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SCRITTO AUTOBIOGRAFICO B
(diretto a suor Maria
del Sacro Cuore sorella Maria)
A. RISPOSTA ALLA SORELLA MARIA (1896)
Difficoltà nel rivelare
i divini segreti - Soltanto l'amore può renderci graditi al Signore -
Non opere grandi, ma abbandono riconoscente di bambino tra le braccia
paterne.
J.M.J.T. Gesù settembre
1896
240 - O mia sorella cara! Lei mi chiede un ricordo dei miei esercizi
spirituali, esercizi che forse saranno gli ultimi. Poiché Nostra Madre
lo permette, è una gioia per me d'intrattenermi con lei che è due volte
mia sorella, con lei che mi ha prestato la sua voce promettendo in nome
mio che io volevo servire soltanto Gesù, quando non mi era possibile
parlare. Cara madrina, questa sera le parla la bimba che lei offri al
Signore, e che la ama come una figlia sa amare la propria madre.
Soltanto in Cielo lei conoscerà tutta la gratitudine che trabocca dal
cuore mio. O mia sorella cara, ella vorrebbe udire i segreti che Gesù
confida alla sua figlioletta; questi segreti li confida anche a lei, lo
so, perché è lei che mi ha insegnato a raccogliere gli insegnamenti
divini, tuttavia cercherò di balbettare qualche parola, pur sentendo
che è impossibile alla parola umana ridire cose che il cuore può appena
intuire.
241 - Non creda che io navighi nelle consolazioni, no! la mia
consolazione è di non averne sulla terra. Senza mostrarsi, senza udir
la sua voce, Gesù m'istruisce nell'intimo: non è per mezzo dei libri,
perché non capisco quello che leggo, ma talvolta una parola come questa
che ho trovato alla fine dell'orazione (dopo essere rimasta nel
silenzio e nell'aridità) viene a consolarmi: «Ecco il maestro che ti
do, ti insegnerà tutto quello che devi fare. Voglio farti leggere nel
libro di vita, ov'è contenuta la scienza di Amore». La scienza d'Amore,
oh, sì! la parola risuona dolce all'anima mia, desidero soltanto questa
scienza. Per essa, avendo dato tutte le mie ricchezze, penso, come la
sposa dei cantici, di non aver dato nulla. Capisco così bene che
soltanto l'amore può renderci graditi al Signore, da costituire esso la
mia unica ambizione.
242 - A Gesù piace mostrarmi il solo cammino che conduca alla fornace
divina, cioè l'abbandono del bambino il quale si addormenta senza paura
tra le braccia di suo Padre. «Se qualcuno è piccolo, venga a me», ha
detto lo Spirito Santo per bocca di Salomone, e questo medesimo Spirito
d'amore ha detto ancora che «la misericordia è concessa ai piccoli». In
nome suo il profeta Isaia ci rivela che nell'ultimo giorno «il Signore
condurrà il suo gregge nelle pasture, raccoglierà gli agnellini e se li
stringerà al cuore», e, come se tutte queste promesse non bastassero,
lo stesso profeta, il cui sguardo s'immergeva già nelle profondità
eterne, dice in nome del Signore: «Come una madre accarezza il figlio,
così io vi consolerò, vi porterò in braccio e vi accarezzerò sulle mie
ginocchia». Oh, Madrina cara! dopo un linguaggio simile non c'è che da
tacere, piangere di riconoscenza e d'amore.
243 - Ah, se tutte le anime deboli e imperfette sentissero ciò che
sente la più piccola fra loro, l'anima della sua Teresa, non una
dispererebbe d'arrivare alla vetta della montagna d'amore, poiché Gesù
non chiede grandi azioni, bensì soltanto l'abbandono e la riconoscenza.
Egli infatti dice nel Salmo XLIX: «Non ho bisogno alcuno dei capri dei
vostri greggi, perché tutte le bestie delle foreste mi appartengono e
le migliaia di animali che pascolano sulle colline, conosco tutti gli
uccelli dei monti... Se avessi fame, non a voi lo direi, perché la
terra e tutto ciò che contiene è mio. Debbo forse mangiare la carne dei
tori e bere il sangue dei montoni? Immolate a Dio sacrifici di lode e
di ringraziamento». Ecco ciò che Gesù esige da noi, non ha bisogno
affatto delle nostre opere, ma soltanto del nostro amore, perché questo
Dio stesso che dichiara di non aver bisogno di dirci se ha fame, non ha
esitato a mendicare un po' d'acqua dalla Samaritana. Aveva sete... Ma
dicendo: «dammi da bere» era l'amore della sua povera creatura che il
Creatore dell'universo reclamava... Aveva sete d'amore... Ah! lo sento
più che mai, Gesù è assetato, non incontra se non ingrati e
indifferenti tra i discepoli del mondo, e tra i suoi stessi discepoli
trova pochi cuori i quali si abbandonino a lui senza riserve, e
capiscano la tenerezza del suo amore infinito. Intimi segreti del
nostro Sposo! Ah, se lei volesse scriverne tutto quello che ne sa,
avremmo delle pagine belle da leggere, ma io lo capisco, lei preferisce
custodire in fondo al cuore «i segreti del Re», e a me dice «che è
onorevole pubblicare le opere dell'Altissimo». Trovo che lei ha ragione
di mantenere il silenzio, e soltanto per farle piacere scrivo queste
righe, perché sento la mia impotenza a ridire con parole terrestri i
segreti del Cielo; e poi, dopo aver tracciato pagine e pagine, mi
parrebbe di non avere ancora cominciato. Ci sono tanti orizzonti
diversi, tante sfumature variate all'infinito, che soltanto la
tavolozza dell'Artista divino potrà, dopo la notte di questa vita,
fornirmi i colori capaci di dipingere le meraviglie che egli stesso
rivela all'anima mia.
245 - Sorella mia cara, mi ha chiesto di scriverle il mio sogno e «la
mia piccola dottrina», come la chiama lei. L'ho fatto nelle pagine
seguenti, ma così male, da sembrarmi impossibile che lei capisca!
Forse, troverà esagerate le mie espressioni. Mi perdoni, ciò dipenderà
dal mio stile poco gradevole, le assicuro che non c'è esagerazione
alcuna nella mia piccola anima, tutto in essa è calmo e riposato.
Scrivendo, parlo a Gesù, così mi è più facile esprimere i miei
pensieri. Ciò che, purtroppo, non impedisce che siano espressi molto
male!
B. LA PICCOLA DOTTRINA DI TERESA
Un sogno dolcissimo -
Desideri immensi e contrastanti - Scoperta della propria vocazione
nella Chiesa: l'Amore - Esso racchiude tutte le vocazioni ed è eterno -
Vittima volontaria all'amore - Spargere fiori cantando - Come debole
uccellino in fiduciosa attesa dell'Aquila adorata - Supplica per le
«piccole» anime
J.M.J.T. 8 settembre 1896 13
ALLA MIA CARA SORELLA
MARIA DEL SACRO CUORE
246 - O Gesù, mio Amato! chi potrà dire con quale tenerezza, quale
dolcezza, voi conducete la piccola anima mia! come vi piace far
risplendere il raggio della vostra grazia in mezzo anche al temporale
più cupo! Gesù, la bufera tuonava forte nell'anima mia fin dalla bella
festa del vostro trionfo, la festa radiosa di Pasqua, quando un sabato
di maggio, pensando ai sogni misteriosi che talvolta vengono concessi a
certe anime, mi dicevo che dovevano essere una consolazione molto
dolce, tuttavia non la chiedevo. La sera, la mia piccola anima,
considerando le nubi che coprivano il suo cielo, si diceva ancora che i
sogni non erano per lei, e sotto la terripesta si addormentò...
L’indomani era il 10 maggio, seconda domenica del mese di Maria, forse
l'anniversario del giorno nel quale la Vergine Maria si degnò
sorridermi.
247 - Alle prime luci dell'aurora, mi trovai (in sogno) in una specie
di galleria, c'erano varie altre persone, ma lontane. Nostra Madre sola
era accanto a me. A un tratto, senza aver visto com'erano entrate, vidi
tre carmelitane vestite dei loro mantelli e grandi veli, mi parve che
venissero per Nostra Madre, ma quello che capii chiaramente è che
venivano dal Cielo. Nel profondo del cuore dissi: come sarei felice di
vedere il volto di una di quelle carmelitane! Allora, come se la mia
preghiera fosse stata intesa da lei, la più alta delle sante si mosse
verso me; subito caddi in ginocchio. Oh, felicità! la carmelitana alzò
il suo velo o piuttosto lo sollevò e mi coprì con esso... senz'alcuna
esitazione riconobbi la venerabile Madre Anna di Gesù, la fondatrice
del Carmelo in Francia. il suo viso era bello d'immateriale bellezza,
nessun raggio scaturiva da esso, e tuttavia, nonostante il velo che ci
avviluppava ambedue, vedevo quel volto celeste rischiarato da una luce
ineffabilmente dolce, che proveniva da esso stesso. Non saprei dire
l'allegrezza dell'anima mia, queste cose si sentono e non si possono
esprimere... Parecchi mesi sono trascorsi da quel sogno dolce, tuttavia
il ricordo che esso lascia nell'anima mia non ha perduto niente della
sua freschezza, del suo fascino celeste. Vedo ancora lo sguardo e il
sorriso pieni d'amore della venerabile Madre. Credo di sentire ancora
le carezze che mi prodigò.
248 - Vedendomi così teneramente amata osai pronunciare queste parole:
«O Madre mia, vi supplico, ditemi se il Signore mi lascerà a lungo
sulla terra. Verrà presto a prendermi?». Sorridendo con tenerezza la
santa mormorò: «Sì, presto presto, te lo prometto». - «Madre - aggiunsi
- ditemi ancora se il buon Dio non chiede qualche cosa di più che le
mie povere piccole azioni e i miei desideri. E contento di me?». Il
volto della santa prese una espressione incomparabilmente più tenera
della prima volta che mi aveva parlato, il suo sguardo e le sue carezze
erano la risposta più dolce. Tuttavia mi disse: «il buon Dio non chiede
altro da te. E contento, molto contento! ». Dopo avermi ancora
accarezzata con più amore di quanto non abbia fatto per suo figlio la
più tenera delle madri, la vidi allontanarsi. Il mio cuore era nella
gioia, ma mi ricordai delle mie sorelle, volli domandare qualche grazia
per esse, ahimè! mi svegliai.
249 - Gesù! La tempesta allora non ruggiva, il cielo era calmo e
limpido... Credevo, sentivo che esiste un Cielo e che questo Cielo è
popolato di anime che mi amano, che mi guardano come loro figlia. Una
tale impressione mi resta nel cuore, tanto più che la venerabile Madre
Anna di Gesù mi era stata fino allora assolutamente indifferente, non
l'avevo invocata mai, e il suo ricordo mi veniva soltanto quando udivo
parlare di lei, cioè raramente. Così, quando capii a quale punto mi
amava e quanto poco le ero indifferente, il cuore mio si sentì
intenerire d'amore e di riconoscenza, non solamente per la santa che mi
aveva visitata, ma anche per tutti i beati abitanti del Cielo.
250 - O Amato! questa grazia era soltanto il preludio di grazie più
grandi, delle quali mi volevi colmare; lascia, mio unico Amore, che te
le ricordi oggi... oggi sesto anniversario della nostra unione.
Perdonami Gesù se sragiono volendo ridire i miei desideri, le mie
speranze che raggiungono l'infinito, perdonami e guarisci l'anima mia
dandole ciò che spera! Essere tua Sposa, Gesù, essere carmelitana,
essere, per l'unione con te, madre delle anime, tutto questo dovrebbe
bastarmi... Non è così. Senza dubbio, questi tre privilegi sono ben la
mia vocazione, carmelitana, sposa e madre, tuttavia io sento in me
altre vocazioni, sento la vocazione del guerriero, del sacerdote,
dell'apostolo, del dottore, del martire; finalmente sento il bisogno,
il desiderio di compiere per te, Gesù, tutte le opere più eroiche.
Sento nell'anima mia il coraggio di un crociato, di uno zuavo
pontificio, vorrei morire sopra un campo di battaglia per la difesa
della Chiesa...
251 - Sento la vocazione del sacerdote. Con quale amore, Gesù, ti
porterei nelle mie mani quando, alla mia voce, discenderesti dal Cielo!
Con quale amore ti darei alle anime! Ma, pur desiderando di essere
sacerdote, ammiro e invidio l'umiltà di san Francesco d'Assisi, e sento
la vocazione d'imitarlo, rifiutando la dignità sublime del sacerdozio.
Gesù! Amore mio, vita mia, come conciliare questi contrasti? Come
attuare i desideri della mia povera piccola anima? Nonostante la mia
piccolezza, vorrei illuminare le anime come i profeti, i dottori, ho la
vocazione di essere apostolo. Vorrei percorrere la terra, predicare il
tuo nome, e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa, ma, o
Amato, una sola missione non mi basterebbe, vorrei al tempo stesso
annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo, e fino nelle isole
più remote. Vorrei essere missionaria non soltanto per qualche anno, ma
vorrei esserlo stata fin dalla creazione del mondo, ed esserlo fino
alla consumazione dei secoli. Ma vorrei soprattutto, amato mio
Salvatore, vorrei versare il mio sangue per te, fino all'ultima
goccia...
252 - Il martirio, questo è il sogno della mia giovinezza, questo sogno
è cresciuto con me nel chiostro del Carmelo. Ma anche qui, sento che il
mio sogno è una follia, perché non saprei limitarmi a desiderare un
solo martirio. Per soddisfarmi li vorrei tutti... Come te, Sposo mio
adorato, vorrei essere flagellata e crocifissa, vorrei morire
scorticata come san Bartolomeo, come san Giovanni vorrei essere immersa
nell'olio bollente, vorrei subire tutti i supplizi inflitti ai martiri.
Con sant'Agnese e santa Cecilia, vorrei presentare il collo alla spada,
come Giovanna d'Arco, la mia cara sorella, vorrei mormorare sul rogo il
tuo nome, Gesù... Pensando ai tormenti che verranno inflitti ai
cristiani nel tempo dell'anticristo, trasalisco, e vorrei per me quei
tormenti... Gesù, Gesù, se volessi scrivere tutti i miei desideri,
dovrei prendere il tuo libro di vita, lì sono narrate le azioni di
tutti i Santi, e quelle azioni vorrei averle compiute per te. Gesù mio,
che cosa risponderai a tutte le mie follie? Esiste un'anima più
piccola, più incapace della mia? Eppure, proprio per la mia debolezza,
ti sei compiaciuto, Signore, di colmare i miei piccoli desideri
infantili, e vuoi oggi colmare altri desideri più grandi che
l'universo...
253 - Durante l'orazione, i miei desideri mi facevano soffrire un vero
martirio: aprii le epistole di san Paolo per cercare una risposta. I
capitoli XII e XIII della prima epistola ai Corinzi mi caddero sotto
gli occhi. Lessi, nel primo, che tutti non possono essere apostoli,
profeti, dottori, ecc.; che la Chiesa è composta di diverse membra, e
che l'occhio non potrebbe essere al tempo stesso anche la mano. La
risposta era chiara, ma non colmava il mio desiderio, non mi dava la
pace. Come Maddalena chinandosi sempre sulla tomba vuota finì per
trovare ciò che cercava, così, abbassandomi fino alle profondità del
mio nulla, m'innalzai tanto in alto che riuscii a raggiungere il mio
scopo. Senza scoraggiarmi, continuai la lettura, e trovai sollievo in
questa frase: «Cercate con ardore i doni più perfetti, ma vi mostrerò
una via ancor più perfetta». E l'Apostolo spiega come i doni più
perfetti sono nulla senza l'Amore. La Carità è la via per eccellenza
che conduce sicuramente a Dio.
254 - Finalmente avevo trovato il riposo. Considerando il corpo mistico
della Chiesa, non mi ero riconosciuta in alcuno dei membri descritti da
san Paolo, o piuttosto volevo riconoscermi in tutti. La Carità mi dette
la chiave della mia vocazione. Capii che, se la Chiesa ha un corpo
composto da diverse membra, l'organo più necessario, più nobile di
tutti non le manca, capii che la Chiesa ha un cuore, e che questo cuore
arde d'amore. Capii che l'amore solo fa agire le membra della Chiesa,
che, se l'amore si spegnesse, gli apostoli non annuncerebbero più il
Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue... Capii
che l'amore racchiude tutte le vocazioni, che l'amore è tutto, che
abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola che è eterno.
Allora, nell'eccesso della mia gioia delirante, esclamai: Gesù, Amore
mio, la mia vocazione l'ho trovata finalmente, la mia vocazione è
l'amore! Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto, Dio
mio, me l'avete dato voi! Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò
l'amore. Così, sarò tutto... e il mio sogno sarà attuato!
255 - Perché parlare di gioia delirante? No, questa espressione non è
giusta, è piuttosto la pace, la serenità del navigatore il quale scorge
il faro del suo porto. Oh, faro luminoso dell'amore, so come arrivare a
te, ho trovato il segreto per impadronirmi della tua fiamma! Sono
soltanto una bimba, incapace, debole, eppure la mia debolezza stessa mi
dà l'audacia di offrirmi come vittima al tuo amore, Gesù! In altri
tempi le ostie senza macchia erano le sole gradite al Dio forte e
potente. Per soddisfare la giustizia divina occorrevano vittime
perfette, ma alla legge del timore è succeduta la legge dell'amore, e
l'Amore mi ha scelta per olocausto, me, creatura debole e imperfetta.
Questa scelta non è degna dell'amore?... Sì, affinché l'amore sia
soddisfatto pienamente, bisogna che si abbassi, che si abbassi fino al
niente, per trasformare in fuoco questo niente...
