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L'approvazione ecclesiastica (1940-1948)


« E' di somma importanza per la storia dell'Istituto, - è scritto nella relazione del 1° Capitolo Generalizio - ricordare l'approvazione ecclesiastica della nostra Congregazione, con riconoscimento canonico e giuridico da parte della Chiesa e dello Stato ».

Abbiam visto come S. Eccellenza Nogara pensasse a dare all'opera di Suor Elena la veste giuridica di congregazione canonicamente eretta di diritto almeno diocesano. E' questo il primo passo, per poi ottenere quello della stessa S. Sede, col riconoscimento di diritto pontificio. E' il suggello dell'autorità ecclesiastica; direi l'autentica che dona prestigio alla giovane Opera e ne rafforza ed incrementa la vitalità.

Suor Elena raccolse il pensiero del morente Arcivescovo e appena il nuovo eletto Mons. Aniello Calcara, prese possesso dell'Arcidiocesi (ottobre 1940) e incominciò a mostrare interessamento per l'Istituto, gli rivolse espressamente e fervidamente la preghiera di concedere ad esso il riconoscimento canonico.

Se ne interessava intanto, come poteva, don Franco. Capitato a Roma nel 1941, egli ebbe occasione di essere ricevuto da S. Eminenza il Card. Cremonesi, al quale, con molto ardore, parlò dell'Istituto di Suor Elena, e chiese se era possibile ottenerne l'approvazione da parte della S. Congregazione dei Religiosi.

S. Eminenza, tanto benevolmente, annuí: « Mi porti i documenti necessari ».

Appena poté rientrare a Cosenza, don Franco, tutto lieto, riferí a Suor Elena il colloquio avuto con il Card. Cremonesi e l'insperata conclusione.

La M. Generale, con un certo imbarazzo, gli rispose: « Il nostro Arcivescovo si è già offerto di portare personalmente a Roma, alla S. Congregazione, tutti i documenti. Sarebbe indelicatezza... ». Come di consueto, don Franco non insisté: « Madre, faccia come crede », fu la sua risposta. « L'interessante è ottenere lo scopo ».

Passarono cosí circa tre anni. La Madre rinnovò di tanto in tanto, sempre molto discreta, la preghiera a Sua Eccellenza, perché volesse sollecitare da Roma la pratica riguardante la tanto sospirata approvazione.

Preoccupazione piú che legittima, perché in caso di morte della Fondatrice, mancando il riconoscimento giuridico, cui deve precedere l'approvazione ecclesiastica, potevano essere dispersi o comunque gravati di tasse ingenti gli immobili dell'Istituto; e la stessa opera rimanere alla merce dell'Ordinario.

D'altra parte, la guerra con le sue devastazioni, con le difficoltà di ogni genere, sembrò piú che sufficiente a spiegare da sola il perdurante silenzio.

Ma ripresi i contatti normali dal 1945 in poi, l'attesa cominciò ad impensierire Suor Elena, che si rivolse a don Franco.

Questa volta, però, quasi con una vena di incertezza: « Vedete, se potete informarvi presso la S. Congregazione, della nostra approvazione ».

Anche quando si tratta di approvazione rilasciata dal Vescovo nella cui Diocesi è sita la Casa Madre di una nuova congregazione, è sempre necessario che la S. Congregazione dei Religiosi dia il nulla-osta.

Nel nostro caso, si trattava appunto di avere il nulla-osta da Roma, perché l'Arcivescovo potesse dare il decreto con cui l'Istituto di Suor Elena veniva eretto a Congregazione di diritto diocesano, e quindi potesse ottenere il riconoscimento giuridico (ente morale), da parte dello Stato.

Don Franco ebbe occasione di conoscere il Card. Lavitrano, allora Prefetto della S. Congregazione dei Religiosi e lo pregò per la pratica riguardante l'Istituto delle Suore Minime. « Da alcuni anni S. Ecc. l'Arcivescovo ha portato personalmente a codesta S. Congregazione tutti i documenti necessari ».

S. Eminenza promise tanto benevolmente che si sarebbe interessato della cosa.

Alla distanza di due mesi, don Franco ebbe occasione di incontrare S. Eminenza e, accompagnandolo, di pregarlo ancora per l'Istituto delle Suore Minime.

Il Card. Lavitrano apparve meravigliato e dispiaciuto, perché nessuna risposta fosse stata data dalla S. Congregazione al riguardo. «Vada, a nome mio, da Mons. Sposetti.

Don Franco conobbe cosí Mons. Roberto Sposetti. L'accoglienza fu piú che benevola.

« Veda, ho qui sul tavolo, il Suo esposto, col biglietto di S. Em. il Card. Lavitrano.

« Ma qui in Congregazione non c'è niente altro. Ho fatto guardare in archivio ecc.; abbiamo perduto del tempo inutilmente ».

« Invece di stare lí incantato, si segga e scriva quali documenti sono necessari ». Finito di dettargli (e si trattava di ben 11 numeri), continuò: « Scriva alla Madre che prepari questi documenti e me li spedisca, - se crede - tramite la Curia... ».

E, difatti, dopo reiterate sollecitazioni, finalmente la Curia trasmise la maggior parte dei documenti, trattenendone (chi sa perché) due o tre. Questa volta, la S. Congregazione chiese d'ufficio i documenti indebitamente trattenuti e poté cosí procedere.

Le lettere intercorse per circa un anno tra le città dove don Franco insegnava, Roma e Cosenza, formerebbero da sole un bel documento, abbastanza istruttivo.

Ecco il testo del Decreto, inviato direttamente dalla S. Congregazione dei Religiosi alla M. Generale.

N. 207-46 C-139 Decreto.

« La Superiora con il suo consiglio generale delle Suore Terziarie Minime della Passione di N. S. G. C. della Diocesi di Cosenza espone alla Congregazione dei Religiosi, che il suo Istituto abbastanza sviluppato e diffuso in alcune diocesi lavora efficacemente per il bene della cristiana Società.

« L'Istituto oltre il fine generale della santificazione delle Suore con l'osservanza perfetta della vita comune e dei voti semplici di obbedienza, castità e povertà a norma dei S. Canoni e Costituzioni, ha il fine speciale di raccogliere in case adatte le bambine orfane ed abbandonate, perché siano educate cristianamente ed apprendano i lavori domestici fino a quando possano procacciarsi un onesto sostentamento.

« Poiché molto giova alla maggiore santificazione delle Suore ed all'incremento ed all'attività delle opere, alle quali le Suore sono preposte, se la S. Sede si benignasse di approvare il medesimo Istituto, l'oratrice lo domandò insistentemente, presentando speciali Costituzioni, e munita di lettere commendatizie dei vari Ordinari interessati.

« La Sacra Congregazione dei Religiosi avendo esaminato opportunamente ogni cosa e specialmente il consenso degli Ordinari diocesani, come si è detto sopra, ed il voto favorevole della Commissione dei Rev.mi consultori, con questo decreto, eleva l'Istituto delle Suore Minime della Passione di N. S. G. C. a Congregazione di diritto Pontificio, a norma della prassi, della S. Congregazione e delle Costituzioni, che vengono dichiarate dalla S. Congregazione, ed un esemplare delle stesse Costituzioni viene custodito nell'archivio della Sacra Congregazione, sempre restando fermi i diritti degli ordinari locali, nonostante qualunque cosa contraria.

« Dato a Roma, dalla Segreteria della S. Congregazione dei Religiosi il 2 gennaio 1948.

Luigi Cardinale Lavitrano-Prefetto F.L.E. Pasetto-Segretario ».

Suor Elena, a letto, ricevette la lieta comunicazione e in una visita occasionale fattale da S. E. gliela mostrò. « Ci è pervenuta questa bella notizia ». Le fu risposto che era una stupida: quel foglio di carta non aveva valore alcuno, finché non fosse intervenuto il riconoscimento canonico diocesano.

Nella relazione suddetta, leggiamo:

« A tale inaspettata notizia dell'approvazione Pontificia tutti rimasero commossi, tanto che lo stesso nostro Arcivescovo volle manifestare questa incontenibile commozione dell'animo suo con la seguente lettera:

« Cosenza 21 febbraio 1948 Alla molto Rev.da Suor Elena Aiello Superiora Generale delle Terziarie Minime della Passione di N.S.G.C.

Cosenza « Innalziamo fervidi ringraziamenti al Signore. « Con lettera in data 17 febbraio 1948, n. 207-46, la S. Congregazione dei Religiosi mi comunica il Decreto di approvazione delle Costituzioni e della Congregazione delle Terziarie Minime della Passione. Decreto che porta la data del 2 gennaio 1948, n. 207-46 C. 139.

« C'è dunque, davvero da ringraziare il Signore con tutto lo slancio dell'anima, per l'accoglimento delle mie reiterate istanze.

« Fin da quando venni a prendere il governo di questa Arcidiocesi, ebbi in animo il raggiungimento di questo scopo, perché vidi il grande bene che avrebbe potuto fare la Congregazione delle Terziarie Minime della Passione; e perciò fu mia costante premura perfezionarne la disciplina interna con l'opera di Direttori zelanti e di promuovere una formazione sempre piú completa, religiosa e culturale, delle Suore.

