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L'ARALDO DEL DIVINO AMORE - RIVELAZIONI DI S. GELTRUDE

LIBRO TERZO

PREFAZIONE DI LANSPERGIO


La vergine Geltrude, per umiltà, non scrisse nè questo terzo libro, nè i seguenti, però li ha dettati, - dietro ordine del Signore, - ad una consorella colta perchè li scrivesse. Geltrude si credeva indegna di raccontare grazie così eminenti, pensando di sciuparle col tocco della sua penna, e preferì che un'altra le mettesse in luce, affinchè Dio ricevesse degno omaggio di lode e di ringraziamento dalle anime che ne verrebbero a conoscenza.

Ella pensava di togliere da un pantano una perla preziosa e d'incastonarla in oro finissimo, rivelando ad altri i doni della bontà divina, perchè il Signore avrebbe così ricevuto quelle lodi e quei ringraziamenti ch'ella disperava di poterGli rendere. A tale ragione si aggiunse poi l'ordine tassativo dei Superiori, che obbligarono l'una a far conoscere le sue rivelazioni, l'altra a scriverle.

Questo terzo libro è ripieno d'istruzioni e di consolazioni; contiene pure pii esercizi nei quali ciascuno, secondo lo stato particolare, può imparare il modo di servire Dio e di piacerGli; come convenga offrire al Padre celeste i meriti e il frutto della Passione del Figlio suo, per espiare i propri peccati ed applicarsi i frutti della Redenzione; come bisogna amare Dio con tutto il cuore, con quale divozione ricevere i Sacramenti ed infine, come sia necessario conformarsi in ogni cosa al divino beneplacito. Tutte queste cose, e molte altre ancora contenute in questi libri, sono l'espressione pratica dell'amore di Dio verso i suoi eletti. Tale amore rende, in questi ultimi tempi, il Signore così compassionevole verso l'umana fragilità, da prodigarci con abbondanza pari alla misericordia, i suoi doni, i suoi santi e se stesso senza riserva alcuna, purchè la nostra buona volontà sia disposta a tutto ricevere. Continua dunque, caro lettore; non ti pentirai d'aver letto queste pagine.


PROLOGO


La grande umiltà di Geltrude, e soprattutto un forte impulso della divina volontà, l'obbligarono a far conoscere a una persona quanto segue. Sentendosi troppo indegna per rispondere alla grandezza dei divini favori con riconoscenza adeguata, dopo d'averli manifestati ad una consorella se ne rallegrava per la gloria di Dio, parendole d'aver tolto una gemma dal fango per incastonarla in oro fulgente. Fu dunque per ordine dei superiori che la sua consorella scrisse le pagine seguenti.


CAPITOLO I. - SPECIALE PROTEZIONE DELLA VERGINE MARIA.


Geltrude aveva saputo, per via di rivelazione, che avrebbe dovuto sopportare avversità per crescere in merito. Era alquanto perplessa, temendo la sua fragilità; ma il Signore n'ebbe compassione e le diede sua Madre, l'Augusta dispensatrice della grazia necessaria per ben sopportare quella tribolazione. Egli voleva che, se la sofferenza le avesse stretto l'anima al di sopra delle sue forze, subito si rivolgesse alla Madre della misericordia che immediatamente le avrebbe accordato soccorso.

Poco tempo dopo ella si trovò immersa nella desolazione più tormentosa, perchè una persona consacrata a Dio, voleva costringerla a rivelare i favori particolari ricevuti nella festa precedente. Per vari motivi ella non giudicava opportuno aderire a quel desiderio, d'altra parte temeva di resistere alla divina volontà. In tale dubbio ricorse alla Consolatrice degli afflitti e n'ebbe questa risposta: «Dà generosamente tutto quello che hai, perchè il mio Figliuolo è abbastanza ricco per restituirti con sovrabbondanza quello che avrai speso per la sua gloria». Tuttavia ella teneva nascosto il suo segreto con tante precauzioni da riuscirle assai penoso e difficile svelarlo ad altri.

Si prostrò allora ai piedi di Gesù, supplicandolo di manifestare, ancora più chiaramente, la sua divina volontà, e di darle la forza di compirla. Il benigno Salvatore si degnò di illuminarla con queste parole: « Deposita le mie ricchezze alla banca, perchè al mio ritorno, ne abbia gli interessi ».

Lo Spirito Santo illuminò allora la sua intelligenza. Ella comprese d'avere celato i divini favori per motivi di amore proprio; così, in seguito, rivelò con facilità i doni di Dio, secondo la profonda parola dei Proverbi: « Gloria regum est celare verbum: gloria autem Dei est investigare sermonem: La gloria del Re è di tenere nascosta la parola, ma quella, di Dio consiste nel premurosamente rivelarla ».


CAPITOLO II. - ANELLI DI SPIRITUALE ALLEANZA


Geltrude offerse un giorno al Signore, mediante una breve preghiera, le sofferenze dell'anima e del corpo, intendendo di aggiungere anche le delizie spirituali ed il riposo fisico di cui non poteva usufruire. Le apparve allora Gesù, portando quella duplice offerta sotto il simbolo di anelli ricchi di brillanti, posti, quali splendidi ornamenti, alle sue dita divine. Dopo d'aver ricevuto quella luce, rinnovò assai spesso la sua offerta. Un giorno, mentre la ripeteva con fervore, sentì Gesù toccarle l'occhio sinistro con l'anello della mano sinistra, simbolo della sofferenza fisica. Immediatamente sentì un acutissimo dolore a quell'occhio sul quale il Signore aveva posto la mano, tanto che esso non riacquistò mai più l'antico vigore.

L'atto del Signore le fece comprendere che l'anello è simbolo delle nozze; e che le sofferenze fisiche, o morali sono il segno infallibile delle divine predilezioni delle nozze dell'anima con Dio. In verità colui che soffre può dire fiduciosamente: « Anulo suo subarrhavtt me » (Pontif. Rom. De Consacratione Virginum). « Mi ha dato il suo anello come pegno ». Se poi l'anima afflitta sa lodare e ringraziare il suo Dio nell'angoscia, può con gioia celeste aggiungere: « Et tamquam sponsam decoravit me corona » (Ibid), perchè la riconoscenza a Dio fra le pene, procura gloriosa corona più preziosa dell'oro e del topazio.


CAPITOLO III. - MERITO DELLA SOFFERENZA


Un giorno venne rivelato a Geltrude che la naturale ripugnanza che noi proviamo di fronte ai dolore, può darci un aumento di gloria. Verso la Pentecoste provò un dolore così forte al fianco, che le persone presenti avrebbero temuto vederla morire in quello stesso giorno, se non avessero fatto esperienza che altre volte aveva superate felicemente simili crisi. Il divino Consolatore ed Amante delle anime volle allora istruirla nel modo seguente: disse che quando si sarebbe trovata sola per la negligenza di coloro che avrebbero dovuto curarla, Egli avrebbe supplito alla loro mancanza con la sua dolce presenza, pegno d'ineffabili conforti. Ma se le attenzioni e le premure si fossero moltiplicate intorno a lei, Egli si sarebbe nascosto con aumento delle sue sofferenze.

Comprese allora Geltrude che più siamo abbandonati dagli uomini, più Dio ci accarezza nella sua misericordia. Verso sera, essendo tormentata dalla violenza del male, chiese un attimo di ristoro; il Signore, alzando le braccia, le mostrò che portava sul suo petto, quasi magnifico ornamento, tutte le sofferenze che aveva sopportato in quella giornata. Tale monile le parve completo e senza difetto, e mentalmente concluse che il male stava per finire. Ma Gesù, leggendole nel pensiero, le disse: « Quello che soffrirai ancora, aumenterà lo splendore dei mio gioiello ». Infatti il divino serto era ricco di pietre preziose, ma tali pietre non avevano alcuno splendore. Fu allora colpita da una specie di peste di forma benigna, durante la quale sofferse di più per l'assenza di ogni consolazione che per la stessa malattia.


CAPITOLO IV. - DISPREZZO DELLE CONSOLAZIONI TEMPORALI


Nei giorni che seguirono la festa di S. Bartolomeo, Geltrude fu oppressa da una profonda melanconia che le fece perdere la pazienza. A causa di tale fragilità l'anima sua fu immersa in tenebre così profonde, da sembrarle d'aver perduto per sempre la divina presenza. Ma il sabato seguente, mentre si cantava l'antifona « Stella Maris, Maria» riebbe la gioia spirituale per intercessione della gran Madre di Dio. La domenica successiva, felice di gustare le ineffabili dolcezze del suo Dio, si risovvenne della passata impazienza e di altre sue colpe, concependo di se stessa il più sincero disprezzo.

Allora domandò al Signore la grazia di correggersi, ma lo fece con tale abbattimento, per la vista delle sue numerose miserie, che concluse con accento quasi disperato: « O Padre delle misericordie, poni termine a questi mali, giacché io non so mettervi nè limiti, nè misura « Libera me Doratine et pone me juxta te, et cujusvis manus sit contra me. Liberami, Signore, mettimi vicino a Te e che nessuna mano possa elevarsi contro di te » (Giob. XVII, 2). Il Signore, che desiderava consolarla ed istruirla, le mostrò un giardinetta ricco di vari fiori, cinto d'una siepe di spine ed inaffíato da un ruscello di miele.

« Consentiresti - chiese il Signore alla sua Sposa - d'abbandonarmi per godere la vista di questi fiori, e per gustare il sapore di questo miele? » « No, certo mio Signore! » rispose vivacemente Geltrude.

Gesù mostrò poscia a' suoi sguardi un altro giardinetto dal suolo paludoso, dove cresceva a stento una magra verzura, e spuntavano alcuni fiori senza profumo, nè vaghezza. « E quest'altro giardino - chiese Gesù - lo preferiresti al tuo Dio? » « Ah, esclamò Geltrude con indignazione, coprendosi inorridita il volto: - Come potrei fissare la mia scelta su ciò che è vile e perituro, mentre posseggo in Te, mio Dio, il solo tesoro vero, durevole ed eterno?

« Aggiunse il Signore: « I doni di cui ho arricchito l'anima tua sono la prova sicura che possiedi la carità: perché dunque ti lasci opprimere dal turbamento e dalla disperazione alla vista dei tuoi peccati? Non è forse scritto "Charitas operit multitudinem peccatorum" "La carità copre la moltitudine dei peccati?". Col giardino paludoso ed arido che tu hai disprezzato, ho voluto simboleggiare la vita carnale: con quello fiorito, la vita dolce, piacevole, esente d'avversità, quella vita che tu avresti potuto godere comodamente, usufruendo del favore degli uomini e di una riputazione di santità, se non avessi preferito la mia divina volontà

« Oh, mio amatissimo Gesù - rispose Geltrude - fosse vero che io avessi rinunciato alla mia propria volontà, disprezzando il giardino fiorito! Ma temo d'averlo abbandonato a causa de' suoi angusti confini » « Infatti - riprese il Signore - quando vedo le anime dei miei eletti immerse nelle gioie della vita, la delicatezza della mia infinita bontà mi suggerisce di eccitare in esse il rimorso di coscienza, affinchè quella spina interiore loro manifesti il poco valore dei beni terreni, ed essi li disprezzino più facilmente». Geltrude, con atto generoso e spontaneo, rinunciò allora a tutte le gioie terrene e persino alle celesti consolazioni, abbandonandosi ciecamente alla volontà del suo Dio. Cinta dalle braccia del suo divin Sposo, fiduciosamente appoggiata al suo sacro petto, le sembrava che gli sforzi di tutte le creature riunite insieme non sarebbero più riuscite a strapparla da quel domicilio di pace, dove attingeva dalla Piaga del divino Costato un liquore vivificante più squisito del balsamo.


CAPITOLO V. - COME IL SIGNORE SI CHINO' SU GELTRUDE CHE SI UMILIAVA PROFONDAMENTE AL SUO COSPETTO


Nella festa dell'apostolo S. Matteo il Signore la colmò della dolcezza delle sue benedizioni. Geltrude, imitando il sacerdote che, durante la S. Messa, innalza il calice del prezioso Sangue, volle presentare ella stessa tale offerta al suo Dio, in omaggio di ringraziamento. Ma poi prese a riflettere che quell'oblazione santa, le servirebbe ben poco, se non si unisse in pari tempo al Cristo disposto a soffrire per suo amore, ogni sorta di tribolazioni. Allora staccandosi con generoso sforzo dal petto beatificante del Signore ove si riposava con tanta delizia, si distese a terra come un vile cadavere, dicendo: «Eccomi o mio Dio, pronta a sopportare qualsiasi genere di dolore che possa aumentare la tua gloria». Gesù, pieno di bontà, si levò e, ponendosi accanto alla sua sposa, l'attirò teneramente a sè con queste parole: «Hoc est meum ». «Ecco qualcosa che veramente è mio».

Fortificata dalla divina virtù, ella si rialzò e rispose: « Sì, mio Signore, io sono l'opera delle tue mani ». Riprese l'amabile Salvatore. « Ed io aggiungerò che non posso essere felice senza di te! » Piena di ammirazione per quelle adorabili parole, ricche d'infinita accondiscendenza, ella aggiunse: « Come mai, o mio Dio, parli così, mentre dopo d'aver provato le tue delizie nella creazione, possiedi in Cielo e sulla terra falangi d'innumerevoli amici coi quali puoi vivere felice, anche se io non fossi stata creata? ». Le rispose Gesù: « Chi è sempre stato privo d'un membro non ne soffre la menomazione, come colui a cui sia stato tolto in giovinezza. Così avendo io stabilito e fissato il mio amore nell'anima tua, non potrò mai sopportare che tu sia separata da me ».


CAPITOLO VI. - COLLABORAZIONE DELL'ANIMA CON DIO


Nel giorno della festa di S. Maurizio, durante la S. Messa, al momento della Consacrazione, Geltrude disse al Signore: « Oh, mio Dio quanto è grande ed inestimabile l'opera della tua potenza. e del tuo amore! La mia piccolezza non osa neppure fissarvi lo sguardo. Io discendo e mi sprofondo nell'abisso della mia bassezza, e ivi aspetterò la parte che mi sarà assegnata in questo tesoro, comune a tutti gli eletti ».

Le rispose Gesù: « Non hai tu mai osservato come una madre, intesa ad assettare un bell'intreccio di perle e di fili di seta, si faccia, nel delicato lavoro, aiutare dal suo figliuolo minore? Essa lo pone su d'una seggiola più elevata, e poi gli porge ora un filo di seta, ora una perla. In tal, modo io ti ho posta ben in alto, per assistere a questa S, Messa; se tu consenti, anche a prezzo di gravi sacrifici, ad offrirmi generosamente il tuo buon volere ed a disporti a tutto fare ed a tutto soffrire affinché l'oblazione del mio Corpo e del mio Sangue abbia a produrre il suo pieno effetto per la salute dei vivi e per la liberazione dei defunti, allora, nonostante la debolezza del tuo potere, mi avrai aiutato efficacemente, nel compimento della mia grande opera redentrice ».


CAPITOLO VII. - COMPASSIONE DI GESU' A NOSTRO RIGUARDO


Era il giorno dei Santi Innocenti: Geltrude bramava di presentarsi fervorosamente a ricevere la SS. Comunione, ma provava una grande difficoltà per le numerose distrazioni che l'assalivano. Avendo chiesto il divino aiuto, ebbe da Gesù questa misericordiosa risposta: «Sappi, figlia mia, che se un'anima, provata dalle tentazioni, si rifugia in me, è quella colomba. scelta fra mille, della quale parlo nella scrittura "Una est colomba mea, tamquam electa ex millibus, qui in uno oculorum suorum transvulnerat Cor rneum divinum" ; Ella è questa sposa più amata di cui un solo sguardo ferisce il mio cuore, e se fossi impotente a soccorrerla, l'anima mia ne proverebbe un dolore così profondo, che tutte le gioie del Cielo non basterebbero ad addolcirlo. Nella mia Umanità congiunta alla Divinità, i miei diletti trovano un avvocato compassionevole per le loro rinascenti miserie » « Ma Signor mio » - riprese Geltrude - « come mai il tuo Corpo immacolato, che non conobbe nessun disordine, potrà inclinarti ad aver compassione delle nostre svariatissime miserie? ». Rispose Gesù: « Potrai convincertene per poco che tu rifletta alla parola dell'Apostolo: « Debuit per omnia fratribus assimilari, ut misericors fleret (Eb. II, 17). Dovette assomigliare ai suoi fratelli per diventare misericordioso». Poi aggiunse: «Te lo ripeto: lo sguardo unico con cui la mia diletta mi rapisce il cuore, è quella confidenza tranquilla e sicura che la porta a riconoscere che posso e voglio aiutarla fedelmente in ogni cosa. Tale fiducia incondizionata fa violenza alla mia tenerezza ed io divento impotente a resisterle » « Io vedo bene » - rispose Geltrude - che l'abbandono confidente ti rapisce il cuore, ma come fare a ottenere un dono così perfetto? E che sarà mai di coloro che non l'hanno? ». - Rispose il Signore: - « La mia grazia non viene meno a nessuno; tutti possono vincere la pusillanimità, meditando dei passi della S. Scrittura che ispirano confidenza. Qual'è l'uomo che non possa, se pur vuole, richiamare, almeno sulle labbra, le parole di confidenza e di abbandono di cui sono infiorati i libri santi, come per esempio, quest'espressione di Giobbe: « Etsi in profundum inferni demersus fuero, inde me liberabis » e quest'altra « Ettamsi occideris me, in te sperabo » « Quand'anche fossi inghiottito in fondo degli abissi, Tu me ne ritrarresti, o Signore! Quand'anche Tu mi uccidessi, io in Te spererei? » (Giob. XIII, 15).


CAPITOLO VIII. - LE CINQUE PARTI DELLA S. MESSA

Un giorno Geltrude, obbligata a letto per malattia, non poteva assistere alla S. Messa, durante la quale avrebbe dovuto comunicarsi. Con cuore angosciato disse al suo Dio: « Ecco, amabilissimo Gesù, che, per disposizione della tua divina Provvidenza, non posso recarmi al S. Sacrificio; come potrò ricevere degnamente il tuo Corpo sacratissimo ed il tuo prezioso Sangue, poichè la mia migliore preparazione consiste nell'unirmi con l'intenzione al celebrante, seguendo le varie parti del S. Sacrificio?».

Il Signore rispose: « Giacchè mi chiami in causa e sembri quasi rivolgermi un rimprovero, voglio, mia amatissima Sposa, cantarti un epitalamio pieno di dolcezza e d'amore. Ricorda che ti ho riscattata col mio Sangue e sappi che i trentatré anni, nei quali ho lavorato sulla terra, sono stati consacrati a preparare le mie nozze con te. Questo pensiero ti serva per la prima parte della S. Messa.

Ascolta; sono Io che te lo dico: - sappi che sei stata arricchita dal mio Spirito, e, come il mio Corpo ha lavorato trentatré anni in preparazione alle nozze con te, l'anima mia esultava in giocondi trasporti, pensando ai mistici sponsali che doveva contrarre con l'anima tua. Questo pensiero ti terrà luogo della seconda parte della S. Messa. -

Impara ancora da me: la mia Divinità si è diffusa in te; è lei che, con la potente virtù, mescola dolcezze inebrianti e delizie soprannaturali alle tue diuturne sofferenze fisiche. Questo ti serva come terza parte della S. Messa. Ascolta ancora una volta: fu il mio amore che ti ha santificata! Riconosci dunque che nessuno dei beni che possiedi è tuo, ma ricorda che hai ricevuto da me tutta quello che può renderti gradita a' miei occhi; ciò ti servirà di meditazione per la quarta parte della S. Messa.

Infine ti rivolgo un'ultima parola: ricorda a quale altezza fosti innalzata, mediante l'unione con Me e riconosci che, essendomi dato ogni potere in cielo e sulla terra, nulla può impedirmi di parteciparti la mia gloria e di volere che colei, che è veramente la sposa del Re, sia chiamata regina e riceva gli onori dovuti alla sua dignità. Deliziati nel meditare tali privilegi e non rammaricarti più di non aver potuto assistere alla S. Messa ».


CAPITOLO IX. - GENEROSA DISPENSAZIONE DELLA DIVINA GRAZIA


Dio aveva rivelato ad una persona che voleva, per le preghiere delle monache, liberare un grande numero di anime purganti, perciò erano state richieste al Convento preghiere particolari. Geltrude si dispose a recitarle con grande fervore, in unione alle sue consorelle, quando scorse Nostro Signore tutto raggiante di gloria nell'atto di dispensare i suoi benefici. Siccome non poteva chiaramente discernere l'atto del Signore, gli chiese fiduciosamente: « O Dio, ricco di bontà, nell'ultima festa di S. Maria Maddalena ti sei degnato di rivelare, alla tua indegna serva, che avresti accordato grazie speciali di misericordia a coloro che in quel giorno si sarebbero prostrati ai tuoi piedi per imitare la fortunata peccatrice, tua amatissima seguace. Degnati, te ne supplico, rivelarmi anche oggi, l'atto che stai compiendo in questo momento ». Rispose il Signore: « Distribuisco i miei doni ». Comprese ella allora che Egli applicava alle anime dei defunti le preghiere del Convento. Quantunque però questa anime fossero presenti, essa non poteva vederle.