256 - Gesù, lo so bene, l'amore si paga soltanto con l'amore, perciò ho
cercato, ho trovato sollievo rendendoti amore per amore. «Usate le
ricchezze che rendono ingiusti, per farvi degli amici i quali vi
ricevano nei tabernacoli eterni». Ecco, Signore, il consiglio che tu
dai ai tuoi discepoli dopo aver detto loro che «i figli delle tenebre
sono più abili nelle loro faccende che i figli della luce». Figlia
della luce, ho capito che i miei desideri di esser tutto, di far mie
tutte le vocazioni, sono ricchezze che potrebbero rendermi ingiusta,
allora le ho usate per farmi degli amici. Ricordando la preghiera di
Eliseo al padre suo Elia quando osò chiedergli il suo duplice spirito,
mi sono presentata dinanzi agli Angeli e ai Santi, e ho detto loro:
«Sono la creatura più piccola, conosco la mia miseria e la mia
debolezza, ma so anche quanto piaccia ai cuori nobili, generosi, far
del bene, perciò, vi supplico, beati abitanti del cielo, vi supplico di
adottarmi come figlia; tutta vostra sarà la gloria che mi farete
acquistare, ma degnatevi di esaudire la mia preghiera, è temeraria, lo
so, tuttavia oso chiedervi di ottenermi il vostro duplice amore.
257 - Gesù, non posso approfondire la mia supplica, temerei di rimanere
schiacciata sotto il peso dei miei desideri audaci. La mia scusa è che
sono una bambina, i bimbi non riflettono alla portata delle loro
parole, eppure i loro genitori, quando si trovano sopra un trono, se
possiedono tesori immensi, non esitano a contentare i desideri dei
piccoli esseri che amano quanto se stessi. Per far loro piacere
commettono follie, arrivano alla debolezza! Ebbene, io sono la figlia
della Chiesa, e la Chiesa è Regina, poiché è tua Sposa, divino Re dei
re. Non a ricchezze e a gloria (si trattasse anche della gloria del
Cielo) ambisce il cuore del bambino. La gloria, capisce che è, per
diritto, dei suoi fratelli, gli Angeli e i Santi. La gloria di lui sarà
il riflesso di quella che si irradierà dalla fronte di sua Madre.
Quello che chiede, è l'amore, sa una cosa sola, amarti, Gesù! Gli sono
interdette le opere clamorose, non può predicare il Vangelo, non può
versare il suo sangue; ma che importa, i suoi fratelli lavorano al suo
posto, e lui, bimbo piccolo, sta li, proprio vicino al trono del Re e
della Regina, ama per i suoi fratelli i quali combattono. Ma in quale
modo testimonierà il suo amore, poiché l'amore si prova con le opere?
Ebbene, il fanciullo getterà fiori, profumerà il trono reale, canterà
con la sua voce argentina il cantico dell'amore...
258 - Sì, Amato, la mia vita si consumerà così. Non ho altri mezzi per
provarti il mio amore, se non gettar dei fiori, cioè non lasciar
sfuggire alcun piccolo sacrificio, alcuna premura, alcuna parola, e
profittare di tutte le cose piccole, e farlo per amore... Voglio
soffrire per amore e perfino gioire per amore, così getterò fiori
davanti al tuo trono; non ne incontrerò uno senza sfogliarlo per te...
poi, gettando fiori, canterò (sarebbe possibile piangere compiendo
un'azione di tanta gioia?), canterò, anche quando dovrò cogliere i miei
fiori in mezzo alle spine, e il canto sarà tanto più melodioso quanto
più le spine saranno lunghe e pungenti. Gesù, a che ti serviranno i
miei fiori e i miei canti? Lo so bene, questa pioggia profumata, questi
petali fragili senz'alcun valore, questi canti d'amore del cuore
piccolo tra i piccoli, ti saranno cari, questi nulla ti faranno
piacere, faranno sorridere la Chiesa trionfante, ella raccoglierà i
miei fiori sfogliati per amore, e facendoli passare per le tue mani
divine, Gesù, questa Chiesa del Cielo vorrà giocare col suo bimbo
piccolo, e getterà anch'essa quei fiori i quali avranno acquisito,
sotto il tuo tocco divino, un valore infinito, e li getterà sulla
Chiesa dolorante per spegnere le fiamme di essa, li getterà sulla
Chiesa militante per farle avere la vittoria!
259 - Gesù mio, ti amo, amo la Chiesa mia Madre, mi ricordo che «il
minimo moto di amor puro le è più utile che non tutte le altre opere
riunite insieme», ma l'amore puro esiste nel mio cuore? I miei desideri
immensi non sono un sogno, una follia? Ah, se così fosse, Gesù,
illuminami. Tu Io sai, io cerco la verità: se i miei desideri sono
temerari, falli sparire, perché questi desideri sono per me il martirio
più grande... Eppure lo sento, Gesù, dopo aver sospirato verso le
regioni più alte dell'amore, se dovessi non raggiungere un giorno,
avrei gustato più dolcezze nel mio martirio, nella mia follia, di
quanta non ne godrei in mezzo alle gioie della patria, a meno che, per
mezzo di un miracolo, tu non mi tolga il ricordo delle mie speranze
terrestri. Allora lasciami godere, durante il mio esilio, le delizie
dell'amore! Lasciami assaporare le dolci amarezze del mio martirio!
Gesù, Gesù, se è tanto delizioso il desiderio di amarti, che sarà
possederti, godere del tuo amore?
260 - In qual modo può, un'anima imperfetta quanto la mia, aspirare a
possedere la pienezza dell'Amore? Gesù, mio primo, mio solo Amico, tu
che amo unicamente, dimmi, quale mistero è questo? Perché non riservi
queste aspirazioni immense alle anime grandi, alle aquile che roteano
altissime? Io mi considero come un uccellino debole, coperto di un po'
di piuma lieve; non sono un'aquila, ho dell'aquila soltanto gli occhi e
il cuore perché, nonostante la mia piccolezza estrema, oso fissare il
Sole divino, il Sole dell'Amore, e il mio cuore prova tutte le
aspirazioni dell'aquila... L’uccellino vorrebbe volare verso quel Sole
che affascina gli occhi, vorrebbe imitare le aquile, sue sorelle che
vede elevarsi fino alla divina dimora della santissima Trinità...
Ahimè! Tutto quello che può fare, è sollevare le sue alucce, ma volar
via, questo non è nelle sue piccole possibilità. Che ne sarà di lui?
Morirà di dolore vedendosi così impotente? No! L’uccellino non se ne
affliggerà nemmeno. Con un abbandono audace vuol fissare ancora il suo
Sole divino: niente gli fa paura, né vento, né pioggia, e se le nuvole
pesanti nascondono l'Astro d'amore, l'uccellino non cambia posto, sa
che di là dalle nubi il Sole splende sempre, che la sua luce non si
offuscherà nemmeno per un attimo.
261 - In certi momenti il suo cuore si trova assalito dalla tempesta,
gli pare che non esistano altre cose se non le nubi che lo circondano;
e allora è il momento della gioia perfetta per il povero esserino
debole. Che felicità per lui restare lì ugualmente, e fissare la luce
invisibile la quale si nasconde alla sua fede! Gesù, fino da ora
capisco il tuo amore per l'uccellino, perché non si allontana da te...
Ma io lo so, e tu lo sai, spesso questo cosino minimo e imperfetto, pur
rimanendo al suo posto (cioè sotto i raggi del Sole), si lascia
distrarre un poco dalla sua occupazione unica, becca un granellino di
qua o di là, corre dietro a un vermiciattolo... Poi, trovando una
pozzanghera, si bagna le piume appena spuntate, vede un fiore che gli
piace, allora la sua piccola testa si occupa di quel fiore... e poi,
non potendo planare come le aquile, il povero uccellino s'interessa
ancora alle piccolezze della terra. Tuttavia, dopo questi malestri,
invece di andare a nascondersi in un angolino per piangere la sua
miseria e morir di pentimento, l'uccellino si volge verso il Sole
amato, presenta ai raggi benefici le alucce bagnate, geme come la
rondine, e con un canto dolce racconta tutti i particolari della sua
infedeltà, pensando nel suo abbandono temerario di acquistare così
maggior diritto, attirare più pienamente l'amore di Colui che non è
venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori.
262 - Se l'Astro adorato rimane sordo al lamento cinguettato della sua
creaturina, se rimane velato, ebbene, la creaturina resta bagnata,
accetta di essere intirizzita di freddo, e si rallegra ancora di questa
sofferenza che ha pur mentata... Gesù, com'è felice il tuo uccellino di
essere debole e piccolo. Oh, che sarebbe di lui se fosse grande? Mai
avrebbe l'audacia di comparire alla tua presenza, di sonnecchiare
dinanzi a te... Si, ecco un'altra debolezza dell'uccellino: quando vuoi
fissare il Sole divino e le nuvole gli impediscono di vedere anche un
solo raggio, nonostante la sua buona volontà gli occhi gli si chiudono,
la testolina si nasconde sotto l'ala, e il povero esserino si
addormenta, credendo di fissar sempre il suo Astro amato. Quando si
desta, non si cruccia; il suo cuoricino rimane in pace, ricomincia il
suo ufficio d'amore, invoca gli Angeli e i Santi i quali s'innalzano
come aquile verso il fuoco divorante oggetto della sua brama, e le
aquile, impietosite, proteggono il fratellino, e mettono in fuga gli
avvoltoi che vorrebbero divorarlo.
263 - Gli avvoltoi, immagini dei demoni, l'uccellino non li teme, non è
destinato a diventar la loro preda, bensì sarà preda dell'Aquila che
egli contempla nel centro del Sole d'amore. O Verbo divino, tu sei
l'Aquila adorata, io ti amo. Tu mi attiri, sei tu che, slanciandoti
verso la terra dell'esilio, hai voluto soffrire e morire per attirare
le anime fino al seno dell'intimità eterna della Santissima Trimtà, sei
tu che, risalendo verso la Luce inaccessibile ove soggiornerai sempre,
resti pur sempre nella valle delle lacrime, nascosto entro l'aspetto di
un'Ostia bianca... Aquila eterna, tu vuoi nutrire della tua sostanza
divina me, povero esserino che rientrerei nel nulla se il tuo sguardo
divino non mi desse la vita minuto per minuto. Oh, Gesù, lasciami dire,
nell'eccesso della mia riconoscenza, lasciami dire che il tuo amore
arriva fino alla follia... Come vuoi che, dinanzi a questa follia, il
mio cuore non si slanci verso te? Come potrebbe aver limiti la mia
fiducia? Per te, lo so, i Santi hanno fatto anch'essi delle follie,
hanno fatto grandi cose perché erano aquile.
264 - Gesù, sono troppo piccola per fare cose grandi, e la follia mia è
sperare che il tuo Amore mi accolga come vittima! La mia follia
consiste nel supplicare le aquile, sorelle mie, perché mi ottengano la
grazia di volare verso il Sole dell'Amore con le ali stesse dell'Aquila
divina... Così, per quanto tempo tu lo vorrai, o mio Amato, il tuo
uccellino rimarrà senza forza e senza ali; terrà sempre fissi in te gli
occhi; vuole essere affascinato dal tuo sguardo divino, vuoi diventare
preda del tuo Amore... Un giorno, oso sperano, Aquila adorata, verrai
in cerca del tuo uccellino, e risalendo con lui al focolare dell'Amore,
lo immergerai per l'eternità nell'abisso ardente di quell'Amore al
quale egli si è offerto come vittima...
265 - O Gesù, perché non posso dire a tutte le piccole anime quanto
ineffabile è la tua condiscendenza... Sento che se, cosa impossibile,
tu trovassi un'anima più debole, più piccola della mia, ti
compiaceresti di colmarla con favori anche più grandi, se si
abbandonasse con fiducia completa alla tua misericordia infinita. Ma
perché desiderare di comunicare i tuoi segreti d'amore, Gesù, non sei
tu solo che me li hai insegnati, e non puoi forse rivelarti ad altri?
Sì, lo so, e ti scongiuro di farlo, ti supplico di abbassare il tuo
sguardo divino sopra un gran numero di piccole anime... Ti supplico di
scegliere una Legione di piccole vittime degne del tuo Amore....
SCRITTO AUTOBIOGRAFICO C
diretto a madre Maria di Gonzaga
1. APERTURA D'ANIMO CON
LA NUOVA PRIORA (1897)
Dedica - Educazione
forte di madre Maria di Gonzaga - Non vana compiacenza per le lodi -
L'Ascensore divino - Missione presso le novizie - Annunzio della venuta
dello Sposo - Prova della fede - Comprensione per i peccatori e tattica
di vittoria - Indifferenza per una vita breve o lunga, accanto o
lontana dalle sorelle dilette - Sicurezza e pace nell'obbedienza
J.M.JT. giugno 1897
266 - Madre tanto amata, ella mi ha espresso il desiderio che io
completi con lei il mio canto delle misericordie del Signore. Questo
dolce canto l'avevo cominciato con la sua figlia cara, Agnese di Gesù,
la mamma incaricata da Dio di guidarmi nei giorni dell'infanzia; con
quella madre dovevo cantare le grazie largite al fiore umile della
Vergine Santa quand'era nella sua primavera, ma è con lei che debbo
cantare la felicità di questa piccola corolla ora che i raggi timidi
dell'aurora hanno fatto posto agli ardori del mezzogiorno. Sì, con lei
e per rispondere al suo desiderio cercherò di ridire i sentimenti
dell'anima mia, la mia riconoscenza verso il buon Dio, verso lei che me
lo rappresenta visibilmente; non è, infatti, nelle sue mani materne che
mi sono offerta interamente al Signore? Ricorda, Madre, quel giorno?...
Sento che il suo cuore non saprebbe dimenticano. Quanto a me, debbo
attendere il Cielo perché non trovo, quaggiù, parole atte a tradurre
ciò che accadde nel mio cuore in quel giorno benedetto.
267 - Madre cara, c'è un altro giorno nel quale il cuore mio si attaccò
ancor più al suo, se ciò è possibile; fu quando Gesù le impose
nuovamente il fardello del superiorato. In quel giorno, lei seminò tra
le lacrime, ma in Cielo sarà colma di gioia vedendosi carica di fasci
di fiori preziosi. Oh, Madre mia, perdoni alla mia semplicità
fanciullesca, sento che lei mi permette di parlarle senza ricercare ciò
che una giovane religiosa può dire alla sua Priora. Forse non mi
manterrò sempre entro i limiti prescritti agli inferiori, ma, oso
dirlo, è colpa sua: agisco con lei come una figlia perché lei agisce
con me non gia come una Priora, bensì come una Madre.
268 - Lo sento bene, è il Signore che mi parla sempre attraverso lei.
Varie sorelle pensano che ella mi abbia viziata, che da quando sono
entrata nell'arca santa, io non abbia ricevuto da lei se non carezze e
complimenti, ma non è così; vedrà, Madre mia, nel quaderno che contiene
i miei ricordi d'infanzia, ciò che penso della educazione forte e
materna che ho ricevuta da lei. Dal più profondo del cuore la ringrazio
per non avermi risparmiata. Gesù sapeva bene che era necessaria l'acqua
vivificante dell'umiliazione per il suo povero fiore, questo era troppo
debole per mettere radici senza un tale soccorso, ed è per mezzo suo,
Madre, che l'aiuto gli è stato concesso.
269 - Da un anno e mezzo Gesù ha voluto cambiare il modo per dar vita
al suo fiore, l'ha trovato senza dubbio abbastanza annaffiato, perché
ora è il sole che lo rende rigoglioso, Gesù dà a lui soltanto il suo
sorriso, e per mezzo suo, Madre amata. Il fiore, anziché appassire,
sotto questo sole dolce prende forza meravigliosamente, in fondo al
calice conserva le gocce preziose di rugiada che ha ricevute, e queste
gocce gli ricordano sempre che è piccolo e debole. Tutte le creature
possono ben curvarsi verso lui, ammirarlo, soffocarlo di lodi: non so
perché, ma questo non saprebbe aggiungere una sola goccia di falsa
gioia alla gioia verace che esso gusta intimamente, vedendosi quello
che è agli occhi di Dio: un povero piccolo nulla. Dico che non capisco
perché, ma non è forse perché è stato preservato dall'acqua delle lodi
per tutto il tempo nel quale il suo piccolo calice non era abbastanza
pieno della rugiada dell'umiliazione? Ora non c’è più pericolo, al
contrario, il fiore trova così deliziosa la rugiada di cui è pieno, che
si guarderebbe bene dal cambiarla con l'acqua tanto banale dei
complimenti.
270 - Non voglio parlare, Madre cara, dell'amore e della fiducia che
lei mi dimostra; non creda che il cuore di sua figlia sia insensibile,
solamente sento bene che non ho da temere nulla ora, al contrario posso
goderne, riferendo al Signore ciò che di buono egli si è degnato
mettere in me. Se piace a lui farmi sembrare migliore di quanto non
sia, ciò non mi riguarda, è libero di agire come vuole. Oh, come sono
diverse le vie per le quali il Signore conduce le anime! Nella vita dei
Santi, vediamo che ce ne sono molti i quali non hanno voluto lasciare
niente di loro dopo la morte, non il minimo ricordo, né il più piccolo
scritto. Ce ne sono altri, invece, come la nostra Madre santa Teresa, i
quali hanno arricchito la Chiesa con le loro rivelazioni sublimi, non
temendo di rendere noti i segreti del Re, affinché egli sia più
conosciuto e più amato dalle anime. Quale di questi due generi di santi
piace più al Signore? Mi sembra, Madre mia, che gli siano ugualmente
graditi, poiché tutti hanno seguito l'impulso dello Spirito Santo, e il
Signore ha detto: «Dite al giusto che tutto è bene». Sì, tutto è bene,
quando si cerca soltanto la volontà di Gesù; è per questo che io povero
piccolo fiore obbedisco a Gesù, cercando di far piacere alla mia Madre
amata.
