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Diario

di Santa Teresa di Gesù

Monaca Carmelitana Scalza

di Los Andes Cile

 

DAL 1900 AL 1914

"STORIA DELLA VITA DI UNA DELLE SUE FIGLIE"

Riassunto e divisione della mia vita

Madre: lei crederà di trovarsi davanti una storia interessante. Non voglio che si inganni. La storia che lei leggerà non è la storia della mia vita, ma la vita intima di una povera persona che, senza alcun merito, Gesù Cristo ha amato in modo speciale e ha colmato di benefici e grazie.

La storia della mia persona si riassume in due parole: "Soffrire ed Amare". Ecco qui tutta la mia vita da quando mi resi conto di tutto, cioè dai sei anni o anche prima. Soffrivo, ma Gesù mi insegnò a soffrire in silenzio e a sfogare in Lui il mio povero cuore. Lei comprende, Madre, che il cammino che mi indicò Gesù fin da piccola fu quello che Egli percorse ed amò; e siccome Egli mi amava, cercò di nutrire la mia povera anima con la sofferenza.

La mia vita si divide in due periodi: più o meno dall'età della ragione fino alla Prima Comunione. Gesù mi colmò di favori tanto nel primo periodo come nel secondo; cioè dalla Prima Comunione fino ad ora; o, meglio fino alla mia entrata nel porto del Carmelo.

Coccolata da tutti La mia famiglia

Nacqui nel 1900, il 13 luglio! Mia madre si chiama Lucia Solar de Fernàndez e mio padre Miguel Fernàndez Jara.

Abitavamo con il nonno, già anziano. Si chiamava Eulogio Solar. Si può dire che era un santo. Lo si vedeva tutto il giorno scorrere i grani del suo rosario.

Gesù non volle che nascessi povera come Lui. Nacqui in mezzo alle ricchezze, coccolata da tutti.

Ero la quarta figlia. La maggiore si chiamava Lucia, aveva sette anni; Miguel, il secondo, sei anni e Lucho, il terzo, aveva tre anni. Nella casa di mio nonno abitava anche mia zia Juanita Solar con quattro figli. Lo zio Luis Alberto Dominquez era già morto. Il maggiore dei miei cugini aveva tredici anni e il minore cinque. Abitava con noi anche la zia Teresa Vicuna, con due figli; un altro era morto ancor piccolo; il maggiore si chiamava Tomas Bernardo (il nome dello zio); la seconda, Teresita, aveva otto anni. Abitava anche con noi lo zio Francisco che era celibe ed aveva ventitré anni.

Poco dopo nacque Rebeca, un anno e otto mesi dopo di me. Ero molto timida, anche se molto coccolata. Rebeca era tutto il contrario. Entrambe eravamo molto coccolate. Con il nonno facevamo ciò che volevamo, ingannandolo con baci e carezze.

Fin da piccola mi dicevano che ero la più carina dei miei fratelli, non me ne accorgevo. Le stesse parole me le ripetevano quando ero più grande, di nascosto dalla mamma che non gradiva ciò. Dio solo sa quanto mi è costato estirpare questo orgoglio o vanità che si impossessò del mio cuore quando fui più grande. Avevo un carattere timido ed un cuore molto sensibile. Per tutto piangevo, ma avevo un carattere assai dolce, non mi arrabbiavo mai con nessuno.

Desiderio della Comunione Il collegio

Quando ebbe luogo il terremoto del 1906, Gesù incominciò a prendere il mio cuore per sé.

Ricordo che mamma e zia Juanita ci portavano a Messa e ci spiegavano sempre tutto; ed alla Messa, quando arrivava la Comunione, mi accendevo del desiderio di ricevere Nostro Signore. Domandavo alla mamma questo favore, ma grazie a Dio non mi trovò preparata per questo atto sublime. Ricordo che mamma e zia Juanita mi sedevano sul tavolo e mi interrogavano sull'Eucaristia. Rispondevo alle domande, ma siccome mi vedevano tanto piccola non me la lasciavano fare.

A sette anni mi confessai. Ci prepararono le suore.