Aggiunse il Signore: « Non vorresti offrirmi i tuoi meriti, perchè io possa aumentare le mie liberalità? ». L'anima di Geltrude fu intenerita per l'unzione di tale dolce invito e, pur non sapendo che la comunità era tutta in preghiera per lo stesso scopo, provò una grande riconoscenza per nostro Signore che si degnava chiederle qualche cose di personale. Rispose quindi gioiosamente: « Sì, mio Dio, io ti offro, non soltanto i miei beni che sono poca cosa, ma anche quelli della comunità di cui posso disporre in virtù di quel dolce vincolo fraterno che la tua divina grazia ha stretto fra noi; quindi con volontà piena, ti presento quest'offerta per onorare le tue divine perfezioni».

Allora il Signore, come distolto dalla sua occupazione per l'immensa gioia che gli procurava tale offerta, stese una bianca nuvola che lo coperse insieme alla sua amatissima Sposa, poi s'inchinò verso di lei ed attirandola dolcemente a sè, le disse: « Occupati di me solo, e gusta le delizie della mia grazia ».

Ma Geltrude riprese: « Perché mai, o Dio, infinitamente buono, hai rivelato a un'altra persona quello che volevi fare per le anime purganti, e mi hai privato di questa luce, mentre, di solito, mi sveli la maggior parte de' tuoi segreti? ». Rispose il Signore: « Ricordati che spesso i miei doni non servono che ad umiliarti, perché te ne giudichi indegna; così li ricevi come un mercenario a cui si paga il salario. Tu pensi che la tua fedeltà dipenda unicamente da questi benefici, e allora esalti le anime che, senza alcun favore speciale, sono fedelissime in tutte le cose. Ebbene stavolta ho voluto farti condividere la loro sorte, perchè il tuo zelo per le anime purganti e le tue assidue preghiere, non essendo ispirate d'alcun favore particolare, fossero per te più meritorie ».

Mentre ascoltava queste ineffabili parole, fu come rapita nella contemplazione di quella bontà divina che, ora diffonde sulle anime nostre il fiume impetuoso delle sue grazie, ora rifiuta anche un minimo favore per custodire più sicuramente tali grazie.

La vista dell'ammirabile condotta di Dio che tutto faceva convergere al bene dell'anima sua, eccitò in essa tale riconoscenza che, rapita in estasi e quasi venendo meno sotto l'azione divina, si gettò sul sacro petto di Gesù, dicendo: « O Dio, la mia debolezza non può sopportare la vista di queste meraviglie d'amore ». Il Signore attenuò allora lo splendore di quella luce; ma quando Geltrude si fu un po' rinvigorita, gli disse: « Poichè la tua Provvidenza, o mio Dio, nella sua incomprensibile sapienza, ha creduto bene privarmi di questo dono, non voglio più nemmeno desiderarlo. Però ti pregherei di dirmi soltanto, se mi esaudisci quando io ti prego in favore de' miei amici ». E il Signore affermò con giuramento: « Io ti esaudisco con la mia divina virtù ». « Allora ti prego per quella persona che mi fu sì spesso raccomandata ». Geltrude vide sfuggire dal sacro petto del Redentore un ruscello d'acqua limpida come il cristallo, che penetrò fino nel più intimo dell'anima per la quale pregava. Ella interrogò ancora il Signore: « Se questa persona non sente l'effusione della tua grazia che l'investe, potrà approfittarne? ». E Gesù di rimando: « Quando il medico fa prendere ad un malato una medicina salutare, spesso non è dato a coloro che lo curano constatarne subito i buoni effetti, ed il malato stesso non si sente guarito sul momento. Pure il medico, che conosce la potenza del rimedio, ne prevede il felice risultato ». « Ma perchè, Signore » - insistette Geltrude - « non togli a quest'anima le sue cattive abitudini e gli altri suoi difetti come tante volte te ne ho pregato? ». « Non hai tu meditato - rispose il signore - quello che si dice della mia infanzia: "Profictebat aetate et sapienza coram Deo et hominibus? Avanzava in grazia e in sapienza davanti a Dio e davanti agli uomini?" (Luc. II, 52). Questa persona con lento progresso giornaliero, cambierà a poco a poco i suoi difetti in virtù; io le perdonerò tutto quello che deriva dall'umana fragilità, per potere poi darle in cielo le ricompense che ho destinato all'uomo, volendo io innalzarlo al di sopra degli stessi angeli ».

L'ora della S. Comunione s'avvicinava. Geltrude domandò al Signore di volere benevolmente anticipare il tempo della sua misericordia e di convertire tanti peccatori, quante erano le anime purganti che avrebbe liberato, ascoltando le preghiere della comunità. Ella aveva l'intenzione di pregare per le anime peccatrici che, nella divina prescienza, si sarebbero salvate, non osando includere anche quelle che già correvano la via della dannazione. Ma il Signore le rimproverò quella riserva: « Con la presenza reale del mio Corpo e del mio prezioso Sangue che stai per ricevere - le disse - non potresti ottenere che anche i peccatori che stanno per dannarsi abbiano a convertirsi? ».

L'immensa misericordia racchiusa in tali parole la riempì d'ammirazione: « O mio Dio, - rispose - poichè la tua infinita bontà si degna d'ascoltare la mia preghiera, io, unendomi all'amore di tutte le tue creature, ti domando di convertire tanti peccatori quante anime purganti libererai, e di convertire quegli stessi peccatori che vivono in istato di dannazione: tale immensa grazia sia accordata a tutti coloro a cui vorrai dispensarla, dovunque essi siano e nel tempo fissato dalla tua Provvidenza. Rivolgendoti questa supplica non voglio avere di mira nè i miei amici, nè i miei parenti, nè alcuno della mia famiglia ».

Il Signore accolse benevolmente questa generosa domanda e promise esaudirla; Geltrude aggiunse: « Vorrei sapere, o mio Dio, quello che potrei fare per supplire all'insufficienza delle mie preghiere ». Ma il Signore non rispondeva. E Geltrude: « O mio dolce Gesù, Tu taci perché, conoscendo il fondo de' cuori, non puoi chiedere alla mia debolezza ciò che forse non saprebbe darti ». Il Salvatore rispose con un volto raggiante di dolcezza: « La sola confidenza può facilmente ottenere qualsiasi cosa. Tuttavia se il tuo zelo vuole offrirmi un tributo d'omaggio, recita trecentosessantacinque volte il salmo "Laudate Dominum omnes gentes ecc.": così mi presenterai un gradito supplemento alle lodi che le creature hanno trascurato di rendermi ».


CAPITOLO X. - TRE OFFERTE PREZIOSE


Alla festa di S. Mattia, ella aveva stabilito, per diverse ragioni, d'astenersi dalla S. Comunione: durante la prima Messa, teneva lo spirito attento a Dio ed ai bisogni della sua anima.

Il Signore le dimostrò allora con numerosi attestati di tenerezza, l'affezione più verace e profonda, proprio quella che un amico può sentire per il suo amico. Ma ella non era soddisfatta, essendo abituata a ricevere favori più elevati, in una forma superiore. Quello ch'essa avrebbe voluto era di uscire dal suo io per aderire completamente al Diletto, chiamato fuoco consumatore; anzi desiderava liquefarsi, negli ardori della carità per unirsi più intimamente all'oggetto dell'amor suo. Ma siccome il ringraziamento non assecondava in quel giorno le sue aspirazioni infuocate, ella vi rinunciò per la gloria di Dio e riprese le sue pratiche abituali. Tali pratiche consistevano nel lodare l'immensa bontà e accondiscendenza della SS. Trinità, per tutti i benefici sgorgati dagli abissi infiniti delle sue ricchezze per diffonderli su tutti i beati.

Inoltre ella ringraziava l'augusta Triade per tutti i favori accordati alla SS. Madre di Dio, per i doni eccellenti infusi nella SS. Umanità di Gesù Cristo. Infine supplicava tutti i Santi riuniti, e ciascuno di essi in particolare ad offrire, in supplemento delle sue negligenze, alla risplendentissima, tranquilla Trinità, l'amore e la perfezione coi quali, nel giorno del loro trapasso, si presentarono davanti al Dio della gloria, per ricevere la ricompensa delle loro fatiche. A tale scopo recitò tre volte il salmo Laudate Dominum omnes gentes, in onore di tutti i Santi, della Vergine e del Salvatore divino.

Ma le disse Gesù: « Come farai a ringraziare i Santi delle preghiere che stanno per offrirmi secondo le tue intenzioni, poichè vuoi tralasciare la S. Comunione, per mezzo della quale tu sei solita ad offrirmi, da parte loro, i sensi della più perfetta riconoscenza? ». A tale domanda Geltrude non osò rispondere.

Al momento della Consacrazione ella sentì l'ardente desiderio di trovare un'offerta degna d'essere presentata al Padre, come tributo di lode. Il Signore le disse: « Se tu ti preparassi oggi a ricevere il Sacramento vivificante del mio Corpo e dei mio Sangue, ti sarebbe possibile ottenere i tre benefici che tu bramavi, cioè di godere la dolcezza del mio amore, di sentire l'anima tua liquefarsi per l'ardore della mia Divinità, in modo che possa scorrere in me come l'argento fuso si mescola con l'oro nel crogiolo; infine tu possederesti un prezioso tesoro degno d'essere offerto al Padre onnipotente, in omaggio di eterna lode e tutti i Santi ne avrebbero aumento di ricompensa ».

Persuasa da tali divine espressioni, ella s'infiammò di un desiderio così ardente di ricevere il SS. Sacramento che, per farlo, non avrebbe esitato a passare fra spade sguainate. Andò quindi a comunicarsi e, mentre stava ringraziando Dio di tanto dono, il dolce Amico le disse: « Stamane, assecondando un moto di volontà propria, tu ti preparavi a compiere il dovere d'un servo volgare che porta al suo padrone calce, travi e mattoni. Ma io ti ho eletta nel mio amore e ti ho posta fra i felici invitati che si saziano alla mia tavola regale ».

Siccome poi, in quello stesso giorno, una consorella si era astenuta, senza serio motivo, dalla S. Comunione, Geltrude chiese al Signore: « Perchè mai hai permesso, o Dio misericordioso, ch'ella fosse così fieramente tentata? ». Rispose Gesù: « Non devi accusare me, perchè essa ha coperto così bene gli occhi col velo della sua indegnità, da non poter più scorgere l'immensa tenerezza del mio fraterno amore ».


CAPITOLO XI. - DI UN'INDULGENZA E DELL'AMORE AL DIVIN BENEPLACITO


Geltrude seppe che si predicava un'indulgenza di parecchi anni, secondo l'uso di quei tempi per incoraggiare offerte: ella disse al Signore: « O mio Dio, se possedessi grandi ricchezze vorrei consacrare argento e oro per la gloria di Dio, l'onore del tuo Nome, in espiazione delle mie colpe e per ottenere l'ampiezza delle sante indulgenze».

Rispose Gesù con bontà: « Con l'autorità e la potenza della mia Divinità, ricevi la completa remissione delle tue colpe e fragilità». La sua anima le riapparve subito purificata e smagliante di celeste candore.

Qualche giorno dopo, rivide l'anima sua scintillante di purezza ed ebbe timore d'essersi illusa, perchè aveva commesso alcune negligenze che avrebbero dovuto appannare quel magnifico splendore.

Il Signore con dolce benignità volle consolarla e le disse: « Credi tu forse che io abbia un potere inferiore a quello che pur ho accordato alle mie creature? Se ho comunicato al sole la virtù di fare sparire le macchie col calore dei suoi raggi infuocati, e di rendere la parte macchiata nitida, e linda, a più forte ragione Io, che sono il Creatore dei sole, potrò diffondere la ricchezza della mia misericordia sull'anima che desidero purificare ed abbellire con la forza indomabile del mio eterno amore».

In altra occasione Geltrude alla vista della sua indegnità, si era così scoraggiata da non poter più cantare le divine lodi, nè aspirare alle dolcezze della contemplazione. In seguito però riuscì a rinvigorirsi per la misericordia di Dio, ed i meriti della santissima vita di Nostro Signore Gesù Cristo; così le fu possibile avanzarsi, secondo il suo desiderio, verso la Maestà del Re dei re, rivestita di quella bellezza che brillava nella regina Ester, in presenza d'Assuero.

Il Signore le chiese benevolmente: «Che cosa comandi, o mia regina e sovrana? ». Ella rispose: « Chiedo e desidero ardentemente, che si compia in me sempre la tua amabilissima volontà! ». Allora il Salvatore, nominandole l'una dopo l'altra le persone che si erano raccomandate alle sue preghiere, le chiese: « Che vuoi per quell'anima, e per quell'altra, e per quest'altra che più particolarmente si raccomandano alle tue orazioni? ».

« Oh, mio Dio, - rispose Geltrude - la mia delizia è tutta qui: domando unicamente che si compia in esse, a perfezione, la tua divina Volontà ». Insistette Gesù: « E per te non hai qualche desiderio particolare? ». Geltrude affermò: « Desidero sopra tutte le cose vedere la tua amabile pacifica Volontà realizzarsi in me in tutte le creature: per raggiungere questo scopo sarei pronta ad esporre a qualsiasi supplizio ciascun membro del mio corpo ».

L'infinita bontà di Dio, che le aveva ispirato brame così perfette, volle degnamente compensarla con questa promessa: « Tu hai commosso il mio Cuore col tuo assoluto abbandono alla mia Volontà, perciò mi compiaccio di ricompensare il tuo ardente zelo con un dono specialissimo. Ti amerò in avvenire, e Tu sarai gradita al mio divino sguardo come se sempre la tua vita fosse stata la copia perfetta della mia Volontà, e non l'avessi mai trasgredita nella minima cosa ».


CAPITOLO XII.  - MISTICA TRASFIGURAZIONE COMPIUTA DALLA GRAZIA


Mentre si cantava l'antifona: In lectulo meo etc. (Cantic. III) ove si trovano ripetute quattro volte queste parole: « Quem diligit anima mea - Colui che la mia anima predilige » ella comprese che l'anima fedele può cercare Dio in quattro modi diversi: Con le parole: « In lectulo meo per noctem quaesiiri quem diligit anima mea - Nel mio giaciglio, durante la notte, ho cercato Colui che amo» (Cant. III) ella comprese la prima via con cui si cerca Dio, che consiste nell'offrirgli continue lodi nel sacro riposo della contemplazione. L'antifona continua: « Quaesivi illum et non inveni - L'ho cercato e non l'ho trovato». Perché l'anima prigioniera nella carne mortale, non riesce a lodare Dio perfettamente.

La seconda maniera di cercare Dio le fu svelata in questo versetto: « Surgam et circuibo civitatem, per vicos et plateas, quaerens quem diligit anima mea » « Mi leverò, girerò intorno alla città, cercherò nelle vie e nelle piazze pubbliche colui che l'anima mia ama». Perchè l'anima percorre le vie e le piazze, cioè che studia con ringraziamenti di compensare i benefici divini prodigati alle sue creature; ma, non riuscendo a livellare i benefici con la gratitudine, aggiunge con ragione: « Quaesivi illum et non inveni ».

Nel terzo versetto: « Invenerunt me vigiles qui custodiunt civttatem - Coloro che vegliano per custodire la città, mi hanno incontrato», le diede modo di comprendere che gli avvisi della giustizia e della tenerezza di Dio, portano l'anima a concentrarsi in se stessa.

La sposa dei cantici dopo d'aver paragonato la bontà di Dio con la sua indegnità, incomincia a gemere, a fare penitenza de' suoi peccati e a sospirare la divina misericordia, dicendo: « Num quem diligit anima mea vidistis? » « Non avete visto colui che la mia anima ama? ». Non avendo nessuna fiducia ne' suoi meriti, si rivolge a Dio in atto di piena confidenza e trova il Diletto dell'anima sua, sia per fervente supplica, come per la luce della grazia.

Dopo il canto di quest'antifona, durante la quale aveva gustato consolazioni ineffabili, ella senti il cuore e tutte le sue membra così scosse dalla virtù divina, che le parve di venir meno: « O mio diletto Gesù, - disse Geltrude - ora posso proprio affermare che le profondità del mio essere, e tutte le mie membra hanno trasalito alla tua dolce venuta ». Rispose il Signore: « Conosco l'unzione divina che scorre da me e che in me ritorna, ma mentre vivi in carne mortale, non puoi capire la tenerezza di Dio che in te si è riversata. Desidero che tu sappia che, in forza di tale grazia, hai ricevuto una gloria che potrebbe paragonarsi a quella che rifulse nel mio Corpo al Monte Tabor. Nella dolcezza del mio amore posso quindi dire di te: « Hic est filius meus dilectus in quo miht bene complacui » (Matt. XVII, 5). « Costui è il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto »; perché la caratteristica di questa grazia è d'investire il corpo e l'anima del mio stesso meraviglioso splendore ».


CAPITOLO XIII. - SPIRITO DI RIPARAZIONE


Un giorno, mentre si ripiegavano i sacri lini, cadde a terra un'Ostia ch'era stata posta sull'altare e che si dubitava fosse stata consacrata.

Geltrude ricorse subito a Gesù e, sentendo che quell'Ostia non era consacrata ne giubilò in segreto, perché tale irriverenza era stata risparmiata al suo Diletto. Pure ardente di zelo com'era per la gloria di Dio, disse:! « Quantum. quella tua infinita bontà abbia impedito oltraggio così grave verso il SS. Sacramento, pure poichè sono tante le offese che ti si fanno, non solo dai tuoi nemici, ma ancora da coloro che dovrebbero esserti amici e talvolta, cosa degna di lagrime infinite, dai tuoi stessi sacerdoti e religiosi, non dirò nulla alle mie consorelle per non privarti delle riparazioni che ti offriranno e dell'omaggio delle loro consolazioni ». E aggiunse: « Fammi conoscere, mia Gesù, quale sodisfazione ti sarebbe cara per riparare le offese che si commettono contro di Te, perchè mi sarà dolce consumare tutte le mie forze per la gloria e l'onore del tuo Nome ». Il Signore le manifestò che, gradirebbe assai la recita di duecentoventicinque Pater noster per onorare le sue sacratissime membra, in unione di quell'amore col quale Egli si è fatto uomo per amor nostro. Desiderò inoltre si facesse lo stesso numero di atti di carità al prossimo, come se si facessero a Lui stesso, memori della parola evangelica: « Quod uni ex minimis mei fecistis, mthi fecistis - Quello che avete fatto al più piccolo de' miei, l'avete fatto a me stesso » (Matt. XXV, 40), Infine chiese che lo stesso numero di volte si rinunciasse ai piaceri inutili della terra per dare gloria a Dio.

Oh, come sono grandi e ineffabili le misericordie del nostro caritatevole Salvatore che si degna gradire soddisfazioni così piccole e ricompensarle generosamente, quantunque non meriteremmo che giusti castighi, rifiutandogli tanto spesso il dovuto omaggio del puro amore.


CAPITOLO XIV. - L'ANIMA VIENE PURIFICATA IN DUE MODI L'AMAREZZA DELLA PENITENZA E LA SOAVITA' DELL'AMORE


Il Signore per aumentare i meriti delle anime che gli sono care e assicurare meglio la loro salvezza, permette talvolta che trovino difficoltà notevoli nel compimento dei doveri facilissimi. Ciò appunto capitò a Geltrude. La confessione delle sue colpe le parve un giorno così penosa, che credette di non poter superarsi con le sole sue forze. Pregò allora il Signore, con tutto lo slancio della sua fede e l'ardore della sua carità. Le chiese Gesù: « Vorresti affidarmi, con un atto di assoluta confidenza, la cura di questa confessione e non pensarci più nell'avvenire?». Rispose Geltrude: « Sì, mio amorosissimo Salvatore, io ho piena e sovrabbondante fiducia nella tua onnipotente bontà: ma dopo d'averti offeso, sento il bisogno di ripensare con amarezza alle mie colpe, per offrirti così una prova efficace di pentimento ».

Avendo il Signore gradito la sua buona volontà, ella s'immerse nella considerazione della sua miseria, e ben tosto vide la sua pelle qua e là strappata come se si fosse avvoltolata in un roveto spinoso. Ella mostrò le sue piaghe al Padre delle misericordie perchè, medico abile e fedelissimo, avesse la bontà di guarirla.