271 - Lei lo sa, Madre, ho sempre desiderato essere una santa, ma
ahimè, ho sempre accertato, quando mi sono paragonata ai santi, che tra
essi e me c'è la stessa differenza che tra una montagna la cui vetta si
perde nei cieli, e il granello di sabbia oscura calpestata sotto i
piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il buon Dio
non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia
piccolezza, aspirare alla santità; diventare più grande mi è
impossibile, debbo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie
imperfezioni, nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in Cielo per
una via ben diritta, molto breve, una piccola via tutta nuova. Siamo in
un secolo d'invenzioni, non vale più la pena di salire gli scalini,
nelle case dei ricchi un ascensore li sostituisce vantaggiosamente.
Vorrei anch'io trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché
sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Allora
ho cercato nei libri santi l'indicazione dell'ascensore, oggetto del
mio desiderio, e ho letto queste parole pronunciate dalla Sapienza
eterna: «Se qualcuno è piccolissimo, venga a me». Allora sono venuta,
pensando di aver trovato quello che cercavo, e per sapere, o mio Dio,
quello che voi fareste al piccolissimo che rispondesse al vostro
appello, ho continuato le mie ricerche, ed ecco ciò che ho trovato:
«Come una madre carezza il suo bimbo, così vi consolerò, vi porterò sul
mio cuore, e vi terrò sulle mie ginocchia!». Ah, mai parole più tenere,
più armoniose hanno allietato l'anima mia, l'ascensore che deve
innalzarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non
ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo
divenga sempre più.
272 - Dio mio, avete superato la mia speranza, ed io voglio cantare le
vostre misericordie. «Voi mi avete istruita fin dalla mia giovinezza e
fino ad oggi ho annunciato le vostre meraviglie, continuerò a
manifestarle nell'età più tarda - Salmo LXX». Quale sarà per me questa
tarda età? Mi pare che potrebbe essere ora, perché duemila anni non
sono agli occhi del Signore più di venti anni o di un giorno solo. Non
creda, Madre cara, che la sua figliola desideri lasciarla... non creda
che consideri una grazia più grande morire all'aurora piuttosto che al
tramonto. Quello che stima, che unicamente desidera è far piacere a
Gesù. Ora che egli sembra avvicinarsi per attirarmi nella sua gloria,
io mi rallegro. Da lungo tempo ho capito che il buon Dio non ha bisogno
di nessuno (ancor meno di me che di altri) per far del bene sulla
terra. Madre mia, mi perdoni se la rattristo... Vorrei tanto
rallegrarla, ma crede lei che se le sue preghiere non sono esaudite
sulla terra, se Gesù per qualche giorno separa la figlia dalla madre,
quelle preghiere non saranno esaudite in Cielo?
273 - il suo desiderio è, lo so bene, che io compia accanto a lei una
missione molto dolce e facile; questa missione non potrò assolverla
dall'alto dei cieli? Come disse Gesù un giorno a san Pietro, così lei
ha detto a sua figlia: «Pasei i miei agnelli», e io mi sono
meravigliata, ho detto a lei: «sono troppo piccola»... l'ho supplicata
di fare pascolare lei stessa i suoi agnellini e di custodirmi, di farmi
pascolare per grazia con essi. E lei, Madre amata, rispondendo un poco
al mio giusto desiderio, ha custodito gli agnellini con le pecore, ma
comandandomi di farli spesso pascolare all'ombra, di indicar loro le
erbe migliori e più fortificanti, di mostrar loro chiaramente i fiori
brillanti che non debbono mai toccare se non per schiacciarli sotto i
loro passi. Lei non ha temuto, cara Madre, che io facessi smarrire i
suoi agnelli; la mia inesperienza, la mia giovinezza non l'hanno
affatto spaventata, forse lei si è ricordata che spesso al Signore
piace concedere la sapienza ai piccoli, e che un giorno, pieno di
gioia, egli ha benedetto suo Padre perché ha nascosto i propri segreti
ai prudenti e li ha rivelati ai più piccoli. Madre mia, lei lo sa, sono
ben rare le anime che non misurino la potenza divina secondo i loro
corti pensieri; si ammette che dappertutto sulla terra esistano
eccezioni, soltanto Iddio non ha il diritto di farne! Da lungo tempo,
lo so bene, questo modo di commisurare l'esperienza agli anni viene
praticato fra gli uomini, perché nella sua adolescenza il santo re
David cantava al Signore: «Sono giovane e disprezzato». Nello stesso
Salmo 118 tuttavia non esita a dire: «Sono diventato più prudente dei
vegliardi: perché ho cercato la vostra volontà... La vostra parola è la
lampada che rischiara i miei passi... Sono pronto a compiere i vostri
ordini e non sono turbato da nulla».
274 - Madre cara, lei non ha esitato a dirmi un giorno che il Signore
illuminava l'anima mia, che egli mi dava anche l'esperienza degli anni.
Oh, Madre! sono troppo piccola per avere della vanità ora, sono troppo
piccola anche per comporre belle frasi e farle credere che ho molta
umiltà; preferisco convenire semplicemente che l'Onnipotente ha fatto
grandi cose nell'anima di colei che è figlia della sua divina Madre, e
la più grande è di averle mostrato la sua piccolezza, la sua impotenza.
Madre cara, lei lo sa bene, il Signore si è degnato far passare l'anima
mia per varie prove; ho sofferto molto da quando sono sulla terra, ma,
se nella mia infanzia ho sofferto con tristezza, ora non soffro più
così, bensì nella gioia e nella pace, e sono veramente felice di
soffrire. Bisogna che lei conosca tutti i segreti dell'anima mia per
non sorridere leggendo queste righe, perché, se si giudica dalle
apparenze, può esserci un anima meno provata della mia? Oh, se la prova
che io soffro da un anno apparisse agli sguardi, che stupore! Madre
amata, lei la conosce questa prova, tuttavia ne parlerò ancora perché
la considero una grande grazia che ho ricevuto sotto il suo priorato
benedetto.
275 - L’anno scorso il Signore mi ha concesso la consolazione di
osservare il digiuno di quaresima in tutto il suo rigore. Non mi ero
sentita mai così forte, e questa forza si mantenne fino a Pasqua.
Tuttavia, il giorno del Venerdì santo, Gesù volle darmi la speranza di
andare ben presto a vederlo in Cielo. Com'è dolce questo ricordo! Dopo
essere rimasta al sepolcro fino a mezzanotte, rientrai nella nostra
cella, ma avevo appena posato la testa sul cuscino che sentii un fiotto
salire, salire quasi bollendo fino alle mie labbra. Non sapevo cosa
fosse, ma pensai che forse morivo e l'anima era colma di gioia...
Tuttavia, la lampada era spenta, dissi a me stessa che dovevo aspettare
fino al mattino per assicurarmi della mia felicità, perché mi pareva
sangue quello che avevo vomitato. La mattina non si fece attendere
molto, svegliandomi pensai subito che avrei avuto una notizia allegra,
mi avvicinai alla finestra, costatai che non mi ero ingannata. L'anima
mia fu piena di una consolazione grande, ero persuasa intimamente che
Gesù nel giorno commemorativo della sua morte volesse farmi udire il
primo richiamo. Era come un dolce murmure lontano che mi annunciasse
l'arrivo dello Sposo. Con immenso fervore assistei a Prima e al
capitolo del perdono. Avevo fretta di veder giungere il mio turno per
confidarle, chiedendole perdono, Madre mia cara, la mia speranza e la
mia felicità; ma aggiunsi che non soffrivo affatto (cosa verissima), e
la supplicai di non concedermi alcunché di particolare. Realmente ebbi
la consolazione di passare la giornata del Venerdì santo come
desideravo. Mai le austerità del Carmelo mi erano sembrate così
deliziose, la speranza di andare in Cielo mi faceva esultare di
letizia. Quando arrivò la sera di quel giorno felice, bisognò
riposarsi, ma, come la notte precedente, Gesù misericordioso mi dette
lo stesso segno che il mio ingresso nella vita eterna non era lontano...
276 - Godevo allora di una fede tanto viva, tanto chiara, che il
pensiero del Cielo formava tutta la mia felicità, non potevo credere
che vi fossero degli empi i quali non avessero la fede. Credevo che
parlassero contro il loro stesso pensiero negando l'esistenza del
Cielo, del bel Cielo ove Dio stesso vorrebbe essere la loro ricompensa
eterna. Nei giorni tanto gioiosi della Pasqua, Gesù mi ha fatto sentire
che esistono davvero anime senza fede, le quali per l'abuso delle
grazie hanno perduto questo tesoro immenso, sorgente delle sole gioie
pure e vere. Ha permesso che l'anima mia fosse invasa dalle tenebre più
fitte, e che il pensiero del Cielo, dolcissimo per me, non fosse più se
non lotta e tormento... Questa prova non doveva durare per qualche
giorno, non per qualche settimana: terminerà soltanto all'ora segnata
da Dio misericordioso, e... quest'ora non è ancora venuta. Vorrei
esprimere ciò che penso, ma, ahimè, credo che sia impossibile. Bisogna
aver viaggiato sotto questo tunnel cupo per capirne l'oscurità.
Cercherò tuttavia di spiegarmi per mezzo di un paragone.
277 - Suppongo d'esser nata in un paese circondato da una bruma spessa,
mai ho contemplato l'aspetto ridente della natura inondata,
trasfigurata dallo splendore del sole; fin dall'infanzia, è vero, ho
inteso parlare dì queste meraviglie, so che il paese nel quale sono
nata non è la mia patria, che ce n'è un'altra alla quale debbo aspirare
incessantemente. Non è una storia inventata da un abitante del paese
triste ove sono, è una realtà sicura perché il Re della patria luminosa
è venuto a vivere trentatré anni nel paese delle tenebre; ahimè! Le
tenebre non hanno capito che quel Re divino era la luce del mondo. Ma,
Signore, la vostra figlia ha capito la vostra luce divina, vi chiede
perdono per i suoi fratelli, accetta di nutrirsi per quanto tempo voi
vorrete del pane del dolore e non vuole alzarsi da questa tavola colma
dì amarezza alla quale mangiano i poveri peccatori prima del giorno che
voi avete segnato. Ma anche lei osa dire a nome proprio e dei suoi
fratelli: «Abbiate pietà di noi Signore perché siamo poveri peccatori!»
Oh, Signore, rimandateci giustificati... che tutti coloro i quali non
sono illuminati dalla fiaccola limpida della fede, la vedano,
finalmente... Gesù, se è necessario che la tavola insozzata da essi sia
purificata da un'anima la quale vi ama, voglio ben mangiare sola il
pane della prova fino a quando vi piaccia introdurmi nel vostro regno
luminoso. La sola grazia che vi chiedo è di non offendervi mai!
278 - Madre amata, quello che le scrivo è disordinato; la mia piccola
storia che somigliava a una fiaba si è cambiata a un tratto in
preghiera, non so quale interesse lei potrà trovare a leggere tutti
questi pensieri confusi ed espressi male. Ma io non scrivo per fare
opera letteraria, bensì per obbedienza; se l'annoio, almeno ella vedrà
che la sua figliola ha dato prova di buona volontà. Continuerò dunque
senza scoraggiarmi il mio piccolo paragone al punto in cui l'avevo
lasciato. Dicevo che la certezza di andare via, un giorno lontano, dal
paese triste e tenebroso mi è stata data fin dall'infanzia; non
solamente credevo ciò che ascoltavo dalle persone più importanti dì me,
ma anche avevo in fondo al cuore le aspirazioni verso una regione più
bella. Come il genio di Cristoforo Colombo gli fece intuire che
esisteva un mondo nuovo, allorché nessuno ci pensava, così io sentivo
che un'altra terra mi avrebbe servito un giorno di stabile dimora. Ma
ad un tratto le nebbie che mi circondano divengono più spesse,
penetrano nell'anima mia e l'avviluppano in tal modo che non riesco più
a ritrovare in essa l'immagine così dolce della mia Patria, tutto è
scomparso! Quando voglio riposare il cuore stanco delle tenebre che lo
circondano, ricordando il paese luminoso al quale aspiro, il mio
tormento raddoppia; mi pare che le tenebre, assumendo la voce dei
peccatori, mi dicano facendosi beffe dì me: «Tu sogni la luce, una
patria dai profumi più soavi, tu sogni di possedere eternamente il
Creatore di tutte queste meraviglie, credi uscire un giorno dalle brume
che ti circondano. Vai avanti! Vai avanti! Rallegrati della morte che
ti darà non già ciò che speri, ma una notte più profonda, la notte del
niente». Madre carissima, l'immagine che ho voluto dare delle tenebre
che oscurano l'anima mia è tanto imperfetta quanto un abbozzo
paragonato al modello; ma non voglio continuare a scriverne, temerei di
bestemmiare... ho paura d'aver già detto troppo...
279 - Che Gesù mi perdoni se gli ho fatto dispiacere, ma egli sa bene
che, pur non avendo il godimento della fede, mi sforzo tuttavia di
compierne le opere. Credo di aver compiuto più atti di fede da un anno,
che non in tutta la vita. Ad ogni occasione nuova di battaglia, quando
il nemico mi provoca, mi conduco da valoroso; sapendo che la viltà
consiste proprio nel battersi in duello, volgo la schiena
all'avversario senza degnarlo di uno sguardo; corro verso il mio Gesù,
gli dico che sono pronta a versar fino all'ultima stilla di sangue per
testimoniare che esiste un Cielo. Gli dico che sono felice di non
godere di quel bel Cielo qui, sulla terra, affinché egli l'apra per
l'eternità ai poveri increduli. Così, nonostante questa prova che mi
toglie ogni godimento, posso dir tuttavia: «Signore, voi mi colmate dì
gioia con tutto ciò che fate - Salmo XCI». Perché, esiste forse una
gioia più grande che soffrire per amore vostro? Più la sofferenza è
intima, più nascosta è agli occhi delle creature, e tanto più vi
rallegra, o Dio mio! Ma se, cosa impossibile, doveste ignorare voi
stesso la mia sofferenza, sarei felice di possederla se per mezzo di
essa potessi impedire e riparare una sola colpa commessa contro la fede.
280 - Madre amata, le sembra forse che io esageri la mia prova; in
realtà, se lei giudica dai sentimenti che esprimo nelle poesiole che ho
composto quest'anno, le sembrerò un'anima colma di consolazione, per la
quale il velo della fede si è quasi squarciato, e tuttavia... non è più
un velo per me, è un muro che si alza fino ai cieli e copre le stelle.
Quando canto la felicità del Cielo, il possesso eterno di Dio, non
provo gioia alcuna, perché canto semplicemente ciò che voglio credere.
A volte, è vero, un minimo raggio scende a illuminare la mia notte,
allora la prova s'interrompe per un attimo, ma subito dopo, il ricordo
di questo raggio, invece che rallegrarmi, rende ancor più fitte le mie
tenebre. Madre mia, non ho mai sentito come ora quanto il Signore è
dolce e misericordioso: mi ha mandato questa prova soltanto quando ho
avuto la forza dì sopportarla; credo che se l'avessi avuta prima sarei
precipitata nello scoramento. Ora essa toglie qualsiasi soddisfazione
naturale che io avrei potuto trovare nel desiderio del Cielo. Mi sembra
ora che niente m'impedisca di partire, perché non ho più grandi
desideri, se non quello di amare sino a morire di amore (9 giugno).
281 - Madre cara, sono tutta meravigliata vedendo quello che le ho
scritto ieri, quali scarabocchi! La mia mano tremava in modo tale che
mi fu impossibile continuare, e ora rimpiango perfino di aver tentato
di scrivere, spero di poterlo fare oggi più leggibilmente perché non
sono più a letto, bensì in una bella poltroncina bianca. Sento bene,
Madre, che tutto quello che le dico non è conseguente, ma sento anche,
prima di parlarle del passato, il bisogno di esporle i miei sentimenti
presenti, più tardi forse ne avrò perduto il ricordo. Voglio dirle
prima di tutto quanto sono commossa per tutte le sue delicatezze
materne. Ah, mi creda, il cuore della sua figlia è pieno di
riconoscenza, mai dimenticherò tutto quello che le devo. Madre mia,
soprattutto mi commuovono la novena che lei fa a Nostra Signora delle
Vittorie e le Messe che lei fa dire per ottenere la mia guarigione.
Sento che tutti questi tesori spirituali fanno un gran bene all'anima
mia; all'inizio della novena le dicevo, Madre mia, che bisognava, o che
la Vergine mi guarisse, o che mi portasse in Cielo, perché trovavo ben
triste per lei e la comunità di avere a carico una giovane religiosa
malata; ora ben volentieri rimarrò malata tutta la vita se ciò fa
piacere al Signore, e consento perfino a che la mia vita sia
lunghissima, la sola grazia che desidero è che essa sia spezzata
dall'amore.
282 - No, non temo una vita lunga, non rifiuto la lotta, perché «il
Signore è la rupe sulla quale sono elevata, è lui che addestra le mie
mani alla lotta e le mie dita al combattimento. E il mio scudo, spero
in lui. - Salmo CXLIII». Così, mai ho chiesto al Signore di morir
giovane, pur avendo sempre sperato che sia questa la sua volontà.
Spesso il Signore si contenta dei desideri di lavorare per la sua
gloria, e lei sa, Madre, che i miei desideri sono tanto grandi. Lei sa
anche che Gesù mi ha presentato più di un calice amaro e lo ha
allontanato dalle mie labbra prima che lo bevessi, ma non prima di
avermene fatto assaporare l'amarezza. Madre amata, il santo re David
aveva ragione quando cantava: «Com'è buono, com'è dolce per dei
fratelli abitare insieme in comunione perfetta». E’ vero, l'ho sentito
molto spesso ma bisogna che questa unione sulla terra abbia luogo nel
sacrificio. Non è affatto per vivere con le mie sorelle che sono venuta
al Carmelo, è unicamente per rispondere alla chiamata di Gesù;
presentivo bene che sarebbe stata una ragione di sofferenza continua
vivere con le proprie sorelle, quando non si vuole concedere niente
alla natura.