Ma prima voglio raccontarle la mia entrata al collegio. Il nonno non voleva affatto che entrassimo, però alla fine vinse mamma e mi mandò dalle Teresiane. Andavo dopo pranzo ed uscivo alle cinque, ma non frequentai quasi mai. Dopo un mese mi tolsero perché avevo notato che le maestre non vigilavano abbastanza durante le ricreazioni e che una bambina non era molto decente; raccontai alla mamma ciò che era successo.

Mamma si lamentò. Allora, in collera, la Madre Superiora mi mise in disparte il giorno dei voti e mi diede un brutto voto e poi mi rimproverò dicendo che quelle cose non si dicevano. Mi meravigliai perché mi avevano sempre detto che dovevo raccontare tutto alla mamma. Mi misero in castigo. Piansi moltissimo e quando tornai a casa, mamma scrisse una lettera alla Superiora dicendo che non sarei ritornata. Mi rallegrai perché le bambine erano molto litigiose. Soffrivo a causa di una che cercava sempre di farmi del male; mi toglieva sempre il velo quando andavamo in cappella. Io, piccola, non sapevo difendermi. Avevo una cugina che picchiavano moltissimo e io la dovevo difendere. Le altre mi volevano bene. Non ho conservato affetto per quel collegio, anche se là imparai a leggere.

Morte del nonno

Nel 1907 il nonno morì come un santo. Ricordo perfettamente quando andammo al fondo a Chacabuco che stava tanto bene. Vi andammo con la zia Teresa e i suoi bambini, perché lui non si separava mai da noi.

Ogni pomeriggio ci faceva montare a cavallo, tirando a sorte chi doveva essere la prima; toccava sempre a Rebeca. Stava bene, ma una notte gli venne un attacco di paralisi. Immediatamente mia zia lo riportò a Santiago, dove subito gli dissero che non c'era rimedio. Lo facevano soffrire con delle cure terribili, finché il povero vecchietto non sapeva più come stava. Il 13 maggio, giorno della sua morte, ricevette i Sacramenti. Chiamò i suoi figli e diede loro i suoi consigli. Accanto alla sua camera c'era l'oratorio. Quando iniziò la Messa lo videro con il viso sconvolto e diceva: "toglietelo" e si copriva la faccia con le mani. Erano terribili tentazioni del demonio. Mamma sparse l'acqua benedetta e il diavolo se ne andò. Poi lo tentò un'altra volta e se ne andò perché la sua morte fosse come era stata la sua vita: in pace. Quando alla consacrazione fu alzata l'Ostia, la sua anima volò al cielo senza che nessuno se ne accorgesse. Sembrava addormentato. La sua morte fu quella di un santo, come lo era stata la sua vita.

Immediatamente ci avvertirono a Chacabuco. Ricordo che ero a letto e dormivo e vennero ad avvertirci. Noi bambine non ci rendemmo conto, ma non piangemmo perché non volevano dire nulla a mio fratello Lucho che, malaticcio, era da poco uscito da una malattia mortale. Così noi, senza fare troppo sforzo, rimanemmo zitte. Più tardi quando ci stavamo vestendo, Lucho incominciò a gridare e a piangere amaramente. Andarono da lui e diceva: "Perché mi hanno ingannato? Perché non mi hanno avvertito? Mio nonno è morto". E piangeva molto. Non si seppe come lo avesse saputo, perché nessuno glielo aveva detto. Nonno lo avvertì mentre dormiva.

Pochi giorni dopo arrivò lo zio Francisco piangendo e raccontando le cose più tristi, allora incominciai a piangere molto, senza che mi si potesse consolare. Ci ricondussero a Santiago e trovando la camera vuota mi fece una impressione così grande che mi sembrava che tutto era finito. E rimasi così triste che non è possibile immaginare.

Poco tempo dopo la casa fu venduta e il fondo fu diviso in tre parti. La parte del mezzo toccò a don Salvador Huidobro, quella della salita allo zio Francisco e quella dei Bagni a, mia mamma.

La casa di Santiago rimase allo zio Eugenio.

Noi traslocammo a Calle Santo Domingo; anche questa casa, come l'altra, è piena di dolci ricordi. Mi accadde una cosa degna di essere raccontata. La notte, quando ci spegnevano la luce in camera, ma rimaneva accesa quella della camera della mia "Mamita", vedevo apparire il nonno ai piedi del letto di Rebeca, però vedevo solo metà del corpo. Mi apparve per otto giorni di seguito. Morivo di paura e andavo nel letto di Rebeca. Da li non lo vedevo.