Il Signore, chinandosi benignamente verso di lei, le disse: « Col mio soffio divino ti preparo il bagno salutare della confessione. Quando poi sarai purificata secondo i miei desideri, apparirai splendente al mio divino sguardo ». Ella volle ben tosto svestirsi per essere immersa in quel mistico bagno e disse: « O mio Dio, tengo in cuore un desiderio così ardente della tua gloria, che mi sento forzata a spogliarmi d'ogni desiderio di umano onore, anzi se fosse necessario sarei pronta a dichiarare i miei peccati davanti al monto intero ».

Il Signore la ricoperse allora dei suoi propri indumenti e la fece dolcemente riposare sulla sue braccia fino a che il bagno fu pronto, cioè fino al momento della confessione.

Ma quando giunse quell'istante ella fu di nuovo stretta da un vivo turbamento: « Signore - disse - Tu non ignori come questa confessione mi sia penosa; perché mai permetti che io sia angosciata fino a questo punto? », Rispose il buon Maestro: « Le persone che fanno i bagni devono poi sottoporsi a energiche frizioni per fortificare il corpo; così l'anima tua diverrà più generosa in mezzo alle difficoltà ».

Ella vide allora alla sinistra del Signore preparato un bagno, dal quale s'alzavano tiepidi vapori: nello stesso tempo il Signore le mostrò alla sua destra un giardino delizioso adorno di olezzanti fiori, fra i quali si distinguevano magnifiche rose, senza spine, che affascinavano lo sguardo coi loro vaghi colori. Il Signore invitò Geltrude a entrare in quell'amenissimo giardino, tanto più che il bagno le riusciva insopportabile.

« No, mio Gesù - rispose generosamente la Santa - entrerò piuttosto senza esitare nel bagno, che Tu hai riscaldato col tuo soffio divino », E il Signore « Cosi sia per la tua eterna salvezza ».

Ella comprese poi che quel bel giardino simboleggiava la soavità interna della divina grazia. Infatti la grazia, abitante per mezzo del soffio dolce e leggero dell'amore, spande sull'anima fedele la profumata rugiada delle lagrime che la rendono candida come la neve e le danno una perfetta sicurezza, non solo riguardo alla remissione de' peccati, ma anche riguardo all'abbondanza dei meriti. Da ciò ella concluse che il Signore era stato contento di vedere che, per amor suo, lasciava la via facile e dolce delle celesti consolazioni e sceglieva un cammino aspro e penoso.

Dopo la confessione si ritirò piamente nell'oratorio e sentì la presenza dell'amabìle Redentore che le aveva reso quell'atto così difficile e doloroso. Ella infatti aveva provato difficoltà enorme a dichiarare difetti leggerissimi che altri, senza nessun turbamento, avrebbero accusato, anche in pubblico.

Giova sapere che l'anima resta purificata da tutti i suoi peccati, in due diversi modi; con l'amarezza della penitenza e i sentimenti da essa ispirati. La prima purificazione è simboleggiata nel bagno: l'anima si giustifica anche nel crogiolo dell'amore e dei sentimenti da esso derivanti: ciò che vien simboleggiato dal delizioso giardino.

Geltrude si riposò in seguito. nella sacra ferita della Mano sinistra di Gesù, come per gustarvi, dopo il bagno, quella quiete che accompagna la traspirazione, e colà attese l'ora di poter compiere la penitenza imposta dal Confessore. Siccome tale penitenza doveva farla in un certo tempo determinato dal sacerdote, ella s'affliggeva di non poter forse, prima d'averla compiuta, godere liberamente e familiarmente la presenza del suo amatissimo Signore.

Durante la S. Messa quando il celebrante innalzò l'Ostia Santa, che cancella il peccato e riconcilia l'uomo con Dio, Ella si unì al divin Sacrificio, presentando quell'offerta divina al Padre in spirito di riparazione per ottenere il perdono di ogni colpa, e in ispirito di ringraziamento per il bagno salutare della confessione. L'offerta venne accolta eri ella fu ammessa nel seno del Padre, oceano di bontà infinita. Là ella comprese per esperienza che l'Oriente che brilla in alto Oriens ex alto, l'aveva veramente visitata con le viscere della sua misericordia e della sua bontà.


CAPITOLO XV. - L'ALBERO DELL'AMORE


All'indomani durante la S. Messa al momento dell'Elevazione, si sentì assonnata e poco attenta alla preghiera. Ma il suono del campanello la risvegliò di scatto ed ella vide il. Signore Gesù che teneva fra in mani un albero, il cui tronco era stato spezzato a livello del suolo; i suoi frutti erano magnifici e ciascuna foglia brillava come stella, irradiando luminoso splendore.

Il Signore scosse l'albero in mezzo alla corte celeste e i Santi, con grande giubilo, ne gustarono i frutti saporiti. Poco dopo Egli piantò l'albero nel cuore di Geltrude come in fertile giardino, perché producesse frutti di vita, dando alla sua Sposa ombra rinfrescante e nutrimento squisito. Appena piantato l'albero ella s'impegnò di farlo fruttificare, e pregò per una persona che le aveva recata pena. Geltrude chiese anzi di sopportare nuovamente quell'affronto per ottenere grazie più abbondanti a colei che glielo procurava. In quello stesso momento vide in cima all'albero un fiore stupendo che si sarebbe mutato in frutto, appena ella avesse tradotto in atto il suo santo progetto. Quell'albero simboleggiava dunque la carità che, non solo produce frutti di buone opere, ma anche fiori di santi desideri e foglie luminose di nobili pensieri; perciò tutti gli abitanti del cielo giubilano, quando vedono un mortale generoso che si prende cura dei suoi sofferenti fratelli.

In quello stesso momento dell'Elevazione le venne regalato un magnifico monile d'oro, che dava risalto allo splendido abito rosa che aveva ricevuto alla vigilia, quando riposava sul sacro petto del Signore.

Nel medesimo giorno, all'ora di Nona, Gesù le apparve nell'aspetto di un giovane pieno di grazia e di bellezza. Egli la pregò di cogliere alcune noci dall'albero suddetto per offrirgliele e, sollevandola da terra, la pose a sedere su di un ramo: « O amabilissimo giovinetto, come mai mi chiedi questa cosa? Per la virtù e per il sesso sono assai debole, tanto che mi pare più conveniente ricevere che dare ». « No - rispose Egli - la sposa che si trova in casa dei suoi genitori, agisce con grande libertà e disinvoltura, mentre il suo fidanzato, quando viene a visitarla, non può comportarsi nello stesso modo. Ma in queste occasioni la fidanzata si mostra verso di lui piena di riguardi e di delicatezze: Egli a sua volta la riceverà nella sua casa con tenerezza, e benevolenza ».

Il Signore volle farle capire come sono da riprendersi quelli che dicono: « Se Dio volesse quello che voglio io e mi desse l'abbondanza della sua grazia, farei questo e quello ». Come se non fosse giusto che l'uomo spezzi in tutto la volontà propria per compiere quella di Dio, assicurandosi così una meravigliosa ricompensa !

Geltrude stava per offrire le noci al giovinetto, quando egli salì sull'albero, sedette al suo fianco e l'invitò a togliere il gheriglio dal guscio per cibarsene. Voleva con tale simbolo insegnarle che non basta vincere i propri risentimenti per far del bene ai nemici, ma che bisogna altresì farlo il più delicatamente possibile.

Sotto il velo di quelle noci, il Signore voleva raccomandarle la beneficenza verso coloro che la perseguitavano; quei frutti dall'involucro duro e amaro erano posti sull'albero dell'amore assieme a mele e frutti gustosissimi, per far capire che la carità verso i nemici deve praticarsi fra le dolcezze dell'amore di Dio, amore che rende l'uomo pronto a soffrire persino la morte per il nome di Gesù Cristo.


CAPITOLO XVI. - VANTAGGI DELLA PERSECUZIONE E COMUNIONE SPIRITUALE


L'ultimo giorno nel quale il Convento celebrava l'ufficio divino che l'interdetto ecclesiastico doveva poi sospendere, si cantò la Messa Salve Sancta Parens, in onore della Madre di Dio.

Geltrude chiese al Signore: « O Dio, infinitamente buono, come ci consolerete nell'attuale desolazione? ».

« Io attingerò in voi - rispose Gesù - delizie abbondanti. Come lo sposo gusta la compagnia della sua sposa nell'intimità della camera nuziale, più volentieri che nei tumulto di una folla, così io troverò gioie squisite nell'accogliere i sospiri ardenti e i gemiti dei vostri cuori. L'amor mio divamperà in voi con nuovi accrescimenti come fa il fuoco che, compresso, raddoppia di vigore. Le compiacenze che troverò nelle anime vostre e lo slancio del vostro amore per me, saliranno come acqua che s'innalza con tanta maggior forza quanto più fortemente è stretta fra le dighe ».

Geltrude chiese: « Quanto tempo durerà quest'interdetto? » « Ti assicuro che per tutta il tempo che esso si prolungherà, io sarò largo delle mie grazie più elette ».

Aggiunse la Santa: «I grandi della terra considerano una vergogna trattare con persone di bassa condizione; è quindi giustissimo che il Re dei re tenga segreti i disegni, della Provvidenza e non li riveli a una creatura vile quale sono io. E' questo il motivo per cui Tu, o Gesù mio, mi lasci nell'incertezza, benchè conosca il principio e la fine di ogni vicenda?». « Non è così, figlia mia, - rispose il Salvatore - ma devi sapere che io agisco solo in vista del tuo maggior bene. A volte nella contemplazione ti svelo i miei segreti, altre volte credo opportuno tenerteli nascosti per mantenerti nell'umiltà. Quando te li confido tu comprendi cosa diventi per la mia grazia, quando te li celo tu vedi cosa sei da sola ».

All'Offertorio della S. Messa: « Recordare Vírgo Mater Ricordati, o Vergine Madre» quando si giunse a quelle parole: ut loquaris pro nobis borea - di parlare in nostro favore », mentre supplicava la Madre delle grazie di essere generosa, il Signore le disse: « In questo momento non è necessario che nessuno perori le vostre cause, perché io vi sono completamente favorevole ». Ma Geltrude, memore delle sue fragilità e di quelle delle consorelle, non poteva comprendere come il Signore fosse pienamente placato.

Fu appunto allora che Gesù le disse con tenerezza immensa: « La mia naturale benignità m'inclina a considerare di preferenza quanto v'ha di migliore in un'anima; la mia Divinità investe e abbraccia questa parte migliore, dando risalto al più perfetto e dissimulando quello che è meno degno ».

« O Gesù, Tu che sei così magnifico nei tuoi doni - aggiunse la Santa - come mai accordi le dolcezze delle tue consolazioni ad un'anima così indegna come la mia, e così poco preparata a riceverle? » « Ne sono come forzato dal mio amore ». « Ma dove sono, dunque, caro Gesù, le macchie che ho contratte qualche giorno fa con quell'impazienza che m'ha sconvolto il cuore e che ho perfino manifestata con parole un poco alterate? ». « Sappi che il fuoco della mia Divinità, le ha consumate e che in tal modo faccio scomparire le deformità delle anime che mi sono tanto care » « O clementissimo Gesù, poichè la tua bontà è così tenera con la mia debolezza, vorresti dirmi se l'anima da te purificata dovrà, dopo la morte risarcire quelle colpe col fuoco del Purgatorio?» E siccome il Signore fingeva di non aver sentito, ella insistette: « In verità, o mio Dio, se la tua giustizia l'esigesse, io mi sprofonderei volentieri in quell'abisso di fiamme, per darti degna soddisfazione; però se la tua bontà e misericordia ricavassero maggior gloria nel consumare tali colpe col fuoco dell'amor tuo, io ti pregherei di distruggere tutti i miei peccati nelle fiamme della tua divina carità, quantunque mi senta indegna di questa somma grazia ».

E. la bontà divina, inesauribile nella sua tenerezza, accordò a Geltrude quanto aveva chiesto.

Il giorno seguente mentre si celebrava la S. Messa nella chiesa parrocchiale, al momento della S. Comunione, Ella disse al Signore: « O clementissimo Padre, come mai non ti commuovi vedendoci private del cibo preziosissimo del tuo Corpo e dei tuo Sangue, a motivo di quei miseri beni temporali che servono solo per il nostro materiale sostentamento? ».

Rispose Gesù: « Come potrei compiangere l'amatissima mia sposa, giacchè, avendo divisato d'introdurla nella sala luminosa e fiorita del banchetto di nozze, e scoprendo nei suoi ornamenti un piccolo difetto, mi faccio premura di tirarla in disparte per rimediarvi e poter poi presentarla ai convitati, in tutto lo splendore della sua magnificenza? ».

E Geltrude, sempre bramosa di nuova luce: « Come mai, Signore, la tua grazia può abitare nell'anima di coloro che ci fanno tanto soffrire con questo interdetto?».

Le rispose il Salvatore: « Non occuparti di loro: Io stesso mi riservo di giudicarli».

Al momento dell'Elevazione, mentre Ella offriva a Dio l'Ostia Santa, come tributo di lode eterna per la salvezza del Monastero, il Signore ricevette quella stessa Ostia, e con un'aspirazione del più intimo del Suo essere, ritrasse una soavità vivificante, dicendo: «In quest'aspirazione sazio le mie Spose con un cibo divino ». E Geltrude « O buon Gesù, stai forse per comunicare tutte le monache? ». « No » rispose, « ma solo quelle che lo desiderano, o che bramano avere tale desiderio. Riguardo poi alle altre, siccome appartengono a questo convento, avranno il privilegio di sentire nelle loro anime un misterioso anelito che le porterà verso di Me, così come farebbe colui che, non avendo appetito, pure si lasciasse attrarre dal buon odore delle vivande a gustarle con piacere ».

Nel giorno dell'Assunta, all'Elevazione dell'Ostia, Ella intese queste parole del Signore:, « Mi offro a Dio Padre, e m'immolo per le mie membra ». Allora ella chiese: « Permetteresti forse, o mio Dio, che noi, tue membra, abbiamo da essere da Te separate per l'anatema di cui ci minacciano coloro che vogliono impossessarsi dei nostri beni? ». «E puoi tu supporre - rispose il Salvatore - che qualcuno riesca a strappare dalla profondità della mia anima l'amore che a voi mi unisce? Come un coltello di legno non può spezzare un corpo solido, ma solo vi lascia una lieve traccia, così l'anatema non vi colpisce, ma appena vi sfiora ».

« O mio Dio che sei l'ineffabile verità, - chiese ella - Tu mi avevi promesso che, in questi giorni di sofferenza, noi avremmo sentito crescere il nostro amore per Te, e che Tu stesso avresti goduto le più abbondanti delizie nei cuori delle tue Spose; come va che parecchie si lamentano di essersi raffreddate nella carità a tuo riguardo?». Il Signore affermò: « Io chiudo nel mio seno la sorgente di tutti i beni e vado distribuendoli a ciascuno secondo la loro necessità, nel tempo più conveniente ».


CAPITOLO XVII. - L'ACCONDISCENDENZA DEL SIGNORE E LA DISTRIBUZIONE DELLA SUA GRAZIA


Nella seconda domenica d'agosto durante la quale si festeggiava S. Lorenzo e la dedicazione della chiesa, Geltrude pregava fervorosamente per parecchie persone che avevano sollecitato la sua intercessione, quando scorse un vigoroso ceppo di vite, scendere dal trono di Dio fino a terra, le cui foglie servivano poi come di scala per risalire in alto. Questa scala simboleggiava la fede, mediante la quale gli eletti s'inalzavano verso le regioni celesti.

Ella riconobbe in alto, a sinistra del trono, molti membri del Monastero e lo stesso Figlio di Dio che si teneva ritto, con grande riverenza davanti al Padre celeste. L'ora si avvicinava nella quale, se le Monache non avessero avuto l'interdetto, avrebbero ricevuto la SS. Comunione. Geltrude desiderò ardentemente che, per un particolare effetto della divina clemenza, a cui nessun potere umano è in grado di resistere, tutte, lei e le altre consorelle, venissero spiritualmente cibate del SS. Sacramento.

Vide allora il Signore Gesù immergere nel seno del Pardre l'Ostia che teneva in mano e toglierla poi rosseggiante di sangue. Mentre, sorpresa di questo fatto, andava chiedendosi come mai il rosso simbolo della Passione, potesse essere attribuito al divin Padre, ella non potè vedere se il desiderio, che poco prima aveva manifestato, si fosse compito.

Soltanto un po' più tardi ella riconobbe che il Signore aveva stabilito la sua dimora nelle anime che si trovavano alla sinistra del divino trono. Ma come si fosse compiuto il fatto non potè scoprirlo.

In quel frattempo si ricordò di una persona che, prima della S. Messa, s'era raccomandata alle sue preghiere con divozione e umiltà; rivoltasi a Gesù lo supplicò d'accordare a quell'anima i favori richiesti. Ma Egli le rispose che nessuno poteva salire la mistica scala della fede, se non era sorretto dalle ali della confidenza e che quella persona ne aveva ben poca. Riprese Geltrude: « Ma Signore, ho notato che, se manca di fiducia, ciò avviene perchè si sprofonda continuamente nell'abisso dell'umiltà; ricorda, o caro Gesù, che hai promesso di colmare gli umili dei tuoi più grandi favori ». Ed il Signore, accondiscendendo benevolmente, affermò: « Discenderò e comunicherò le mie grazie a quest'anima, e anche a tutte quelle che vedrò sprofondate nella valle della loro miseria ».

Vide allora il Signore discendere come da una scala imporporata. Poi le apparve in mezzo all'altare rivestito di abiti pontificali, tenendo in mano una specie di pisside. Durante la S. Messa fino al Prefazio se ne stette assiso rivolto verso il sacerdote. Era circondato e servito da una moltitudine grande di angeli: tutta la parte della Chiesa che si trovava alla sua destra, cioè a settentrione, ne era gremita. Quei felicissimi spiriti lasciavano trasparire una grande letizia nel percorrere quei luoghi benedetti, ove i loro concittadini avevano offerto tante preghiere a Dio. Con tale parola « concittadini » era designata la comunità, facendosi allusione al IV responsorio della festa dell'Assunta: « Gaudent chori angelorum consortes et concives nostri ».

Alla sinistra del Signore, verso mezzogiorno, stava un solo coro di angeli, seguito da quello degli Apostoli. Veniva, in seguito, il coro dei Martiri, il coro dei Confessori e infine il coro delle Vergini. Mentre Geltrude ammirava tali meraviglie, si ricordò che secondo la S. Scrittura c la purezza si avvicina a Dio » (Sap. VI, 20) e potè contemplare una luce speciale, candida come neve, che risplendeva fra Gesù e il coro delle Vergini: essa pareva unire queste privilegiate creature al loro Sposo celeste con un vincolo di dolcissima tenerezza, e il gioioso incanto di una familiarità tutta divina.

In seguito le fu dato vedere che raggi luminosi si dirigevano verso alcuni membri della Comunità, investendoli completamente, come se fra essi e il Signore non vi fosse ostacolo alcuno, quantunque parecchie muraglie le separassero dalla Chiesa ove aveva luogo questa visione.

Mentre Geltrude si deliziava della scena più sopra descritta, la sua sollecitudine le fece pensare al resto della Comunità. Disse quindi al Signore: « Poiché la tua infinita bontà, o mio Dio, ha diffuso nella mia anima l'abbondanza delle tue grazie, cosa darai alle monache che in questo momento stanno occupate ai lavori manuali, e non godono certo le delizie che mi colmano il cuore? ». « Io diffondo il mio balsamo nelle loro anime - rispose Gesù - quantunque sembrino in uno stato incosciente di sonnolenza ».

Geltrude ricercò qual'era la virtù del balsamo e fu meravigliata che una stessa ricompensa fosse offerta alle persone che praticano gli esercizi spirituali, e a quelle che non li compiono, perchè il balsamo rende il corpo incorruttibile e produce tale effetto, sia che venga applicato durante la veglia, o durante il riposo.

Venne poi illuminata con un esempio ancor più pratico. Quando una persona mangia, tutte le membra si rinvigoriscono, quantunque sia la sola bocca che gusta il cibo. Così. quando una grazia speciale è concessa ai fedeli, essa produce tosto un aumento di merito in coloro che loro sono uniti, soprattutto poi fra i membri di uno stesso Monastero, eccettuati però coloro che covano in cuore odii inveterati, o cattiva volontà assecondata.

Durante l'intonazione del Gloria in excelsis Deo, il Signore Gesù, Pontefice supremo, esalò un soffio divino verso il Padre, simile a fiamma ardente. Alle parole « et in terra pax hominibus bonae voluntatis », diresse il medesimo soffio sotto forma di candida luce, verso le persone presenti.