« Per rendere possibile l'approvazione, un'altra cosa si stimava indispensabile, cioè l'allargarsi dell'attività dell'Istituto: di qui il mio incoraggiamento ad aprire numerose case in Diocesi, incoraggiamento seguito con lodevole zelo dalle due Fondatrici, Suor Elena Aiello e Suor Gigia Mazza.

« Questa approvazione della S. Sede giunge anche come un meritato premio alla loro santa perseveranza in un'opera che non è stata senza difficoltà in un ventennio di assidue e premurose fatiche.

« Per tutte queste ragioni che io faccia la consegna del Decreto in una solenne funzione, con l'intervento di tutte le Suore delle diverse case, in giorno prossimo da stabilirsi; e che la funzione si chiuda con un Te Deum di ringraziamento a Dio, che ha riserbato a me e alla Congregazione delle Terziarie Minime della Passione, e particolarmente alla loro Madre Generale, una cosí eletta consolazione.

« Come auspicio di molte e grandi grazie dal Signore mando alla Madre Generale, alla Madre Vicaria e a tutte le Suore una mia particolare paterna benedizione.

L'Arcivescovo di Cosenza + Mons. Aniello Calcara ». L'istituto ottenne quindi il riconoscimento giuridico, con Decreto Presidenziale dell'8-7-1949, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 189, del 30 agosto 1949.

La « proclamazione », fatta, come abbiam visto, cosí solennemente per espresso volere di S. Ecc. l'Arcivescovo e da lui medesimo, dinanzi alle Autorità e a numerosi benefattori esultanti, poteva apparire una benefica conclusione definitiva delle passate incomprensioni, o, per lo meno, poteva lasciar sperare una diuturna tregua che, a poco a poco, avrebbe eliminato ogni malinteso.

Il riconoscimento della S. Sede sembrò invece suscitare un sentimento quasi di rivalsa: agire come se nulla fosse cambiato, e nulla fosse stato concesso da Roma.

Le stesse colonie estive che, iniziate - come vedremo - da Suor Elena nel 1946, raggiunsero ben presto un grande e fruttuoso sviluppo, causarono nel 1948 nuovi dispiaceri ed umiliazioni a Suor Elena.

Tali motivi indussero la S. Congregazione dei Religiosi, tramite l'interessamento di Mons. Sposetti (accuratamente edotto dalla M. Generale

e da Don Franco) a dare alla Congregazione delle Suore Minime un Assistente Pontificio. La scelta cadde sul rev.mo P. Giuseppe Manzo S. J.

La S. Congregazione in data 7-11-1949 lo « designa e stabilisce, date speciali circostanze, come Assistente Religioso di detto Istituto per quanto vorrà la S. Sede.

E' ufficio del Revmo Assistente ordinare principalmente le condizioni economiche dell'Istituto a norma dei SS. Canoni e delle Costituzioni col consiglio e con la vigilanza, prestare aiuto alla Superiora Generale e alle sue Consigliere negli affari di maggiore importanza e ogni anno riferire a questa S. Congregazione sulle condizioni dell'Istituto ».

Le « circostanze speciali », da noi accennate finora, appariranno sempre meglio nel seguito di questi appunti.

L'Assistente Pontificio era il portavoce ufficiale della S. Congregazione dei Religiosi. L'Istituto aveva d'ora innanzi la possibilità di portare a Roma i problemi sorti « in loco », le difficoltà opposte al suo sviluppo; ne abbiam visto qualche esempio per l'erezione di alcune Case.

La nomina dell'Assistente Pontificio portava, oltre al resto, un beneficio immediato e di non lieve entità: era la fine dei « direttori » nominati da S. Eccellenza.

Nel testo da noi trascritto, questi cosí ne parla:

« e perciò (visto, cioè, il gran bene che avrebbe potuto fare la Congregazione delle Suore Minime) fu mia costante premura perfezionare la disciplina interna con l'opera di Direttori zelanti... ».

Agl'inizi del 1941, S. Ecc. aveva nominato a tale incarico il P. Vincenzo Donnarumma, Superiore dei PP. Minimi a Cosenza. Il 28-12-1944, seguí la nomina del P. Francesco Saragò, che rimase a Cosenza fino al 1947. Quindi, ritornò nel medesimo incarico il P. Donnarumma, fino alla nomina dell'Assistente Pontificio.

L'azione del P. Saragò, religioso esemplare per pietà e dottrina, fu, sotto ogni aspetto, benefica per l'Istituto: oltre tutto, era un valido aiuto contro gli ostacoli esterni; consigliere esperto e sicuro per le difficoltà che si affacciano nella vita di ogni comunità.

L'Istituto, sotto la guida illuminata di Suor Elena, procedeva infatti spedito e regolare nel suo corso, irrobustendosi sempre piú e sviluppandosi sotto la visibile protezione della Provvidenza. Bastava non ostacolarne il cammino. E, al riguardo, il P. Saragò agí in sua difesa, pur nei limiti della sua posizione, senza « accezione di persone » e umilianti compromessi.

Il P. Donnarumma, invece, talvolta si lasciò intimidire; e, forse per debolezza di carattere, mosso da vedute di opportunità, recitò in molte occasioni la parte di Don Abbondio, finendo con l'avallare l'ingiustizia.

In particolare nei due anni 1947-49, arrivò a farsi il portavoce dei suggerimenti che miravano a scardinare l'Istituto, incominciando col minare l'autorità della M. Generale; come, ad es., quello di intestare i beni dell'Istituto a un altro ente'; e l'altro di invitare Suor Elena a mettersi da parte. E lavorò in tal senso, anche dopo l'approvazione della S. Sede: cercando di mettere qualche giovane suora inesperta in contrasto con la M. Generale.

Non c'è cosa che piú addolora, il vedere un estraneo entrare a far da padrone nella propria casa, apportandovi i semi della indisciplina, della discordia; costatare in chi avrebbe dovuto essere angelo tutelare del bene, lo strumento sia pure inconscio del turbamento.

In queste circostanze, rifulse l'energia, l'intelligenza, e principalmente la virtú di Suor Elena, che, pur molto soffrendone, seppe conservare la disciplina, il consueto affiatamento nella comunità, neutralizzando e superando l'azione disgregatrice del « direttore ».

La prova dimostrò inoltre la salda formazione religiosa e la bontà essenziale delle Suore, che attendevano con serietà al loro lavoro assiduo, nella Casa Madre, fedeli e devote alla loro Madre Generale; soffrendo anzi per le umiliazioni di cui essa era oggetto.

Finalmente anche questo tormento cessò. Il rev.mo P. Manzo prese contatto con Suor Elena, si rese conto della vita dell'Istituto, e ne fu entusiasta. Trovò nella Madre Generale una docilità che contrastava assolutamente con la « caparbietà » e la « disobbedienza » di cui parlava chi doveva trovare una giustificazione ai propri errori e ai propri arbitri.

Do come semplice saggio dei rapporti tra la Madre Generale e il P. Manzo le seguenti tre lettere.

« Rev.mo Assistente Pontificio P.G.M. Napoli

« Rev.mo Padre, ho ricevuto la Sua del 14 c. m. e La ringrazio di tutto il bene che fa per la nostra nascente Congregazione.

« La relazione del nostro Istituto era già pronta fin dall'ottobre u. s., ma le diverse e molteplici preoccupazioni per i fatti incresciosi di S. Sisto mi hanno fatto ritardare di inviarla alla P. V.

« Le copie legali degli atti di donazione o compera delle case sono accluse nella presente.

« A riguardo del Comm. Antonio Stigliano debbo dirle che ancora non si è concluso nulla a causa di non buone relazioni fatte dal D. M. di Montalto e dall'A. di Cosenza.

« Della casa di Castrolibero ho soltanto l'atto di compromesso dato che per mancanza dell'ultima quota di danaro (L. 300.000) non abbiamo potuto fare ancora l'atto di donazione. I proprietari di detta casa sono tanto bravi che le Suore non hanno da pagare nessun interesse per detta somma. La casa è di nostra proprietà. A Bucita poi stiamo ancora nella solita casa perché la famiglia Mazza non ha terminato il lavoro di divisione dell'eredità.

« I lavori di restauro della casa di Paola, grazie a Dio, incominceranno subito. Per il Convento di S. Chiara ho fatto tutte le pratiche presso

il Provveditore di Catanzaro per fare incominciare i lavori al piú presto.

« La casa di Marano non è di nostra proprietà, ma vi è l'amministrazione; vicino a detta casa vi è un pezzo di terreno di circa 5 tomolate che ne usufruiscono le Suore, hanno anche un mensile di 12.000.

« Le posso assicurare che le Suore vivono bene su tutti i punti di vista. Riguardo alla casa di Pietrapaola, 1'11 maggio vanno due Suore per preparare la casa per poi mandare quelle di Comunità. Il mensile delle Suore è di 5.000 per ciascuna.

« Per S. Mango d'Aquino prima di aprirla bisogna pensarci bene perché la casa non è idonea per una comunità di Suore.