Devozione alla Vergine Maria

Preparazione alla Prima Comunione

Quando andammo a Chacabuco per l'ultima volta, la zia Juanita, affinché io prendessi una medicina, mi regalò la statua della Madonna di Lourdes di porcellana che stava sempre accanto al mio letto. Presi la medicina e me la regalò. Questa è la Vergine che non ha mai smesso di consolarmi, e di ascoltarmi.

A quel tempo risale la mia devozione alla Vergine Maria. Fu mio fratello Lucho ad insegnarmi questa devozione che ho avuto e che avrò, così spero, fino alla morte. Tutti i giorni Lucho mi invitava a recitare il rosario e facemmo entrambi la promessa di recitarlo tutta la vita. Ciò che finora ho fatto. Solo una volta, quando ero più piccola, me ne dimenticai.

Da allora si può dire che Nostro Signore mi prese per mano, con la Santissima Vergine Maria. A partire da quel periodo, il mio carattere divenne iracondo, mi prendevano delle arrabbiature feroci, ma non erano frequenti. Dopo nessuno riusciva a

farmi perdere la pazienza. I bambini, i miei fratelli, lo facevano a proposito. Mi dicevano moltissime cose per farmi arrabbiare, ma facevo come se non li sentissi. Per questo mamma mi coccolava, ma dopo, quando venivo contrariata per qualunque motivo, mi mettevo a piangere e anche con pianto isterico.

Quando andammo a Chacabuco, venne con noi una cugina di mamma che non mi poteva soffrire, mentre Rebeca era la sua coccolina. Non si può immaginare quanto questo mi facesse soffrire, con lei ero terribile, non accettavo niente da lei.

Nel 1907 entrammo in collegio. Lei sa, Madre, quante noie demmo con il nostro carattere. Ricordiamo bene quando mamma le raccontava i litigi che facevamo con i nostri fratelli e lei ci chiamava e ci esortava ad essere buone.

È da questa epoca che Nostro Signore mi indicò la sofferenza. Papà perse una parte del patrimonio, e così fummo costretti a vivere più modestamente.

Ogni giorno domandavo a mamma il permesso per fare la Prima Comunione, finché nel 1910 accondiscese. Incominciai la preparazione. Mi sembrava, Madre cara, che quel giorno non arrivasse mai e piangevo dal desiderio di ricevere Nostro Signore; per un anno mi preparai a farlo, durante quel tempo la Vergine mi aiutò a purificare il cuore da ogni imperfezione.

Durante il mese del Sacro Cuore modificai il mio carattere completamente, tanto che mamma era felice di vedere che mi preparavo così bene alla Prima Comunione.

Mi costava obbedire perché, soprattutto quando mi comandavano, per pigrizia, tardavo a muovermi. Allora dissi a me stessa che anche se non mi comandavano sarei andata di corsa prima degli altri. Non litigavo con i bambini. A volte mi mordevo le labbra e mi sbrigavo nel vestirmi. Facevo dei fioretti che appuntavo in un libretto, era pieno di fioretti quel libretto. Che differenza tra allora e adesso! Come vorrei tornare a quell'epoca! Ma, forse non ho ricevuto più favori da Gesù?

Prima Comunione

Il giorno della Prima Comunione fu un giorno senza nubi, per me.

Mi ricordo la confessione generale: quando uscii mi misero un velo bianco. Nel pomeriggio chiesi perdono. Ricordo ancora l'impressione del papà. Andai a chiedergli perdono e mi baciò. Allora mi inginocchiai piangendo e gli dissi di perdonarmi tutte le preoccupazioni che gli avevo dato con la mia condotta. A papà vennero le lacrime, mi alzò e mi baciava dicendo che non c'era motivo per chiedergli perdono perché non lo avevo mai disgustato e che era molto contento vedendomi così buona. Sì, papà, perché tu eri troppo indulgente e buono con me. Chiesi perdono alla mamma, che piangeva, a tutti i miei fratelli e infine alla mia "Mamita" ed agli altri domestici. Tutti mi rispondevano commossi. Stavo in ritiro, rimanevo da sola e non mangiavo a tavola con gli altri.