Al « Sursum corda » il Figlio di Dio si alzò, parve aspirare con forza possente i desideri di tutti i presenti poi, volgendosi a oriente, circondato da innumerevoli Angeli che lo servivano, tenne le mani innalzate ed offerse al Padre, con le parole del Prefazio, i voti di tutti i fedeli.

All' « Agnus Dei » il Signore si rizzò in mezzo all'altare con tutta la potenza della sua Maestà; al secondo « Agnus Dei » diffuse l'onda della sua Sapienza sulle persone presenti; al terzo « Agnus Dei » parve raccogliersi in se stesso ed offerse al Padre i voti ed i desideri di tutti. Allora lasciò traboccare l'esuberanza dell'amor suo e diede, con la sua sacratissima bocca, il bacio di pace a tutti i Santi presenti. Volle in seguito glorificare il coro delle Vergini con un privilegio tutto speciale e, dopo averle onorate col bacio di pace, si degnò di deporre sul loro petto, con le sue benedette labbra, anche il dolce bacio dell'amore. Diffondendo poi. sull'assemblea delle Suore i raggi vivificanti della sua tenerezza, disse loro: « Io sono tutto vostro; ciascuna di voi può godere di me secondo il suo desiderio »,

Dopo questa comunione ella disse: « Quantunque la mia anima sia colma d'ineffabile dolcezza, pure trovo che, stando Tu sull'altare, sei ancora troppo lontano da me; ti prego pertanto di farmi sentire durante la benedizione della S. Messa, la grazia di esserti intimamente unita ». Il Signore si degnò manifestarle tale benefica unione, stringendola al suo sacratissimo Cuore, con un amplesso di forza e di dolcezza incomparabile.


CAPITOLO XVIII. - PREPARAZIONE A RICEVERE IL CORPO DI CRISTO ED ALTRE DIVINE MANIFESTAZIONI


I. Devoto esercizio verso il SS. Sacramento.


Un giorno Geltrude si avanzava a ricevere il SS. Sacramento, mentre il coro cantava l'antifona « Gaude et laetare ». Alle parole « Sanctus, Sanctus, Sanctus » il sentimento della sua bassezza la penetrò così profondamente, da gettarla in un abisso d'umiltà; domandò allora al Signore di preparare Lui stesso la sua anima a ricevere degnamente il Cibo celeste per la gloria di Dio e la salvezza delle anime del mondo intero.

Il Figlio di Dio, dolcissimo Amico delle sue creature, si chinò verso di lei e durante il secondo « Sanctus » depose sull'anima sua un soavissimo bacio, dicendo: « Nel momento in cui mi si offre questo Sanctus io ti regalo, col mio bacio divino, tutta la santità della mia Umanità e della mia Divinità, perché ti serva di preparazione e possa venire degnamente a ricevermi ».

Il giorno dopo, ch'era una domenica, mentre ella esprimeva la sua gratitudine per un tale beneficio il Figlio di Dio, il più bello fra tutti gli Angeli, la prese fra le sue braccia e, come trovasse in lei tutta la sua gloria, la presentò al Padre rifulgente nella perfezione di santità di cui l'aveva colmata. Il Padre si compiacque talmente in quell'anima, presentata dal Figlio suo, che, lasciando traboccare il suo amore, le conferì, in unione con lo Spirito Santo, la perfezione che loro era stata tributata col primo e col terzo « Sanctus ». Geltrude ricevette così una benedizione piena e completa, in nome dell'Onnipotenza, della Sapienza e della divina Bontà.


II. Il Signore l'assicura che non si separerà mai da lei.


Un altro giorno, mentre parecchie consorelle erano obbligate ad astenersi, per diverse ragioni, dalla S. Comunione, ella s'avvicinò al Signore e gli disse gioiosamente: « Come ti ringrazio, amatissimo Gesù, d'avermi posta in una situazione tale che, nè parenti, nè altro motivo possono allontanarmi dal tuo divino Banchetto ». Il Signore, con l'abituale sua bontà, rispose: « Tu riconosci che niente può allontanarti da me; sappi anche che nulla vi è, nè in cielo, nè in terra, nulla, neppure i rigori della mia giustizia e dei miei giudizi che possano porre ostacolo ai benefici di cui voglio colmarti per la gloria suprema del mio Cuore ».

Altra volta ella doveva ricevere ancora la SS. Comunione, e desiderava con ardore di essere degnamente preparata da Gesù stesso; Egli si compiacque di dirle con bontà: « Io voglio rivestirmi di te; protetta dalla difesa di questo velo, la mia mano potrà stendersi al peccatore e fargli del bene, senza riportare ferite dal suo pungiglione. Io voglio inoltre rivestire te di Me stesso, affine di comunicare il medesimo onore e i favori che l'accompagnano a quanti tu, richiamandoli alla tua memoria, avrai avvicinato a Me ».


III. Accoglienza favorevole delle Tre divine Persone.


Un mattino Geltrude doveva partecipare ai divini misteri e andava meditando i grandi benefici ricevuti da Dio, quando si ricordò di un passo del libro dei Re: « Quis ego sum, aut quae domus patris mei? Chi sono io e qual'è la dimora dei miei padri? » (I Re. XVIII, 18). Non indugiò però a meditare quelle parole, come se riguardassero solo le persone che vissero nei tempi andati; piuttosto ella si considerò quale tenera pianticella, posta vicino al divin Cuore, raggiante di tenerezza, pronta a riceverne il dolce influsso. Ma poi, quasi inaridita a cagione delle colpe e negligenze commesse, stava per dissolversi in cenere, sì da sembrare un piccolo carbone giacente al suolo. Invocò ella allora Gesù, Figlio di Dio, Mediatore ricco di bontà. Lo pregò di purificarla e di presentarla al Padre. Il Signore parve attrarla a sè, per mezzo dell'influenza amorosa che irradiava dai suo Cuore squarciato, per lavarla nell'acqua che da esso fluiva, irrorandola col Sangue prezioso e vivificante di quella sacratissima ferita. Tale operazione ravvivò il piccolo carbone spento che si mutò ben presto in un albero verdeggiante i cui rami si dividevano in tre direzioni, come vediamo in un giglio. Il Figlio di Dio e lo Spirito Santo parvero deporre su due altri rami, i frutti della Sapienza e dell'Amore.

Dopo aver ricevuto il Corpo di Gesù, Geltrude vide l'anima sua sotto la forma di un albero che affondava le radici nel Costato del Signore e sentì, in modo misterioso, che l'albero attingeva in quella Piaga benedetta una linfa vivificante che, dalle radici, saliva nei rami, nelle foglie e nei frutti, comunicando loro la virtù della Divinità e dell'Umanità del Salvatore.

Così la vita divina si manifestava in essa con nuovi splendori, come l'oro appare più fulgido attraverso al cristallo. La SS. Trinità e tutti i Santi gustarono, a quella vista, gioie meravigliosamente dolci; i Santi si alzarono rispettosamente, piegarono le ginocchia e presentarono ciascuno i loro meriti sotto la forma di corone che sospesero ai rami, dell'albero. Essi, in quell'omaggio, volevano glorificare e lodare Colui che si degnava risplendere attraverso la sua creatura, procurando loro nuovi godimenti.

Geltrude pregò inoltre per tutti quelli che in cielo, sulla terra e nel Purgatorio avrebbero ricevuto qualche profitto dalle sue buone opere, se non fosse stata così negligente, e domanda che partecipassero ai beni di cui la sua anima, per la divina generosità, era stata arricchita.

Ben presto le sue opere, simboleggiate nei frutti dell'albero, cominciarono a stillare un liquore prezioso di cui una parte si diffuse sugli abitanti del cielo per aumentarne le gioie; un'altra parte scorse giù nel Purgatorio, per addolcire le pene di quelle anime desolate; la terza investì tutta la terra, donando ai giusti maggiore slancio verso la santità e ai peccatori le amarezze salutari del pentimento.


IV. Vantaggi dell'assistenza alla S. Messa.


Un giorno Geltrude, durante la S. Messa, offerse al divin Padre, assieme al sacerdote, l'Ostia santa, in riparazione de' suoi peccati e per supplire alle sue negligenze. Le fu rivelato che l'anima sua era stata accolta dalla divina Maestà con la stessa compiacenza con cui aveva gradito Gesù Cristo, splendore e immagine del Padre, Agnello immacolato, immolantesi su tutti gli altari per la salvezza del mondo.

Dio Padre, mirando l'anima di Geltrude attraverso all'innocentissima Umanità di Cristo, la trovava pura e illibata; considerandola poi negli splendori della Divinità del Salvatore, la trovava adorna e ricca di ogni virtù, cioè delle stesse perfezioni di cui la Divinità aveva arricchito l'Umanità del Verbo incarnato.

Geltrude ringraziò il Signore d'averla colmata dei suoi benefici, e ricevette questa luce: tutte le volte che una persona assiste alla S. Messa, unendosi a Gesù che s'immola per il riscatto del mondo, Dio Padre la contempla con la stessa compiacenza dell'Ostia Santa. Quest'anima diventa allora risplendente come una persona che, uscendo dalle tenebre, si trovasse avvolta nella piena luce del sole.

La Santa chiese a Gesù: « Se si cadesse poi in peccato, si spegnerebbe questa luce, come se la persona suddetta passasse dal meriggio a luogo tenebroso? ». « No, figlia mia - rispose Gesù - perché colui che pecca pone, per così dire, l'ombra d'una nube fra lui e la mia misericordia; ma la mia bontà gli conserva, per la vita eterna, un pò di quelle benedizioni, che poi vedrà crescere e moltiplicarsi ogni volta che si accosterà con divozione ai sacri misteri ».


V. Come i peccati di lingua rendono indegni della SS.. Comunione.


Dopo d'aver ricevuto la SS. Comunione riflettè di quanta vigilanza bisogna circondare la lingua per evitare qualsiasi peccato, essendo proprio essa che ha l'insigne onore di ricevere i preziosi misteri di Cristo.

Il Signore volle illuminarla con questo paragone: « Se qualcuno non vigila per evitare parole oziose, vane, bugiarde, immodeste o maldicenti, e, senza averne fatto penitenza,, s'accosta a ricevermi, costui mi accoglie come farebbe una persona che, aprendo la sua casa ad un ospite, gli rovesciasse addosso un mucchio di sassi posto sulla soglia, o gli assestasse un colpo di bastone sul capo ».

O Tu che leggi, medita queste parole e piangi di compassione, considerando, da una parte la durezza del cuore umano, dall'altra la bontà di Dio che non si stanca di salvare gli uomini che lo perseguitano così crudelmente.


VI. Come l'anima deve rivestirsi per ricevere degnamente la SS. Comunione.


Geltrude si trovò un giorno poco preparata per ricevere la SS. Comunione e, siccome il tempo stringeva, ella cercò di rinfrancare se stessa con questa riflessione: « Ecco che lo Sposo ti chiama; come potrai presentarti a Lui senza essere adorna dei meriti necessari a coloro che vogliono. cibarsi degnamente delle sue Carni immacolate? ». La povertà dell'anima sua le appariva così assoluta, da farle perdere ogni speranza nelle sue personali industrie; però mise tutta la sua confidenza in Dio, facendo queste riflessioni: «A che mi serve aspettare? Quand'anche avessi mille anni a mia disposizione, non potrei dispormi bene, perchè nulla in me ha valore per arricchire lamia preparazione.

« Me ne andrò dunque incontro a Gesù con umiltà e fiducia ed Egli, quando mi vedrà da lungi, avrà compassione di me, e il suo onnipotente amore lo indurrà a concedermi i beni necessari per riceverlo degnamente ». Con questi sentimenti si avanzò verso Dio, tenendo sempre lo sguardo fisso alla sua bassezza e povertà.

Aveva appena fatto pochi passi, quando Gesù le apparve; la guardò con tenera compassione, volle rivestirla della sua innocenza con una tunica candidissima, e della umiltà, che gli fa accettare di unirsi a creature così indegne, offrendole una tunica violacea.

La speranza che fa desiderare al Signore gli amplessi dell'anima, era simboleggiata da un ornamento di colore verde l'amore di cui Dio si compiace di circondare le sue creature, la coprirebbe con un prezioso manto d'oro; la gioia che procura a Dio gaudio ineffabile nel discendere nei nostri cuori, formerebbe una corona di perle smaglianti. Ella riceverebbe infine, come calzatura, quella confidenza, con la quale il Signore si appoggia alla nostra fragile sostanza, dichiarando di trovare la sua delizia nei figliuoli degli uomini. Così adorna ella si accostò fervorosamente alla SS. Comunione.


VII. Con quale amore il Signore si dà nel SS. Sacramento.


Dopo d'aver ricevuto la SS. Comunione, Geltrude, tutta raccolta in sè, vide Gesù in figura di un pellicano che, come spesso si suole rappresentare, si apre il cuore col becco. Piena di ammirazione chiese: « O mio dolce Maestro, cosa vuoi farmi comprendere sotto questa figura? ». «Voglio che tu consideri quanto smisurato sia l'amore che mi induce a fare agli uomini un sì eccelso dono. Se l'espressione potesse convenirmi direi che la morte mi parrebbe meno amara del rifiutare questo dono ad un'anima amante. Considera in qual modo mirabile la tua anima riceva da questo divin Sacramento una grazia, che è come un anticipo della vita eterna, cosi come i piccoli del pellicano ricevono la vita dal sangue che cola dal cuore del padre ».


VIII. Eccesso di bontà nel divin Sacramento.


Un predicatore aveva lungamente predicato i rigori della divina giustizia e la sua parola era penetrata così addentro nel cuore di Geltrude, da crearvi rinascenti perplessità.

Il Signore si degnò d'incoraggiarla: « Se non vuoi più guardare con gli occhi dell'anima le bontà infinite con cui ti circondo, guarda almeno con quelli del corpo, come m'imprigiono in un piccolo ciborio e sotto quali umili apparenze mi accosto all'uomo. Capirai allora che nell'Eucarestia la misericordia imprigiona completamente la giustizia, ed è appunto la misericordia che voglio manifestare agli uomini in questo Sacramento ».

Altra volta, per gli stessi motivi, la divina Bontà l'invitò, in questi termini, a gustare tutta la dolcezza dell'Eucaristico Dono: « Guarda la minima proporzione dell'Ostia, sotto cui mi nascondo per, nutrirti della mia Divinità e della mia Umanità; considera che subordino il mio Corpo, così umiliato, al corpo dell'uomo che mi riceve, e tale subordinazione non è che la figura di quella che mi sottomette alla volontà di chi comunica ».

Un giorno, mentre Geltrude si comunicava, il Signore le manifestò l'eccesso della sua bontà: « Hai notato come, per celebrare il S. Sacrificio, il sacerdote si ricopre di un'ampia pianeta per riverenza a sì augusto mistero? Però quando distribuisce il mio Corpo, l'ornamento è rialzato sulle braccia: è con la mano nuda che offro il Pane celeste per far capire che, se accetto con bontà quello che si fa per prepararsi alla S. Comunione, cioè preghiere, digiuni e altre simili opere, tuttavia m'inchino con una compassione molto più tenera verso coloro che, sprovveduti di tali ornamenti, ricorrono fiduciosamente alla mia misericordia, giudicandosi incapaci di onorarmi degnamente. Tale è la mia benignità, ma sono pochi quelli che penetrano questo dolce mistero d'amore ».


IX. L'Umiltà è più gradita a Dio della divozione.


Un giorno, mentre la campana suonava per chiamare le monache alla SS. Comunione e già si era iniziato il canto dell'antifona, Geltrude disse al Signore: « Ecco, o mio Diletto, che a me ti avvicini! Ma perchè non hai supplito alla mia indegnità, accordandomi gli ornamenti della divozione? ». Rispose Gesù: « Uno sposo preferisce talvolta mirare la mano bianca e delicata della sua sposa senza guanto e il suo collo senza monili; così io mi compiaccio più dell'umiltà di chi si comunica che della divozione ».

Un'altra volta, quantunque parecchie Consorelle si fossero astenute dalla SS. Comunione, ella ricevette gioiosamente il Corpo di Cristo e sciolse, dall'intimo del cuore, l'inno del cuore, l'inno del più fervido ringraziamento. « Tu m'hai invitata al tuo sacro Banchetto - diceva ella - e io sono venuta, cantando le tue lodi ». Il Signore le rispose con parole d'ineffabile dolcezza: « Sappi che io ti desideravo con tutto l'amore del Cuore ». « O Signore - riprese la Santa - quale gloria e quale gioia può ridondare alla tua Divinità dal fatto che, con la mia bocca indegna, ho accolto il tuo immacolato Sacramento? ». E il dolce Salvatore: « Sappi, o figlia, che l'amore che si porta a un amico fa trovare un incanto speciale in tutte le sue parole; così la mia tenerezza mi fa gustare nel cuore degli eletti tali gioie che loro stessi non possono neppure supporre, nè provare ».


X. II divin Sacramento si dà all'anima non per essere visto, ma per essere gustato.


Un giorno, mentre il sacerdote distribuiva la S. Comunione, Geltrude voleva contemplare da lungi la sacratissima Ostia, ma non poteva per la folla di persone che assiepavano l'altare. Ella sentì allora Gesù invitarla amabilmente con queste parole: « Coloro che vivono da me lontani, ignorano questo mistero d'amore. Se tu vuoi avere la gioia di conoscerlo, avvicinati a me ed esperimenta, non per mezzo della vista, ma del gusto, la dolcezza di questa manna nascosta».


XI. Non bisogna biasimare coloro che per rispetto si astengono dalla SS. Comunione.


Geltrude vide un giorno una consorella avvicinarsi alla SS. Comunione con sentimenti di timore così esagerato, da sentirsi allontanare da quella suora con una specie d'intimo disgusto.

Il Signore gliene fece amoroso rimprovero: « Non sai, figlia mia, che il rispetto e l'onore mi sono dovuti come la tenerezza e l'amore? Giacchè la fragilità umana è incapace di compiere con un solo sentimento questi due doveri, e voi siete le membra di un solo corpo, è conveniente che la disposizione che manca all'una, sia supplita da un'altra. Così colui che è più commosso da sentimenti d'amore, si occuperà meno della riverenza che pure mi è dovuta. Dev'essere però contento che altri mi prodighi il rispetto e desiderare che anch'esso possa ottenere, a sua volta, le consolazioni della divina dolcezza ».


XII. II Signore vuol essere servito a nostre proprie spese.


Un'altra volta Geltrude vide una monaca turbarsi per lo stesso motivo, e pregò per lei. Il Signore rispose: « Vorrei che i miei eletti non mi considerassero così crudele, ma che fossero persuasi che tengo conto e gran conto di quello che fanno a loro spese. Colui che nell'aridità più assoluta compie le sue opere di pietà, preghiere, genuflessioni e tutto il resto, persuaso che la divina Bontà accetterà le sue offerte, sa veramente servirmi nella pratica immediata del suo amore ».


XIII. Perchè talora, durante la S, Comunione, ci sentiamo privati della grazia della divozione.


Geltrude esponeva un giorno a Gesù i lamenti di una persona che si sentiva meno divota nei giorni di Comunione. Non è effetto del caso, - spiegò il Signore - ma è una disposizione provvidenziale della mia bontà, perchè, se accordo la grazia della divozione per giorni ordinari e in momenti imprevisti, sforzo, per così dire, il cuore dell'uomo ad elevarsi verso di me, mentre, se non avesse ricevuto tale grazia, resterebbe immerso nel torpore.

Sottraendo invece il fervore nei giorni di festa, nell'ora solenne della S. Comunione; i miei eletti concepiscono ardenti desideri, si esercitano nell'umiltà e i loro sforzi li fanno progredire nella via della perfezione, più che se avessero doni di grazia sensibile ».


XIV. Non bisogna omettere la SS. Comunione quando si sono commesse colpe veniali.


Geltrude pregava un giorno per una persona che si era astenuta dalla S. Comunione per timore di scandalizzare il prossimo, essendo caduta in un leggero fallo esterno. Il Signore le rispose con un paragone: « Quando ci si accorge d'avere una macchia sulle mani, ci si affretta a lavarle, e allora esse si purificano completamente: la stessa cosa capita talvolta ai miei eletti. Permetto che cadano in qualche colpa leggera, perchè, compiendo poi atti di pentimento e d'umiltà, diventino più graditi ai miei divini sguardi e l'anima loro rinnovata, sfavilli di particolare splendore. Purtroppo però molti contrastano i miei amorosi disegni, non stimando la riconquistata bellezza interiore, e preoccupandosi soltanto della rettitudine esterna, basata sul giudizio degli uomini, - essi si privano così dell'immensa grazia di ricevermi, nel timore di essere biasimati da coloro che, avendo visto i loro falli, non hanno però visto il pentimento che li ha distrutti ».