« Il resoconto finanziario è dall'ottobre 1950

a quello 1951. Se poi V. P. lo vuole fino ad oggi, la prego di scrivermi di nuovo.

« Le accludo nella presente anche le relazioni di tutte le nostre case filiali.

« Non mancherò di continuare a pregare per la vostra paternità e che il buon Dio la faccia vivere per molti e molti anni ancora.

« Gradisca Rev.mo, i miei sentiti ossequi, anche da parte della Madre Vicaria e di tutte le Suore, bacio la mano chiedendo la S. Benedizione. Dev.ma in G. C.

Suor Elena Aiello Sup. Generale ». Ed ecco due lettere del P. Manzo.

Napoli, 5-5-52 «Rev.ma M. Generale, ho ricevuto il plico raccomandato ed assicurato insieme con la Vostra lettera, che conteneva le dovute spiegazioni.

Vi ringrazio e mi congratulo del molto bene che fanno le vostre Suore in tutte le case del vostro Istituto.

Vi prego di mandarmi, con sollecitudine, l'elenco delle case, nelle quali vi è l'Orfanotrofio e il numero delle orfanelle di ciascun Orfanotrofio.

Raccomandatemi al Signore.

Tanti saluti anche alla Madre Vicaria. Insieme con Lei vi benedico, con tutto il cuore Padre Giuseppe Manzo Assistente Pontificio »

Napoli, 8-3-52 «Rev.ma Madre, Rispondo, con alquanto ritardo, alla Vostra del 27 dello scorso mese, perché sono stato sempre in giro a Roma per il mio ufficio di Visitatore Apostolico.

Sono contento che il Padre Pasquale De Florio dei Liguorini abbia dato gli esercizi alle Novizie che dovevano essere ammesse alla Professione.

Ho ricevuto la bella immaginetta-ricordo delle nuove nove professe. Nel ringraziarle, mi congratulo con esse che hanno ascoltato la voce dello Sposo Divino che le invitava e si sono consacrate completamente a Lui, e auguro loro di essere spose fedeli di Gesú fino alla morte.

Mi congratulo poi vivamente con Voi per l'apertura della prima casa fuori Diocesi a Pentone. E' un notevole progresso fatto dalla Vostra Congregazione. Sia ringraziato il Signore.

Non trovo difficoltà che mandiate le Suore prima a S. Mango d'Aquino e poi in seguito a Rossano.

Per la metà dell'entrante settimana (nella prima metà sarò fuori di Napoli) fatemi sapere se avete avuto il permesso scritto dall'Arcivescovo di aprire la casa a S. Sisto, essendo trascorsi dal 27 del mese scorso parecchi giorni. Coraggio e fiducia nel Signore. Le Opere di Dio sono sempre le piú combattute.

Pregate per me che vi benedico, con tutto il cuore.

P. Giuseppe Manzo Ass. Pontificio ».

In quello stesso anno, al re.mo P. Manzo, cui l'età incominciava a rendere penoso lo spostarsi per l'Italia e l'attendere ai diversi incarichi, successe come Assistente Pontificio, il rev.mo P. Bonaventura.

Il documento relativo, trasmesso alla M. Generale, è di tale tenore:

« Sacra Congregazione dei Religiosi N. 721-49

« La Sacra Congregazione dei Religiosi tenendo conto della particolare situazione in cui si trova la Congregazione delle Suore Minime della Passione, la di cui Casa Madre è nella Città di Cosenza, ha decretato di stabilire,

come con questo decreto stabilisce, il Rev.mo Padre Bonaventura da Pavullo, Assistente Religioso del medesimo Istituto con la facoltà annessa a codesto Ufficio.

Pertanto spetterà all'Assistente Religioso, con opportuno Consiglio e diligente cura assistere e dirigere il Governo Generale, nella direzione della Congregazione. Se ocorresse però qualche negozio di maggior momento non sarà nella potestà dell'Assistente Religioso provvedervi, ma si dovrà ricorrere a questa S. Congregazione. Non ostante qualsiasi cosa in contrario dato da Roma il 30-9-1952.

P. Arc. Larraona Segretario ».

Al P. Bonaventura è toccato di continuare nell'incarico suddetto. Quali siano i sentimenti del suo animo verso Suor Elena e la sua Opera è indicato abbastanza dalla lettera inviata alle Suore in occasione della morte della loro fondatrice, madre e superiora, e da noi riportata all'inizio.

Nella relazione al 1° capitolo generalizio in modo abbastanza conciso e pur tanto significativo, subito dopo aver riferito la lettera circa « l'approvazione della S. Sede, è detto:

« Essendo sorta, in seguito, fra 1'Ecc.mo Arcivescovo di Cosenza ed il Consiglio Superiore dell'Istituto, disparità di giudizio sul valore giuridico del su citato decreto, affermando da un lato Sua Ecc. Revma che con quello la Congregazione delle Suore Minime della Passione non veniva riconosciuta di diritto diocesano; mentre il contrario ritenendo il Consiglio Generalizio, che non solo veniva con quel decreto la Congregazione costituita di diritto diocesano; ma addirittura di diritto pontificio, o quasi, la S. Congregazione dei Religiosi invitata ad esprimersi in merito, con suo venerato documento dell'8 giugno 1956 N. 721/49/C. 139 inviato all'Ecc.mo Arcivescovo con l'incarico di darne poi comunicazione alla Rev.ma Madre Generale, derimeva il dubbio cosí:

1) L'Istituto delle Suore Minime della Passione è certamente Congregazione Religiosa di diritto diocesano a norma del Can. 488, n. 3. La concessione, infatti, del Pro-Decreto, non ha solo un aspetto meramente civile, ma implica un'appositio manum Sanctae Sedis che supera anzi gli estremi richiesti dal Can. 492.

2) Manca tuttavia il " decreto di lode ".

3) Qualora non sia stato fatto, venga convocato il Capitolo Generale a norma delle Costituzioni e del Diritto Canonico ».

D'altra parte, bastava la presenza dell'Assistente Pontificio a dimostrare che qualcosa senz'altro era intervenuto di nuovo col pro-decreto della S. Congregazione.

La Provvidenza disponeva che, non ostante tutto, l'avversità continuasse. Certo chi ne risentiva, giorno per giorno, i duri contraccolpi era principalmente e quasi esclusivamente Suor Elena. Una pausa si aveva soltanto nei brevi periodi di permanenza di don F. a Cosenza, tre o quattro volte durante l'anno.

Quindi, ogni occasione era buona per sminuire l'Istituto delle Suore Minime e la sua fondatrice. In particolare si insisteva nel trattarle come « foglie in balia del vento », denegando ogni valore al riconoscimento ottenuto. E' l'assunto, epresso irosamente - come abbiam riferito - alla prima lettura del suddetto decreto.

La M. Generale, ormai da tempo costretta quasi sempre a letto, ne soffriva immensamente; ma ergendosi in difesa delle sue figlie, ribatteva con energia l'assurda e continua campagna denigratrice. Già parecchie volte, ragguagliandone Don Franco aveva espresso di recarsi a Roma, per far presente (se fosse stato possibile) a Sua Santità l'incresciosa situazione. Si decise, infine, nell'ottobre 1953.

Prese alloggio, per qualche giorno, presso le Sig.ne Di Marco (Via Gallia). Lí don Franco condusse per visitarla, il prof. Giacomo Giangrasso;

il gonfiarsi degli arti, fino al ginocchio, in maniera cosí preoccupante, poteva far pensare a qualche frattura o, comunque, a qualche causa che doveva eventualmente essere definita e tolta. Il prof. Giangrasso la volle ricoverare presso la Clinica « Salvator Mundi n, dove si sarebbe proceduto con ogni comodità alle varie analisi, all'esame radiologico.

Suor Elena rimase in quella clinica dal 28 ottobre al 9 novembre.

Non fu riscontrato nulla di patologico; il gonfiamento e le sofferenze agli arti erano causate dai fori dei piedi. Niente da fare.

Eppure Elena non poteva reggersi in piedi, senza essere aiutata.

Appena in Clinica, Suor Elena che pensava soltanto al modo di allontanare la nebbia che aduggiava pesantemente la sua giovane congregazione, ripeté a don Franco, questa volta, a viva voce la sua determinazione di esporre umilmente, di far pervenire a Sua Santità la scarna descrizione dei fatti.

A tale scopo, ella aveva portato con sé la necessaria documentazione.

Il sacerdote, dopo avere attentamente considerato ed essersi consigliato da persona piú che prudente ed autorevole, si recò in Segreteria di Stato, facendo presente il desiderio, la preghiera dell'umile Suora.

L'illimitata fiducia di Suor Elena nella Sede Apostolica ricevette in quell'occasione un vero premio. S. Ecc. Montini (il Sommo Pontefice Paolo VI) allora Pro-Segretario di Stato di Sua Santità, andò personalmente a sentire questa figlia di S. Francesco di Paola, venuta dalla Calabria, non per cercare un rimedio (che ben sapeva inesistente) alle sue sofferenze fisiche, ma per invocare protezione e difesa per le sue Figlie, per la sua Opera, e perché fosse rispettato il decreto della S. Congregazione dei Religiosi.