283 - Come si può dire che sia più perfetto allontanarsi dai propri
cari? Si è mai rimproverato a dei fratelli di combattere sullo stesso
campo di battaglia, si è mai fatto loro rimprovero di volare insieme
per cogliere la palma del martirio? Senza dubbio si è giudicato con
ragione che essi si facevano coraggio a vicenda, ma altresì che il
martirio di ciascuno diveniva il martirio di tutti. Così accade nella
vita religiosa che i teologi chiamano un martirio. Dandosi a Dio, il
cuore non perde la sua tenerezza naturale, anzi, questa tenerezza
cresce divenendo più pura e più divina. Madre cara, con questa
tenerezza amo lei e amo le mie sorelle; sono felice di combattere in
famiglia per la gloria del Re dei Cieli, ma sono pronta anche a volare
sopra un altro campo di battaglia, se il Divino Generale me
n'esprimesse il desiderio. Un comando non sarebbe necessario, ma uno
sguardo, un semplice segno.
284 - Da quando sono entrata nell'arca benedetta, ho sempre pensato
che, se Gesù non mi portasse presto in Cielo, avrei la sorte della
piccola colomba di Noè; che un giorno il Signore aprirebbe la finestra
dell'arca e mi direbbe di volare lontano lontano verso rive infedeli,
portando con me il ramoscello di olivo. Madre mia, questo pensiero ha
fatto crescere l'anima mia, mi ha fatto aleggiare più in alto, al
disopra delle cose create. Ho capito che anche al Carmelo potevano
esserci delle separazioni, che soltanto in Cielo l'unione sarà completa
ed eterna; allora ho voluto che l'anima mia abiti nei Cieli, che guardi
le cose della terra soltanto da lontano. Ho accettato non soltanto di
esiliarmi in mezzo a un popolo sconosciuto, ma, cosa che mi era ben più
amara, ho accettato l'esilio per le mie sorelle. Mai dimenticherò il 2
agosto 1896, il giorno in cui partirono i missionari: in quel giorno si
parlò seriamente della partenza di madre Agnese di Gesù. Ah, non avrei
voluto fare un gesto per impedirle di partire; sentivo tuttavia una
grande tristezza, trovavo che l'anima sua tanto sensibile, così
delicata, non era fatta per vivere in mezzo ad anime che non
l'avrebbero capita; mille altri pensieri si affollavano nel mio
spirito, e Gesù taceva, non comandava alla tempesta. Ed io gli dicevo:
Dio mio, per amore vostro accetto tutto: se voi lo volete, voglio
soffrire fino a morire di dolore. Gesù si contentò dell'accettazione,
ma dopo qualche mese si parlò della partenza di suor Genoveffa e di
suor Maria della Trinità; allora fu un altro genere di patimento, molto
intimo, profondo: mi raffiguravo tutte le prove, le delusioni che
avrebbero sofferte, e il mio cielo era coperto di nubi... soltanto il
fondo del cuore rimaneva nella calma, nella pace.
285 - Madre amata, la sua prudenza seppe scoprire la volontà di Dio, e
da parte sua lei proibì alle sue novizie di pensare per ora a lasciare
la culla della loro infanzia religiosa; ma le loro aspirazioni lei le
capiva poiché lei stessa, Madre, aveva chiesto nella sua giovinezza di
andare a Saigon; è così che spesso i desideri delle madri trovano viva
eco nell'anima delle figlie. Ora il suo desiderio apostolico trova
nell'anima mia, lei lo sa, una eco fedele; mi permetta di confidarle
perché ho desiderato, e desidero ancora, se la Santa Vergine mi
guarirà, lasciare per una terra straniera l'oasi deliziosa nella quale
vivo felice sotto il suo sguardo materno. Occorre, Madre mia (me l'ha
detto lei), per vivere nei Carmeli stranieri una vocazione particolare,
molte anime si credono chiamate là senza esserlo; lei mi ha anche detto
che io avevo questa vocazione, e che soltanto la mia salute era un
ostacolo; so bene che quest'ostacolo scomparirebbe se il Signore mi
chiamasse lontano, perciò vivo senza inquietudine. Se dovessi un giorno
abbandonare il mio caro Carmelo, ciò non accadrebbe senza ferite, Gesù
non mi ha dato un cuore insensibile, e proprio perché sono capace di
soffrire, desidero dare a Gesù tutto quello che posso dargli. Qui,
Madre cara, vivo senz'alcun impaccio di preoccupazioni per la misera
terra, ho soltanto da assolvere la dolce e facile missione che lei mi
ha affidata. Qui sono colmata dalle sue premure materne, non sento la
povertà perché non mi è mai mancato nulla ma, soprattutto, qui sono
amata da lei e da tutte le sorelle, e quest'affetto mi è dolce. Ecco
perché sogno un monastero ove sarei sconosciuta, e avrei da soffrire la
povertà, la mancanza d'affetto, insomma, l'esilio del cuore.
286 - Non con l'intenzione di rendere dei servizi al Carmelo che
volesse ospitarmi, lascerei tutto ciò che mi è caro; senza dubbio farei
tutto il possibile, ma conosco la mia inettitudine e so che, facendo
del mio meglio, non arriverei a far bene, perché non ho, come dicevo or
ora, conoscenza alcuna delle cose della terra. Unico mio scopo sarebbe
dunque compiere la volontà del buon Dio, sacrificarmi per lui nel modo
che gli piacerà. Sento bene che non avrei alcuna delusione, perché,
quando ci si dispone a una sofferenza schietta e senz'alcuna
mitigazione, la minima gioia diventa una sorpresa insperata, e poi lei
lo sa, Madre, la sofferenza di per sé diviene la gioia più grande
allorché la si ricerca come il tesoro più prezioso. No! non partirei
con l'intenzione di godere il frutto delle mie fatiche; se fosse questo
il mio scopo, non proverei la pace dolce che m'inonda, e soffrirei
invece per non potere concretare la mia vocazione verso le missioni
lontane. Da gran tempo non appartengo più a me stessa, mi sono offerta
totalmente a Gesù, egli è dunque libero di far di me ciò che
preferisce. Mi ha dato l'attrattiva verso un esilio completo, mi ha
fatto capire tutte le sofferenze che troverei in esso, chiedendomi se
volevo bere questo calice fino alla feccia; subito ho voluto prendere
la coppa che Gesù mi presentava, ma lui, ritirando la mano, mi ha fatto
capire che l'accettazione gli bastava.
287 - Madre mia, da quali inquietudini ci liberiamo facendo il voto di
obbedienza! Come sono felici le semplici religiose! La loro unica
bussola è la volontà dei superiori, e sono sempre sicure di trovarsi
sul retto sentiero, non hanno da temere d'ingannarsi nemmeno se a loro
pare che i superiori certamente sbaglino. Ma quando non si guarda più
la bussola infallibile, quando ci si allontana dalla via che essa ci
indica, e si fa ciò col pretesto di far la volontà di Dio, come se egli
non guidasse chiaramente coloro che pure tengono il suo posto, subito
l'anima si smarrisce nei sentieri aridi ove l'acqua della grazia le
viene a mancare Madre cara, lei è la bussola che Gesù mi ha dato per
condurmi sicuramente alla riva eterna. Quanto mi è dolce fissare su lei
il mio sguardo, e compiere così la volontà del Signore! Dopo che egli
mi ha permesso di soffrire le tentazioni contro la fede, egli stesso ha
aumentato nel mio cuore lo spirito di fede, e questo mi fa vedere in
lei non soltanto una Madre la quale mi ama e che io amo, ma soprattutto
mi fa vedere Gesù vivo nell'anima sua, Gesù che mi comunica la propria
volontà attraverso lei. So bene Madre mia, che ella mi tratta da anima
debole, come bimba coccolata, così non duro fatica a portare il
fardello dell'obbedienza, ma mi sembra, secondo ciò che sento nel
profondo di me, che non cambierei condotta, e che il mio affetto verso
lei non soffrirebbe diminuzione se mi trattasse severamente, perché
vedrei ancora la volontà di Gesù nel suo modo di agire, per il più gran
bene della mia anima
288 - Quest'anno, cara Madre, il Signore mi ha concesso la grazia di
capire che cosa è la carità; prima lo capivo, è vero, ma in un modo
imperfetto, non avevo approfondito queste parole di Gesù: «Il secondo
comandamento è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso».
Mi dedicavo soprattutto ad amare Dio, e amandolo ho capito che l'amore
deve tradursi non soltanto in parole, perché: «Non coloro che dicono:
Signore, Signore! entreranno nel regno dei Cieli, bensì coloro che
fanno la volontà di Dio». Questa volontà Gesù l'ha fatta conoscere
varie volte, dovrei dire quasi in ciascuna pagina del suo Vangelo; ma
nell'ultima cena, quand'egli sa che il cuore dei suoi discepoli brucia
ancor più di amore per lui che si è dato ad essi nell’effabile mistero
della Eucaristia, questo dolce Salvatore vuole dare un comandamento
nuovo. Dice loro con tenerezza inesprimibile: «Vi do un comandamento
nuovo, di amarvi reciprocamente; come io ho amato voi, amatevi l'un
l'altro. Il segno dal quale tutti conosceranno che siete miei discepoli
sarà che vi amate scambievolmente» In qual modo Gesù ha amato i suoi
discepoli, e perché li ha amati? Ah, non erano le loro qualità naturali
che potevano attirarlo, c'era tra loro e lui una distanza infinita.
Egli era la Scienza, la Sapienza eterna; essi erano dei poveri
pescatori ignoranti e pieni di pensieri terrestri. Tuttavia Gesù li
chiama suoi amici, suoi fratelli. Vuole vederli regnare con lui nel
regno di suo Padre, e per aprir loro questo regno vuole morire sopra
una croce, perché ha detto: «Non c'è amore più grande che dare la vita
per coloro che amiamo».
289 - Madre amata, meditando su queste parole di Gesù ho capito quanto
l'amore mio per le mie sorelle era imperfetto, ho visto che non le
amavo come le ama Dio. Capisco ora che la carità perfetta consiste nel
sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze,
edificarsi dei minimi atti di virtù che essi praticano, ma soprattutto
ho capito che la carità non deve restare affatto chiusa nel fondo del
cuore: «Nessuno - ha detto Gesù - accende una fiaccola per metterla
sotto il moggio, ma la mette sul candeliere affinché rischiari tutti
coloro che sono in casa». Mi pare che questa fiaccola rappresenti la
carità la quale deve illuminare, rallegrare, non soltanto coloro che mi
sono più cari, ma tutti coloro che sono nella casa, senza eccettuar
nessuno.
290 - Quando il Signore aveva comandato al suo popolo di amare il
prossimo come se stesso, non era venuto ancora sulla terra; così,
sapendo bene a qual punto si ami la propria persona, non poteva
chiedere alle sue creature un amore più grande per il prossimo. Ma
quando Gesù dà ai suoi apostoli un comandamento nuovo, il comandamento
proprio suo, come dirà altrove, non parla di amare il prossimo come se
stessi, bensì di amarlo come lui, Gesù, l'ha amato, come l'amerà fino
alla consumazione dei secoli. Signore, so che voi non comandate
alcunché d'impossibile, conoscete meglio di me la mia debolezza, la mia
imperfezione, voi sapete bene che mai potrei amare le mie sorelle come
le amate voi, se voi stesso, o mio Gesù, non le amaste ancora in me. E
perché voi volevate concedermi questa grazia, che avete fatto un
comandamento nuovo. Oh, come l'amo, il vostro comandamento, poiché mi
dà la sicurezza che la volontà vostra è di amare in me tutti coloro che
voi mi comandate di amare. Sì, lo sento, quando sono caritatevole è
Gesù solo che agisce in me, più sono unita con lui, più amo anche tutte
le mie sorelle. Quando voglio aumentare in me quest'amore, soprattutto
quando il demonio cerca di mettermi davanti agli occhi dell'anima i
difetti di quella o quell'altra sorella che mi è meno simpatica, mi
affretto a cercare le sue virtù, i suoi buoni desideri; mi dico che, se
l'ho vista cadere una volta, ella può bene avere riportato un gran
numero di vittorie che nasconde per umiltà, e perfino ciò che mi pareva
un errore può benissimo essere, a causa dell'intenzione, un atto di
virtù.
291 - Non duro fatica a persuadermene, perché un giorno ho fatto una
piccola esperienza che mi ha dimostrato come non si debba giudicare
mai. Fu durante una ricreazione, la portiera suonò due colpi, bisognava
aprire la porta grande degli operai per far entrare degli alberi
destinati al presepio. La ricreazione non era gaia perché lei non
c'era, Madre cara, perciò io pensavo che se m'avessero mandato a
servire da «terza», sarei stata ben contenta; la madre sottopriora mi
disse proprio di andare io, oppure la consorella che si trovava accanto
a me. Io cominciai a togliermi subito il grembiule, abbastanza
lentamente affinché la mia compagna si liberasse del suo prima di me,
perché pensavo di farle piacere lasciandole la possibilità di essere
«terza». La suora che sostituiva la portiera ci guardava ridendo, e
quando vide che mi ero alzata ultima, mi disse: «Avevo ben pensato che
non sarebbe stata lei a guadagnare una perla per la sua corona, andava
troppo piano...». Certamente tutta la comunità credette che avessi
agito per natura, e non saprei dire quanto bene all'anima mi abbia
fatto una cosa così piccola, rendendomi indulgente per le debolezze
delle altre. Ciò mi impedisce anche di provare un senso di vanità
quando sono giudicata favorevolmente, perché mi dico questo: poiché
prendono per imperfezione i miei piccoli atti di virtù, potranno
altrettanto bene ingannarsi prendendo per virtù ciò che è soltanto
imperfezione. Allora dico con san Paolo: «Mi metto ben poco in angustie
per il giudizio di qualsiasi tribunale umano. Non mi giudico io stessa,
colui che mi giudica e' il Signore». Così per rendere favorevole quel
giudizio, o piuttosto per non essere giudicata affatto, voglio aver
sempre pensieri caritatevoli, perché Gesù ha detto: «Non giudicate, non
sarete giudicati».
292 - Madre mia, leggendo ciò che ho scritto, potrebbe credere che la
pratica della carità non mi sia difficile. E’ vero, da qualche mese non
ho più da combattere per praticare questa bella virtù; non voglio dire
con ciò che non mi accada mai di fare errori, oh, sono ben troppo
imperfetta per questo! ma non mi costa grande fatica rialzarmi quando
sono caduta, perché in un certo combattimento ho riportato vittoria;
così la milizia celeste mi viene ora in soccorso, non potendo ammettere
di vedermi vinta dopo che sono stata vittoriosa nella gloriosa lotta
che cercherò di descrivere. C'è in comunità una consorella la quale ha
il talento di dispiacermi in tutte le cose, le sue maniere, le sue
parole, il suo carattere mi sembrano molto sgradevoli. Tuttavia è una
santa religiosa che deve essere graditissima al Signore, perciò io, non
volendo cedere all'antipatia naturale che provavo, mi son detta che la
carità non deve consistere nei sentimenti, bensì nelle opere; allora mi
sono dedicata a fare per questa consorella ciò che avrei fatto per la
persona più cara. Ogni volta che la incontravo, pregavo il buon Dio per
lei, offrendogli tutte le sue virtù e i suoi meriti. Sentivo che ciò
era bene accetto a Gesù, perché non c’è artista al quale non piaccia
ricevere lodi per le sue opere, e Gesu, l'artista delle anime, è felice
quando non ci si ferma all'esterno, e invece, penetrando fino al
santuario intimo che egli si è scelto come dimora, se ne ammira la
bellezza. Non mi contentavo di pregar molto per la sorella che mi
suscitava tanti conflitti interni, cercavo di farle tutti i favori
possibili, e quando avevo la tentazione di risponderle sgarbatamente,
mi limitavo a farle il più amabile dei miei sorrisi, e cercavo di
stornare la conversazione perché è detto nell'Imitazione: «E meglio
lasciar ciascuno nel suo sentimento piuttosto che fermarsi a
contestare» Spesso anche, quando non ero in ricreazione (voglio dire
durante le ore di lavoro), avendo a che fare per ufficio con questa
consorella, quando i miei contrasti intimi erano troppo violenti,
fuggivo come un disertore. Poiché ignorava assolutamente quello che
sentivo per lei, mai ha supposto i motivi della mia condotta, e rimane
persuasa che il suo carattere mi è piacevole. Un giorno in ricreazione
mi ha detto press'a poco queste parole, tutta contenta: «Mi potrebbe
dire, suor Teresa di Gesù Bambino, che cosa l'attira verso me, perché
ogni volta che mi guarda, la vedo sorridere?». Ah, quello che mi
attirava, era Gesù nascosto in fondo all'anima di lei... Gesù che rende
dolce quello che c'è di più amaro. Le risposi che le sorridevo perché
ero contenta di vederla (beninteso non aggiunsi che era dal punto di
vista spirituale).