XV. Gesù, a nostra richiesta, supplisce abbondantemente per ogni colpa..


La voce del Signore che invitava Geltrude alla mensa degli Angeli, si fece sentire un giorno; al suo cuore con tanta dolcezza, che le Sembrava già - di abitare gli eterni palagi, e di essere assisa in quel glorioso regno al banchetto del Padre celeste: Ma la vista della sua miseria d'indegnità la rendeva ansiosa, tacito che - cércava, di sfuggire, sì granite onore. Il Figlio di Dio le si accostò allora e la tirò in disparte, per disporla Lui stesso al divino incontro. Le lavò le mani per simboleggiare la remissione dei peccati, ottenuta mediante i meriti della sua Passione. Poi, togliendosi gli ornamenti regali, collane, braccialetti, anelli li offerse: alla sua Sposa, invitandola ad avanzarsi con gravità nella bellezza dei suoi gioielli, e raccomandandole di non correre come un'insensata senza dignità, la quale è atta più a ricevere disprezzo che onore.

Geltrude comprese che coloro che camminano come gli insensati, portando gli ornamenti del Signore, sono quelli che dopo d'avere considerato le loro imperfezioni, domandano al Figlio di Dio di soccorrerli; ma, ricevuto tale sommo beneficio, non dilatano il cuore in una confidenza completa nelle soddisfazioni di Cristo, e continuano a mantenersi nelle loro infondate trepidazioni.


XVI. Grazie accordate per la S. Comunione ben fatta.


Un altro giorno Geltrude, dopo di essersi comunicata, offerse a Dio il Corpo del Signore per il sollievo delle anime del Purgatorio, e comprese che quella sua oblazione le aveva considerevolmente confortate nelle loro pene cocenti. Rapita d'ammirazione esclamò: « O mio dolcissimo Signore! devo confessare per la tua maggior gloria che, nonostante la mia indegnità, ti degni d'onorarmi con la tua presenza e perfino fissare la tua dimora nell'anima mia! Perchè mai la S. Comunione non produce sempre quei felici risultati che mi hai permesso oggi di constatare?».

Rispose Gesù. « Un re nel suo palazzo non è accessibile a tutti: ma quando, nel santo trasporto dell'amore, si reca a visitare la regina, discendendo nel suo appartamento privato, allora tutti i cortigiani godono ampiamente delle regali munificenze e ricevono con gioia i benefici del sovrano. Così, quando cedo alla dolce bontà del mio Cuore, e mi abbasso a nutrire del divino Sacramento un'anima, esente da colpa mortale, tutti coloro che sono in cielo, in purgatorio e sulla terra ne ricevono benefici inestimabili ».


XVII. La SS. Comunione solleva le Anime del Purgatorio.


Un giorno, mentre Geltrude stava per comunicarsi, provò un bisogno immenso di sprofondarsi nell'abisso della sua miseria, e di nascondervisi totalmente per onorare l'ineffabile accondiscendenza del Signore che ciba i suoi eletti col suo Corpo e li inebria con il suo Sangue.

Ella comprese allora il sublime annientamento del Figlio di Dio, quando discese nel limbo per liberare le anime che ivi stavano prigioniere. Mentre si sforzava di unirsi a quell'ineffabile umiliazione, si trovò come immersa negli abissi del Purgatorio. Là, rinnovando i suoi sentimenti, comprese le parole che le diceva Gesù: « Con la S. Comunione ti attirerò a me in tal modo che tu trascinerai tutte le anime, a cui giungerà l'incomparabile profumo dei santi desideri che sfuggono così copiosamente da te».

Dopo d'aver accolto tale promessa Ella s'avvicinò alla mensa angelica, pregando il Signore di liberare tante anime del Purgatorio, quante erano le molecole dell'Ostia che aveva in bocca. E il Signore rispose: «Per farti capire che le mie misericordie sorpassano tutte le mie opere e che nessuna creatura può misurare l'abisso della mia bontà, ti assicuro che, per i meriti del Sacramento di vita, sono disposto ad accordarti molto di più di quanto hai chiesto».


XVIII. Meravigliosa unione con Gesù per mezzo dell'Ostia Consacrata.


Geltrude, dovendosi un giorno comunicare, si andava umiliando ancora più profondamente del solito, persuasa della sua indegnità. Ella pregò il Signore di ricevere in suo nome, l'Ostia Santa nella stessa sua persona, d'incorporarsela e di permettere in seguito che, per mezzo del suo soffio divino, ella ne aspirasse, di ora in ora, qualche virtù, nella misura ch'Egli crederebbe più conveniente alla sua debolezza. Riposò poi alquanto sul sacro petto del Salvatore, come raccolta nelle sue braccia divine e posta in modo che il suo lato sinistro sembrava applicato al lato destro di Gesù.

Poco dopo, essendosi levata, s'accorse che il suo lato sinistro aveva l'impronta vermiglia di una cicatrice insanguinata, ricevuta nel contatto dell'aperto Costato di Cristo.

Accostandosi poi alla S. Comunione, le parve che il Signore ricevesse con la sua bocca adorabile la Santa Ostia, la quale, attraversando il suo petto affiorò alla Piaga del Costato e ivi rimase. Gesù disse alla sua Sposa: « Questa Ostia ci unirà in modo che una parte coprirà la tua ferita, l'altra parte la mia. Ogni giorno tu toccherai quest'Ostia con grande divozione, meditando l'inno « Jesu nostra Redemptio » » (festa dell'Ascensione). In seguito le disse di prolungare tutti i giorni la preghiera per accrescere sempre più il desiderio del divin Sacramento; perciò le ingiunse di recitare quell'inno una volta il primo giorno, due ai secondo e così di seguito fino alla sua prossima Santa Comunione.


CAPITOLO XIX. - COME BISOGNA PREGARE E SALUTARE LA MADRE DI DIO


Geltrude, prima d'iniziare la meditazione, pregò Gesù d'indicarle il soggetto più adatto per il bene dell'anima sua, ed Egli le rispose: « Tienti vicino alla Madre mia che è assisa al mio fianco e onorala con lodi ferventi ».

Allora ella salutò la Regina del cielo con quel versetto « Paradisus voluptatis etc. - Paradiso di delizie ecc. » e la felicitò per essere stata gradevolissima abitazione della Sapienza infinita di Dio, la quale, attingendo da tutta l'eternità ineffabili delizie nel seno del Padre, e conoscendo tutte le creature, aveva degnato sceglierla per dimora. Indi pregò la celeste Regina d'accordarle un cuore adorno delle sue stesse virtù, affinchè Dio potesse compiacersi di abitarvi. La beatissima Vergine parve allora amorevolmente inchinarsi per piantare nel cuore di Geltrude la rosa della carità, il giglio della purezza, la viola dell'umiltà, il girasole della obbedienza e molti altri bellissimi fiori; in tal modo Geltrude riconobbe che la Madre di Dio è sempre pronta a esaudire le preghiere di coloro che la invocano con fiducia.

In seguito cantò il versetto: « Gaude morum disciplina - Rallegrati, o regola dei costumi ecc. » per congratularsi con la Vergine di avere ella disciplinato l'insieme dei suoi affetti, desideri e sensi con tanta cura, da offrire all'Ospite divino nel suo cuore verginale un omaggio degno di Lui.

Siccome poi Geltrude espresse il vivo desiderio di condividere il medesimo favore, la Madre celeste parve inviarla i suoi propri affetti sotto la sembianza di giovani vergini che dovevano unire i loro sentimenti a quelli di Geltrude, per ottenere alla Santa la grazia dì servire meglio il Signore, e di riparare ai suoi difetti e inevitabili fragilità. La beata Vergine dimostrò ancora con tale accondiscedenza, come sia pronta a esaudire le nostre suppliche. In seguito ci fu un attimo di silenzio: infine Geltrude disse a Gesù: « O Fratello mio dolcissimo, poichè ti sei incarnato per soccorrere le nostre miserie, degnati d'offrire alla tua beatissima Madre, omaggi che riparino la povertà delle mie lodi ».

A queste parole il Figlio di Dio si levò, piegò le ginocchia davanti alla Madre sua e, chinando il capo, la salutò con tanta tenerezza e grande riverenza, da farle gradire con bontà gli omaggi, dei quali il Figlio suo riparava in modo sì nobile, l'imperfezione.

L'indomani nell'ora della preghiera comune, la Vergine Maria apparve a Geltrude, quasi magnifico giglio splendente di candore; tale giglio era composto di tre petali: uno diritto, s'innalzava in mezzo verso il cielo; gli altri due erano ricurvi ai lati. Ella comprese con quella visione, che la Vergine è chiamata giustamente « il candido, giglio della SS. Trinità» perché più di ogni altra creatura ha partecipato alle virtù divine, e non si è mai macchiata di polvere di peccato. Il petalo diritto rappresentava la onnipotenza del Padre, gli altri due inclinati simboleggiavano la Sapienza del Figlio e la Bontà dello Spirito Santo, virtù che la SS. Vergine possedeva in grado eminente.

La Madre di misericordia afferma che chi l'avesse proclamata « candida giglio della SS. Trinità e rosa splendente di Paradiso » avrebbe esperimentata la podestà che l'Onnipotenza del Padre le aveva comunicato come Madre di Dio; avrebbe ammirato le ingegnose misericordie che la Sapienza del Figlio le aveva ispirato, e contemplato l'ardente carità accesa nel Suo Cuore dallo Spirito Santo.

Aggiunse Maria: « All'ora della sua morte mi mostrerò e quest'anima nello splendore di una sì grande bellezza che la mia vista la consolerà e le comunicherà gioie celesti ». Da quel giorno Geltrude propose di salutare la Vergine Maria, o le immagini che la rappresentavano con queste parole: « Ave, candidum lilium fulgidae semperque tranquillae Trinitatis, rosaque prae fulgida ceelicce amaenitatis de qua nasci, et de cuius latte pasci Rex coelorum voluit, divinis influxionibus animas nostras pasce. - Ti saluto, o giglio più bianco della neve, giglio della raggiante, sempre tranquilla Trinità. Ti saluto, Rosa brillante della celeste umanità, dalla quale il Re del cielo volle nascere e prendere il latte verginale: vieni in soccorso di me, povero peccatore, adesso e nell'ora della mia morte. Così sia ».


CAPITOLO XX. - FERVIDO AMORE PER DIO E OMAGGIO ALLA VERGINE MARIA


Geltrude aveva l'abitudine, (comune del resto fra coloro che si amano), d'indirizzare tutto quanto le pareva bello e gradito verso il suo diletto Gesù. Quando sentiva leggere, o cantare in onore della Vergine, o dei Santi, parole di tenerezza che ridestavano i suoi affetti, ella si indirizzava con slancio del cuore al Re dei re, al Sovrano unicamente amato. Ora accadde che, nella solennità dell'Annunciazione, il predicatore si compiacque di esaltare grandemente la Regina del cielo e non parlò dell'Incarnazione del Verbo, causa della nostra salvezza. Geltrude ne provò un'intima pena e, passando dopo la predica davanti all'altare della gran Madre di Dio, non potè salutarla con la solita tenerezza dolce e profonda,. ma il suo amore si rivolse tutto verso Gesù, frutto benedetto del seno verginale.

Poco dopo Geltrude si sentì presa da un certo turbamento e chiese a se stessa se, con tali sentimenti, non avesse mal disposta verso di sè la Celeste Sovrana.

Gesù si degnò d'istruirla, dissipando delicatamente le sue inquietudini. « Non temere, carissima figlia, d'aver offeso la mia dolce Madre, volgendo tutti i moti del tuo cuore verso di me; Ella al contrario ne è assai soddisfatta. Però, per levarti ogni scrupolo in avvenire, quando tu passerai dinanzi all'altare della mia purissima Madre, saluta divotamente la sua immagine e non curare la mia ». « Non sia mai - ribatté vivacemente Geltrude - ch'io trascuri Colui che è tutta la mia gioia e la mia vita, per rivolgere ad altri gli atti della mia riverenza e del mio amore! ». Il Signore insistette con ineffabile tenerezza « Mia cara figlia, obbediscimi e ogni qualvolta, noncurante di me, saluterai la Madre mia, ti compenserò come se avessi compiuto, un atto di alta perfezione, anzi come se di gran cuore tu avessi disprezzato innumerevoli beni per accrescere e centuplicare la mia gloria ».


CAPITOLO XXI. - RIPOSO DEL SIGNORE


Nella domenica dopo la festa della SS. Trinità, sull'ora di mezzogiorno, il Signore apparve a Geltrude assiso sul suo trono; pareva dolcemente addormentato, inebriato dal mistico vino dell'amore.

Geltrude si prostrò a' suoi piedi, li baciò ripetutamente e, come di solito, prodigò al suo Diletto tenerezze ineffabili. Tuttavia visse per tre giorni in grande aridità di spirito. Al quarto giorno, durante la S. Messa, non potendone più, ella abbandonò i piedi del Signore e, con l'ingenuo ardore della sua tenerezza, si slanciò sul Cuore del suo Diletto, cercando d'interromperne il sonno.

Il Signore si svegliò e, cedendo alle dolci istanze della sua Sposa, la cinse con le braccia divine, e serrandola sui trafitto Costato, le disse: « Posseggo ora ciò che ho tanto desiderato. La volpe che spia la preda si stende per terra fingendo d'essere morta e quando gli uccelli, ingannati dalla sua posa, le svolazzano intorno per cibarsi delle sue carni, essa, con rapido salto, li afferra. Io pure, ardendo d'amore per Te, ho usato un'astuzia simile, per possederti interamente e raccogliere il vivo slancio dell'anima tua, acuito dal lungo desiderio ».


CAPITOLO XXII. - COME LA MALATTIA PUO' RIPARARE I DIFETTI


Geltrude in un certo periodo fu presa da grande debolezza, che le impediva l'osservanza della Regola. Oppressa da sfinimenti un giorno si sedette per assistere ai Vespri. Col cuore colmo di desiderio e di tristezza, ella disse al Signore: « O dolcissimo Salvatore, non riceveresti maggior gloria se io, invece di restarmene in questa penosa impotenza, potessi andare in coro a salmodiare con le mie consorelle, e continuare per tutta la giornata a seguire l'osservanza regolare con fervore ed esattezza? ». Le rispose Gesù: « Credi tu che Io sposo goda minori delizie nella familiarità e nei casti amplessi della camera nuziale, di quando può presentare la sua sposa al pubblico, nel fulgore della sua bellezza? ». Geltrude comprese allora che l'anima mostra al pubblico i suoi ornamenti, quando può compire tutti i suoi doveri per la gloria di Dio; ma che riposa con lo sposo nella camera nuziale, quando le malattie le impediscono tali opere esterne. Priva allora delle gioie dell'attività ella s'abbandona tutta al divino beneplacito e il Signore si compiace maggiormente in essa, appunto perchè non ha le soddisfazioni pericolose della vana gloria.


CAPITOLO XXIII. - TRIPLICE BENEDIZIONE


Geltrude assisteva un giorno alla S. Messa con grande divozione. Quando arrivò al « Kyrie eleison » l'Angelo suo custode la prese tra le braccia come una pargoletta e la presentò al divin Padre perchè la benedicesse, dicendogli: « O Padre onnipotente, benedici questa tua figliuola! ». Ma il Padre tardava a rispondere, come se giudicasse cosa poca degna della sua maestà benedire quella fragile creatura.

Allora il Figlio di Dio si alzò e la coperse tutta coi meriti della sua santissima vita. Di colpo Geltrude si trovò adorna di ricchi vestiti e constatò di essere giunta all'età perfetta di Cristo (Ef. IV, 13). Dio Padre si chinò allora su di lei con bontà e le diede una triplice benedizione, che le valse la triplice remissione dei peccati di pensieri, parole e opere, coi quali aveva offeso la sua onnipotenza. Per ringraziarlo di un beneficio così grande, ella presentò al Padre tutta la vita purissima del Cristo, di cui si sentiva rivestita. Allora le gemme preziose che ornavano i suoi abiti, sfiorandosi a vicenda, produssero un'aronia dolcissima, a gloria del Padre. Così ci è dato capire a quale punto questo Padre pieno di bontà, gradisce l'offerta della santissima vita del Figlio suo.

L'Angelo Custode la presentò poi al Figlio, dicendo: « O Figlio dell'Eterno Re, benedici la tua sorella! », Quand'ebbe ricevuto la triplice benedizione per il perdono delle colpe commesse contro la divina Sapienza, l'Angelo la presentò allo Spirito Santo con quelle parole: « Benedici, o Amico delle anime, la tua Sposa! », e Geltrude ricevette la triplice benedizione che cancellò le colpe commesse contro la Bontà divina.

Tu che leggi, se ti pare opportuno, potrai meditare su queste nove benedizioni, durante il canto del Kyrie eleison.


CAPITOLO XXIV. - EFFETTI DELL'ATTENZIONE DURANTE LA SALMODIA


Un giorno Geltrude si sforzava di cantare con grande attenzione le Ore canoniche per onorare Dio ed il Santo di cui si celebrava la festa; vide allora le parole della divina lode slanciarsi dal suo cuore verso il Cuore di Gesù, sotto la forma di dardi infiammati che lo penetravano profondamente, recandogli ineffabili delizie.

Dalla punta di tali dardi sfuggivano raggi luminosi, simili a fulgori di stelle, che investivano tutti i Santi con lucidi riflessi di nuova gloria; il Santo poi di cui si celebrava la festa, pareva rivestito di uno splendore anche più meraviglioso.

La parte inferiore del dardo lasciava gocciolare una mistica pioggia, che procurava agli uomini aumenti di grazia e alle anime del Purgatorio salutare refrigerio.


CAPITOLO XXV. - AIUTI STUPENDI OFFERTI ALL'ANIMA DAL CUORE DI GESU'


Un'altra volta Geltrude si sforzò di meditare ogni parola del divino Ufficio con profonda divozione; ma la sua buona volontà era contrariata dalla debolezza della natura; disse con tristezza: « Quale frutto potrò ricavare da un lavoro compiuto con tanta incostanza?».

Il Signore, non potendo sopportare tale desolazione, le presentò con le stesse sue Mani il suo Cuore divino, simile a lampada ardente, e le disse: « Ecco che offro agli occhi dell'anima tua il mio sacratissimo Cuore, organo dell'adorabile Trinità, affinchè tu lo preghi di riparare le imperfezioni della tua vita e di renderti in tutto gradita al mio sguardo; Esso, come un servitore fedele e premuroso, sarà ai tuoi ordini per riparare d'ora in ora le tue negligenze ». La bontà accondiscendente di Gesù la colmò di stupore e d'ammirazione. Ella non poteva persuadersi che il Cuore di Gesù, sacro tesoro della Divinità e sorgente di ogni bene, si degnasse di stare ai suoi ordini, come un servitore, per riparare la fragilità d'una creatura così miserabile. Ma Gesù pieno di dolcezza ebbe compassione della sua pusillanimità e l'incoraggiò con questo paragone: « Se tu avessi una voce armoniosa e sonora, desiderosa d'espandersi nel canto, mentre vicino a te si trovasse una persona dalla voce falsa e stridula, che potesse emettere solo suoni discordanti, non saresti sdegnata s'ella volesse a ogni costo, eseguire un canto stonato, mentre potresti farlo tu con facilità e perfezione? Così anch'io conosco la tua miseria e il mio Cuore può supplirvi; anzi lo desidera ardentemente, essendo questa per Lui una gioia vivissima. L'unica cosa che chiede è che Tu gliene dia l'incarico, se non con una parola, almeno con un cenno qualsiasi della volontà. Allora Esso compirà in te, in tuo nome, tutti gli atti della vita e lo farà con una gioia raggiante d'amore ».


CAPITOLO XXVI. - ABBONDANZA DI GRAZIE CHE IL CUORE DIVINO DIFFONDE


Nei giorni che seguirono, meditando con riconoscenza su questo magnifico dono, ebbe un gran desiderio di sapere fino a quando il Signore glielo conserverebbe. Egli si degnò di rispondere: « Te lo lascerò fin quando vorrai, nè giammai ti capiterà di deplorarne la perdita ». « Mio dolcissimo Gesù - aggiunse Geltrude - come va che spesso considero il tuo divin Cuore quasi lampada ardente sospesa nell'anima mia così miserabile, e altra volta, quando col soccorso della tua grazia posso avvicinarmi a Te, ho la gioia di ritrovarlo questo divin Cuore nel tuo petto e di attingervi ineffabili delizie? ».