S. Ecc. Montini s'intrattenne per piú di venti minuti, ascoltando attentamente Suor Elena che, dal suo letto, espose col cuore sulle labbra, l'incresciosa (e quasi incredibile) situazione perdurante ormai da anni, nei rapporti con S. E.

Non è facile descrivere, illustrare, la forza di quel linguaggio, di quella eloquenza spontanea, mentre l'anima limpida e ardente scintillava in quelle pupille che davano l'impressione di penetrare e di leggere nel vostro interno.

S. E. Montini si rese subito conto delle ragioni della Suora e le promise che la sua preghiera sarebbe stata esaudita. Sua Santità ne sarebbe stato edotto.

Chiese infine che gli fosse rimessa la relativa documentazione. « Non ha nessuno, qui, a Roma, cui affidarla? ». « C'è il prof... » rispose subito Suor Elena ». E cosí don Franco, dopo alcuni giorni, consegnò bene ordinata, in nove punti ben distinti, la documentazione a sua disposizione, accompagnandola con una lettera (Roma 15 nov. 1953).

In essa faceva presente che la stessa documentazione era stata già presentata alla S. Congregazione dei Religiosi dal Rev.mo P. Giuseppe Manzo S. J., il quale, per incarico del medesimo Sacro Dicastero aveva scrupolosamente esaminato sul posto i fatti, specie quelli riguardanti i casi di S. Fili e di S. Sisto.

Che egli stesso, interessato dalla Superiora Generale e dal P. Manzo, aveva interposto la sua modestissima opera presso l'Arcivescovo di Cosenza, Mons. Baldelli, e le Sacre Congregazioni dei Religiosi, Concistoriale e dei Seminari, nell'intento di vedere dissipati difficoltà e fraintesi per il bene dell'Istituto che tanto amore riscuote presso la popolazione, specialmente piú bisognosa, di Cosenza.

E concludeva: « La Madre Aiello, per il mio sommesso tramite, rinnova alla benevola comprensione della Eccellenza Vostra la piú viva gratitudine che per sempre Le serberà davanti a Dio, mentre confida ch'Ella, con il Suo autorevolissimo intervento, riuscirà a sollevare la Famiglia religiosa delle Minime della Passione dal grave disagio nel quale da anni si trova ».

Da una lettera, inviata da Suor Elena a S. Ecc. Montini, copia della quale ella come di consueto trasmette al P. Assistente, risulta ancora la benevolenza dimostrata da S. Eccellenza.

Ecco il testo della lettera: « Cosenza 9.6.1954

A Sua Ecc.,za Giovanni Battista Montini Segreteria di Stato

Città del Vaticano Eccellenza Rev.ma, ho ricevuto la Sua pregiatissima del 2 c.m. n. 324445 con il ricambio degli Auguri Pasquali e La ringrazio delle Sue pastorali e confortanti espressioni che animano il nostro spirito a sostenere, con forza e fiducia in Dio, quanto Egli dispone nello svolgimento delle Sue Opere, per la nostra santificazione.

Con venerazione bacio la Sacra Destra ecc ». Superando l'opposizione di alcuni (dello stesso Mons. Sposetti che avrebbe voluto non si facesse nulla), dopo qualche mese, la S. Congregazione dei Religiosi rimise la faccenda al P. Bonaventura, deputandolo come visitatore a « mettere pace » tra S. E. e l'Istituto.

In una lettera del 30 gennaio 1954, la Madre Generale informava don Franco: « Il P. Bonaventura, quando ha parlato con S.E. 1'A. l'ha trovato molto aspro, quindi si vede chiaro che Mons. Sposetti lo aveva informato di tutto...; ha ripetuto le stesse frasi, cioè: noi non siamo ancora riconosciute e .che siamo sotto la sua dipendenza; che se noi vogliamo aprire altre case fuori (Diocesi), abbiamo bisogno del suo permesso, anche se si tratta della casa di Roma ».

Il P. Bonaventura doveva frenare l'impazienza e lo slancio di don Franco e procedere secondo le direttive donategli. Agí rettamente, secondo coscienza, e nel 1956 si ebbe la risoluzione della S. Congregazione dei Religiosi, da noi sopra trascritta.

Di essa, S. E. dovette dare comunicazione alla M. Generale: l'Istituto delle Suore Minime col Pro-Decreto del 1948 era senz'altro piú di una semplice congregazione di diritto diocesano. La Diocesi era stata superata dall'intervento della S. Sede.

S. E., tuttavia, continuerà, sia pure in tono minore e ad intervalli sempre piú lunghi, a parlare dell'approvazione che egli avrebbe dovuto ancora dare. Lo fece (e per l'ultima volta, ché dopo una settimana circa, si spense) mentre il feretro di Suor Elena era appena arrivato da Roma nella Cappella della Casa Madre e la comunità era come smarrita per la perdita della sua grande Fondatrice. Dopo aver chiesto con una certa irritazione, come si era ottenuto il seppellimento, lí nella Cappella, si rivolse alla M. Vicaria, aggiungendo: « Ora che Suor Elena è morta, l'Istituto è alle mie dipendenze » e accennò alla nomina di un direttore!

Le Suore, da questi pochi saggi, avranno conferma o apprenderanno come la loro congregazione sia venuta su qual tenero virgulto tra le spine, seguendo il cammino che la Provvidenza ha tracciato nel suo stesso Figliolo a tutte le anime elette, a tutte le opere di bene: la via regia della santa croce.
Vicende storiche - Una giornata nella casa madre

Ritorniamo a fissare lo sguardo su Elena Aiello, a seguirne l'attività, la vita.

La storia di un'anima, come la storia spirituale di un popolo, è cosí intima che è difficile a raccontarsi, e la sua parte migliore è scritta dagli Angeli nel Libro di Dio. E i nostri sono appena dei cenni.

La narrazione ci ha portato oltre; ma fra tante altre, c'è qualcosa che piace rievocare.

Dal 1.8.1936 al 24.3.1939, proprio al tempo del passaggio all'attuale Casa Madre, fu prefetto di Cosenza, il dr. Guido Palmardita. Una sua figliola, Vera, dal nov. 1936 e per i pochi mesi (nel luglio 1937 morí a Roma) della sua permanenza a Cosenza, fu sempre vicina a Suor Elena.

L'è che fin dai suoi primi contatti la giovane eletta fu conquisa dalla semplicità, dalla virtú, dall'opera di Suor Elena: e col padre, ne decantava le virtú e lo spirito di abnegazione: « Si era immedesimata dell'ansia, delle preoccupazioni della Suora, per il trasferimento dell'opera nascente in locali piú adatti; e insisteva: la protezione, l'aiuto a Suor Elena, lo desidera Gesú per la salvezza di tante creature derelitte; Suor Elena ha la passione, l'ardore, l'entusiasmo per esse ed ascolta la voce del Signore. Qualunque cosa si faccia è sempre poco... ».

E' questo un appunto, datomi gentilmente da S. Ecc. Palmardita, attualmente dimorante a Roma. Nel diario di Vera (nov. 1936) leggiamo: « Io non so, darei tutto ai poveri, specialmente i bimbi mi fanno tanta pena...

« Oggi sono stata dalla Monaca Santa; veramente Santa è Suor Elena o meglio la sua opera. Care quelle bimbe, quanto sento di amarle! E dire che alle volte mancano di pane, mentre c'è chi ne ha troppo. Signore, pietà, pietà di loro e provvidenza per quelle piccole abbandonate, che non conoscono il sorriso della mamma. Darei tutto per esse!».

« Dopo la scomparsa di Vera, tutti noi - continua l'appunto - fummo piú vicini a Suor Elena. Eravamo edificati dall'ardenza del suo cuore. Essa fu l'unico conforto per la desolata mamma di Vera ».

E quale conforto! « Fui personalmente in due venerdí del marzo 1938, con il Questore, il maggiore dei Carabinieri e il Prof. Santoro ai fenomeni straordinari: le doloranti ferite delle mani, dei piedi, del costato, il sudore sanguigno, le visioni e la trasformazione immediata alla fine, con la scomparsa del sangue, sul volto luminoso e raggiante ».

Riporto dalle brevi note conservate da S. Ecc. Palmardita, alcune frasi di Suor Elena, durante il fenomeno: « Cosenza, 24 marzo 1938 « Ah! se mamma mettesse le sue lacrime nel costato e nel cuore di Gesú! » (Suor Elena ripete a voce alta, quanto Vera che le appare beata, le riferisce).

« Il Cuore di Gesú - Gemma Galgani e Vera con in mano due gigli. Vera mi si avvicina, mandata da Dio per aiutarmi a sopportare tante sofferenze, perché altrimenti ne morirei.

« Maria Maddalena ai piedi della Croce; Marta, gli Angeli raccolgono le gocce di sangue ».

« 15 aprile 1938. Vuoi entrare con me nel Getsemani? Devi soffrire per i peccatori... Il peccato d'impurità ha reso l'uomo abominevole... Beati mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt.