L'11 settembre 1910 anno del centenario della mia patria, anno di felicità e del ricordo più puro che avrò in tutta la mia vita.

Quel bel giorno per me fu un giorno bello anche per la natura. Il sole spandeva i suoi raggi ricolmando la mia anima di felicità e di ringraziamenti al Creatore.

Mi svegliai presto. Mamma mi vestì, mi fece indossare l'abito, mi pettinò. Fece tutto lei, ma io non pensavo a nulla. Ero indifferente a tutto, meno l'anima mia per Dio. Quando arrivammo ripetevamo il "rosario della Prima Comunione": invece della Ave Maria si ripeteva: Vieni Gesù mio, vieni. O mio Salvatore, vieni Tu stesso a preparare il mio cuore.

Finalmente arrivò il momento. Entrammo in cappella a due a due. Lei, Madre, era davanti a Mons. Jara che ci avrebbe dato la Santa Comunione era dietro e chiudeva la processione. Tutte entrammo con gli occhi bassi, senza vedere nessuno, ci inginocchiammo nei banchi ricoperti di tulle bianco con un giglio ed una candela al fianco. Mons. Jara ci disse parole tanto tenere e belle che tutte piangevamo. Ricordo una cosa che ci disse:

"Chiedete a Gesù che se doveste commettere un peccato mortale vi prenda oggi che le vostre anime sono pure come la neve delle montagne. Pregatelo per i vostri genitori, gli autori della vostra esistenza. E per quelli che li hanno persi, ora è il momento per incontrarli. Sì, si sono avvicinati qui per essere testimoni dell'unione intima delle vostre anime con Gesù Cristo. Guardate gli angeli dell'altare, care bambine, guardateli, vi invidiano. Tutto il cielo è presente". Piangevo. Infine ci disse che non voleva ritardare di più l'unione con Gesù, ormai eravamo assetate di Lui e Gesù lo stesso.

Ci avvicinammo all'altare mentre cantavano il bel canto Anima felice che mai dimenticherò.

Non si può descrivere quello che avvenne nella mia anima con Gesù. Gli chiesi mille volte che mi prendesse e sentii per la prima volta la sua cara voce. "Gesù, ti amo, ti adoro!" Lo pregai per tutti. Sentivo la Vergine vicino a me. Come si dilata il cuore! Per la prima volta sentii una pace deliziosa. Dopo il ringraziamento passammo nel cortile per distribuire doni ai poveri e per abbracciare i familiari. Il papà mi baciava e mi sollevava tra le sue braccia felice.

Quel giorno vennero a casa molte bambine. E’ inutile parlare dei regali che ricevetti: il comò e il letto ne erano pieni.

Passò quel giorno così lieto che sarà l'unico della mia vita.

Poco tempo dopo cambiammo casa. Ma Gesù da quel primo abbraccio non mi lasciò e mi prese per se.

Tutti i giorni mi comunicavo e parlavo a lungo con Gesù. Ma la mia devozione speciale era per la Vergine Maria. Le raccontavo tutto. Da quel giorno la terra, per me, non aveva più attrattiva. Volevo morire e domandavo a Gesù che mi portasse via l'otto dicembre.

L'8 dicembre, sempre ammalata

La Vergine Maria e Gesù mi parlano

Tutti gli anni ero ammalata l'8 dicembre; tanto che credevano che morissi. A dodici anni ebbi la difterite. L'8 dicembre ero vicina a morire. Mamma credette che sarei morta perché una mia zia era morta di questa malattia e l'avevo contratta peggio di lei. Quella zia mori a dodici anni. Fin da piccola era una santa. Per fare penitenze metteva pietrucce nelle scarpe, si flagellava con rami spinosi fino al sangue. Nella sua ultima malattia quando i medici le toglievano dalla gola le membrane che si formavano lei prendeva le pinze, le baciava e diceva:

"Questi sono gli strumenti che mi porteranno in cielo", poi prendeva il suo crocifisso e diceva: "Dottori, fatemi quello che volete". Quando arrivò l'ora della morte, chiese perdono ai miei nonni e poi a tutti, chiese scusa per i disturbi dati durante la malattia, poi rimase in estasi e disse: "Come è grande, come è immenso Dio!" e morì con il sorriso sulle labbra. Ma non assomigliavo a lei. Non meritavo ancora il cielo e Nostro Signore non mi prese.