Rispose il Signore: « Quando vuoi afferrare qualche cosa, stendi la mano, e appena in possesso dell'oggetto da te bramato, la ritiri tosto; così quando vedo la tua anima allontanarsi un poco da me per il fascino delle cose esteriori, io rivolgo verso di essa il mio Cuore languente d'amore. Se tu rispondi ai miei teneri inviti, se acconsenti a ricevermi ed a contemplarmi nell'intimo dell'anima tua, allora ti ritiro in me con il mio Cuore e t'offro il godimento delle sue perfezioni ».

Geltrude alla considerazione di tanta bontà, fu penetrata d'amore e di riconoscenza. Ella approfondiva sempre più la sua miseria che la rendeva indegna di qualsiasi grazia e si gettava, con grande disprezzo di sè, nella valle dell'umiltà che le era familiare rifugio; ivi rimase un po' di tempo nascosta a tutti gli umani sguardi, poi Dio onnipotente, che abita nel più alto de' cieli e che trova le sue delizie a diffondere sugli umili la rugiada delle sue grazie, parve far uscire dal suo Sacro Cuore una cannula d'oro, simile a lampada ardente che illuminava Geltrude, inabissata nel suo nulla. Con quel misterioso canale Gesù faceva scorrere su di lei l'abbondanza ammirabile dei divini favori. Se per esempio si umiliava alla vista delle sue colpe, il Signore, pieno di compassione, versava nell'anima sua la linfa feconda delle virtù che distruggeva tutte le sue imperfezioni, tanto che tali macchie non apparivano più agli occhi della divina Maestà. Se altra volta ella desiderava qualche dono speciale e quelle dolcezze che il cuore umano suole ambire, nello stesso istante tali benefici erano concessi alla sua anima per mezzo del canale di cui abbiamo più sopra parlato.

Geltrude gustava da tempo la soavità di tali delizie e con la grazia di Dio, aveva potuto inalzarsi alla più alta perfezione arricchendosi di tutte le virtù, (non le sue proprie, ma quelle del Signore), quando intese nel cuore una voce armoniosa che risuonava come la soave melodia di un'arpa toccata da mano maestra; essa diceva: « Vent mea ad me - Tu che sei mia, vieni da me - Intra meum in me - Tu che, sei mia, vieni in me - Mane meus mecum - Tu che sei il mio bene, resta con me - ».

L'amabile Salvatore si degnò spiegarle questi canti « Veni mea ad me », perchè ti amo e desidero vederti a me vicino quale Sposa fedele, perciò ti dissi: « Veni »: « Intra meum in me », perché godo grandi delizie nell'anima tua, e come il fidanzato aspetta con ardore il giorno delle nozze che completerà la gioia del suo cuore, così desidero che tu entri ed abiti in me. « Mane meus mecum »: poichè ti ho scelta, Io, che sono il Dio d'amore, desidero rimanere con te in una unione indissolubile, unione simile a quella che esiste fra il corpo e l'anima, unione sì stretta che l'uomo non può esistere neppure un minuto, quando l'anima ha abbandonato il suo mortale involucro ».

Durante l'incanto di questo sublime colloquio, Geltrude fu attratta verso il Cuore di Gesù in modo meraviglioso, mediante quel mistico canale al quale abbiamo più sopra accennato, e si trovò felicemente introdotta nel seno del suo Sposo e del suo Dio. Quanto poi in quel sacro asilo ella abbia. sentito, visto, gustato, toccato del Verbo di vita, ella solo lo sa, e Colui che si degnò d'ammetterla a unione così sublime. Colui che è lo Sposo delle anime amanti, Gesù, il Dio benedetto nei secoli, sopra ogni cosa.


CAPITOLO XXVII. - LA SEPOLTURA DI GESU' NELL'ANIMA


Un Venerdì Santo, dopo la recita dell'ufficio si celebrava la sepoltura di Gesù. Geltrude supplicò il Salvatore di seppellirsi nell'anima sua come in perpetua dimora. Egli si degnò d'esaudirla e le disse con bontà: « Io che sono chiamato la pietra dell'edificio sarò quella pietra posta alla porta de' tuoi sensi; per custodirli vi porrò i miei soldati, cioè gli affetti miei che ti preserveranno da qualsiasi amore profano e lavoreranno a procurare in te la mia eterna gloria, nella misura della grazia che ti verrà accordata ». Poco dopo ella cadde in un fallo contro la carità, giudicando troppo severamente gli atti di una persona. Penetrata di dolore, corse da Gesù e gli disse: « O mio Dio, tu hai posto delle sentinelle all'entrata del mio cuore, ma ohimè, forse si sona allontanate, perchè ho giudicato tanto duramente il mio prossimo !». Il Signore rispose: « Come puoi credere che si siano allontanate, se il tuo stesso pentimento di quest'istante prova la loro assidua vigilanza? Infatti se tu non aderissi a Me con tutto il cuore, non proveresti tanto dispiacere per avermi recato pena ».


CAPITOLO XXVIII. - IL CUORE DI GESU' E' IL CHIOSTRO DELL'ANIMA


A vespro Geltrude cantava quelle parole: « Vidi aquam egredientem de tempio » e il Signore le disse: « Dirigiti verso il mio Cuore; esso sarà veramente il tuo santuario. Di più scegli nelle diverse parti del medesimo altre dimore, ove tu possa condurre la vita religiosa regolare, perchè voglio che il mio sacro Corpo sia il Chiostro ave tu abiti ». Rispose la santa: « O Signore, quale altra dimora dovrei cercare? Ho trovato nel tuo Cuore che mi hai dato come santuario, tanta dolcezza che non mi è possibile cercare altrove il nutrimento e il riposo che mi sono necessari ». E Gesù di rimando: « Se lo brami troverai infatti cotesti beni nel mio Cuore, giacchè sai che parecchi santi, per esempio S, Domenico, non s'allontanavano mai dal tempio, ma che ivi mangiavano e dormivano. Tuttavia io vorrei che tu scegliessi nel mio Corpo i soggiorni adatti alla vita claustrale ». Per obbedire agli ordini di Dio ella risolvette di scegliere il luogo del passeggio nei piedi del Salvatore; nelle sue sacre Mani quello del lavoro; la sua bocca divina le servirebbe di capitolo e di parlatorio; nei suoi occhi ella leggerebbe e studierebbe; le sue orecchie infine sarebbero il tribunale ove dichiarerebbe i suoi peccati. Il Signore l'invitò a salire, dopo le sue colpe, verso quel sacro tribunale, per mezzo di cinque gradi d'umiltà, espressa in quelle parole: « Io vile, peccatrice, povera, cattiva, indegna corro in quell'abisso della misericordia Infinita del mio Gesù, per essere lavata da tutte le macchie e purificata da ogni colpa. Così sia ».


CAPITOLO XXIX. - IL SALUTO DEL SIGNORE


Geltrude un giorno meditava parecchie circostanze nelle quali aveva. dovuto esperimentare la fragilità e l'incostanza umana. Volgendosi allora verso Gesù gli disse c Amare

Te solo, mio Diletto, è tutto per me (1) ». Egli, chinandosi, l'abbracciò teneramente, dicendole « Amarti, o Figlia, è una gioia estremamente dolce al Cuor mio ». Appena Gesù ebbe pronunciate queste parole, tutti i Santi si rizzarono davanti al trono di Dio e offrirono i loro meriti al Signore perchè, a sua maggior gloria, degnasse offrirli a Geltrude afl~nchè diventasse degno domicilio dell'Altissimo.

Ella constatò allora con quale prontezza il Signore si degna inchinarsi verso di noi, e come i Santi siano divorati dal desiderio di onorare Dio, poichè coprono coi loro meriti l'indigenza degli uomini.

Così Geltrude esclamò con tutto lo slancio del cuore: « Io, piccola, vile creatura, ti saluto amatissimo Gesù! ». Rispose il Salvatore di rimando: « A mia volta ti saluto, dilettissima figlia! ».

Ella poi comprese che, se un'anima dice a Dio: « Mo diletto, dolcissimo, amatissimo Gesù » o altre parole consimili, ogni volta ricaverà la stessa risposta a lei diretta e godrà in cielo un privilegio speciale, analogo a quello concesso a S. Giovanni Evangelista, che ottenne una gloria particolare perchè quaggiù era chiamato: c discipulus quem diligebat Jesus - il discepolo che Gesù amava » (S. Giov. XXI, 7).


CAPITOLO XXX. - MERITO DELLA BUONA VOLONTA' E DELL'OFFERTA DEL CUORE, CON ALTRE ISTRUZIONI DATE A GELTRUDE RIGUARDO ALLE PAROLE DELL'UFFICIO DIVINO


I. Buona volontà.


Durante la S. Messa: « Veni, et ostende » il Signore le apparve tutto dolcezza e grazia, irradiando dalla sacra persona luce celeste, vivificante. Nel giorno del Natale pareva discendere dal trono sublime della sua gloria, come per riversare, con maggior abbondanza sulle sue anime dilette torrenti di grazie. Geltrude pregò allora per le persone che si erano raccomandate alle sue preghiere, e per quelle alle quali desiderava ottenere speciali favori.

Le disse Gesù: « Ho dato ad ogni anima una cannula d'oro con la quale potranno attingere nella profondità del mio Cuore, tutto quello che vorranno ». Ella comprese che quel misterioso condotto significava la buona volontà, mediante la quale l'uomo può appropriarsi tutte le ricchezze spirituali dei cielo e della terra. Vuole per esempio un'anima offrire a Dio le lodi, i ringraziamenti, l'obbedienza, la fedeltà di cui alcuni Santi ci hanno dato l'esempio? Subito la divina bontà accetta l'intenzione come un fatto compiuto. Questa cannula prodigiosa si adorna poi di oro prezioso, quando l'uomo ringrazia Dio di avergli dato una facoltà così nobile, che gli serve ad acquistare tali meriti, come non potrebbe fare il mondo intero con le sue forze naturali.

Vide inoltre che tutte le monache della Comunità circondavano il Signore, ciascuna munita di quel misterioso tubo, per attrarre la grazia, secondo la misura delle sue forze. Mentre alcune attingevano preziosi tesori direttamente dal Sacro Cuore, altre li ricevevano dalle Mani del Salvatore. Ma più esse si allontanavano dal Sacro Cuore, più avevano difficoltà a ottenere quanto desideravano. Invece, se si sforzavano di aspirare dal centro stesso del Sacro Cuore, s'inebbriavano di dolcezze copiose, con grande facilità. Quelle che attingevano direttamente le grazie dal Sacro Cuore, rappresentavano le anime che si sottomettono alla Volontà di Dio e bramano che si compia perfettamente, sia per le cose temporali come per le spirituali. Queste anime commuovono così profondamente l'infinita bontà di Dio che, al momento opportuno, ricevono la divina grazia tanto più copiosamente, quanto hanno maggiormente bramata il compimento del divino Volere. Le altre invece che attingono grazie dalle membra del Signore, simboleggiavano le anime che si sforzano di ottenere da Dio doni e virtù, ma seguono le tendenze personali della propria volontà; esse ottengono tanto più difficilmente i divini favori, quanto meno s'abbandonano alla divina Provvidenza.


II. Perfetta offerta del cuore a Dio.


Geltrude un giorno rivolse questa preghiera al Signore: « Amabilissimo Gesù, nella pienezza della mia volontà ti offro il mio cuore libero da ogni affetto umano, pregandoti di purificarlo nell'acqua che sgorga dal tuo Sacratissimo Costato, di arricchirlo coi meriti del prezioso Sangue del tuo dolcissimo Cuore, e di unirlo intimamente a Te, nel soave spirito del tuo divino amore ». Il Figlio di Dio allora le si mostrò in atto dì offrire all'eterno Padre il cuore della sua diletta unito al suo proprio Cuore divino, sotto forma di un calice elle risultava di due parti, saldate con candida cera. A tale vista Geltrude disse con umile divozione: « Fa, o amabilissimo Gesù, che il mio cuore rimanga sempre vicino al tuo come una di quelle anfore ché i servi, ad un cenno, porgono ai loro padroni per ristorarli. Possa Tu sempre trovarlo pronto, sia per attingervi, sia per riempirlo a vantaggio di chi vorrai ».

Gesù accettò con bontà quell'offerta, e disse al Padre suo: « O Padre santo, fa che per la tua eterna gloria, il cuore di questa creatura sia il felice tramite che abbia a diffondere sul mondo la sorgente inesausta dei benefici racchiusi nello stesso mio sacro Cuore ».

Siccome, in seguito, Geltrude rinnovava spesso questa offerta, vedeva il cuor suo colmo di doni celesti e dalle mille lodi, ringraziamenti, suppliche che ne emanavano, comprendeva che gli eletti dei cielo ne ricevevano aumento di gioia. Altra volta, esso contribuiva all'avanzamento in virtù di coloro che erano sulla terra, come vedremo più avanti. Geltrude comprese poi che Dio gradiva questo scritto, perché doveva fare del bene ad anime innumerevoli.


III. Onore reso a Dio. Efficacia della divina misericordia.


Nel tempo d'Avvento, mentre si cantava il responsorio «Ecce venit Dominus protector noster, sanctus Israel - Ecco che viene il Signore, nostro protettore, il Santo d'Israele », ella comprese che se un'anima abbandona completamente a Dio la condotta della sua vita, se sospira con ardore di essere diretta nella prosperità, come nell'afflizione dall'amabilissima divina Volontà, essa dà a Dio tanta gloria quanta ne procurerebbe al principe colui che gli ponesse sul capo una corona regale.

Con le parole dei profeta Isaia « Elevare, elevare, consurge Jerusalem - Levati, levati, Gerusalemme » (Isaia LI, 17), Geltrude comprese quali benefici la santità procuri alla Chiesa militante. Infatti quando un'anima ardente d'amore per Dio, a Lui si rivolge con volontà sincera di riparare, se lo potesse, interamente, le offese che le colpe umane procurano alla divina gloria, quando, nell'ardente carità che la consuma, gli offre tale dimostrazione di tenerezza, la divina Bontà si mostra così placata che giunge talvolta a perdonare al mondo intero.

Questo viene espresso dalle parole. « Usque ad fundum calicis bibtsti - Hai bevuto il calice sino al fondo » (Ibid) perché, con questo mezzo, la dolcezza della misericordia si sostituisce ai rigori della giustizia. Ma le parole che seguono: « Potasti usque ad faeces - Hai bevuto fino alla feccia » fa capire che nessuna redenzione è possibile ai dannati, perchè non hanno diritto che alla feccia della giustizia.


IV. Vantaggi che derivano dall'evitare parole e azioni inutili.


Geltrude, leggendo le parole d'Isaia: « Glorificaberis dum non facis vias tuas etc. - Sarai glorificato se non segui le tue inclinazioni ecc. (Isaia LVIII, 13) », comprese che, se dopo d'aver accarezzato diversi progetti, si rinuncia al piacere di vederli eseguiti perchè non hanno utilità per il bene, si avranno tre vantaggi:

1) Di trovare in Dio le più grandi delizie: « Delectaberis in Domino - Ti rallegrerai in Dio » (Is, LVIII, 14).

2) Di sfuggire al nefasto impero dei pensieri pericolosi: « Sustollam te super altitudinem terrae - T'innalzerò al di sopra delle altezze della terra» (Ibid).

3) Di ricevere dal Figlio di Dio, in premio d'aver resistito alla tentazione ed ottenuto vittoria, una parte speciale ai meriti della sua santissima vita, secondo la parola dei sacri libri: « Et cibabo te haereditate Jacob patris tui »: « Ti darò per nutrimento l'eredità di Giacobbe tuo padre » (Ibid). In questo altro testo dello stesso Profeta: « Ecce merces ejus cum eo » « Porta con sè la propria ricompensa», (Ibid) (XL, 10) Geltrude comprese che Gesù nel suo immenso amore per gli eletti, si degna di essere Lui stesso la loro ricompensa. Egli si unisce ad essi con tanta dolcezza, che la creatura, oggetto di sì grande amore, può affermare in verità che è ricompensata al di là dei propri meriti « Et opus illius coram illo - E l'opera sua è davanti a Lui » (lbid). Quando l'anima s'abbandona completamente alla santa Provvidenza, e cerca in tutti i suoi atti di compiere la divina Volontà, essa, per grazia celeste, appare già perfetta allo sguardo di Dio.


V. Il pentimento purifica.


Geltrude mentre recitava il responsorio della vigilia di Natale: «Sanctificamini, filii Israel - Santificatevi, figli d'Israele » comprese che, se un'anima deplora le colpe che ha commesse e rimpiange di non aver compiuto tutto il bene che le era possibile, risoluta ormai di sottomettersi in tutto alla divina legge, appare agli occhi della divina Maestà già santificata come il lebbroso, che fu purificato dalle sue colpe dallo stesso Salvatore: « Volo mundare - Voglio che tu sii purificato » (Matt. VIII, 3).

Con quella parola: « Cantate Domino canticum novum - Cantate al Signore un cantico nuovo » (Is. XLII, 19) le fu mostrato che chi canta con grande fervore, canta un cantico nuovo; infatti egli si trova interamente rinnovato e gradito a Dio, perchè ha ricevuto la grazia di dirigere verso di lui le sue intenzioni.


VI. Dio colpisce i suoi eletti per guarirli.


In quel testo d'Isaia « Spiritus Domini super me - Lo spirito del Signore è su me » (Is. LXI, 1) e quello che segue « ut mederer contritos corde - per guarire i cuori infranti », Geltrude vide che il Figlio di Dio, essendo stato mandato per sollevare i tribolati, usa provare i suoi eletti con la sofferenza, per avere poi l'occasione di portarvi rimedio. In tal caso s'avvicina all'anima, non toglie la prova che, pur spezzando il cuore, riesce tanto meritoria, ma si applica a guarire, nella fragile creatura, quello che può essere pericoloso e funesto.

Mentre il coro cantava il salmo CIX, alle parole: « In splendoribus Sanctorum - Nello splendore dei Santi » ella comprese che la luce di Dio è immensa e inconcepibile. Se tutti i Santi, da Adamo fino all'ultimo uomo, ne avessero una conoscenza personale chiara, profonda, vasta, secondo le possibilità delle creature, (bisogna ricordare che la conoscenza di una è diversa da quella di un'altra), se inoltre il numero dei Santi fosse mille e mille volte più grande, la Divinità resterebbe sempre inesauribile ed infinitamente al di sopra di ogni intelligenza creata. Perciò non si dice: « In splendore », ma « In splendoribus sanctorum, ex utero ante luciferum genui te - Negli splendori dei santi ti ho generato nel mio seno, prima dell'aurora».


VII. Ciascuno deve portare la sua croce alla sequela di Gesù Cristo.


Ai vesperi di un Martire, mentre si cantava l'antifona « Qui vult venire post me - Colui che vuole seguirmi » Geltrude vide il Salvatore avanzarsi su di una strada fiancheggiata da verzura e fiori, ma stretta e spinosa; pareva preceduto da una Croce che apriva il varco, divaricando i rami e rendendo la via praticabile. Gesù si rivolgeva con volto sereno verso coloro che camminavano dietro a Lui, ed invitava i suoi amanti a seguirlo, dicendo: « Qui vult venire post me, abneget semetipsum, tollat crucem suam et sequatur me etc. - Chi vuole seguirmi prenda la sua croce e mi segua». Ascoltando tali parole comprese che la croce di ciascuno è la sua tentazione personale. Per esempio certe anime trovano la loro croce nell'obbedienza, eseguendo ordini contrari ai loro gusti; altre sono oppresse dalla malattia che loro impedisce di fare quello che vogliono. Noi dobbiamo portare la nostra croce, soffrendo volentieri quanto di duro e di penoso ci presenta il dovere, senza nulla trascurare di quanto può fare piacere a Dio e glorificare il suo Nome.


VIII. La correzione troppo severa si muta in merito per chi la sopporta.


Geltrude, recitando quel versetto: « Verba iniquorum - Le parole dei cattivi» (Sol. LXIV, 4) comprese che se una persona, caduta per umana fragilità in difetto, ne riceve una correzione troppo severa, viene dalla misericordia di Dio largamente benedetta, perché quell'eccesso di rigore provota la sua bontà e procura alla colpevole aumento di meriti.


IX. Dio castiga per misericordia i suoi fedeli ed abbandona i perversi alla loro cattiveria.


Alla fine della Salve Regina, mentre si cantava quell'invocazione: « misericordis oculos », Geltrude desiderò ricevere la salute del corpo. Il Signore le disse sorridendo: « Ma non sai che Dio ti guarda con maggior tenerezza quando sei oppressa dalla sofferenza fisica, o da angosce morali? ».