« Gli Angeli s'appressano a Gesú e tendono le mani per togliere il sangue aggrumato dai suoi occhi.

« Per essere perfetta (è Vera che le parla), devi attraversare il deserto, prima di giungere alla terra promessa. Euge, euge. Coraggio: ogni dolore è una fiamma che trafigge: ma il Signore - un giorno ti farà risorgere alla gloria divina.

« Gesú dice: Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno.

« Guarda le orecchie intrise di sangue, peste dagli schiaffi, lacerate dalle spine. E le anime sono sorde, ostinate alla voce della grazia.

« I soldati bestemmiano; nella destra, il buon ladrone: " Ricordati di me quando sarai nel tuo regno

« Gesú è morto. Giuseppe, Marta, Maddalena, Nicodemo preparano il lenzuolo per avvolgere Gesú ».

« Il soldato dalla parte destra ferisce il cuore di Gesú ».

« Gesú è deposto dalla Croce: gli Angeli a mille a mille, sopravolano dalla Croce ed accompagnano Gesú ».

« Gesú è nelle braccia di Maria; Marta lo sorregge, Maddalena ai piedi; gli Angeli raccolgono il sangue. Bisogna soffrire per i peccati degli uomini; è l'impurità che trafigge il cuore di Gesú ». « Un campo di soldati. L'Italia attraversa un periodo terribile, ma sarà salva, perché vi è la Sede del Vicario di Cristo. Oh! l'Inghilterra firma il contratto con l'Italia, ma non è sincera... ».

« Devi soffrire non solo per i peccatori, ma per la civiltà d'Italia ».

Alle ore 5 del mattino del giorno 17 Aprile 1938: sabato santo; Gesú risorto appare ad Elena dicendole: « Sorgi e combatti ».

Nel trigesimo della morte di Vera, Suor Elena cosí scriveva ai genitori:

« Grazie della bellissima figurina, che costituisce il mio, il nostro migliore e gradito ricordo della indimenticabile Vera.

« La sua nobile figura, il suo sorriso di bontà e di purezza, la sua anima elettissima vive e vivrà nel ricordo che non muore di tutti coloro che ebbero la fortuna, come noi, di conoscerla ed amarla.

« Ella, sempre prima in tutte le manifestazioni di carità, era l'angelo consolatore delle mie piccole abbandonate, per le quali aveva sempre la parola buona e confortatrice, ed alle quali insegnava ad amare e benedire la vita...

« Non ci sembra vero che Ella non sia piú fra noi... la vediamo ogni ora, ci intratteniamo con lei, a lei esponiamo i nostri bisogni, a lei rivolgiamo la nostra diuturna e fervida preghiera... « Nel trigesimo della sua scomparsa abbiamo fatto celebrare la Messa nella nostra Cappella, sul catafalco le bambine hanno deposto i piú bei fiori del nostro giardino, quei fiori che Ella tanto amava...

Cosenza, Luglio 1937-XV ». S. Ecc. Palmardita a proprie spese curò l'erezione dell'asilo interno, nella Casa Madre, che fu intestato a Vera.

In una lettera, la Madre Generale ricorda quel periodo di tempo (con S. Ecc. Nogara e il prefetto Palmardita) come davvero fausto per la sua opera.

« Cosenza 28.6.1947. Eccellenza, di ritorno da Roma, sento il dovere d'inviarLe i miei ringraziamenti per tutte le premure usatemi. Abbiamo parlato di loro a tutta la comunità e tutte l'aspettano con ansia qui a Cosenza.

« Speriamo che questa venuta si verifichi al piú presto e la loro presenza apporti al mio Istituto un raggio del primitivo benessere.

« Gradisca i miei ossequi estensibili alla Signora e alle gentili Signorine ».

S. Ecc. Palmardita parlò di Suor Elena a Mussolini, che se ne interessò vivamente e mandò anche un sensibile aiuto alla Casa di Cosenza. E' questo un precedente che spiega la perplessità creata nel Duce dalla missiva che Suor Elena gli fece pervenire alla vigilia della grande ultima guerra.

Tale lettera fu pubblicata il 19 marzo 1956 dal « Giornale d'Italia ».

Don Franco la lesse a Roma, quando per il 2 maggio Suor Elena, venuta per la canonizzazione di Gemma Galgani, la portò per consegnarla alla sorella del Duce, la buona, modestissima e tanto affettuosa signora Edvige.

« Cosenza 23 Aprile 1940 Al Capo del Governo Benito Mussolini Duce,

vengo a Voi in nome di Dio per dirvi ciò che il Signore mi ha rivelato e che vuole da voi. Io non volevo scrivere, ma ieri, 22, il Signore mi è apparso di nuovo imponendomi di farvi sapere quanto segue:

« Il mondo è in rovina per i molti peccati e particolarmente per i peccati d'impurità che sono arrivati al colmo dinanzi alla Giustizia del mio Padre Celeste. Perciò tu dovrai soffrire ed essere vittima espiatrice per il mondo e particolarmente per l'Italia, dove è la sede del mio Vicario. Il mio Regno è regno di pace, il mondo invece è tutto in guerra.

« I Governatori dei popoli sono agitati per acquistare nuovi territori. Poveri ciechi!... Non sanno che dove non c'è Dio non vi può essere alcuna vera conquista! Nel loro cuore non vi è che malvagità e non fanno che oltraggiarmi, deridermi, disprezzarmi! Sono demoni di discordia, sovvertitori dei popoli e cercano di travolgere nel terribile flagello anche l'Italia, dove sta Dio in mezzo a tante anime e la sede del mio Vicario, Pastor Angelicus.

« La Francia, tanto cara al mio cuore, per i suoi molti peccati, presto cadrà in rovina e sarà travolta e devastata come Gerusalemme ingrata.

« All'Italia, perché sede del mio Vicario, ho mandato Benito Mussolini, per salvarla dall'abisso verso il quale si era avviata, altrimenti sarebbe arrivata in condizioni peggiori della Russia. In tanti pericoli l'ho sempre salvato; adesso deve mantenere l'Italia fuori della guerra, perché l'Italia è civile ed è la sede del mio Vicario in terra.

« Se farà questo avrà favori straordinari e farò inchinare ogni altra Nazione al suo cospetto. Egli invece ha deciso di dichiarare la guerra, ma sappia che se non la impedirà, sarà punito dalla mia Giustizia! ».

« Tutto questo mi ha detto il Signore. Non crediate, o Duce, che io mi occupi di politica. Io sono una povera Suora dedicata all'educazione di Piccole abbandonate e prego tanto per la vostra salvezza e per la salvezza della nostra Patria.

Con sincera stima dev.ma Suor Elena Aiello ».

La lettera fu consegnata alla sorella del Duce, D. Edvige, il 6 maggio 1940; ed ella la consegnò a Mussolini qualche giorno dopo.

Un'eco di essa la riscontriamo nella seguente inviata a D. Edvige.

« Montalto Uff. 15 Maggio 1943 « Gent.ma Donna Edvige,

questo mio lungo silenzio vi avrà fatto forse pensare che io mi sia dimenticata di voi, mentre invece io mi ricordo tutti i giorni, nelle mie povere preghiere, seguendo sempre le dolorose vicende della nostra bella Italia.

« Noi ci troviamo fuori Cosenza, a causa dei bombardamenti. La barbarie nemica ha sfogato il suo odio, sganciando bombe sulla città di Cosenza, causando devastazione, dolore e morte fra la popolazione civile.

« Io mi trovavo a letto con le sofferenze: tre bombe sono cadute vicino al nostro Istituto, ma il Signore ci ha salvato nella sua infinita bontà e misericordia. Per tenere lontane le bambine dal pericolo di nuove incursioni, ci siamo rifugiate a Montalto Uffugo, mio paese natio, dove ci troviamo certamente a disagio, ma tutto offriamo al Signore per la salvezza dell'Italia.

« La ragione di questo mio scritto è per rivolgermi nuovamente a voi, come nel mese di maggio del 1940, quando venni a Roma presentata dalla Baronessa Ruggi, per consegnarvi in inscritto le rivelazioni avute dal Signore riguardo al Duce. Ricordate quando il 6 maggio del 1940 dicevamo che il Duce aveva deciso di fare la guerra, mentre il Signore gli faceva sapere nella mia lettera che doveva salvare l'Italia dalla guerra altrimenti sarebbe stato punito dalla Sua divina Giustizia? " In tanti pericoli - diceva Gesú - l'ho sempre salvato; anche lui, adesso, deve salvare l'Italia dal flagello della guerra, perché vi è la sede del mio Vicario. Se farà questo gli darò favori straordinari e farò inchinare ogni altra Nazione al suo cospetto; invece lui ha deciso di fare la guerra, ma sappia che se non la impedisce, sarà punito dalla mia Giustizia ".

« Ah!... se il Duce avesse dato ascolto alle parole di Gesú, l'Italia non si sarebbe trovata ora in cosí triste condizione!...