293 - Madre cara, l'ho già detto, il mio mezzo supremo per non essere
vinta nei combattimenti è la diserzione, lo usavo già, questo mezzo,
durante il noviziato, mi è sempre riuscito perfettamente. Voglio
citare, Madre, un esempio che credo la farà sorridere. Durante una
delle sue bronchiti, venni un mattino piano piano a riportarle le
chiavi della grata della Comunione, perché ero sacrestana; in fondo,
non ero affatto contranata per quell'occasione di vederla, ne ero anzi
molto contenta, ma mi guardai bene dal farlo conoscere. Una consorella,
animata di santo zelo e che in realtà mi amava molto, vedendomi entrare
da lei, Madre mia, credette che l'avrei svegliata, e volle prendermi le
chiavi, ma io ero troppo smaliziata per dar gliele e cedere i miei
diritti. Le dissi con la maggior cortesia possibile che anch'io
desideravo non svegliarla, che stava a me restituire le chiavi. Capisco
ora che sarebbe stato ben più perfetto cedere a quella consorella,
giovane, è vero, ma sempre più anziana di me. Non lo capivo allora,
perciò, volendo assolutamente entrare dietro a quella, nonostante che
ella mi spingesse la porta per impedirmi di passare, ben presto il
guaio che temevamo accadde: il rumore che facevamo le fece aprire gli
occhi. Allora, Madre mia, tutto ricadde su me, la povera consorella
alla quale avevo resistito si mise a tirar fuori tutto un discorso il
cui fondo era questo: E suor Teresa di Gesù Bambino che ha fatto
rumore... mio Dio, come è sgradevole, ecc. Io che sentivo tutto il
contrario, avevo una gran voglia di difendermi; fortunatamente mi venne
un'idea luminosa: mi dissi che certamente, se avessi cominciato a
giustificarmi, non avrei potuto mantenere la pace dell'anima, sentivo
altresì che non avevo abbastanza virtù per lasciarmi accusare senza dir
nulla, perciò l'ultima tavola di salvezza era la fuga. Pensare e fare
fu tutt'uno, partii senza tamburo né tromba, mentre la consorella
continuava il suo discorso che somigliava alle imprecazioni di Camilla
contro Roma. Il cuore mi batteva tanto forte che mi fu impossibile
andar lontano, e mi sedetti sulle scale per godere in pace il frutto
della mia vittoria. Non era un atto di grande valore, è vero, ma credo
tuttavia sia meglio non esporsi alla battaglia quando la sconfitta è
sicura.
294 - Ahimè! quando mi riporto al tempo del mio noviziato, vedo quanto
ero imperfetta... Mi affliggevo per cose tanto piccole che ora ne rido.
Oh, com'è buono il Signore d'aver fatto crescere l'anima mia e averle
dato le ali. Tutte le reti dei cacciatori non potrebbero farmi paura
perché: «Invano si gettano le reti davanti a coloro che hanno le ali»
(Prov.). Più tardi, senza dubbio, il tempo attuale mi parrà ancora
pieno d'imperfezioni, ma ora non mi stupisco più di nulla, non mi
affliggo vedendo che sono la debolezza stessa, al contrario, in essa mi
glorifico e mi aspetto giorno per giorno di scoprire in me nuove
imperfezioni.
295 - Ricordandomi che la «carità copre una moltitudine di peccati»,
attingo a questa miniera feconda che Gesù ha aperto dinanzi a me. Nel
Vangelo, il Signore spiega in che cosa consiste il suo «comandamento
nuovo». Dice in S. Matteo: «Sapete che è Stato detto: Amerete il vostro
amico e odierete il vostro nemico. Ma io vi dico: amate i vostri
nemici, pregate per coloro che vi perseguitano». Senza dubbio, nel
Carmelo non s'incontrano nemici, ma in definitiva ci sono delle
simpatie, ci si sente attratti verso una consorella, mentre un'altra vi
farebbe fare un lungo giro per evitare d'incontrarla, così, pur senza
saperlo, ella diviene un soggetto di persecuzione. Ebbene! Gesù mi dice
che questa sorella bisogna amarla, che bisogna pregare per lei,
quand'anche la sua condotta mi portasse a credere che ella non mi ami:
«Se voi amate coloro che vi amano, che merito ne avrete? perché anche i
peccatori amano coloro che li amano» (S. Luca, VI).
296 - Ma non basta amare, bisogna dimostrarlo. Si è naturalmente felici
di fare un dono a un amico, soprattutto ci piace fare delle sorprese,
ma ciò non è affatto carità, perché lo fanno anche i peccatori. Ecco
ciò che Gesù m'insegna ancora: «Date a chiunque vi chiede; e se vi
prendono ciò che vi appartiene, non lo richiedete». Dare a tutte coloro
che chiedono, è meno dolce che offrire spontaneamente per l'impulso del
cuore; ancora, quando ci chiedono gentilmente, non ci costa di dare; ma
se per disgrazia non usano parole abbastanza delicate, subito l'anima
si ribella se non è radicata nella carità. Trova mille motivi per
rifiutare quello che le viene chiesto, e, solo dopo aver fatto sentire
a chi domanda la sua indelicatezza, le accorda infine come grazia ciò
che quella desidera, oppure le fa un lieve favore che avrebbe richiesto
un tempo venti volte minore a quello che c'è voluto per far valere
diritti immaginari. Se è difficile dare a chiunque domanda, lo è ancora
di più lasciar prendere quel che ci appartiene senza pretendere che ce
lo restituiscano. Madre mia, dico che è difficile, piuttosto dovrei
dire che sembra difficile, perché il giogo del Signore è soave e
leggero; quando lo si accetta, sentiamo subito la sua dolcezza ed
esclamiamo col Salmista: «Ho corso nella via dei vostri comandamenti,
dopo che voi avete dilatato il mio cuore». Soltanto la carità può
dilatare il mio cuore. O Gesù, da quando questa fiamma dolce mi
consuma, corro con gioia sulla via del vostro comandamento nuovo.
Voglio correre in essa fino al giorno felice nel quale, unendomi al
corteo verginale, potrò seguirvi negli spazi infiniti, cantando il
vostro cantico nuovo, quello dell'Amore.
297 - Dicevo: Gesù non vuole che io reclami ciò che mi appartiene; ciò
dovrebbe sembrarmi facile e naturale, poiché niente è mio. Ai beni
della terra ho rinunciato per il voto di povertà, non ho dunque il
diritto di lamentarmi se mi viene tolta una cosa che non mi appartiene,
e debbo invece rallegrarmi quando mi accade di sentirla, la povertà. In
altri tempi mi pareva di non essere attaccata a nulla, ma da quando ho
capito le parole di Gesù, vedo che, all'atto pratico, sono molto
imperfetta. Per esempio, delle cose necessarie per dipingere nessuna e
mia, lo so bene; ma se, mettendomi all'opera, trovo pennelli e pitture
tutti sottosopra, se un regolo o un temperino sono spanti, la pazienza
è li lì per abbandonarmi e devo prendere il coraggio a due mani per non
richiedere con una certa amarezza gli oggetti che mi mancano. Bisogna
bene, a volte, chiedere le cose indispensabili, ma facendolo con umiltà
non si manca al comandamento di Gesù, anzi, si agisce come i poveri, i
quali tendono la mano per ricevere ciò che loro è necessario: se
vengono respinti, non se ne meravigliano, nessuno deve loro niente. Ah,
quale pace inonda l'anima quando s'innalza al di sopra dei sentimenti
della natura! Non esiste gioia paragonabile a quella che gusta il vero
povero di spirito. Se chiede con distacco una cosa necessaria, e non
soltanto questa cosa gli viene rifiutata, ma addirittura cercano di
prendere quello che ha, egli segue il consiglio di Gesù: «Abbandonate
anche il vostro mantello a colui che vuol litigare per avere il vostro
vestito»
298 - Abbandonare il proprio mantello è, mi sembra, rinunziare ai
propri ultimi diritti, considerarsi come la serva, la schiava delle
altre. Quando si è lasciato il proprio mantello è più facile camminare,
correre, perciò Gesù aggiunge: «E chiunque vi forzi a fare mille passi,
fatene duemila di più con lui». Così non basta dare a chiunque mi
chieda qualche cosa, bisogna che io vada incontro ai desideri, che mi
mostri molto grata ed onorata di rendermi utile, e se prendono una cosa
a mio uso, non debbo mostrare di rimpiangerla, ma al contrario sembrar
felice di esserne sbarazzata. Madre cara, son ben lontana dal praticare
quello che comprendo, tuttavia il solo desiderio che ne ho, mi dà la
pace.
299 - Più ancora che negli altri giorni, sento che mi sono spiegata
malissimo. Ho fatto una specie di discorso sulla carità che deve averla
stancata nel leggerlo; mi perdoni, Madre cara, e pensi che in questo
momento le infermiere praticano riguardo a me ciò che io sto scrivendo:
non esitano a fare duemila passi là dove venti basterebbero, ho dunque
potuto contemplare la carità in atto! Senza dubbio l'anima mia deve
sentirsene tutta profumata; quanto al mio spirito, confesso che si è un
poco paralizzato davanti a una simile dedizione, e la mia penna ha
perduto di leggerezza. Perché mi sia possibile trascrivere i miei
pensieri, bisogna che io sia come il passero solitario e veramente ciò
mi accade assai di rado. Appena comincio a prendere la penna, ecco una
buona consorella che mi passa vicino con la forca sulla spalla. Crede
distrarmi facendo due chiacchiere, fieno, anatre, polli, visita del
dottore, tutto è tirato in ballo; per dire il vero, non dura a lungo,
ma di consorelle caritatevoli ce n'è più d'una, e a un tratto un'altra
rivoltatrice di fieno mi depone dei fiori sulle ginocchia, credendo
forse d'ispirarmi idee poetiche. Io che in questo momento non ne ho
bisogno, preferirei che i fiori restassero a dondolare sui loro steli.
Finalmente, stanca di aprire e chiudere questo famoso quaderno, apro un
libro (che non vuol restare aperto) e dico risolutamente che copio
pensieri dei Salmi e del Vangelo per la festa di Nostra Madre. È ben
vero, perché non faccio economia di citazioni.
300 - Madre cara, la divertirei, credo, raccontandole tutte le
avventure mie nei boschetti del Carmelo non so se ho potuto scrivere
dieci righe senza essere disturbata; ciò non dovrebbe farmi ridere né
divertirmi, tuttavia per amore di Dio e delle mie sorelle (così
caritatevoli verso me) cerco di aver l'aria contenta e soprattutto di
esserlo... Ecco qua, una rivoltatrice si allontana dopo avermi detto
con tono compassionevole: «Povera sorellina, la deve stancare scrivere
così tutto il giorno». -«Stia tranquilla - le ho risposto - pare che io
scriva molto, ma in verità non scrivo quasi nulla». - «Tanto meglio! -
mi ha detto con un'aria rassicurata - ma è lo stesso, io son contenta
che qui si stia rivoltando il fieno, perché la distrae sempre un
pochino» -. Infatti, è una distrazione così grande per me (senza contar
le visite delle infermiere) che non mentisco dicendo: non scrivo quasi
nulla. Per fortuna non mi scoraggio facilmente, e per dimostrarglielo,
Madre mia, finirò di spiegarle ciò che Gesù mi ha fatto capire riguardo
alla carità. Finora le ho parlato soltanto dell'esterno, ora vorrei
confidarle come io capisco la carità puramente spirituale. Sono ben
sicura che non tarderò a confondere una e l'altra, ma, Madre mia,
poiché parlo a lei, è certo che non le sarà difficile cogliere il mio
pensiero e sbrogliare la matassa di sua figlia.
301 - Non sempre è possibile al Carmelo praticare alla lettera le
parole del Vangelo, si è talvolta costrette, per ragioni di ufficio, a
rifiutare un piacere; ma quando la carità ha gettato radici profonde
nell'anima, si mostra anche all'esterno. C'e' un modo così garbato di
rifiutare quello che non si può fare, che il rifiuto fa piacere quanto
il dono. E vero che ci si perita meno a chiedere un favore a una
consorella sempre disposta a farlo, eppure Gesù ha detto: «Non evitate
colui che vuole un prestito da voi». Così, sotto pretesto che si
sarebbe costrette a rifiutare, non dobbiamo allontanarci dalle
consorelle che hanno l'abitudine di chieder sempre dei piaceri. E
nemmeno si deve essere condiscendenti al fine di far bella figura o
nella speranza che un'altra volta la sorella cui facciamo un favore ce
lo restituisca, perché nostro Signore ha detto anche: «Se voi prestate
a coloro dai quali sperate ricevere qualche cosa, che merito ne avrete?
Perché anche i peccatori prestano ai peccatori al fine di riceverne
altrettanto. Ma quanto a voi, fate del bene, prestate senza sperar
nulla, e la vostra ricompensa sarà grande». Sì! la ricompensa è grande
anche sulla terra. Su questa via non c’è che il primo passo che costi.
Prestare senza sperar niente sembra duro alla natura, si preferirebbe
regalare, perché una cosa donata non appartiene più. Quando vi vengono
a dire con espressione convintissima: «Sorella, ho bisogno del suo
aiuto per qualche ora, ma stia tranquilla, ho il permesso di Nostra
Madre e le restituirò il tempo che lei mi dà, perché so quanto lei è
occupata»; veramente, quando sappiamo benissimo che mai quel tempo
prestato da noi ci verrà restituirlo, sarebbe più piacevole dire:
«gliene faccio dono». Ciò contenterebbe l'amor proprio, perché dare è
un atto più generoso che prestare, e poi facciamo sentire alla
consorella che non contiamo sui servizi di lei... Oh, gl'insegnamenti
di Gesù come sono contrari ai sentimenti della natura! Senza il
soccorso della sua grazia sarebbe impossibile non solamente metterli in
pratica, bensì anche capirli.
2. IL COMANDAMENTO NUOVO DI GESÙ (1897)
Amarsi come Cristo ci ha amato - Non giudicare - Vittorie pratiche -
Esigenze della carità evangelica - Gioia del vero povero di spirito -
Premure indiscrete - Servi di tutti e senza diritti - Il «pennellino»
di Gesù all'opera - Potenza della preghiera - Pane corroborante
dell'umiliazione - Suor San Pietro - In coro e al bucato - Due
«fratelli» sacerdoti e missionari -«Attiratemi! noi correremo... » - La
preghiera dell'ultima sera - Amore e fiducia illimitata in Dio.
302 - Madre mia, Gesù mi ha concesso la grazia di farmi penetrare i
misteri profondi della carità; se potessi esprimere ciò che capisco,
lei intenderebbe una melodia di cielo, ma ahimè! ho soltanto dei
balbettii infantili da farle intendere... Se le parole stesse di Gesù
non mi servissero di sostegno, sarei tentata di chiederle grazia e
lasciar la penna. Ma no, bisogna che continui per obbedienza quello che
per obbedienza ho cominciato. Madre amata, scrivevo ieri che i beni di
quaggiù non mi appartengono e perciò dovrei trovar facile non
richiederli se qualcuno me li prendesse. I beni del Cielo non mi
appartengono, maggiormente mi vengono prestati dal Signore il quale può
ritogliermeli senza che io abbia diritto di lamentarmi. Tuttavia i beni
che vengono direttamente da Dio, gli slanci dell'intelligenza e del
cuore, i pensieri profondi, tutto ciò forma una ricchezza alla quale ci
attacchiamo come a un bene proprio che nessuno ha il diritto di
toccare... Per esempio, se in «licenza» si comunica a una consorella
qualche luce ricevuta durante l'orazione e, poco tempo dopo, questa
consorella parlando con un'altra le dice ciò che le è stato confidato
come se l'avesse pensato lei stessa, sembra che ella si appropri di ciò
che non è suo. Oppure in ricreazione si dice a voce bassa ad una
compagna una parola piena di spirito e opportunissima; se quella la
ripete ad alta voce senza far conoscere la fonte da cui proviene, ciò
sembra ancora un furto alla proprietaria, la quale non la reclama, ma
avrebbe voglia di farlo, e coglierà la prima occasione per far sentire
con finezza che altri si è impadronito dei suoi pensieri.
303 - Madre mia, non potrei spiegarle così bene questi sentimenti
tristi della natura, se non li avessi provati nel mio cuore, e mi
piacerebbe cullarmi nella dolce illusione che essi abbiano visitato
soltanto il mio, se lei non mi avesse comandato di ascoltare le
tentazioni delle sue care piccole novizie. Ho molto imparato assolvendo
la missione da lei affidatami, soprattutto mi sono trovata costretta a
praticare ciò che insegnavo alle altre; perciò ora lo posso dire, Gesù
mi ha fatto la grazia di non essere più attaccata ai beni dello spirito
e del cuore che a quelli della terra. Se mi accade di pensare o dire
una cosa che piaccia alle mie sorelle, trovo del tutto naturale che se
ne impadroniscano come di una loro proprietà. Questo pensiero
appartiene allo Spirito Santo e non a me, poiché san Paolo dice che non
possiamo, senza quello Spirito di amore, chiamare «Padre» il Padre
nostro che è nei Cieli. È perciò ben libero di servirsi di me per dare
un buon pensiero a un'anima; se stimassi che quel pensiero fosse mio,
sarei come «l'asino che portava le reliquie», il quale credeva che gli
omaggi resi ai santi fossero rivolti a lui.
304 - Non disprezzo i pensieri profondi che nutriscono l'anima e la
uniscono a Dio, ma da lungo tempo ho capito che non bisogna appoggiarsi
ad essi e far consistere la perfezione nel ricevere molte luci. I
pensieri più belli sono un nulla senza le opere; è vero che gli altri
possono cavarne gran profitto se si umiliano e testimoniano a Dio la
loro riconoscenza in quanto permette loro di prender parte al festino
di un'anima che egli arricchisce con le sue grazie; ma se quest'ultima
si compiace dei suoi bei pensieri e fa la preghiera del fariseo,
diventa simile a uno il quale muoia di fame davanti a una tavola ben
fornita, mentre tutti i suoi invitati ne attingono nutrimento
abbondante, e gettano talvolta uno sguardo d'invidia sul possessore di
tanti beni. Ah, come soltanto Dio conosce il fondo dei cuori! E le
creature, quali corti pensieri hanno! Quando vedono un'anima più
illuminata delle altre, subito ne deducono di essere amate meno di
quella, da Gesù, e di non potere essere chiamate alla stessa
perfezione. Da quando il Signore non ha più il diritto di usare una
delle sue creature per dispensare alle anime, che egli ama, il
nutrimento necessario? Al tempo di faraone Dio aveva ancora questo
diritto, perché nella Scrittura dice a quel re: «Ti ho elevato apposta
per fare splendere in te la mia potenza, affinché venga annunciato il
mio Nome su tutta la terra». I secoli sono succeduti ai secoli da
quando l'Altissimo pronunciò queste parole, e, dopo, la sua condotta
non ha cambiato; sempre si è servito delle sue creature come di
strumenti per compiere l'opera sua nelle anime.
