piacere. Il demonio, da parte sua, con inganni e con false ed inique suggestioni oscura il senso interiore e nasconde il veleno mortale che si trova nei piaceri transeunti. L'Altissimo però non abbandona subito le sue creature, anzi rinnova la sua misericordia, gli aiuti e le grazie. E se esse rispondono alla sua chiamata ne aggiunge tante altre secondo la sua equità; dinanzi alla corrispondenza dell'anima le va aumentando e moltiplicando. Così come premio, perché l'anima ha dovuto vincersi, si vanno attenuando le inclinazioni alle sue passioni ed al fomite e lo spirito si alleggerisce sempre più, potendosi sollevare in alto, molto al di sopra delle tendenze negative e del cattivo nemico, il demonio.

411. L'uomo invece che si lascia trasportare dal diletto e dalla spensieratezza porge la mano al nemico di Dio e suo; e quanto più si allontana dalla divina bontà tanto più si rende indegno delle sue grazie e sente meno gli aiuti, benché siano grandi. Così il demonio e le passioni acquistando maggiore forza e dominio sulla ragione la rendono sempre più inetta ed incapace di accogliere la grazia dell'Altissimo. O figlia ed amica mia, in questa dottrina consiste il punto principale da cui dipende la salvezza o la perdita delle anime, cioè dal cominciare a fare resistenza agli aiuti del Signore o ad accettarli. Voglio perciò che non trascuri questo insegnamento affinché tu possa rispondere alle molte chiamate che l'Altissimo ti volge. Cerca allora di essere forte nel resistere ai tuoi nemici, puntuale e costante nell'eseguire i desideri del tuo Signore, così gli darai soddisfazione e sarai attenta nel fare il suo volere, che già conosci con la sua luce divina. Un grande amore portavo ai miei genitori e le parole e la tenerezza di mia madre mi ferivano il cuore, ma, sapendo che era ordine e compiacimento del Signore che io li lasciassi, mi dimenticai della mia casa e del mio popolo, non per altro fine se non per quello di seguire il mio sposo. La buona educazione ed il buon insegnamento della fanciullezza giovano molto per il resto della vita, affinché la creatura si ritrovi più libera e già abituata all'esercizio delle virtù, incominciando così dal porto della ragione a seguire questa stella, guida vera e sicura.