« Io penso che il cuore del Duce sarà molto rattristato nel vedere l'Italia, da un giardino fiorito, trasformato in un campo deserto, seminato di dolore e di morte. Ma perché continuare questa guerra terribilmente crudele, se Gesú ha detto che per nessuno vi sarà vera vittoria? Perciò, Cara Donna Edvige, dite al Duce, a nome mio, che questo è l'ultimo avviso che il Signore gli manda. Potrà ancora salvarsi mettendo tutto nelle mani del Santo Padre. Se non farà questo - diceva il Signore - presto scenderà su di lui la Giustizia Divina. Anche gli altri Governatori che non ascolteranno gli avvisi e le direttive del mio Vicario saranno raggiunti e puniti dalla mia Giustizia. Vi ricordate il 7 luglio dell'anno scorso quando mi dicevate che cosa ne sarebbe stato del Duce ed io vi risposi che se non si fosse mantenuto unito al Papa sarebbe finito peggio di Napoleone? Ora vi ripeto le stesse parole: Se il Duce non salverà l'Italia rimettendosi a quanto dirà e farà il Santo Padre, presto cadrà; anche Bruno dal cielo chiede al padre la salvezza dell'Italia e di lui stesso.

« Il Signore dice spesso che l'Italia sarà salva per il Papa, vittima espiatrice di questo flagello, perciò non vi sarà altra via per la vera pace e per la salvezza dei popoli, fuori di quella che traccerà il Santo Padre.

« Cara Donna Edvige, riflettete bene come tutto ciò che ha detto il Signore si sia perfettamente avverato.

« Chi è che ha causato tanta rovina all'Italia? Non è stato forse il Duce per non avere ascoltato le parole di nostro Signore Gesú Cristo?

« Ora potrà ancora rimediare facendo quanto vuole il Signore.

Io non mancherò di pregare ».

Riflessi di questa corrispondenza con la signora Edvige, riscontriamo nella seguente lettera, che non ha bisogno di commenti:

«  Rev.ma Suor Elena Aiello

Superiora dell'Istituto S. Teresa del B. Gesú Cosenza « Rev.ma Madre,

sono passati sette anni dal giorno in cui ebbi l'onore e la gioia di essere da lei ricevuta nel Convento, Suore di Malta, Via Iberia - Roma. Da quel giorno non ho mai dimenticato quell'ora santa che passai in Sua compagnia. Le chiesi una grazia che poi ottenni: come avrei potuto dimenticare un incontro con una Santa?

«Non so dirLe, Rev.ma Madre, quante volte nel mio grande strazio di madre e di sorella abbia pensato a Lei e alle Sue parole profetiche che mi scrisse ai primi tempi della guerra. Nell'aprile del 1945 oltre che alla perdita di mio fratello ebbi quella di mio figlio Giuseppe ventunenne e del marito della mia prima figlia i quali furono tutti assassinati al nord d'Italia nello stesso giorno.

«Rev.ma Madre come io abbia potuto sopravvivere a tanto dolore non lo so, lo saprà il buon Dio dal momento che mi tiene in vita. Come non bastasse tutto questo, la mia vita è un continuo susseguirsi di guai e di preoccupazioni, ora è la volta di una mia figlia ammalata di nome Maria Teresa madre di due bambini, la quale oltre ad essere ammalata si trova in condizioni finanziarie poco buone.

Suo marito dovrebbe vincere una causa che gli potrebbe fruttare da vivere discretamente, ma se non ci sarà l'aiuto del nostro Signore e dei Santi sarà difficile gli sia resa giustizia.

« Ho pure mio figlio Paolo l'unico maschio rimastomi, che nella seconda quindicina di ottobre dovrebbe sostenere gli ultimi due esami per poi laurearsi. Questo mio figlio è stato sei anni fuori corso per i grandi patimenti e sofferenze avute durante e dopo la guerra, quindi anche lo studio ora gli riesce piú faticoso.

«Rev.ma Madre, nelle condizioni in cui si trovano questi miei poveri figli tanto bisognosi di aiuto, mi rivolgo a Lei a mani giunte supplicandola di spandere su di essi le sue grazie e le sue benedizioni. Fiduciosa di essere esaudita Le invio devoti saluti unitamente alle sue Consorelle e con un abbraccio nel Signore mi creda sempre la sua aff.ma Edvige Mancini Mussolini Roma, Anno Santo 1950 ».

Durante il periodo della guerra, le bambine della Casa Madre ebbero sempre per la bontà della famiglia Leonetti, il pane di buona farina. Non lieve fu il disagio del loro trasferimento a Montalto Uffugo, come gravi furono i danni materiali causati dal bombardamento.

Delle 16 macchine, da calze, da cucito, da maglieria ecc., buona parte andarono distrutte, il resto rese inservibili; banchi, scrivanie, lavagne, tavoli, sedie... tutto da rifare.

Nell'esposto presentato alla Intendenza di Finanza, dopo l'elenco dei danni subiti, era detto: « Si tratta di uno dei piú antichi laboratori per l'insegnamento tecnico della Provincia di Cosenza, che ha fatto delle mostre e vinto concorsi.

Per mancanza di mezzi ora non può funzionare, mancando tutta l'attrezzatura necessaria.

« La sottoscritta (Suor Elena) fa presente che in detti laboratori vengono educate piccole abbandonate, figlie di reduci e di disoccupati, con corsi gratuiti e temporanei, organizzati dal Consorzio Provinciale per l'istruzione tecnica a favore delle categorie assistibili... ». Ricorda le altre attività: scuole elementari, refettori scolastici, asili infantili e le altre opere di carità.

La ricostruzione fu lenta, e le offerte dei buoni, anche questa volta, dettero il maggiore apporto. Il mutamento avvenuto nella direzione della cosa pubblica, non contribuí certo ad alleviare il disagio: e l'atteggiamento dell'autorità ecclesiastica verso l'Istituto di Suor Elena ebbe i suoi riflessi negativi nella stessa Prefettura.

Suor Elena, inoltre, il 28 agosto 1943, mentre attraversava, in una pubblica carrozza, il Corso Mazzini a Cosenza, veniva sbattuta a terra, dopo aver posto in salvo la bimba che aveva accanto; riportò la frattura del malleolo tibiale sinistro, del coccige, e altre ferite lacero-contuse.

Da allora, fu costretta a passare la maggior parte della giornata nella sua stanzetta, per lo piú a letto o su una poltrona, con la schiena sorretta da due cuscini. Era una sofferenza per lei il muoversi, mal reggendosi in piedi.

E dalla sua stanzetta o dalla loggia della quasi attigua grande sala, ella conduceva la sua grande battaglia in difesa dell'opera affidatale dalla Provvidenza.

Don Franco ricorda l'attività della M. Generale in quella stanzetta, nei mesi estivi, talvolta costretta per lunghi periodi a pigliare soltanto un pezzetto di ghiaccio, perché lo stomaco non sopportava nient'altro.

Attività che andava di continuo aumentando con l'affermarsi, con lo svilupparsi della Congregazione.

La Madre, al mattino, appena riassettata la stanza, aspettava che il sacerdote celebrante in Cappella le portasse la S. Comunione. Ella non poteva piú scendere in Cappella, se non eccezionalmente e con grande fatica. Solo in poche ricorrenze si otteneva il permesso di far celebrare la S. Messa o nella stanzetta della Madre, su un altare portatile o in una stanza accanto adibita a cappella.

Quindi, dava le eventuali direttive alle Suore per la giornata; anche le novizie, condotte dalla Madre Maestra, dopo la meditazione e la celebrazione della S. Messa, salivano a ricevere dalla Madre la benedizione, accompagnata non di rado con moniti e direttive particolari.

L'arrivo della posta, con la messa a punto della corrispondenza da evadere, impegnava la Madre, che dava le linee della risposta e talvolta la dettava alla Suora addetta. Oltre alle pratiche dell'Istituto, oltre ai problemi delle altre case, erano lettere di benefattori, di ignoti, che da ogni parte d'Italia e dall'America Settentrionale, si rivolgevano a Suor Elena nelle loro sofferenze, chiedendole con viva fede che pregasse per loro, per i loro cari; lettere di anime angustiate che chiedevano consiglio e si raccomandavano alla sua intercessione.

Il vivo senso di gratitudine di Suor Elena verso i benefattori dell'opera, si manifesta nella parte cosí toccante che ella prendeva ai loro lutti; le lettere inviate in tali occasioni sono tra le piú belle: si sente la genuina e ardente carità della grande anima che le dettava.

Trascrivo, come esempio, la lettera inviata a don Franco, un po' dopo la morte della mamma: « Cosenza, 9.11.1954. Rev.mo Professore,

rispondo con un po' di ritardo alla Vostra lettera perché per mezzo della Signorina Anna sapevo ch'eravate andato a Salerno. Sia noi che quelli di casa siamo state molto preoccupate per la vostra andata a Salerno.

« Domenica scorsa sono venuti la Signorina Anna, Don Peppino e Gigino il quale è ancora inconsolabile per la dipartita della nonna: benché molto sofferente, la sua presenza era sempre un insostituibile conforto d'affetto per tutte le vicende familiari.