Nella festa di più Martiri, quando il coro cantò quelle parole gloriosum Sanguinem, ella capì che il Sangue sparso per Cristo è lodato nella S. Scrittura, quantunque naturalmente ispiri un certo orrore. Così comprese che nella vita religiosa certe trasgressioni alla Regola, volute dall'obbedienza e dalla carità, piacciono tanto a Dio, da poter essere degne di lode e chiamate gloriose. Altra volta comprese che, per un segreto giudizio, Dio permette ad uomini perversi d'interrogare un'anima eletta per carpirle qualche segreto ed averne poi risposte atte a fissarli nei loro errori. Dio lo permette per la condanna dei tristi e la perseveranza dei buoni. Perciò il Profeta Ezechiele si esprime in questi termini: « Qui posuerit munditias suas in corde suo, et scandalum iniquitatis suae contro faciem suam, et venerit ad prophetam, interrogans cum pro me. Ego Dominus respondebo ci in multitudine immunditiarum suarum, ut capiatur in corde suo - Colui che ha chiuso le sue impurità in cuore, che ha messo lo scandalo delle sue iniquità davanti al suo volto, e che andrà poi a trovare il Profeta e l'interrogherà nel nome mio, io stesso gli risponderò secondo la moltitudine delle sue infamie, perchè sia ingannato dal suo medesimo cuore» (Ezch. XIV, 4, 5).


X. Chi crede deve confidare in Dio: non c'è peccato senza consenso.


Geltrude nelle parole cantate in onore di S. Giovanni « Haurit virus hic lethale - Bevve veleno mortale », comprese che la virtù della fede preservò Giovanni da veleno mortifero, così come la resistenza della volontà conserva l'anima senza macchia, malgrado gl'influssi malvagi che potrebbero insinuarsi in cuore, senza il consenso della volontà.

Recitando il versetto: « Dtgnare Domine die isto etc. - Degnati, o Signore, in questo giorno ecc. » ella ricevette questa luce: se l'uomo che ha pregato Dio di preservarlo dai peccato, cadesse, per un segreto permesso dell'Altissimo, in qualche grave colpa, troverebbe però subito pronta la grazia, quasi bastone d'appoggio per rialzarsi e facilitare la sua conversione.


XI. Come dobbiamo benedire Dio e riprendere i colpevoli.


Geltrude durante il canto del Responsorio Benedicens si presentò al Signore per implorarne la benedizione, come se avesse personificato lo stesso Noè. Ricevuta tale benedizione parve che il Signore desiderasse la sua. Ella comprese che l'uomo benedice Dio quando si pente d'averlo offeso e gli domanda aiuto per non cadere mai più nel peccato. Gesù, volendo farle capire come quell'atto gli è gradito, s'inchinò profondamente per ricevere tale benedizione, quasi che la salvezza del mondo ne fosse la conseguenza. -

A quelle parole: « Ubi est frater tuus, Abel? - Dov'è Abele tuo fratello? » (Gen. IV, 9) comprese che Dio domanderà conto a ciascun religioso delle colpe che i fratelli commettono contro la Regola, perchè esse si sarebbero potute evitare con una buona parola detta al colpevole, oppure con un prudente ricorso al Superiore.

La scusa che taluni adducono: « Non ho l'obbligo di correggere il fratello » oppure l'altra « Sono peggiore di lui », non saranno meglio accolte dal Signore delle parole di Caino: « Numquíd eustos fratris mei sum ego? - Sono forse il guardiano del mio fratello? » (Gen. IV, 9). Davanti a Dio tutti gli uomini hanno lo stretto dovere di aiutarsi a vicenda, per evitare le colpe ed eccitarsi al bene. Tutte le volte che su questo punto non ascoltano la voce della coscienza, peccano contro Dio; se trascurano tale dovere, dovranno rendere stretto conto a Dio, il quale chiederà ragione dell'anima del fratello, più a loro che allo stesso Superiore il quale, per il suo ufficio, è gravato da tanti impegni e non può talora accorgersi delle mancanze dei sudditi. Perciò la minaccia, « Vae facienti, vae, vae consentienti - Condanna a ohi fa il male, e doppia condanna e chi v'acconsente », deve risuonare in fondo ad ogni coscienza come un solenne invito alla correzione: è gran male tacere quando si può, con parole opportune, evitare colpe che diminuiscono la gloria di Dio.


XII. Chi difende la giustizia, riveste Dio.


Geltrude mentre cantava il responsorio: « Induit me Dominus - Il Signore mi ha rivestito» ricevette questa luce. Colui che combatte legittimamente per la giustizia, lavorando con parole e con azioni per promuovere la fede, ricopre il Signore di un ricco paludamento di gloria e di salute. Nell'eterna vita Dio gli prodigherà le larghezze della sua regale munificenza, e dopo d'avergli accordato un manto d'allegrezza, lo coronerà con un diadema di gloria.

Ella comprese allora che colui il quale nel combattimento per il bene della religione, avrà sopportato avversità e contraddizioni, diventerà più caro a Dio, come il povero si mostra doppiamente soddisfatto quando, con un solo abito, riesce ad essere riscaldato e vestito; quand'anche poi per l'opposizione dei cattivi, il lavoro intrapreso a gloria di Dio non avesse risultato positivo, pure la ricompensa del servo fedele non sarebbe punto diminuita.

Al canto del responsorio « Vocavit Angelus Domini ». Geltrude comprese che gli Angeli, la cui assistenza sarebbe sufficiente a preservarci da ogni male, sospendono talora, per ordine divino, la loro efficace protezione e paterna Provvidenza.

Dio permette allora che i suoi eletti siano tentati per ricompensarli maggiormente, avendo essi con la loro virtù, trionfato del nemico, quantunque l'ausilio degli Angeli fosse loro stato momentaneamente sospeso.


XIII. Beni che procurano l'obbedienza e l'avversità.


Nell'ufficio dello stesso giorno, al responsorio che segue immediatamente « Vocabit Angelus Domini Abraham » Geltrude si rese ragione perchè il padre dei credenti meritò di essere chiamato da un Angelo, nel momento in cui alzava il braccio per compiere gli ordini del cielo.

Così se l'anima, giusta, per amore di Dio, sottomette il giudizio e mostra buona volontà di fronte a un sacrificio gravoso, merita di essere subito sorretta dalle dolcezze della grazia e consolata dal buon testimonio della coscienza. Con Tali favori l'infinita bontà di Dio anticipa le gioie dell'eterna ricompensa, ed i trionfi di quel giorno nel quale ciascuno riceverà a seconda delle sue opere.

Una volta ella, pensando a parecchie gravi sofferenze sopportate, domandò fiduciosamente a Gesù perché mai le avesse permesse. Egli rispose: « Quando la mano di un padre vuole opportunamente correggere un figliuolo, la verga non può porre resistenza. Così i miei eletti non dovrebbero mai attribuire i mali che soffrono agli uomini; essi sono semplici strumenti di cui mi servo per esercitare la loro pazienza. I miei amici dovrebbero piuttosto considerare il mio paterno amore, il quale non permetterebbe al minimo soffio di turbarli, se non fosse per aumentare le loro eterne gioie. E' bene però che i miei eletti abbiano compassione di coloro che, perseguitandoli, macchiano la loro anima ».


XIV. Le nostre opere, offerte a Dio Padre, per mezzo del Figlio suo, gli sono assai gradite.


Un giorno Geltrude, provando grande difficoltà nel compiere un lavoro, disse al Padre celeste: « Signore, ti offro quest'azione, per mezzo del tuo Figlio unico, nella virtù dello Spirito Santo, per la tua eterna gloria». Comprese tosto che quell'offerta aveva dato all'opera sua un valore straordinario, che l'aveva inalzata al disopra del livello umano, dandole splendori deiformi. E come gli oggetti appaiono di colore verde o azzurro, a seconda degli occhiali che si mettono, così nulla piace di più a Dio Padre di un'azione compiuta per mezzo del suo dilettissimo Figlio Gesù.


XV. Nessuna preghiera ben fatta rimane infeconda.


Geltrude un giorno chiese al Signore a che cosa servivano le frequenti preghiere ch'ella faceva per i suoi amici, giacché non ne ricavava alcun buon effetto.

Gesù si degnò illuminarla con questo paragone: « Quando un giovanissimo principe ritorna al palazzo dell'imperatore, dopo d'avere ricevuto l'investitura di un grande feudo e il possesso di ricchezze considerevoli, coloro che l'incontrano non vedono in lui che la debolezza dell'infanzia e neppure suppongono che un giorno sarà grande e potente. Non stupirti quindi se non puoi scoprire l'effetto immediato delle tue preghiere. La mia eterna Sapienza. dispone tutto per il miglior bene. Quello che è certo si è che, più si prega per un'anima, più si collabora alla sua eterna felicità. La preghiera perseverante non è mai infeconda, quantunque gli uomini non possano capire quaggiù il modo con cui io li esaudisco ».


XVI. I santi pensieri; il loro merito e la loro ricompensa.


Geltrude desiderava sapere quale ricompensa riceverebbe un'anima che avesse innalzato a Dio tutti i suoi pensieri. Ebbe da Gesù quest'istruziane: « L'uomo che dirige i suoi pensieri verso Dio, sia meditando, sia pregando, pone uno specchio tersissimo di fronte al trono glorioso della divinità. In tale specchio il Signore contempla con gioia la sua propria immagine, perché è Lui stesso che dirige e ispira tutto ciò che è buono. Se poi, per l'umana fragilità, l'uomo provasse difficoltà in questo continuo orientamento verso Dio, non deva scoraggiarsi, ma ricordare che più lo sforzo sarà faticoso, più lo specchio presentato di fronte all'adorabile Trinità e a tutti i Santi, sarà luminoso e brillante; di più tale specchio rifulgerà eternamente per la gloria di Dio e per l'allegrezza eterna dell'anima che avrà saputo santificare i suoi pensieri ».


XVII. Ostacoli alla divozione nei giorni di festa.


In un giorno di festa Geltrude, per un forte male di testa, non poté cantare; ella domandò ingenuamente a Gesù perché mai permetteva che quel malessere la sorprendesse soprattutto nei giorni di maggiore solennità. Le rispose il Signore: « Lo faccio per tema che il fascino delle melodie sacre non ti renda meno sensibile ai delicati tocchi della grazia». Obbiettò vivacemente Geltrude: «Ma la bontà tua, o mio Signore, potrebbe preservarmi da tale pericolo ». « Infatti potrei farlo: però ricorda che l'anima ha maggior guadagno quando, per mezzo della prova e della sofferenza, le vengono tolte occasioni di colpa, perché ha allora il doppio merito della pazienza e dell'umiltà».


XVIII. Effetti della buona volontà.


Un giorno Geltrude, trasportata da un impeto di fervore, disse: « Come sarei felice, o mio Dio, se un fuoco ardente bruciasse l'anima mia, riducendola in sostanza liquida che potesse scorrere facilmente in Te ». Rispose il Signore: « La tua volontà sarà quel fuoco divoratore ». Ella comprese allora che, con un solo movimento di buona volontà, si può ottenere la realtà dei desideri che hanno Dio per oggetto.


XIX. Vantaggi della tentazione.


Geltrude pregava spesso il Signore di sradicare ogni difetto da essa e dagli altri. Ma poi comprese che la divina bontà non poteva esaudirla che in parte, cioè attenuando la fatale necessità che risulta dalle cattive abitudini. Con l'aiuto di Dio l'aníma riesce allora a resistere facilmente al male, perché la difficoltà cessa di crescere con l'abitudine che, giustamente, è chiamata una seconda natura. Ella riconobbe allora l'ammirabile consiglio della divina bontà per la salvezza delle anime; Dio, per avere il diritto di aumentare la loro eterna ricompensa permette che siano fortemente combattute dal pungolo del peccato: resistendo aumentano la loro gloria e il loro eterno trionfo.


XX. Gesù soccorre nella loro agonia coloro che hanno pensato a Lui.


Geltrude ascoltò in una predica queste parole: « Nessuno potrà salvarsi senza l'amore di Dio; tale amore deve essere almeno sufficiente per condurlo a sentimenti di contrizione e all'emenda della vita ». Ella si turbò pensando che molti, in punto di morte, sentono dolore dei peccati, più per timore dell'inferno che per puro amore di Dio. Ma il Signore la rassicurò dicendole: «Quando vedo nell'agonia coloro che durante la vita hanno qualche volta pensato a me, o che hanno compiuto qualche buona opera negli ultimi giorni, mi mostro a essi con tanta bontà, tenerezza e amabilità che essi si pentono d'avermi offeso e tale atto di dolore loro vale l'eterna salvezza. Così vorrei che i miei eletti mi glorificassero, e ringraziassero per tale insigne favore ».


XXI. Dio non fissa lo sguardo sulle imperfezioni di un'anima che lo ama veramente.


Geltrude, considerando la miseria dell'anima sua, ne fu così costernata e concepì un tale disprezzo di se stessa, che si andava domandando con ansietà se potesse piacere al suo Dio. Infattì dove il suo occhio infermo poteva scorgere una macchia, lo sguardo penetrante della divinità avrebbe scoperto innumerevoli colpe. Il Signore le diede questa consolante. risposta: « L'anima giunge a piacermi per mezzo dell'amore ».

Ella comprese allora che se l'amore umano giunge a far trovare del fascino perfino in esseri deformi, Dio, che é la carità per essenza, soprà trovare bellezze meravigliose nelle creature da lui amate.


XXII. Come il Signore moderò in Geltrude il desiderio della morte.


Geltrude, come l'Apostolo, sospirava ardentemente di essere separata dai corpo per unirsi a Cristo e per l'ardore di tale brama, faceva sentire a Dio i gemiti del suo cuore amante,

Il Signore si degnò di farle capire che ogni qualvolta, pur sentendo vivissimo desiderio di uscire dalla prigione del corpo, si fosse rassegnata a rimanere quaggiù tutto il tempo che il Signore avesse voluto, altrettante volte il Figlio di Dio le comunicherebbe i meriti della sua santissima vita, perchè si perfezionasse sempre di più davanti allo sguardo del Padre celeste.


XXIII. Dio non esige il frutto delle opere per ciascuno de' suoi doni.


Geltrude, ricordando un giorno le grazie numerose e varie ricevute dalla bontà divina, si protestò miserabile, ingrata, indegna di ogni bene per avere sciupato tanti tesori; ella si rendeva conto di non aver trafficato tali doni per il suo proprio vantaggio, nè d'averne ringraziato degnamente il Signore; di più doveva convenire di avere trascurato anche il profitto del prossimo, il quale non avendo conosciuto quelle grazie, non era stato in grado di trarne edificazione, elevandosi a una più alta conoscenza di Dio.

Gesù consolò la sua Sposa, mandandole una luce speciale. Egli le fece capire che, diffondendo i suoi doni sugli uomini, non esige un frutto speciale per ciascuno di essi, ben conoscendo la fragilità delle sue crature; tuttavia, non potendo trattenere l'impeto della sua bontà e generosità, sparge continuamente sugli uomini l'abbondanza delle sue grazie, quasi per prepararli alla meravigliosa opulenza della felicità eterna. Così è del fanciullo al quale vengono affidati titoli di proprietà; egli non ne capisce affatto il pregio, ma giunto a età matura si compiacerà di tali ricchezze. Per tanto l'amabile Salvatore, accordando grazie celesti al suoi eletti, loro dona un pregusto di quei beni la cui pienezza formerà il loro eterno godimento.


XXIV. La volontà d'avere buoni desideri supplisce al loro difetto.


Geltrude un giorno si sentì amareggiata per il timore di non avere un desiderio abbastanza intenso di lodare il buon Dio. Una luce soprannaturale però le fece capire che il Signore si accontenta della buona volontà di coloro che bramano di avere ardenti desideri. L'anima si riveste allora dello splendore dei suoi stessi aneliti allo sguardo di Dio, che gusta in essa maggior delizie di quelle che noi proveremmo contemplando in primavera la vaghezza di un prato adorno di magnifici fiori.

Un'altra volta Geltrude, oppressa dalla malattia, si era un po' allentata nell'abituale attenzione alla divina presenza. Quando si accorse della sua negligenza, ne provò cocente rimorso e subito risolvette di confessare la colpa a Gesù con umile divozione. Ella giustamente temeva di dover fare grandi sforzi prima di ritrovare le dolcezze della grazia celeste; invece immediatamente sentì la bontà divina chinarsi verso di lei, dicendole con un tono pieno d'amore: « Mia figlia, tu sei sempre meco, e tutto quello che è mio, è tuo ».

Quelle parole le fecero comprendere che se l'uomo, a causa dell'innata fragilità trascura di dirigere l'intenzione a Dio, Egli nella sua tenera misericordia giudica le sue azioni degne di eterna ricompensa, purchè la volontà non si distolga da Dio, e abbia un vero, attuale dolore dei propri peccati. All'avvicinarsi di una festa, Geltrude si sentì assalita da un attacco di malattia. Con la solita confidenza pregò il Signore di lasciarle la salute fino a solennità compiuta, o almeno di diminuire i dolori in modo da poter celebrare le sacre funzioni; tuttavia si sottomise pienamente al divino beneplacito. Gesù le rispose amabilmente: « Con questa preghiera e soprattutto con l'adesione incondizionata alla mia Volontà, mi hai introdotto in un giardino delizioso ove trovo ineffabili godimenti, mirando le aiuole smaltate di olezzanti fiori. Sappi dunque che se ti esaudisco, sono io che ti seguirò nel giardino ove tu gusti le tue delizie, se, al contrario, non rispondo affermativamente alla tua richiesta, e tu ricevi il rifiuto con pazienza, sei tu che mi seguirai nel giardino delle mie preferenze. Ricorda, o figlia, che mi compiaccio assai più di te, quando trovo nella tua anima ferventi desideri, quantunque talora un po' attenuati per la malattia, che non quando tu senti ardenti brame e accesa divozione, ma congiunte alla tua propria sodisfazione ».


XXV. Bisogna temere che l'assecondare i sensi, diminuisca in noi la grazia.


Geltrude domandò un giorno al Signore come mai Egli facesse gustare a certe anime la dolcezza delle consolazioni, mentre altre vivevano nella più desolante aridità.

Il Salvatore le diede questa istruzione: « Il cuore dell'uomo è stato creato per contenere le delizie spirituali, come il vaso è stato fatto per contenere l'acqua. Se il vaso colmo lascia sfuggire il liquido da qualche fessura, a poco, a poco si vuoterà e rimarrà asciutto. Così se il cuore che racchiude delizie celesti, le perde attraverso all'accontentamento dei sensi, guardando, o ascoltando quando gli piace, o seguendo la sua cupidigia, lascia evaporare, per così dire, le dolcezze sì rituali e se ne sta vuoto nell'incapacità desolante di trovare la sua gioia in Dio. Tutti possono farne esperienza in se stessi. Quando l'uomo segue le sue tendenze, guardando e ascoltando cose vane e inutili, subito si sente allontanare dai pensieri celesti: è il dolce liquore spirituale che sfugge, come l'acqua dal vaso. Se invece egli resiste generosamente per piacere a Dio, agli allettamenti sensibili, subito sente crescere in sè una segreta gioia intima che sovrabbonda, tanto da non poter più contenerla. Perciò colui che saprà vincere e mortificare la natura, riuscirà a deliziarsi in Dio, e le sue gioie saranno grandi in proporzione dello sforzo fatto per vincersi ».

Un giorno Geltrude fu presa da una profonda tristezza, per cosa di poca importanza. Mentre il sacerdote esponeva l'Ostia Santa all'adorazione dei fedeli, offerse la sua desolazione a Dio, in lode eterna. Il Signore parve allora attrarla a sè, come attraverso a un'apertura di quell'Ostia misteriosa; la fece dolcemente riposare sul suo Cuore e le disse con bontà: « In questo domicilio sarai esente da ogni pena, ma ogni volta che te ne allontanerai, il tuo cuore proverà un profondo disgusto che ti servirà d'antidoto salutare, riconducendoti verso il tuo Dio ».


XXVI. Il Signore consola Geltrude come farebbe una madre col suo bambino.


Un giorno Geltrude, affatto sfinita e senza forze, disse a Gesù: « O mio Maestro, che diverrò io? Che cosa farete di me? ». Egli le rispose: « Come una madre consola i suoi figli, così o ti consolerò ». E aggiunse: « Non hai veduto qualche volta una madre accarezzare il suo figlioletto? ». Geltrude taceva; non si ricordava di averlo veduto mai. Il Signore le ricordò allora che quell'anno stesso, sei mesi prima, aveva incontrato una madre che accarezzava la sua creatura, e le rammentò tre cose che aveva viste in quell'incontro senza fermarvi il pensiero.