305 - Se la tela dipinta da un artista potesse pensare e parlare,
certamente non si lamenterebbe di essere toccata e ritoccata senza posa
da un pennello, e non invidierebbe nemmeno la sorte di questo
strumento, perché saprebbe che non al pennello ma all'artista che lo
maneggia ella è debitrice della sua bellezza. Il pennello da parte sua
non potrebbe gloriarsi del capolavoro che ha fatto, sa bene che gli
artisti non sono impacciati, che ridono delle difficoltà e si
compiacciono di scegliere talvolta strumenti deboli e difettosi. Madre
amata, sono un pennellino scelto da Gesù per dipingere l'immagine sua
nelle anime che lei mi ha affidate. Un artista non si serve di un
pennello solo, gliene occorrono almeno due: il primo è il più utile,
con esso dà le tinte generali, copre completamente la tela in poco
tempo; l'altro, piccino, gli serve per i particolari. Madre mia, ella
mi raffigura il pennello prezioso di cui Gesù si serve con amore quando
vuol fare un grande lavoro nell'anima delle figlie, e io sono quello
piccolissimo che egli si degna usare dopo, per le minime rifiniture.
306 - La prima volta che Gesù si servì del suo pennellino fu verso l'8
dicembre 1892. Sempre ricorderò quel periodo come un tempo di grazia.
Le confiderò, Madre cara, questo dolce ricordo. A quindici anni,
quand'ebbi la felicità di entrare nel Carmelo, trovai una compagna di
noviziato la quale mi aveva preceduta di qualche mese; aveva otto anni
più di me, ma il suo carattere infantile faceva dimenticare la
differenza di età; perciò ella ebbe ben presto, Madre mia, la gioia di
vedere le due piccole postulanti intendersi a meraviglia e divenire
inseparabili. Per favorire quest'affetto nascente che a lei sembrava
dovesse portare dei frutti, ci aveva permesso di avere insieme di
quando in quando dei piccoli colloqui spirituali. La mia cara compagna
m'incantava con la sua innocenza, col suo carattere espansivo, ma
d'altra parte io stupivo vedendo come l'affezione che ella nutriva
verso di lei era molto diversa da quella che nutrivo io. Avrei
desiderato anche che cambiasse varie cose nella sua condotta riguardo
alle consorelle. Fin da quel tempo il buon Dio mi fece capire che la
sua misericordia non si stanca di attendere certe anime, alle quali dà
la sua luce soltanto per gradi, perciò mi guardavo bene dall'anticipare
l'ora della mia consorella, e aspettavo pazientemente che piacesse a
Gesù farla arrivare.
307 - Riflettendo un giorno al permesso che lei ci aveva dato di
intrattenerci come è detto nelle nostre sante costituzioni: «Per
infiammarti di più nell'amore del nostro Sposo», pensai con tristezza
che le nostre conversazioni non raggiungevano lo scopo desiderato.
Allora il Signore mi fece sentire che il momento era venuto, e che non
bisognava più temere di parlare, oppure che dovevo cessare quelle
conversazioni; esse somigliavano, infatti, ai colloqui fra amiche nel
mondo. Quel giorno era un sabato; l'indomani, durante il mio
ringraziamento, supplicai il Signore di ispirarmi parole dolci e
convincenti, o piuttosto di parlare egli stesso per mezzo mio. Gesù
esaudì la mia preghiera, permise che il risultato colmasse interamente
la mia speranza, perché: «Coloro che volgeranno i loro sguardi verso
lui, saranno illuminati» (Salmo XXXIII) e «la luce si è alzata nelle
tenebre per coloro che hanno il cuore retto». La prima parola si
rivolge a me e la seconda alla mia compagna, la quale veramente aveva
il cuore retto. Arrivata l'ora nella quale avevamo risoluto di stare
insieme, la povera sorellina gettando gli occhi su me vide subito che
non ero più la stessa; si sedette accanto a me arrossendo, e io,
appoggiando la sua testa sul mio cuore, le dissi, con le lacrime nella
voce, tutto quello che pensavo di lei, ma con espressioni così tenere,
mostrandole un affetto così grande, che ben presto le sue lacrime si
confusero con le mie. Riconobbe con grande umiltà che tutto quello che
dicevo era vero, mi promise di cominciare una nuova vita e mi chiese
come una grazia di avvertirla sempre riguardo alle sue mancanze.
Finalmente, nel momento di separarci, il nostro affetto era divenuto
tutto spirituale, non c'era più niente di umano. In noi si attuava quel
passo della Scrittura: «Il fratello che è aiutato dal fratello è come
una città fortificata».
308 - Quello che Gesù fece col suo pennellino sarebbe stato ben presto
cancellato se egli non avesse agito per mezzo suo, Madre, compiendo
l'opera nell'anima che voleva tutta per sé. La prova parve molto amara
alla mia povera compagna, ma la fermezza con la quale ella, Madre mia,
le portò aiuto finì per trionfare, e allora io potei consolar colei che
mi era stata data per sorella fra tutte e spiegarle in che consiste il
vero amore. Le mostrai che amava se stessa e non già lei, Madre, le
dissi in qual modo io amavo lei e i sacrifici che avevo dovuto fare
all'inizio della vita religiosa per non attaccarmi a lei in modo
materiale, come il cane si attacca al padrone. L'amore si nutre di
sacrifici: più l'anima si priva di soddisfazioni naturali, più la sua
tenerezza diventa forte e disinteressata.
309 - Ricordo che, quand'ero postulante, avevo talvolta delle
tentazioni così violente di entrare da lei, Madre, per trovare qualche
po' di conforto, che ero costretta a passare rapidamente davanti
all'ufficio e aggrapparmi alla ringhiera delle scale. Mi veniva alla
mente una folla di permessi da chiedere, insomma, Madre amata, trovavo
mille ragioni per contentare la mia natura. Come sono soddisfatta ora
d'essermene privata fin dall'inizio della vita religiosa! Già godo la
ricompensa promessa a coloro che combattono coraggiosamente. Non sento
più necessario rifiutarmi tutte le consolazioni del cuore, perché
l'anima mia è rafforzata da Colui che io volevo amare unicamente. Vedo
con gioia che, amandolo, il cuore si dilata, e può dare
incomparabilmente più tenerezza ai suoi cari che se fosse concentrato
in un amore egoista e infruttuoso.
310 - Madre cara, le ho ricordato il primo lavoro che Gesù e lei hanno
compiuto per mezzo mio; era soltanto il preludio di quelli che dovevano
essermi affidati. Quando mi fu dato di penetrare nel santuario delle
anime, capii subito che l'impegno era superiore alle mie forze; allora
mi misi nelle braccia del Signore, come un bambinello, e nascondendo il
mio viso tra i suoi capelli, gli dissi: «Signore, sono troppo piccola
per nutrire le vostre figlie: se volete dare per mezzo mio ciò che
conviene a ciascuna, empite la mia povera mano, ed io, senza
abbandonare le vostre braccia, senza nemmeno voltarmi, darò i vostri
tesori all'anima che mi chiederà il cibo. Se lo troverà di suo gusto,
saprò bene che ciò non sarà dovuto a me, bensì a voi. Al contrario, se
si lamenterà e troverà amaro ciò che le presento, la pace mia non sarà
turbata, e cercherò di convincerla che questo cibo viene da voi, e mi
guarderò bene dal cercarne un altro per lei».
311 - Madre mia, quando capii che mi era impossibile far qualcosa con
le mie forze, il compito datomi da lei non mi parve più difficile,
sentii che la sola cosa necessaria era di unirmi sempre più intimamente
col Signore, e «il resto mi verrà dato per soprappiù». In realtà, la
mia speranza non è stata mai delusa, il buon Dio si è degnato di
colmare la mia piccola mano quante volte ciò è stato necessario per
nutrire l'anima delle mie sorelle. Le confesso, Madre cara, che se mi
fossi appoggiata sia pur pochissimo alle mie proprie forze, avrei ben
presto reso le armi. Da lontano pare tutto rosa far del bene alle
anime, far loro amare Dio più e meglio; insomma, modellarle secondo le
nostre vedute e secondo i nostri pensieri personali. Da vicino, è tutto
il contrario, la tinta rosa è scomparsa, si sente che far del bene è
tanto impossibile senza il soccorso del Signore quanto far brillare il
sole in piena notte. Si sente che bisogna assolutamente dimenticare i
propri gusti, i nostri concetti personali, e guidare le anime sul
cammino che Gesù ha tracciato loro, senza tentare di farle camminare
sulla nostra via.
312 - Ma non è questo ancora il più difficile; quello che mi costa più
che tutto il resto è di osservare le mancanze, le imperfezioni più
leggere, e scatenar contro esse una guerra a morte. Stavo per dire:
disgraziatamente per me! (ma no, sarebbe viltà), dico dunque:
fortunatamente per le mie consorelle; da quando ho preso posto tra le
braccia di Gesù, sono come la scolta che guardi il nemico dalla torre
di guardia più alta di una fortezza. Nulla sfugge al mio occhio; spesso
mi meraviglio di vederci tanto chiaro, e trovo che il profeta Giona è
ben degno di scusa se si dette alla fuga anziché andare ad annunciar la
rovina di Ninive. Preferirei mille volte ricevere dei rimproveri
anziché farne agli altri, ma sento che è proprio necessario che ciò mi
sia di sofferenza: e ciò, perché quando si agisce per natura, è
impossibile che l'anima cui vogliamo rivelare le sue colpe capisca i
propri torti; essa vedrà una cosa sola: «1a consorella incaricata di
dirigermi è arrabbiata con me, e tutto ricade su me, che sono animata
dalle intenzioni migliori».
313 - Lo so bene, che le sue agnelline mi trovano severa. Se leggessero
queste righe, direbbero che non sembra mi debba costar molto
inseguirle, parlar loro severamente mostrando la loro bella lana
sporca, oppure riportare loro qualche bel fiocco di lana che si sono
lasciate strappare dai rovi della strada. Le agnellette possono dire
tutto quel che vogliono: in fondo, sentono che le amo di un amor vero,
che mai imiterò «il mercenario, il quale, vedendo avvicinarsi il lupo,
lascia il gregge, e fugge». Sono pronta a dar la vita per loro, ma il
mio affetto è così puro, che non desidero che lo conoscano. Mai, per
grazia di Gesù, ho cercato di attirarmi i loro cuori, ho capito che la
mia missione era di condurle a Dio e di far loro capire questo: ella è
quaggiù, Madre mia, il Gesù visibile che debbono amare e rispettare.
314 - Le ho già detto che, istruendo le altre, ho imparato molto
anch'io. Ho visto, come prima cosa, che tutte le anime hanno più o meno
gli stessi combattimenti, ma che, d'altra parte, sono tanto differenti
l'una dall'altra. Si capisce quello che dice il padre Pichon: «Ci sono
molte più differenze tra le anime che tra i volti». Perciò è
impossibile agir con tutte allo stesso modo. Con certe anime, sento che
mi debbo fare piccola, non temere di umiliarmi confessando i miei
conflitti, i miei difetti; vedendo che ho le stesse debolezze che hanno
loro, le mie sorelline mi rivelano a loro volta le mancanze che
rimproverano a loro stesse, e si sentono confortate dal fatto che io le
conosca per esperienza. Con altre, ho visto che, per far loro del bene,
occorre molta fermezza, e non tornar mai su ciò che è stato detto.
Abbassarsi in questi casi non sarebbe umiltà, bensì debolezza. il
Signore mi ha fatto la grazia di non farmi temere la guerra, debbo fare
il mio dovere a qualunque costo. Più d'una volta mi hanno detto: «Se
lei vuole ottenere qualcosa da me, bisogna che mi prenda con dolcezza,
per forza non otterrà nulla». Io so che nessuno è buon giudice nella
propria causa, e che un bimbo, al quale il medico faccia subire
un'operazione dolorosa, grida a squarciagola e dice che il rimedio è
peggiore del male; eppure, quando si trova guarito, qualche giorno
dopo, è tutto felice di poter giocare e correre. Lo stesso accade alle
anime, ben presto riconoscono che un po' d'amaro è preferibile allo
zucchero, e non temono di confessarlo.
315 - Qualche volta non posso fare a meno di sorridere intimamente
vedendo quale cambiamento abbia luogo dall'oggi al domani, è fiabesco.
Mi dicono: «Ha avuto ragione ieri di essere severa; da principio ero
rivoltata, ma poi mi sono ricordata di tutto, e ho visto che lei era
molto giusta. Ascolti: quando ieri sono andata via, pensavo: "E finita,
vado a trovare Nostra Madre, e le dico che non tratterò più con suor
Teresa". Ma ho sentito che era il diavolo a ispirarmi così, e poi mi è
parso che lei stesse pregando per me; allora sono rimasta buona buona,
e la luce ha cominciato a splendere, ma ora bisogna che lei m'illumini
del tutto, e per questo eccomi qua». La conversazione s'ingrana subito;
io sono arcifelice di poter seguire la china del cuore, facendo a meno
di servire pietanze amare. Sì, ma... mi accorgo ben presto che non si
può correr troppo, una parola potrebbe distruggere il bell'edificio
costruito tra le lacrime. Se ho la disavventura di pronunciare qualche
sillaba che sembri attenuare ciò che ho detto il giorno avanti, vedo la
sorellina che si dà da fare per riattaccarsi ai rami... allora faccio,
nell'intimo, una preghiera, e la verità trionfa sempre. Ah, preghiera e
sacrificio formano tutta la mia forza, sono le armi invincibili che
Gesù mi ha date, toccano le anime ben più che i discorsi, ne ho fatto
esperienza spesso. Una fra tutte queste esperienze mi ha fatto una
impressione dolce e profonda.
316 - Fu durante la quaresima: allora mi occupavo di una sola novizia
che si trovava qui e della quale ero l'angelo. Mi venne a trovare una
mattina, era tutta raggiante: «Ah, se sapesse - disse - che cosa ho
sognato stanotte! Ero presso mia sorella, e volevo staccarla da tutte
le vanità che le piacciono tanto, perciò le ho spiegato la strofa di
Vivere d'amore: "Amarti, Gesù, che perdita feconda! Ogni mio aroma è
tuo, per sempre". Sentivo bene che queste parole le penetravano
nell'anima, ed ero felice. Stamattina, svegliandomi, ho pensato che il
Signore forse vuole che gli dia quest'anima. Se io le scrivessi dopo
quaresima, per raccontarle il mio sogno, e dirle che Gesù la vuole
tutta per sé?». Io, senza pensarci su, le dissi che poteva ben tentare,
ma prima bisognava chiedere il permesso a Nostra Madre. Poiché la
quaresima era lontana dalla fine, lei, Madre cara, rimase assai
sorpresa per una richiesta che le parve troppo anticipata; e,
certamente ispirata dal Signore, rispose che le carmelitane non debbono
salvare le anime per mezzo di lettere, bensì per mezzo della preghiera.
Ascoltando la sua decisione capii subito che era di Gesù, e dissi a
Suor Maria della Trinità: «Bisogna che ci mettiamo all'opera, preghiamo
molto. Quale gioia se alla fine della quaresima, fossimo esaudite!».
Oh, misericordia infinita del Signore, che si compiace ascoltare la
preghiera dei suoi figli! Alla fine della quaresima un'anima di più si
consacrava a Nostro Signore. Era un vero miracolo della grazia,
miracolo ottenuto dal fervore di un'umile novizia.
317 - Come è grande la potenza della preghiera! La si direbbe una
regina la quale abbia ad ogni istante libero àdito presso il re e possa
ottenere tutto ciò che chiede. Non è affatto necessario per essere
esaudite leggere in un libro una bella formula composta per la
circostanza; se così fosse, ahimè! come sarei da compatire! Al di fuori
dell'Ufficio divino, che sono indegnissima di recitare, non ho il
coraggio di sforzarmi a cercare nei libri le belle preghiere: ciò mi fa
male alla testa, ce ne sono tante! E poi sono tutte belle, le une più
delle altre. Non ce la farei a dirle tutte, e, non sapendo quale
scegliere, faccio come i bimbi che non sanno leggere, dico molto
semplicemente al buon Dio quello che gli voglio dire, senza far belle
frasi, e sempre mi capisce. Per me la preghiera è uno slancio del
cuore, è un semplice sguardo gettato verso il Cielo, è un grido di
gratitudine e di amore nella prova come nella gioia, insomma è qualche
cosa di grande, di soprannaturale, che mi dilata l'anima e mi unisce a
Gesù.
318 - Non vorrei però, Madre cara, farle credere che io reciti senza
devozione le preghiere in comune, nel coro o negli eremitaggi. Al
contrario, amo molto le preghiere in comune, perché Gesù ha promesso di
«trovarsi in mezzo a coloro che si riuniscono nel suo nome»; sento
allora che il fervore delle mie sorelle supplisce al mio. Ma da sola
(ho vergogna di confessarlo), la recita del rosario mi costa più che
mettermi uno strumento di penitenza. Sento che lo dico così male! Ho un
bell'impegnarmi nel meditare i misteri del rosario, non arrivo a
fissare il mio spirito. Per lungo tempo mi sono afflitta per questa
mancanza di devozione che mi meravigliava, perché amo tanto la Vergine
Santa, tanto che mi dovrebbe esser facile fare in onor suo le preghiere
che le piacciono. Ora me ne cruccio meno, penso che la Regina dei Cieli
è mia madre, vede certo la mia buona volontà e se ne contenta. Qualche
volta, se il mio spirito è in un'aridità così grande che mi è
impossibile trarne un pensiero per unirmi al buon Dio, recito molto
lentamente un Padre nostro e poi il saluto angelico; allora queste
preghiere mi rapiscono, nutrono l'anima mia ben più che se le avessi
recitate precipitosamente un centinaio di volte. La Santa Vergine mi
mostra che non è affatto sdegnata con me, non manca mai di proteggermi
appena l'invoco. Se mi sopravviene una preoccupazione, una difficoltà,
subito mi volgo a lei, e sempre, come la più tenera delle madri, ella
prende cura dei miei interessi. Quante volte parlando alle novizie mi è
accaduto di invocarla e sentire i benefizi della sua protezione materna.