« Per noi poi, che abbiamo avuto la fortuna di conoscere il suo animo ricolmo di affettuosa bontà e di assisterla fino all'ultimo punto della sua vita è stata piú profonda e piú sentita la pena del distacco. Però la sua anima, purificata ed arricchita di meriti preziosi, sia per le opere di bene sempre perseguite nella sua vita terrena, sia per la rassegnazione cristiana nella sua lunga sofferenza, è già nel gaudio di Dio e di là vi guarda e vi protegge e con la sua efficace preghiera, continuerà a guidarvi per la via del bene di cui vi ha lasciato luminosi esempi.

« La visione della sua gloria e della eterna felicità raggiunta, deve lenire il vostro dolore e sollevando i vostri affetti alla purezza del suo amore vi deve far partecipi della sua felicità, poiché di là vi ama e vi protegge piú di quanto fece sulla terra.

« Il nostro ricordo nelle preghiere sarà quotidiano ed immancabile, sicure che la sua protezione sarà per tutti e in modo particolare per Voi e per la nostra opera una garanzia di prosperità e di bene.

Con distinti saluti assieme alla Vicaria Vi bacio la mano... ».

Sempre dal suo letto, alquanto sollevata, riceveva quanti venivano per le questioni piú importanti dell'istituto. Nei periodi che si trovava a Cosenza, era Don Franco, che, dopo la celebrazione della Messa in Cappella, saliva e preso posto nella poltrona ai piedi del letto della Madre, si intratteneva con lei; erano le Superiore delle varie case, accolte con materna predilezione e con uno sguardo esprimente la soddisfazione, la gioia; in questi casi, spesso era presente anche la M. Vicaria.

In particolare, erano persone che venivano anche da lontano, per trovare uno spiraglio di luce alle loro angosce, un sollievo al loro dolore, una parola di fede allo smarrimento apparentemente senza via di uscita.

« Vi sono dei pensieri che sono preghiere. In certi istanti l'anima sta genuflessa, qualunque sia la posa del corpo ». Era lo stato abituale della anima di Suor Elena. In unione con Gesú e con Gesú Crocifisso, aveva la grazia di comunicare agli altri la sua fede, il suo ardore, la sua serenità, frutto dell'abbandono filiale alla divina Provvidenza.

« Ohimé! sventura a chi avrà amato solo i corpi, le forme, le parvenze, perché la morte gli strapperà ogni cosa. Amate invece le anime e le ritroverete ».

In tali circostanze, Suor Elena, grave e affettuosa come una madre, non badava al tempo; era intenta a fare accettare il dolore, la sventura, con la rassegnazione che è un dovere del fedele, nella sottomissione filiale alla volontà di Dio.

Sapeva ascoltare silenziosa la manifestazione dell'animo in pena; come conosceva il momento per parlare. E quale meravigliosa consolatrice!

Non tentava di cancellare il dolore con l'oblio, bensí d'ingrandirlo e nobilitarlo con la fede e con la speranza.

Sapeva che la fede è tuttora sana e riusciva a confortare e a ben disporre chi era entrato da lei con la disperazione nel cuore.

Piú spesso, si ricorreva a Suor Elena quando la sventura era soltanto una minaccia; allora lei pregava e prometteva preghiere dalle sue bambine, disponendo l'animo in angoscia alla speranza o alla rassegnazione.

Qualche anno prima del 1950 ritornando come di consueto a Cosenza, per le solennità natalizie, don Franco trovò la famiglia nella piú viva costernazione: un'emorragia interna aveva svelato la presenza di un grave male nella mamma settantatreenne. La diagnosi non lasciava speranza: l'esame istologico aveva confermato il responso dei medici. Don Franco non entrò neppure in casa; andò diritto dalla Madre Generale.

La trovò al suo posto di lavoro e di raccoglimento: nel suo letto, con le spalle coperte dalla consueta mantelletta di lana bianca, e il rosario in mano. « Madre, Vi avevo tanto raccomandato la salute di mia madre »! E in breve la ragguagliò. Suor Elena sembrò raccogliersi ancor piú: rimase per un po' grave e silenziosa; quindi, con la piú grande tranquillità: « Don Cí, non è niente. Andate a Roma; le faranno l'applicazione del radio e tutto scomparirà ». E don Franco non ebbe alcun dubbio. Ritornato a casa, comunicò la sua fiducia ai familiari, che celebrarono come di consueto la solennità del Natale. Il 26 dicembre partirono per Roma dove il Prof. Cattaneo, confermata la diagnosi, procedette alla cura accennata da Suor Elena. Dopo la seconda applicazione, ogni traccia del male era scomparsa: « Se Lei chiama uno specialista - disse tutto lieto - e fa visitare la Signora, dirà che noi abbiamo sbagliato diagnosi ».

Lo stesso don Franco, nel luglio del 1950, rientrato a Cosenza sotto il peso di una grave pena nell'animo, andò dalla Madre a ragguagliarla di tutto. Anche questa volta, lei rimase alquanto silenziosa, e, quindi: « Non ogni male viene per nuocere » (e sí che l'accusa, avallata con leggerezza, era davvero pesante). « A ottobre voi andrete a Roma e dopo quindici giorni, avrete l'insegnamento ».

Quindi, sorridendo aggiungeva: « Ma voi non sapete neppure difendervi ».

Tutto si realizzò, come Suor Elena aveva con tanta semplicità preannunziato, e d. Franco dopo quindici giorni dalla sua andata a Roma, vi incominciò il suo insegnamento.

Ecco perché i benefattori si ritenevano sempre debitori verso " a monaca santa ": ricevevano molto piú di quanto ben volentieri essi potevano fare per lei e per l'istituto.

Quante famiglie guardavano a Suor Elena, alle sue preghiere, alle sue sofferenze, come a un loro parafulmine, a una loro sicurezza, tanta era la fiducia che in lei riponevano!

Le prime ore pomeridiane erano ordinariamente di assoluta quiete; predominava la meditazione, la preghiera; quindi riprendevano il lavoro della corrispondenza, il disbrigo delle varie cure, fino a sera.

Nelle preghiere serali aveva spesso con sé la M. Vicaria.

Qualche volta, la Madre confidò a don Franco che nella notte, nel lungo e profondo silenzio, preparava o concretava le soluzioni, le decisioni da prendere, dopo aver chiesto il consiglio dalle persone adatte.

Non di rado la Madre narrò di visite, di colloqui avuti nella notte, con defunti che particolari rapporti avevano avuto in vita con lei e con l'Istituto.

Cosí dopo venti giorni dalla morte, vide nella sua « stanza », seduta alla medesima poltrona ai piedi del letto, la mamma di don Franco, in un colloquio di circa venti minuti. Cosí una mattina presto, tutta la Casa Madre fu svegliata da un grande rumore, come di un grande colpo che aveva aperto la porta della stanza di Suor Elena. Accorsero: e lei con la consueta calma, raccontò la visita fatta dal defunto P. Donnarumma, che era venuto a ringraziarla per le intense preghiere fatte rivolgere a Dio per la sua anima da tutta la comunità.

Ma è tempo di volgere intorno lo sguardo per la Casa Madre. Al piano terra, la stanza della M. Vicaria che presiede all'attività della Casa: dal lavoro nei laboratori, a quello della cucina, e del grande orto, all'osservanza regolata degli altri doveri. Il grande vantaggio dell'ubbidienza: ognuna svolge bene il suo compito, che viene integrato da quello delle altre. Le tempeste, le preoccupazioni sono fermate, sono superate in alto.

In qualsiasi momento della giornata tutte e ognuna sono occupate nel proprio lavoro, per ritrovarsi tutte in Cappella per le pratiche di pietà in comune, nelle ricreazioni, a refettorio. Virgilio descrive nell'Eneide (1, 614-643) la città operosa, che assimila ad un alveare:

« L'api cosí nella stagion novella s'affaticano al sole in mezzo ai fiori quando traggon fuor la prole adulta, o quando, il miele liquido stipando, di nettare soave empion le celle, o se prendono il carco alle tornanti loro compagne, o se in serrata schiera dall'alveare cacciano gli sciami infingardi dei fuchi; e l'opra ferve, e aulisce di timi il miel fragrante » (628-638).

La Casa Madre, nell'ordine piú perfetto, offriva un simile spettacolo.

E le piccole avevano finalmente l'aria, la luce, e tutto il sole necessari per il loro sano sviluppo. Basta affacciarsi nell'atrio interno tutto aperto verso i verdi colli e i monti della Sila che ad oriente lo sovrastano; mentre ad ovest, quasi lungo il confine dell'orto, scorre il Crati, con il suo lieto mormorio.

Veglia su tutte, dalla sua stanzetta, dal suo letto, che è ormai da anni il suo posto di lavoro, la buona Madre Generale: vuole che le bambine si sentano a loro agio, come le altre bimbe nelle loro famiglie.

Primeggia, naturalmente, la formazione religiosa. Uno degli aspetti dell'attività pastorale di S. Ecc. Nogara è costituito dall'impulso dato all'istruzione religiosa della nostra gente. Molti ricordano le gare e i premi da lui stabiliti. Nell'Istituto di Suor Elena si conservano i diplomi con relativi premi di I° (medaglie d'oro), II° (medaglie di argento), III° grado (medaglie di bronzo).