Nel 1913 ebbi una febbre spaventosa. A quel tempo Nostro Signore mi chiamava per sé, ma non facevo caso alla sua voce. Allora, lo scorso anno (1914), mi mandò l'appendicite e questo mi fece udire la sua cara voce che mi chiamava per farmi sua sposa più tardi al Carmelo.

La mia devozione alla Vergine Maria era molto grande. Un giorno in cui avevo una grande pena per una cosa, la raccontai alla Vergine e la pregai per la conversione di un peccatore. Allora Lei mi rispose. Da allora la Vergine Maria, quando la chiamo, mi parla. Una volta le presentai un dubbio che avevo. Allora mi rispose una voce; mi dissi: non è la voce della Madre mia perché non può dirmi questo. La chiamai e mi disse che mi aveva risposto il demonio. Ebbi paura. Ella mi disse che quando sentivo la sua voce le chiedessi: "Sei tu Madre mia?". E faccio sempre così. Ogni volta che desideravo sapere una cosa gliela chiedevo e sempre ciò che mi diceva risultava vero. L'attacco di appendicite aggravò il mio stato di salute e dovetti rimanere a letto, per cui mi tolsero dal collegio, cosa che mi rallegrò molto.

Un giorno ero sola nella mia camera. Con la malattia ero diventata così viziata che non potevo stare sola. Il giorno a cui mi riferisco, Lucita era ammalata ed Elisea una domestica che accudiva mio nonno le teneva compagnia. Allora sentii invidia e pena ed incominciai a piangere. I miei occhi pieni di lacrime si fissarono su un quadro del Sacro Cuore ed udii una voce molto dolce che mi diceva: "Come! Juanita,... sono solo nell'altare per tuo amore e tu non sopporti un momento?". Da allora Gesù mi parla. E passavo ore intere conversando con Lui. E così mi piaceva stare sola. Mi insegnava come dovevo soffrire e non lamentarmi... e l'intima unione con Lui. Allora mi disse che mi voleva per sé. Che voleva che diventassi Carmelitana. Madre, non può immaginare ciò che Gesù faceva nella mia anima. In quel tempo non vivevo in me stessa. Era Gesù che viveva in me. Mi alzavo alle sette, quando svegliavano Rebeca per il collegio. Seguivo un orario tutto il giorno, ma facevo tutto con Gesù e per Gesù.

Nostro Signore mi mostrò come fine la santità. L'avrei raggiunta facendo tutto nel miglior modo possibile. Poco tempo dopo il Padre, mio confessore, mi ripeté le stesse parole. Allora gli raccontai tutto.

Operazione di appendicite

I miei dolori e la malattia peggioravano ogni giorno. L'8 dicembre mi sentii morire. Da quel giorno rimasi a letto per alzarmi solo dopo l'operazione. La mamma incominciò una novena a suor Teresa di Gesù Bambino (Carmelitana allora appena morta) della quale sono molto devota. Migliorai ma il 24, mamma dimenticò di recitare la novena la sera ed ecco che all'indomani mi svegliai molto peggio. A mezzogiorno ebbi una crisi dalla quale si credette che sarei morta; ma nostro Signore volle conservarmi in vita. Come è buono il Signore con me.

Si decise di farmi operare. Mi portarono all'Ospedale San Vicente il lunedì 28. Solo Dio sa quello che soffrii. Dover andare a morire fuori casa mi dava pena. Inoltre avevo una ripugnanza così grande a dormire in letti dove vi erano stati altri ammalati... così mi diventava terribile andarci.

Ignacito entrava nella mia camera con gli occhietti pieni di lacrime, ma appena mi vedeva, si asciugava le lacrime e si metteva a giocare. Non l'ho visto piangere neppure un momento, cosa mirabile per un bambino che aveva appena compiuto quattro anni. Andai con mamma e "Mamita" il lunedì in automobile. Arrivai alla pensione come morta a causa delle coliche, ma poi mi ripresi.