319 - Spesso le novizie mi dicono: «Ma lei ha una risposta a tutto, io
questa volta credevo metterla nell'impaccio. Ma dove le va a cercare le
cose che ci dice?». Qualcuna di loro è tanto candida da credere che io
legga nelle loro anime, e ciò perché mi è accaduto di prevenirle
dicendo loro quello che pensavo. Una notte, una delle mie compagne
aveva risolto di nascondermi un'afflizione che la faceva soffrire
molto. La incontro fin dal mattino, mi parla con un viso sorridente, e
io, senza rispondere a ciò che mi dice, esclamo con tono convinto: «Lei
soffre». Se avessi fatto cader la luna ai suoi piedi, credo che non mi
avrebbe guardata con maggiore sbalordimento. Lo stupore di lei era così
grande che assalì anche me, per un attimo fui presa da un timore
soprannaturale. Ero ben sicura di non avere il dono di leggere nelle
anime, ed ero io stessa sorpresa di avere azzeccato così preciso.
Sentivo che il Signore era tanto vicino, che, senz'accorgermene, avevo
detto, come un bambino, parole le quali non venivano da me, bensì da
lui.
320 - Madre cara, lei capisce che tutto è permesso alle novizie;
bisogna che possano dir tutto ciò che pensano senza restrizione alcuna,
il bene come il male. Ciò riesce loro tanto più facile con me, in
quanto non mi debbono il rispetto che si deve a una maestra. Non posso
dire che Gesù mi faccia camminare esteriormente sulla via delle
umiliazioni, si contenta di umiliarmi nel fondo dell'anima; agli occhi
delle creature tutto mi riesce bene, seguo il sentiero degli onori per
quanto ciò sia possibile in religione. Capisco che non per me, bensì
per gli altri, debbo camminare su questo cammino così pericoloso. In
realtà, se passassi agli occhi della comunità come una religiosa colma
di difetti, inabile, senza intelligenza né giudizio, sarebbe
impossibile per lei, Madre, farsi aiutare da me. Ecco perché il Signore
ha gettato un velo su tutti i miei difetti intimi ed esterni. Questo
velo, talvolta, mi attira dei complimenti da parte delle novizie, e io
sento bene che non me li fanno per adulazione, ma che esprimono i loro
sentimenti ingenui; veramente ciò non mi saprebbe ispirare vanità,
perché ho sempre dinanzi alla mente il ricordo di ciò che sono.
321 - Tuttavia, mi viene qualche volta un desiderio grande di ascoltare
qualcosa che non sia lode. Lei sa, Madre cara, che preferisco l'aceto
allo zucchero; l'anima mia si stanca di un nutrimento troppo indolcito,
e Gesù permette allora che le venga servita una insalatina ben agra,
ben piccante, non ci manca nulla fuorché l'olio, e ciò le dà un sapore
di più... Questa ottima insalatina mi viene servita dalle novizie
quando meno me l'aspetto. Il Signore solleva il velo che nasconde le
mie imperfezioni, allora le mie piccole care consorelle, vedendomi
quale sono, non mi trovano più affatto di loro gusto. Con una
semplicità che mi rapisce, mi dicono tutti i conflitti intimi che io
provoco in esse, e quello che ad esse dispiace in me; insomma, non si
peritano più che se si trattasse di una terza persona, sapendo che mi
fanno un piacerone agendo così. Ah, realmente, è più che un piacere, è
un banchetto delizioso che colma di gioia l'anima mia. Non posso
nemmeno spiegarmi in qual modo una cosa che dispiace tanto alla natura
possa diventar causa di una felicità così grande; se non l'avessi
provato, non lo crederei. Un giorno avevo un desiderio particolare di
essere umiliata, e una novizia si assunse il compito di soddisfarmi
tanto bene che pensai subito a Semei nel momento in cui malediceva
David, e riflettei: «Sì, è proprio il Signore che le ordina di dirmi
tutte queste cose». E l'anima mia assaporava squisitamente il cibo
amaro che le veniva servito con tanta abbondanza. È così che Dio degna
prendersi cura di me. Non può darmi sempre il pane fortificato della
umiliazione esterna, ma di quando in quando mi permette di «nutrirmi
con le briciole che cadono dalla tavola dei figli». Com'è grande la sua
misericordia, potrò cantarla soltanto in Cielo!
322 - Madre amata, poiché con lei cerco di cominciare a cantarla fin
dalla terra, questa misericordia infinita, debbo ancora dirle un gran
vantaggio spirituale che ho tratto dalla missione affidatami da lei. Un
tempo, quando una consorella faceva qualche cosa che mi dispiaceva, o
mi sembrava irregolare, mi dicevo: se potessi manifestarle ciò che
penso, mostrarle che ha torto, quanto bene ciò mi farebbe! Da quando ho
praticato un po' il mestiere le assicuro, Madre mia, che ho cambiato
affatto di sentimento. Quando mi accade di vedere una consorella
commettere una azione che mi sembra imperfetta, ho un respiro di
sollievo e dico: che felicità! non è una novizia, non sono obbligata a
riprenderla. E poi subito cerco di scusarla e di attribuirle le buone
intenzioni che certamente ella ha. Da quando sono malata, Madre, le
premure che lei mi prodiga mi hanno ancora istruita molto riguardo alla
carità. Nessun farmaco le sembra troppo costoso, e se uno non riesce
efficace, lei, senza stancarsi, ne prova un altro. Quando andavo alla
ricreazione, quante attenzioni mi usava perché fossi in un posto buono,
protetta dalle correnti d'aria! Insomma, se volessi dir tutto, non
finirei più! Pensando a tutto ciò, mi sono detta che dovrei avere per
le debolezze spirituali delle mie sorelle la compassione che lei ha per
me, Madre cara, curandomi con tanto amore.
323 - Ho notato (ed è perfettamente naturale) che le consorelle più
sante sono le più amate, ricerchiamo la loro conversazione, facciamo
loro piaceri non richiesti; insomma, queste anime capaci di sopportare
mancanze di riguardo e di delicatezza si vedono circondate dall'affetto
di tutte. Si può applicare a loro una parola di san Giovanni della
Croce, nostro Padre: «Tutti i beni mi sono stati dati quando non li ho
cercati per amor proprio» Invece, le anime imperfette non sono cercate
affatto; senza dubbio nei loro riguardi ci si limita alla cortesia
religiosa, ma, forse per il timore di dir loro parole poco gentili,
evitiamo la loro compagnia. Dicendo le anime imperfette, non voglio
parlare soltanto delle imperfezioni spirituali, perché le più sante
saranno perfette solo in Cielo; voglio alludere alla mancanza di
giudizio o di educazione, alla insofferenza che hanno certi caratteri,
tutte cose che non rendono la vita troppo piacevole. So bene che queste
infermità morali sono croniche, non c'è speranza di guarigione, ma so
altresì che lei, Madre, non cesserebbe di curarmi e portarmi sollievo
se anche restassi ammalata per tutta la vita. Ecco la conclusione che
ne traggo: debbo ricercare in ricreazione, in «licenza», la compagnia
delle sorelle che mi sono meno gradevoli, fare presso queste anime
ferite l'ufficio del buon Samaritano. Una parola, un sorriso amabile
bastano spesso perché un'anima triste si espanda.
324 - Ma assolutamente non per raggiungere questo scopo voglio
praticare la carità, tanto più che ben presto mi scoraggerei: una
parola che potessi aver detto con la migliore intenzione, verrebbe
forse interpretata tutta di traverso. Così, per non perdere tempo,
voglio essere amabile con tutte (e in modo particolare con le sorelle
meno amabili) per rallegrare Gesù e rispondere al consiglio che egli dà
nel Vangelo su per giù in questi termini: «Quando fate un festino, non
invitate soltanto i vostri parenti ed amici, per timore che essi vi
invitino a loro volta, e così abbiate ricevuto la vostra ricompensa; ma
invitate i poveri, gli zoppi, i paralitici, e sarete felici che essi
non possano ricambiarvi, perché il Padre vostro che vede nel segreto ve
ne compenserà». Quale festa potrebbe offrire una carmelitana alle sue
sorelle se non un'agape spirituale composta di carità amabile e
gioiosa? Per me, non ne conosco altra, e voglio imitare san Paolo il
quale si rallegrava con coloro che trovava nella gioia; è vero altresì
che piangeva con gli afflitti, e le lacrime debbono esserci qualche
volta nel festino che io voglio imbandire, ma sempre cercherò che alla
fine quelle lacrime si mutino in gioia, poiché il Signore ama coloro
che danno con gioia.
325 - Ricordo un atto di carità che il Signore m'ispirò quand'ero
ancora novizia, fu poca cosa, tuttavia il Padre nostro, il quale vede
nel segreto e guarda più alla intenzione che alla grandezza dell'atto,
me ne ha gia' compensata, senza attendere l'altra vita. Fu al tempo in
cui suor San Pietro andava ancora nel coro e in refettorio.
All'orazione della sera stava di faccia a me: alle 6 meno 10 bisognava
che una religiosa si movesse per condurla in refettorio, perché le
infermiere allora avevano troppe malate per venire a prenderla. Mi
costava molto offrirmi per questo piccolo servizio, perché sapevo che
non era facile contentare questa buona suor San Pietro, la quale
soffriva tanto che non gradiva cambiamenti di accompagnatrice. Eppure
non volevo perdere un'occasione tanto bella per esercitare la carità,
ricordandomi che Gesù ha detto: «Quello che farete al più piccolo dei
miei l'avrete fatto a me». Mi offrii perciò umilmente per condurla, e
ci volle del bello e del buono per fare accettare i miei servizi!
Finalmente mi misi all'opera, e con tanta buona volontà che riuscii
perfettamente. Ogni sera, quando vedevo suor San Pietro scuotere la sua
clessidra, sapevo che quel gesto voleva dire: Partiamo! E incredibile
come mi costava scomodarmi, specie all'inizio, tuttavia lo facevo
immediatamente, e poi cominciava tutta una cerimonia. Bisognava
smuovere e portare il panchetto in un certo qual modo, soprattutto
senza fretta; dopo aveva luogo la passeggiata. Si trattava di seguire
la povera inferma sostenendola alla cintola; lo facevo con quanta più
dolcezza mi era possibile, ma se, per disgrazia, ella muoveva un passo
falso, le pareva subito che io la reggessi male e che stesse per
cadere. «Ah, Dio mio! lei va troppo svelta, mi fracasserò». Se tentavo
di andare ancor più lentamente: «Ma faccia attenzione, mi segua! Non la
sento più la sua mano, m'ha lasciata andare, casco; ah, lo dicevo io
che lei è troppo giovane!». Finalmente arrivavamo senza incidenti al
refettorio; là sopravvenivano altre difficoltà, si trattava di far
sedere suor San Pietro, e di agire destramente per non ferirla,
bisognava tirarle su le maniche (anche questo, in un certo modo), e
dopo ero libera, potevo andare. Con le sue povere mani storpiate
sistemava il pane nella ciotola, come poteva. Me ne accorsi, e ogni
sera, prima di lasciarla, le facevo anche questo piccolo servizio.
Siccome lei non me l'aveva chiesto, fu molto commossa per la mia
premura, e con questo mezzo che io non avevo cercato, guadagnai del
tutto le sue buone grazie e soprattutto (l'ho saputo più tardi) perché,
dopo averle tagliato il pane, le facevo il mio più bel sorriso prima di
andar via.
326 - Madre cara, forse lei si meraviglierà che io le scriva questo
piccolo atto di carità passato ormai da tanto tempo. L'ho raccontato
perché sento che debbo cantare, a causa di esso, le misericordie del
Signore. Ha degnato lasciarmene il ricordo con un profumo che m'induce
a praticare la carità. Rammento qualche volta alcuni particolari che
sono, per l'anima mia, una brezza di primavera. Eccone uno che mi si
presenta alla memoria: una sera d'inverno stavo assolvendo, come al
solito, il mio piccolo compito, faceva freddo, era buio... A un tratto
intesi in lontananza il suono armonioso di uno strumento musicale, e mi
raffigurai un salone brillante di luci e di ori, vidi delle fanciulle
eleganti le quali si trattavano graziosamente a vicenda con piglio di
mondo; poi lo sguardo cadde sulla povera malata che sostenevo, invece
di una musica udivo ogni tanto i suoi gemiti, invece degli ori vedevo i
mattoni del nostro chiostro austero, rischiarato appena da una pallida
luce. Non posso esprimere ciò che avvenne nell'anima mia: il Signore la
illuminò con i raggi della verità i quali superarono talmente lo
sfolgorio tenebroso delle feste della terra, che non finivo di credere
alla mia felicità. Ah, per goder mille anni di feste mondane, non avrei
dato i dieci minuti del mio umile ufficio di carità. Se già nella
sofferenza, in mezzo alla lotta, si può vivere un attimo di felicità
che supera tutte le gioie della terra, pensando che il buon Dio ci ha
sottratti al mondo, che sarà nel Cielo quando vedremo in letizia e
riposo eterni la grazia incomparabile che il Signore ci ha fatta
scegliendoci per «abitare nella sua casa», vero vestibolo del Cielo?
327 - Non sempre con trasporti di allegrezza ho praticato la carità, ma
al principio della mia vita religiosa Gesù mi volle far sentire quanto
è dolce vederlo nell'anima delle sue spose; così quando conducevo suor
San Pietro, lo facevo con tanto amore che mi sarebbe stato impossibile
far meglio se avessi dovuto condurre Gesù stesso. La pratica della
carità non mi è sempre stata così dolce, lo dicevo ora, Madre cara; per
darne una prova, le racconterò certi piccoli combattimenti che
certamente la faranno sorridere. Per lungo tempo, all'orazione della
sera, mi trovavo davanti a una consorella la quale aveva una buffa
mania, e penso... molti lumi, perché raramente si serviva di un libro.
Ecco in qual modo me ne accorgevo: appena la consorella era arrivata,
si metteva a fare uno strano rumore che somigliava a quello di due
conchiglie fregate una contro l'altra. Me ne accorgevo io sola, perché
ho l'orecchio finissimo (un po' troppo, qualche volta). Impossibile
dire, Madre mia, fino a che punto quel rumorino mi stancava: avevo gran
voglia di voltar la testa e guardar la colpevole, la quale,
sicuramente, non si accorgeva del suo tic, sarebbe stato l'unico modo
per richiamarla alla realtà; ma in fondo al cuore sentivo che era
meglio sopportar la cosa per amor di Dio e per non far dispiacere alla
consorella. Me ne stavo perciò buona buona, cercavo di unirmi al buon
Dio, dimenticare il rumorino... tutto inutile, sentivo il sudore che
m'inondava, ed ero costretta a fare soltanto un'orazione di sofferenza,
ma, pur soffrendo, cercavo il modo di farlo senza irritazione, bensì in
pace e gioia, almeno nel profondo dell'anima. Allora mi sforzavo
d'amare il rumorino tanto sgradevole; non cercavo più di non udirlo
(cosa impossibile), ma facevo attenzione ad ascoltarlo bene come se
fosse stato un concerto fascinoso, e tutta l'orazione mia (che non era
certo quella di quiete) trascorreva nell'offerta di quel concertino a
Gesù.
328 - Un'altra volta ero alla lavanderia, davanti a una consorella la
quale mi lanciava schizzi d'acqua sporca sul viso ogni volta che
sollevava i fazzoletti sul lavatoio; il mio primo moto fu di fare un
passo indietro, e asciugarmi la faccia: così la consorella che mi
aspergeva avrebbe capito quanto mi avrebbe giovato se fosse stata un
po' più calma e attenta, ma pensai subito come sarei stata sciocca a
rifiutar diamanti e gemme che mi venivano offerti così generosamente, e
mi guardai bene dal far trasparire il mio conflitto. Feci tutti i miei
sforzi per desiderare di ricevere tant'acqua sporca, in modo che da
ultimo avevo preso gusto davvero a quel nuovo genere di aspersione, e
promisi a me stessa di tornare un'altra volta a un posticino così
felice, ove si ricevevano tanti tesori. Madre cara, lei vede che sono
una piccolissima anima e non posso offrire al buon Dio che piccolissime
cose. Ancora mi succede spesso di lasciarmi sfuggire quei sacrifici
minuti che danno tanta pace all'anima; non me ne scoraggio, sopporto di
avere un po' meno pace, e cerco di essere più vigilante un'altra volta.
329 - Il Signore è così buono con me che mi è impossibile aver paura di
lui, mi ha dato sempre quello che ho desiderato, o piuttosto mi ha
fatto desiderare quello che mi voleva dare. Così, poco tempo prima che
la prova contro la fede cominciasse, mi dicevo: veramente non ho grandi
prove esteriori, e perché ne avessi di interiori bisognerebbe che il
buon Dio cambiasse la mia via; non credo che lo faccia, eppure non
posso vivere sempre così nel riposo... quale mezzo dunque troverà Gesù
per mettermi alla prova? La risposta non si fece attendere e mi mostrò
come colui che amo non è a corto di mezzi: senza cambiar la mia strada,
mi mandò la prova che doveva mescolare una salutare amarezza a tutte le
mie gioie. Ma non soltanto quando vuole provarmi, Gesù me lo fa
presentire e desiderare. Da grandissimo tempo avevo il desiderio, che
mi pareva completamente inattuabile, di avere un fratello sacerdote;
pensavo spesso che se i fratellini miei non fossero volati al Cielo,
avrei avuto la felicità di vederli salire all'altare; ma poiché il buon
Dio li ha scelti per farne degli angiolini, non potevo più sperare di
vedere il mio sogno tradotto nella realtà. Ed ecco, Gesù non solamente
mi ha fatto la grazia che desideravo, bensì mi ha unita con i legami
dell'anima a due apostoli suoi, i quali sono divenuti fratelli miei...