Attività sempre continuata, con vero zelo dalle Suore Minime, come rileva la seguente lettera: « Gioventú Femminile di Azione Cattolica Italiana 27.9.1955

Rev.ma Madre Generale

Suor Elena Aiello  Cosenza Nei pochi anni che sono in Calabria in qualità di dirigente regionale della Gioventú Femm.le di Azione Cattolica, posso affermare con tutta sincerità e senza timore di esagerare, quale immenso beneficio ed aiuto siano le Sue Suore nella nostra diocesi.

« Ho avuto modo di conoscerle bene nelle mie diverse soste durante la mia attività apostolica e quale gioia ne ho avuto, quando allo spirito di pietà, ben soda, ho trovato immensa la carità, è proprio sempre in atto il Suo motto " Charitas " sia nel prodigarsi verso tutte le necessità delle zone in cui vivono, ma maggiormente verso l'infanzia.

« In diversi paesi, privi di tutto, la presenza delle Sue Suore è stata ed è veramente benefica e provvidenziale per il bene delle anime; le Sue case sono spesso le nostre sedi di Azione Cattolica, anche se piccole e povere vi è tutto il loro cuore e con tanta generosità accolgono le nostre giovani di ogni età e condizione sociale perché ritemprate nello spirito, possano guardare con serenità e fiducia la loro giovinezza.

« Voglia il Cielo che possano presto estendersi in quasi tutta la regione Calabra e che dall'Alto venga quel meritato riconoscimento, tanto desiderato da Lei Madre, e da tutti noi che risentiamo i benefici di questa santa istituzione.

Con deferenti ossequi La Delegata Regionale Franca Maltese ».

E la formazione religiosa porta frutti mirabili, quando parte ed è accompagnata dalla piú grande carità. In Suor Elena l'interessamento per ciascuna bambina era insuperabile.

Si senta quanto ella scriveva, il 4 febbraio del 1952, a proposito di un orfanello:

« Ringraziatemi tanto Mons. Sposetti, per la sua squisita carità riguardo a Franco (il ragazzo circa dodicenne, che detto Monsignore aveva cercato di porre in un istituto di Roma). Quanto è grande il Signore, è effettivamente il tutore degli orfani: mentre Franco si stava preparando per partire per Roma, è uscita una combinazione.

« Si dice che non bisogna credere ai sogni, ma alle volte si avverano. Una signora aveva un figlio che si chiamava pure Franco, il quale è morto. La suddetta Signora ha sognato la mamma defunta, la quale le ha detto che non doveva piangere e che doveva recarsi presso il nostro istituto, dove c'era un altro bambino di nome Franco. Cosí vennero marito e moglie a vederlo, e il giorno 29 gennaio se l'hanno preso. Ora con l'Avv. Cribari stanno facendo di tutto per legittimarselo e dargli il loro nome.

« Riguardo a questo sono molto contenta sia per Franco, che per Anna (un'altra orfanella) che li abbiamo cresciuti dall'età di 16 mesi, ed ora li abbiamo situati: Anna si guadagna il pane da sé, Franco mi è venuto a trovare e sembrava un signore ».

Al lavoro ordinario si aggiungeva talvolta quello straordinario, ad esempio in preparazione delle mostre, per la preparazione delle colonie estive. Abbiamo già accennato a queste ultime.

Ben può dirsi che Suor Elena iniziò, nella Arcidiocesi di Cosenza, nel 1946, e da sola, questa benevola assistenza, che riprendeva il corso delle colonie estive, già attuate dal fascismo.

Suor Elena, iniziandole, aveva chiamato la Sig.na Travo Emmanuela, che ne era molto esperta, e ne aveva assimilato subito il metodo organizzativo.

La Casa Madre per l'inizio delle colonie sembrava (e sembra) il quartiere generale e il centro di rifornimento di un esercito. E all'impegno con cui erano preparate, all'entusiasmo e al sacrificio con cui erano condotte, si devono gli ottimi risultati ottenuti.

Frutti maturati fra le avversità incontrate, come al solito, anche per questa opera di bene. Quando c'era da iniziare qualcuna di queste importanti iniziative Suor Elena, aiutata dalla Suora che l'assisteva lasciava la sua stanza e col vigore della volontà si portava a dirigere e a dare il suo apporto.

Allo stesso modo - come abbiam visto per la casa di S. Sisto, per l'acquisto della casa di Roma e per il supremo interesse dell'Istituto -, pur tra le sofferenze, intraprese anche lunghi viaggi.

Nel I° anno delle colonie (1946) oltre al lavoro di preparazione, ella si recò nella casa di Paola e vi si fermò per tutta la durata di esse, circa tre mesi. L'ultima visita di Suor Elena a quella Casa è del 24 giugno 1957.

Cosí si recò diverse volte alla grande casa di Montalto, per i lavori di ricostruzione.

Nella relazione presentata per il I° Capitolo Generalizio (16 nov. 1956) si accenna alle attività svolte:

« La Congregazione conta attualmente 134 Suore: di voti perpetui n. 47; professe di voti temporanei n. 49; novizie n. 8; postulanti n. 10; aspiranti n. 20.

« Oggi l'Istituto conta un numero di 47 diplomate di taglio, cucito, ricamo e maglieria... Il laboratorio professionale in questi ultimi anni ha preso un grande sviluppo con il perfezionamento dei lavori, esponendo per cinque anni consecutivi alla fiera campionaria di Cosenza. Il primo anno si ebbero L. 500.000 di premio... Altre tre mostre si tengono ogni anno rispettivamente a Paola, a Montalto, a Pentone...

« Annesso alla Casa Madre... è un asilo infantile... con circa 100 bimbi esterni...

« Il catechismo viene impartito dalle Suore in sei Chiese della città, nelle campagne di Caricchio e Guarassano... Dal 1946 si gestiscono le colonie marine montane distribuite nelle diverse case. Dal 1946 al 1954 le Colonie sono state permanenti o notturne; dal 1954 al 1956 soltanto diurne, eccetto Paola.

« L'Azione Cattolica interna: tutte le bambine sono tesserate. Le bambine della Casa Madre sono 110: di esse 50 sono ricoverate da diversi Enti, le altre gratuitamente; secondo il fine specifico delle Costituzioni restano in comunità fino a quando non trovano da sistemarsi... ».

Seguono le cifre riguardanti le altre Case. « La Congregazione conta in tutto n. 340 bambine interne. La Congregazione avrebbe potuto prendere un altro sviluppo, ma molte cause estranee concorsero ad ostacolarla ».

Cosí in sul finire del 1956.

Il Signore benediva palesemente le iniziative intraprese con tanto zelo, perché unicamente affidate alla Sua Provvidenza. Suor Elena, infatti, con abbandono filiale contava soltanto su di Essa e ne invocava e ne faceva invocare dalle Suore e dalle piccole abbandonate l'onnipotente protezione con l'assidua preghiera.

« Il successo della vostra azione - diceva recentemente S. Santità Paolo VI agli aspiranti al sacerdozio del Pio Collegio Brasiliano s - sarà assicurato a misura che aumenteranno le riserve del vostro spirito. E' infatti la vita interiore che darà forza all'apostolato, perché essa è la base della santità dell'operaio evangelico: lo premunisce contro i pericoli del ministero esteriore, rinvigorisce e moltiplica le sue energie, gli dà consolazione e gioia, rafferma la sua purità d'intenzione, è scudo contro lo scoraggiamento, è condizione necessaria per la fecondità dell'azione, attira le benedizioni di Dio, rende l'apostolo santificatore e produce in lui irradiamento soprannaturale.

« Dio vuole che Gesú dia la vita alle opere. Il Divino Maestro dicendo " Ego veni ut vitam habeant " (Giov. 10, 10), " Ego sum via, veritas et vita " (ibid. 14, 6), ha voluto scolpire nella mente dei suoi apostoli un principio fondamentale: Egli solo, Gesú, è la vita; di conseguenza, per partecipare a tale Vita e comunicarla agli altri, essi debbono essere innestati su l'Uomo Dio.

« Gli uomini chiamati all'onore di collaborare col Salvatore nella trasmissione di questa vita divina alle anime, debbono considerare sé stessi come modesti, ma fedeli strumenti incaricati di attingere all'unica sorgente: Gesú Cristo.

« Comportarsi nell'esercizio dell'apostolato come se Gesú non fosse il solo principio di vita, dimenticare il proprio ruolo secondario e subordinato, attendere la buona riuscita unicamente dall'attività personale e dalle proprie capacità, è cadere in un errore fatale, che provoca un deleterio capovolgimento di valori: all'azione di Dio sostituisce un'attività naturale febbrile; disconosce la forza della grazia e colloca praticamente nel novero delle astrazioni la vita soprannaturale, la potenza della preghiera e l'economia della Redenzione. « Siate profondamente e intimamente convinti della preminenza della vita interiore sulla vita attiva ».