Mi comunicai alle 5 del mattino. Che comunione! Credevo che fosse l'ultima. Chiesi a Nostro Signore con tutta l'anima che mi desse coraggio e serenità. Che cosa sarebbe stato di me senza l'aiuto di Gesù! O Gesù dolcissimo, ti amo!

Vennero le bambine a trovarmi. Giocai tranquillamente a carte con loro. Più tardi venne l'infermiera a preparami. Poi il medico ecc.

Dopo pranzo ero tanto nervosa che non sapevo cosa mi succedeva, incominciai a piangere e a ridere. Mamma mi diede una medicina e rimasi più tranquilla. Alle due arrivarono le bambine con zia Juanita, le chiesi che rimanesse durante l'operazione. Me lo promise. Venne poi lo zio Eulogio, fratello della mamma, e Juanita Ossa de Valdés che mi trascinarono in una conversazione ben distante da ciò che pensavo. Era per distrarmi. Ma mi preparavo a morire. In quel momento arrivò la Madre a prendermi. Non so dire quanto erano buone le Madri con me. Mi teneva compagnia quando poteva, metteva dei fiori nella mia camera perché apparisse allegra.

Presi la statua della Madonna, abbracciai il Crocefisso lo baciai e dissi: "Presto Vi contemplerò faccia a faccia. Addio". Mi diedero una quantità di reliquie e salii sulla barella. Mi spingevano le zie, ma accanto c'era mamma, Lucita e Rebeca. Ad ogni suora che vedevo dicevo di pregare per me e conversavo con tutte. Percorsi due isolati per arrivare alla clinica. Attraversai il reparto degli uomini. Non ne potevo più dalla voglia di piangere. Quando vidi uno degli anziani domestici che era stato operato, ebbi pena pensando che non lo avrei più rivisto, e mi sembrava che mi portavano come un agnello al macello per uccidermi, incominciai a piangere. Mi sfuggi un grido ed un singhiozzo, però mi dissi che non dovevo piangere, mi asciugai le lacrime e finsi di essere serena per non dare pena a mamma. Poi chiesi a Gesù che la mamma non si congedasse da me e Gesù me lo concesse. Mamma e zio Eulogio rimasero indietro senza che me ne accorgessi.

Quando arrivai alla clinica gli inservienti mi fecero salire i gradini. Allora Lucia e Rebeca mi dissero addio... quell'addio fu per me come un dardo che mi spezzò il cuore e mi caddero le lacrime. Ma, non avevo forse promesso a Gesù di non piangere? Facendo uno sforzo mi asciugai le lacrime e dissi loro addio.

Vennero i medici. Mi misi a parlare con loro tranquillamente, ma mi sembravano dei macellai; tuttavia Gesù vinse per me. Prima che mi dessero il cloroformio baciai la mia medaglia e mi posi nel cuore di Gesù dicendo addio al mondo.

Papà e zia Juanita dovevano assistere all'operazione, ma papà non ebbe il coraggio. Quando mi risvegliai avevo male alla testa e non sapevo dove fossi. Credevo di venire dall'altro mondo, tanto che ad ogni persona che vedevo mi mettevo a piangere. Il dolore era terribile e il cloroformio mi causò effetti terribili, pero mi ricordavo di offrire tutto a Nostro Signore, perché mamma me lo ricordava. Solo per un istante mi disperai, ma immediatamente me ne pentii.

Il giorno di capodanno mi giunse una lettera. La Madre che mi curava, era molto buona, quel giorno, dopo la comunione mi disse: "C'è una lettera per te". Ero felice e dicevo che le mie amiche mi avevano scritto. Ma quale non fu la mia sorpresa quando la aprii ed era di Gesù, in francese. Era la preziosa lettera che la Madre mi inviava con delle immagini bellissime. Quella buona Madre aveva mille delicatezze. Tutti i giorni mi portava dei fiori perché la camera fosse allegra. Un medico della pensione mi inviò delle orchidee, che sono dei fiori molto costosi. Era la prima volta che mi inviavano dei fiori e li mandai a Gesù. Questo sacrificio mi costò molto, ma lo feci1.