Voglio, Madre cara, raccontarle nei particolari in qual modo Gesù
soddisfece il mio desiderio e anche lo superò, perché io non desideravo
che un fratello prete il quale tutti i giorni pensasse a me sul santo
altare.
330 - Fu la nostra santa Madre Teresa a mandarmi come dono profumato di
festa nel 1895 il mio primo fratello. Ero alla lavanderia, molto
occupata nel mio lavoro, quando Madre Agnese di Gesù, prendendomi in
disparte, mi lesse una lettera che aveva ricevuto allora. Un giovane
seminarista, ispirato, diceva lui, da santa Teresa, chiedeva una
sorella la quale si dedicasse in modo particolare alla salvezza
dell'anima sua e l'aiutasse con preghiere e sacrifici quando fosse
missionario, affinché egli potesse essere strumento di salvezza per
molte anime. Prometteva un ricordo costante, quando avesse potuto
offrire il santo sacrificio, per colei che divenisse sua sorella. Madre
Agnese di Gesù mi disse che voleva me come sorella del futuro
missionario. Madre mia, dirle la mia felicità sarebbe cosa impossibile.
Il mio desiderio soddisfatto in modo insperato mi fece nascere nel
cuore una gioia che chiamerò infantile, perché debbo risalire ai giorni
della mia infanzia per trovare il ricordo di quelle gioie tanto vive
che l'anima è troppo piccola per contenerie; da anni non avevo gustato
un tal genere di felicità. Sentivo che sotto questo aspetto l'anima mia
era nuova, come se fossero state toccate per la prima volta delle corde
musicali dimenticate fino allora.
331 - Capivo gli obblighi che m'imponevo, perciò mi misi all'opera
cercando di raddoppiare di fervore. Bisogna riconoscere che, da
principio, non ebbi consolazioni per incitare il mio zelo; dopo aver
scritto una gradevole lettera piena di affetto, di sentimenti nobili,
per ringraziare madre Agnese di Gesù, il mio giovane fratello non dette
più segno di vita fino al luglio seguente, mandò soltanto il suo
biglietto da visita nel novembre per dire che entrava in caserma. A
lei, Madre cara, il Signore aveva riservato di compiere l'opera
cominciata. Senza dubbio si possono aiutare i missionari con la
preghiera e col sacrificio, pure talvolta, quando piace a Gesù di unire
due anime per la sua gloria, permette che di quando in quando possano
comunicarsi i loro pensieri, ed incitarsi a vicenda ad amare Dio
maggiormente; ma per questo è necessaria una volontà espressa
dell'autorità, perché mi pare che altrimenti questa corrispondenza
farebbe più male che bene, se non al missionario, almeno alla
carmelitana continuamente indotta dal suo genere di vita a ripiegarsi
su se medesima. Allora, invece di unirla al buon Dio, questa
corrispondenza (sia pure a distanza) che ella avrebbe ricercata, le
occuperebbe lo spirito; immaginando monti e mari, non farebbe altro che
procurarsi, sotto pretesto di zelo, una distrazione inutile. Per me, in
questa come in tutte le altre cose, sento necessario, affinché le mie
lettere facciano bene, che siano scritte per obbedienza, e io provi
piuttosto ripugnanza che piacere scrivendole. Così quando parlo con una
novizia cerco di farlo mortificandomi, evito di rivolgerle domande che
soddiferebbero la mia curiosità; se essa comincia un discorso
interessante e poi passa a un altro che mi annoia, senz'aver finito il
primo, mi guardo bene dal ricordarle l'argomento che ha lasciato a
mezzo, perché mi pare che non possiamo far punto bene quando
ricerchiamo noi stessi.
332 - Madre diletta, m'accorgo che non mi correggerò mai: eccomi ancora
una volta arrivata ben lontana dal mio argomento, con tutte le mie
dissertazioni; mi scusi, la prego, e permetta che ricominci alla
prossima occasione poiché non posso fare altrimenti! Lei agisce come il
Signore, il quale non si stanca di ascoltare quando gli dico con tutta
semplicità le mie pene e le mie gioie quasi che lui non le sappia già.
Anche lei, Madre, conosce da gran tempo ciò che penso e tutti gli
avvenimenti un po' degni di memoria della mia vita; non potrei dunque
informarla di cose nuove. Non posso fare a meno di ridere pensando che
le scrivo scrupolosamente tante cose che lei sa bene quanto me. In
sostanza, Madre cara, io le obbedisco, e se ora non trova interesse
nella lettura di queste pagine, forse la distrarranno nei suoi vecchi
giorni e le serviranno in seguito per accendere il fuoco, così non avrò
perduto il mio tempo... Ma mi piace di parlare come una bambina; non
creda, Madre, che io ricerchi quale utilità possa avere il mio povero
lavoro; poiché lo faccio per obbedienza, mi basta di per sé, e non mi
affliggerei affatto se lei lo bruciasse davanti ai miei occhi prima di
averlo letto.
333 - È tempo che io riprenda la storia dei miei fratelli, i quali
occupano ora un posto così grande nella mia vita. L'anno scorso alla
fine di maggio, mi ricordo che ella un giorno mi fece chiamare prima
del refettorio. Il cuore mi batteva forte quando entrai da lei; mi
domandavo che cosa potesse aver da dirmi, perché era la prima volta che
mi faceva chiamare così. Dopo avermi detto di sedere, ecco ciò che mi
propose: «Vuole occuparsi degli interessi spirituali di un missionario,
il quale deve essere ordinato sacerdote, e partire prossimamente?». E
poi, Madre, mi lesse la lettera di quel giovane Padre, affinché io
sapessi esattamente ciò che egli chiedeva. Il mio primo sentimento fu
di gioia, che cedette subito al timore. Le spiegai che, avendo già
offerto i miei meriti per un futuro apostolo, credevo di non poterlo
fare anche secondo le intenzioni di un altro e che, del resto, vi erano
molte religiose migliori di me le quali avrebbero potuto rispondere al
suo desiderio. Tutte le mie obiezioni furono inutili, lei mi rispose
che si possono avere vari fratelli. Allora le domandai se l'obbedienza
non poteva raddoppiare i meriti. Lei mi rispose di sì, dicendomi varie
cose che mi mostravano come io potessi accettare senza scrupoli un
altro fratello. In fondo, Madre mia, io la pensavo come lei, e poiché
«lo zelo di una carmelitana deve abbracciare il mondo», io penso di
potere essere utile a più di due missionari, e non potrei dimenticare
di pregare per tutti, senza tralasciare i semplici sacerdoti la cui
missione talvolta è difficile quanto quella degli apostoli i quali
predicano agli infedeli. Insomma, voglio esser figlia della Chiesa
com'era la nostra Madre santa Teresa e pregare secondo le intenzioni
del Santo Padre, sapendo che queste intenzioni abbracciano l'universo.
Tale è lo scopo generale della mia vita, ma questo non mi avrebbe
impedito di pregare e di unirmi in modo particolare alle opere dei miei
piccoli cari angeli, se fossero stati sacerdoti. Ed ecco in qual modo
mi sono unita spiritualmente agli apostoli che Gesù mi ha dato come
fratelli: tutto quello che mi appartiene, appartiene a ciascuno di
loro, sento bene che il Signore è troppo buono per far le parti, è così
ricco che dà, senza misura, tutto quello che gli chiedo... Ma non
creda, Madre mia, che mi perda in lunghe enumerazioni.
334 - Da quando ho due fratelli e le mie sorelline novizie, se volessi
chiedere in particolare per ciascun'anima ciò di cui ha bisogno,
temerei molto di dimenticare qualcosa d'importante. Alle anime semplici
non occorrono mezzi complicati. Poiché io sono tra quelle, un mattino,
durante il ringraziamento, Gesù mi ha dato un mezzo semplice per
compiere la mia missione. Mi ha fatto capire questa parola dei Cantici:
«Attirami! noi correremo all'odore dei tuoi profumi» Gesù, dunque non è
nemmeno necessario dire: «Attirando me, attira le anime che amo!».
Questa semplice parola: «Attirami!», basta. Signore, lo capisco, quando
un'anima si è lasciata captare dall'odore inebriante dei tuoi profumi,
non saprebbe correre da sola, tutte le anime che ama sono trascinate a
seguirla; ciò avviene senza costrizione, senza sforzo, è una
conseguenza naturale della sua attrazione verso te. A somiglianza di un
torrente che si getta impetuoso nell'oceano, e travolge dietro di sé
tutto ciò che ha trovato sul suo passaggio, così, Gesù mio, l'anima che
si sprofonda nell'oceano del tuo amore, attira con sé tutti i tesori
che possiede...
335 - Signore, lo sai: non ho altri tesori se non le anime che a te è
piaciuto unire alla mia; questi tesori me li hai affidati tu. Oso
perciò far mie le parole che tu rivolgesti al Padre celeste nell'ultima
sera che ti vide ancora sulla terra, viaggiatore e mortale. Gesù, mio
amato, non so quando finirà il mio esilio... Per più di una sera ancora
canterò in terra straniera le tue misericordie, ma verrà finalmente
anche per me la sera ultima; allora vorrei poterti dire, o Dio mio: «Ti
ho glorificato sulla terra; ho compiuto l'opera che mi hai dato da
fare; ho fatto conoscere il tuo nome a coloro che mi hai dato: erano
tuoi, e me li hai dati. Ora conosco che tutto ciò che mi hai dato viene
da te; perché ho comunicato loro le parole che mi hai comunicate, le
hanno ricevute ed hanno creduto che mi hai mandato tu. Prego per coloro
che mi hai dato, perché sono tuoi. Io non sono più nel mondo; essi vi
sono, ed io ritorno a te. Padre Santo, conserva a causa del tuo nome
quelli che mi hai dato. Vengo ora a te, ed affinché la gioia che viene
da te sia perfetta in essi, dico questo finché sono ancora nel mondo.
Non ti prego di toglierli dal mondo, ma di conservarli dal male. Essi
non sono del mondo, come anch'io non sono del mondo. Non prego
solamente per essi, bensì anche per quelli che crederanno in te
attraverso quanto udranno da loro. Padre mio, desidero che dove io
sarò, quelli che tu mi hai dato siano con me, e che il mondo conosca
che tu li hai amati come hai amato me».
336 - Sì, Signore, questo vorrei ripetere dopo di te, prima di
volarmene tra le tue braccia. E forse temerità? Ma no, da lungo tempo
mi hai permesso di essere audace con te. Come il padre del figliuol
prodigo al suo maggiore, tu hai detto a me: «Tutto ciò che è mio, è
tuo». Le tue parole, Gesù, sono dunque mie, ed io posso servirmene per
attirare sulle anime unite con me i favori del Padre celeste. Ma,
Signore, quando dico che dove sarò io desidero che ci siano anche
coloro che tu mi hai dato, non pretendo che essi non possano arrivare
ad una gloria ben più alta di quella che ti piacerà dare a me, voglio
chiederti semplicemente che un giorno ci troviamo tutti riuniti nel tuo
bel Cielo. Lo sai, mio Dio, non ho desiderato mai se non di amarti, non
ambisco ad altra gloria. Il tuo amore mi ha prevenuta fin
dall'infanzia, è cresciuto con me, ed ora è un abisso del quale non
posso scandagliare la profondità. L'amore attira l'amore, così, Gesù
mio, il mio si slancia verso di te, vorrebbe colmare l'abisso che
l'attira, ma ahimè! è meno che una goccia di rugiada perduta
nell'oceano! Per amarti come tu mi ami, mi è necessario far mio il tuo
stesso amore, soltanto allora trovo il riposo. O Gesù, è forse una
illusione, ma mi sembra che tu non possa colmare un'anima con più amore
di quanto hai dato alla mia; per questo oso chiederti di «amare coloro
che mi hai dato come hai amato me stessa». Un giorno, in Cielo, se io
scoprirò che tu li ami più di me, me ne rallegrerò riconoscendo fin da
ora che quelle anime meritano l'amor tuo ben più della mia; ma quaggiù
non posso concepire un'immensità di amore più grande di quello che ti è
piaciuto prodigarmi gratuitamente, senza mio merito alcuno.
337 - Madre mia cara, torno a lei finalmente; sono tutta stupita di ciò
che ho scritto, perché non ne avevo l'intenzione, ma poiché è scritto,
bisogna che rimanga. Tuttavia, prima di riprendere la storia dei miei
fratelli, voglio dirle, Madre mia, che non applico a quelli, bensì alle
mie piccole sorelle, le prime parole prese dal Vangelo: «Ho comunicato
a loro le parole che tu mi hai comunicato...» perché non mi credo
capace di istruire dei missionari, per grazia di Dio non sono ancora
abbastanza orgogliosa per questo! Similmente non sarei stata in grado
di dare consigli alle mie sorelle, se lei, Madre mia, che mi
rappresenta il Signore, non mi avesse dato grazia per questo. Pensavo
invece ai suoi cari figli spirituali, i quali sono miei fratelli,
quando scrivevo queste parole di Gesù e le altre che seguono: «Non ti
prego di toglierli dal mondo... ti prego anche per coloro che
crederanno in te attraverso quanto udranno da loro». Come potrei
infatti non pregare per le anime che essi salveranno nelle loro
missioni lontane con la sofferenza e con la predicazione?
338 - Madre mia, mi sembra di doverle ancora dare qualche spiegazione
riguardo al passo del Cantico dei Cantici: «Attirami, noi correremo»,
perché ciò che ho voluto dirne mi pare poco comprensibile. «Nessuno, ha
detto Gesù, può seguirmi se il Padre mio che mi ha mandato non
l'attira». Dopo, per mezzo di parabole sublimi e spesso anche senza
usare di questo mezzo tanto familiare al popolo, egli ci insegna che
basta bussare perché ci venga aperto, cercare per trovare, e tendere la
mano umilmente per ricevere ciò che chiediamo. Egli dice ancora che
quanto chiediamo al Padre in suo nome, egli ce lo concede. Per questo
senza dubbio lo Spirito Santo, prima della nascita di Gesù, dettò
questa preghiera profetica: «Attirami, noi correremo». Cos'è dunque
chiedere di essere attirati se non di unirsi in modo intimo a ciò che
capta il cuore? Se il fuoco e il ferro avessero intelligenza, e
quest'ultimo dicesse all'altro: attirami, non proverebbe che desidera
identificarsi col fuoco, in modo che esso lo compenetri e lo intrida
con la sua essenza bruciante, e sembri diventare tutt'uno con lui?
Madre cara, ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nel fuoco
del suo amore, di unirmi a lui così strettamente che in me viva e
agisca lui. Sento che, quanto più il fuoco dell'amore infiammerà il mio
cuore, quanto più dirò: «Attirami», tanto più le anime che si
avvicineranno a me (povero piccolo detrito di ferro inutile, se mi
allontanassi dalla fornace divina) correranno anch'esse rapidamente
all'effiuvio dei profumi del loro Amato, poiché un anima infiammata di
amore non sa rimanere inattiva; senza dubbio resta ai piedi di Gesù,
come santa Maddalena, ascolta la sua parola dolce e infuocata. Benché
sembri non dar nulla, essa dà ben più che Marta, la quale si agita per
tante cose e vorrebbe essere imitata dalla sorella. Gesù non biasima
affatto il lavoro di Marta, la sua Madre divina per tutta la vita si è
sottomessa umilmente a questo lavoro, poiché doveva preparare il pasto
per la sacra Famiglia. Egli vorrebbe correggere la preoccupazione
eccessiva 43 della sua ospite ardente. Tutti i santi l'hanno capito;
soprattutto, forse, quelli che riempirono l'universo con l'irradiazione
della dottrina evangelica. Non è forse dall'orazione che santi come
Paolo, Agostino, Giovanni della Croce, Tommaso d'Aquino, Francesco,
Domenico, e tanti altri grandi amici di Dio hanno attinto questa
scienza divina la quale meraviglia i geni più grandi? Un saggio ha
detto: «Datemi una leva, un punto d'appoggio, ed io solleverò il
mondo». Quello che Archimede non ha potuto ottenere, perché la sua
richiesta non si rivolgeva a Dio ed era espressa solo da un panto di
vista materiale, i Santi l'hanno ottenuto pienamente. L'Onnipotente ha
dato loro, come punto d'appoggio, se stesso e sé solo; come leva,
l'orazione che infiamma di un fuoco d'amore, e così essi hanno
sollevato il mondo; così lo sollevano i santi della Chiesa militante, e
lo solleveranno ancora i santi futuri, fino alla fine del mondo.
339 - Mia cara Madre, adesso vorrei dirle che cosa intendo per
«effiuvio dei profumi» dell'Amato. Poiché Gesù è salito al Cielo, posso
seguire solo le tracce che egli ha lasciato, ma sono tracce così
luminose, così profumate! Se appena do un'occhiata al santo Vangelo,
respiro il profumo della vita di Gesù, e so da quale parte correre...
Non mi slancio verso il primo posto, ma verso l'ultimo; invece di farmi
avanti insieme col fariseo, ripeto, piena di fiducia, la preghiera
umile del pubblicano, soprattutto seguo l'esempio della Maddalena. La
sua audacia stupefacente, o piuttosto amorosa, che incanta il Cuore di
Gesù, seduce il mio. Sì, lo sento, anche se avessi sulla coscienza
tutti i peccati che si possono commettere, andrei, col cuore spezzato
dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, poiché so quanto
egli ami il figliuol prodigo che ritorna a lui. Non perché il Signore,
nella sua misericordia preveniente, ha preservato la mia anima dal
peccato mortale, io m'innalzo a lui con la fiducia e con l'amore.