« Prima » disse Gesù « hai veduto come la madre invitava a diverse riprese, il fanciulletto ad abbracciarla, e quegli non poteva corrispondere all'invito, se non facendo sforzi per giungere fino al di lei volto. Così sarà solo col farti violenza che giungerai, per mezzo della contemplazione, a godere la dolcezza e il soave godimento dell'amor mio »

« Tu osservasti, in secondo luogo, che la madre stuzzicava e teneva desta la volontà del fanciullo, dicendogli: « Vuoi questo? Vuoi quello? » senza però dargli alcuna cosa di quello che sembrava offrirgli. Così Dio tenta tante volte l'uomo, proponendogli l'accettazione di pene e di prove alle quali però non vuole sottoporlo; Dio si contenta di tale accettazione e, giacchè l'anima è sottomessa, si rende degna di ricompense eterne ».

« Infine hai veduto come nessuno dei presenti, tranne la mamma, comprendeva il linguaggio del bimbo, i movimenti delle sue piccole mani ed i suoni inarticolati della sua voce. Così solo Dio vede e comprende l'intenzione dell'uomo nelle sue opere, le giudica a norma di essa, e i suoi giudizi sono ben diversi da quelli degli uomini che vedono solo l'esterno ».

Una sola volta Geltrude, ricordando i suoi peccati, sentì confusione somma e si gettò nel profondo abisso dell'umiltà, cercando di nascondervisi totalmente; ma il Signore la seguì con tale accondiscendenza che tutta la Corte celeste meravigliata cercava di trattenerlo: « Io non posso tralasciare di seguire la mia Sposa » disse il Signore « perchè la calamita potente della sua umiltà attrae l'amore del mio divin Cuore ».


XXVII. Dio apprezza molto la pazienza.


Geltrude chiese un giorno al Signore su quale soggetto fissare l'attenzione per il perfezionamento dell'anima sua. Le rispose Gesù: « Desidero che tu impari la pazienza ». Trovandosi appunto in quel momento assai turbata, gli chiese: « Come e con quale mezzo potrò impararla? ». Il Signore, accostandola a sè, come fa un esperto maestro col suo giovane scolaro, lei insegnò tre lettere che dovevano insegnarle tale scienza. Alla prima lettera le disse: « Considera come il re onora della sua amicizia colui che condivide le sue umiliazioni e i suoi trionfi. Così la mia tenerezza per te s'accresce, quando soffri per mio amore disprezzi che assomìgliano a quelli da me sofferti».

« Alla seconda lettera aggiunse: « Ammira di quanto rispetto sono circondati coloro che il re onora e associa ai suoi lavori; ti sarà facile capire quale gloria in cielo avranno coloro che in terra esercitarono la pazienza».

Alla terza lettera concluse: « Rifletti a qual punta si può essere consolati dalla delicata compassione di un cuore fedele e potrai capire, con quale soave bontà io ti consolerò nei cieli per le minime afflizioni che sopporterai in questa vita ».


CAPITOLO XXXI. - PROCESSIONE CON L'IMMAGINE DELLA CROCE


Al ritorno di una processione, che era stata fatta per ottenere la serenità del tempo, mentre le Monache varcavano la soglia della Chiesa precedute dal Crocifisso, Geltrude sentì che il Figlio di Dio, dall'alto del suo patibolo, diceva al Padre: « Eccomi, o Padre, rivestito dell'umana natura, che ho assunto per la salvezza del mondo; io vengo con una falange di anime fedeli ad offrirti le mie suppliche ». Ella comprese che l'Eterno Padre era stato placato con quelle semplici parole, più che se gli avessero offerto una soddisfazione che superasse cento volte i peccati degli uomini.

Le sembrò che il Padre, innalzando la Croce, dicesse: « Hoc erit signum foederis inter me et terram - Ecco il segno dell'alleanza fra me e la terra » (Gen. IX, 13).

In altra occasione il popolo era assai preoccupato per il maltempo. Geltrude ed altre anime avevano implorato la misericordia di Dio, senza nulla ottenere; allora la Santa disse fiduciosamente a Gesù: « O vero Amico degli uomini, come puoi resistere a tante preghiere? Io sono l'ultima delle tue creature, pure è tale la mia confidenza in Te, che potrei io sola impetrare favori molto più grandi; perchè tardi ad esaudire la voce di tutto un popolo? ». « Pensi tu - rispose il benignissimo Salvatore - che un padre si stancherebbe di ascoltare suo figlio domandargli uno scudo, se a ciascuna delle sue domande potesse mettergli in serbo cento monete d'oro? Non ti sorprenda dunque se Io vi lascio supplicare inutilmente, come a voi sembra; ogni qualvolta m'invocate per ottenere un cielo più sereno, anche allora che m'indirizzate a questo scopo solo una parola, o un languido desiderio, aggiungo ai vostri eterni tesori più assai di cento monete d'oro ».


CAPITOLO XXXII. - BUONI DESIDERI E SOGNI ANGOSCIOSI


Udiva un giorno. Geltrude cantare nella Messa da morto, quel versetto del salmo: « Sicut cervus », e a quelle parole « Sitivit anima mea », per rianimare il suo fervore, esclamò: « Tu sei, mio Dio, l'unico vero bene e i miei desideri di possederti sono così poco accesi! Quanto è raro il caso che possa dire con verità: « L'anima mia ha sete di Te! ».

« Guardati tuttavia » rispose Gesù « di dirlo di rado; ripetilo anzi di frequente, perchè è tale la tenerezza del mio amore per gli uomini, che allorchè alcuno dei miei eletti desidera un bene qualunque, io gli sono grato del suo desiderio come se Io stesso ne fossi l'oggetto, perché il bene che desidera è in me, ed è da me che ogni bene deriva. Così quando alcuno dei miei amici desidera la salute, la tranquillità, il benessere, la scienza, o altri simili beni, io mi considero come l'oggetto stesso del suo desiderio, affine di avere un motivo, un pretesto d'aumentare i suoi meriti, la sua ricompensa, a meno che non guasti tale desiderio con un'intenzione colpevole, quale sarebbe volere la salute per fare il male, la scienza per vanità.

« Di qui viene - proseguì Gesù - che mando frequentemente al miei diletti infermità corporali, desolazioni di spirito, afflizioni di ogni genere. Essi desiderano allora di sottrarsi a questi mali, di ricevere beni contrari e il mio Cuore, ardente d'amore, geloso di aumentare le loro ricchezze eterne, trova in questi desideri l'occasione di sodisfare la sua liberalità secondo le leggi della giustizia.

« Altra volta ancora, Io, la cui delizia è di stare coi figli degli uomini, non trovando nulla in un'anima che possa piacermi, le mando tribolazioni, dolori di corpo e di spirito; tali pene mi forniscono motivo legittimo di abitare presso di lei, perchè, secondo la parola della Scrittura, l'inclinazione della mia bontà mi conduce e mi trattiene presso coloro che sono afflitti di cuore « Il Signore è vicino a coloro che hanno il cuore afflitto » (Salmo XXVII, 19). Sarò con lui nella tribolazione (Salm. XC, 15). La considerazione di tali eccessi d'amore colma di riconoscenza il cuore della creatura, che è forzata a esclamare con l'Apostolo: « O profondità delle ricchezze, della sapienza e della scienza di Dio, come sono incomprensibili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie! » (Rom. XI, 33).

Una notte Geltrude assaporava nel sogno le delizie di un banchetto celeste. Quando fu desta disse al Signore in atto di ringraziarlo: « Perché, o Gesù, consolarmi così con tanta dolcezza, mentre io non merito alcuno dei tuoi doni, e tanti altri sono tormentati da sogni spaventosi? ». Le rispose il Signore: « E' la mia paterna Provvidenza, che permette durante il sonno tali turbamenti. Quando alcuno dei miei amici non contraria in nulla durante il giorno la cupidigia naturale dei sensi, privandosi così da se stesso dei beni celesti, io gli mando la notte incubi, terrori, spaventi, affinchè quei patimenti gli facciano acquistare qualche merito ». « Ma Signore - insistette Geltrude - di qual merito possono essere ai tuoi occhi, i patimenti che nessuna retta intenzione riferisce al tuo servizio, e al quali la volontà è ripugnante? ». Gesù rispose: « La mia benignità saprà volgerli a qualche profitto anch'essi. Benché un ornamento d'oro e di diamanti sia da preferirsi, tuttavia certa gente si stima felice di portare, in mancanza d'altro, anche gioielli di cristallo e di rame. Così avviene appunto di tali persone ».

Un giorno Geltrude aveva recitato le ore canoniche un po' distrattamente; ad un tratto le apparve il nemico dell'umano genere che, con aria beffarda, si sforzava d'imitarla per deriderla e andava terminando il salmo: « Mirabilia testimonia tua », (Ps. CXVIII, 12) precipitando e sopprimendo sillabe e parole. Terminato il versetto egli le disse sardonicamente: « Veramente il tuo Creatore, il tuo Salvatore, l'Amico del tuo cuore ha bene trafficato i suoi doni, dandoti una così grande facilità d'eloquio! Tu hai il talento di pronunciare discorsi stupendi, ma quando ti rivolgi a Dio, sei così precipitata nel tuo dire che, in un solo salmo, hai omesso tante sillabe, tante lettere e tante parole». Geltrude comprese allora che quello scaltro nemico aveva contato esattamente e con precisa minutezza le sillabe omesse nella salmodia, e pensò quale terribile accusa avrebbe portato al momento della morte contro coloro che recitano abitualmente l'Ufficio con negligenza e con precipitazione.

Un'altra volta mentre filava, lasciò sfuggire qualche tenuissimo fiocchetto di lana, pur tenendo la mente fissa in Dio, al quale aveva offerto il lavoro. Vide ben tosto il demonio raccogliere quei fili, per accusarla di negligenza. Ma il Signore, invocato con fede dalia Santa, cacciò il demonio, rimproverandolo d'aver osato intervenire in un'azione che gli era stata precedentemente offerta, con tanto amore.


CAPITOLO XXXIII. - COME NOSTRO SIGNORE E' FEDELE NELL'ESAUDIRCI


Un giorno Geltrude, in un ardente impeto d'amore, disse a Gesù: « O mio Signore, potessi io pregarti, affidandoti tutte le mie brame! ». E il Signore: « Sì, mia regina, e mia signora, comandami ed io mi affretterò a obbedirti, come un suddito obbedisce alla sua sovrana». Ma la Santa obbiettò: « Non voglio, mio Gesù, muovere dubbi intorno alla tua misericordiosa parola, però, nonostante il rispetto che provo per la tua accondiscendente bontà, permettimi di domandarti perchè mai ora ti mostri così disposto a esaudire la tua povera ancella, mentre poi tante volte le mie preghiere risultano senza effetto?». Gesù le rispose con questo paragone: « Se una regina occupata nel lavoro, dicesse ai suo servitore: « Dammi il filo che pende dalla mia spalla sinistra » s'affretterebbe il servo ad obbedirla, ma, accorgendosi che il filo sta appeso alla destra, lo toglierebbe delicatamente, persuaso che è meglio agire in tal modo, piuttosto che strappare violentemente un filo dalla parte sinistra. Così, quando io che sono la Sapienza incarnata, sembro non esaudirti secondo i tuoi desideri, dispongo però le cose in modo a te vantaggioso, e ti accordo grazie ben più preziose di quelle che tu domandi ».


CAPITOLO XXXIV. - PROFITTO CHE GLI UOMINI POSSONO RITRARRE DALL'OFFERTA FATTA DAL SIGNORE E DAI SANTI


Geltrude doveva comunicarsi una mattina, ma non si sentiva convenientemente preparata e ne gemeva dal profondo del cuore. Allora pregò la Vergine e tutti i Santi di offrire a Gesù le ferventi disposizioni che avevano quando in terra s'accostavano alla Mensa Eucaristica. Anzi, salendo ancor più in alto con la sua ineffabile confidenza, Geltrude pregò Gesù stesso d'offrire quella perfezione di cui era adornno nel giorno dell'Ascensione, quando si presentò al Padre per essere glorificato. Più tardi, riflettendo alla preghiera fatta, Ella andava domandandosi quali frutti ne avrebbe ricavato. Le affermò Gesù: « Allo sguardo della Corte celeste apparisti rivestita dei magnifici paludamenti che hai desiderato ». E aggiunse: « Perchè manchi di confidenza? Stenteresti forse a credere che Io, che sono il Dio di bontà e di potenza, abbia la facoltà di compiere quello che può fare l'ultimo venuto? Infatti quando una persona in terra vuol onorare un amico indigente, gli presta la sua veste perchè possa fare bella comparsa; non farò io altrettanto con le anime che di me si fidano? ». Geltrude si ricordò allora che in quel giorno, aveva promesso ad alcune persone di comunicarsi per loro, e pregò Dio di accordare alle medesime il frutto del Sacramento. Gesù le disse: «Accordo loro la grazia bramata, però saranno libere di servirsene a loro talento ».

Siccome Geltrude volle sapere in qual modo desiderava che quelle anime ne approfittassero, il benigno Salvatore aggiunse: « Esse ne trarranno grande vantaggio se spesso, con cuore puro e volontà docile, a me si rivolgeranno per implorare grazia e misericordia; allora rifulgeranno di quegli stessi ornamenti che tu loro hai ottenuto con la tua fiduciosa preghiera ».


CAPITOLO XXXV. - EFFETTI DELLA S. COMUNIONE


Geltrude pregò una volta il Signore di concederle la grazia che all'ora della morte, il suo ultimo cibo fosse il vivifico Sacramento dell'Eucaristia: ma un'illuminazione soprannaturale le fece comprendere che non aveva chiesto la cosa migliore. L'effetto di questo Sacramento non è per nulla diminuito dalle cure che per necessità si prestano al corpo, e tanto meno da quel po' di cibo che le misere condizioni di un ammalato possono esigere e che egli prende anche contro sua voglia, per sostenere la vita a gloria di Dio. Anzi, se in virtù dell'unione che per l'azione sacramentale si stabilisce fra l'anima e Dio tutto ciò che è buono acquista un valore più grande, tanto più diventerà meritorio nell'ora della morte tutto ciò che si farà con intenzione pura, dopo d'aver ricevuto il SS. Sacramento. La pazienza nel dolore, il cibo e la bevanda, tutto diventerà occasione di meriti in virtù dell'unione sacramentale col Corpo di Cristo.


CAPITOLO XXXVI. - VANTAGGI DELLA S. COMUNIONE FREQUENTE


Un giorno, prima di accostarsi alla S. Comunione, Geltrude chiese a Gesù: « Signore, che cosa mi darai? », Egli le rispose: « Mi darò a te, come mi sono dato alla mia SS. Madre ». Insistette la Santa: « Ieri le mie consorelle ti ricevettero con me, oggi esse si astengono dalla S. Comunione; cosa avrò più di loro poichè Tu ti dai sempre tutto intero? ». E Gesù: « Nel mondo il governatore che è stato incaricato delle sue alte funzioni due volte, ha la precedenza di fronte a colui che vi è stata eletto una volta sola; come non sarà più glorioso in cielo colui che più di frequente mi avrà ricevuto in terra? ». « Oh, quanto grande adunque - esclamò Geltrude - sarà la gloria dei Sacerdoti che si comunicano ogni giorno! ». « Certo - disse Gesù - che la loro gloria sarà meravigliosa, purchè si comunichino degnamente. Non bisogna però confondere l'amore di un'anima che a me si unisce sacramentalmente, con la gloria di cui è rivestito colui che celebra i sacri misteri; così le ricompense sono diverse; diverse per il cuore ardente d'amore e di desiderio; diverse per chi mi riceve con timore e riverenza; diverse ancora per coloro che si preparano a ricevermi con una lunga e fervorosa preghiera; ma nessuna ricompensa verrà accordata a chi celebra i divini misteri con freddezza e per abitudine ».


CAPITOLO XXXVII. - COME IL SIGNORE CORREGGE I DIFETTI DELL'ANIMA AMANTE


In una solennità della Vergine Maria, Geltrude, avendo ricevuto favori eccelsi, considerava amaramente la sua ingratitudine e negligenza. Le sembrava di non aver mai reso degni omaggi alla Madre di Dio ed agli altri Santi. Eppure avendo ricevuto grazie stupende, sentiva il bisogno di offrire lodi superne.

Il Signore, volendola consolare, si rivolse alla Vergine ed ai Santi: « Non ho forse io riparato sovrabbondantemente le negligenze della mia Sposa a vostro riguardo, quando mi sono comunicato ad essa, davanti a voi, nelle delizie della mia Divinità? ». « In verità - risposero - la sodisfazione ricevuta è stata incommensurabile ».

Allora Gesù si rivolse con tenerezza verso la sua Sposa dicendole: « Questa riparazione non ti basta? ». « O benignissimo Signore, - rispose - certo che mi basta, ma non posso essere pienamente felice, perchè un pensiero turba la mia gioia: conosco la mia debolezza e penso che, dopo aver ricevuto la remissione delle mie passate negligenze, potrei commetterne altre ancora », Ma il Signore aggiunse: « Mi darò a te in un modo così completo, da riparare non solo le colpe passate, ma anche quelle che in avvenire potranno contaminare l'anima tua. Sforzati però, dopo d'avermi ricevuto nel SS. Sacramento, di mantenerti in una perfetta purezza ». E Geltrude: « Ohimè! Signore, temo assai di non essere capace di praticare tale condizione, perciò ti prego, o amabilissimo Maestro, d'insegnarmi a cancellare immediatamente ogni macchia di peccato », « Non permettere - rispose il Signore - che la colpa rimanga neppure un momento sull'anima tua, ma appena t'accorgerai di qualche imperfezione, invocami con quel versetto « Miserere mei Deus » oppure con questa preghiera: « O Cristo Gesù, unica mia salvezza, per i meriti della tua morte salutare, dammi il perdono di tutti i miei peccati».

In seguito Geltrude si comunicò e l'anima sua le parve limpida come purissimo cristallo, più bianca della neve. La divinità di Gesù, ch'ella aveva ricevuto, splendeva quasi oro finissimo che rifulge attraverso il cristallo, producendovi operazioni così meravigliose e così dolci, che l'adorabilissima Trinità e tutti i Santi gustarono ineffabili delizie. Geltrude compresa allora che tutto quanto si è perduto spiritualmente, può riacquistarsi per mezzo della SS. Comunione, degnamente ricevuta. Infatti la divinità agiva in essa in modo cosi eccelso, che tutta la Corte celeste proclamava di gustare gioie ineffabili, mirando l'anima sua pervasa di luce divina.

Riguardo poi a quello che più sopra abbiamo affermato, cioè che il Signore le aveva promesso di cancellare perfino le colpe future, bisogna intendere la cosa in questo senso: come attraverso ad un prisma di cristallo si può vedere ugualmente da tutte le faccie ciò che il cristallo racchiude, così l'operazione divina si sarebbe compiuta in Geltrude, tanto se fosse stata attenta e fedele nella pratica delle buone opere, quanto se la fragilità umana avesse momentaneamente distolta la sua attenzione.

Ma perchè tale meravigliosa, salutare opera potesse compirsi, era necessario che l'anima non fosse oscurata da ombra di colpa pienamente avvertita.


CAPITOLO XXXVIII. - EFFETTO DEL DIVINO SGUARDO


Geltrude, nella sua fervente pietà, desiderava con infuocato ardore di comunicarsi. Una volta, essendosi sforzata di apparecchiarsi meglio ancora del solito, esaurì così le sue forze che la notte della domenica provò tale debolezza da sembrarle impossibile di poter accostarsi al sacro Banchetto. Si rivolse allora a Gesù per consultarlo e conoscere la sua santa volontà: Egli rispose: « Lo sposo che ha gustato cibi deliziosi, trova maggior piacere a starsene con la sposa nell'intimità della camera nuziale, invece di rimanere ancora assiso a tavola. Così io sarei contento che tu oggi; per spirito di discrezione, omettessi di ricevermi nella S. Eucarestia ». E Geltrude: « Come mai, amantissimo Gesù, puoi dichiarare di essere del tutto sazio? ». Rispose il Signore: « Il raccoglimento dei sensi, la sobrietà delle parole, il. fervore dei desideri e delle preghiere con cui ti sei preparata alla S. Comunione mi hanno nutrito come cibi deliziosissimi ». Nonostante l'estrema debolezza Geltrude assistette alla S. Messa, bramando di comunicarsi almeno spiritualmente. Proprio allora capitò in Monastero un Sacerdote che tornava dalla campagna, ove si era recato a portare il viatico ad un povero infermo. Geltrude, sentendo il suono della campana che la chiamava alla chiesa esclamò con accento infiammato: « O Gesù, gioia dell'anima mia, come sarei felice di riceverti, almeno spiritualmente, se avessi un po' di tempo per prepararmi ». Rispose il Signore: « Il mio sguardo ti purificherà completamente ». In quel mentre si degnò fissare la sua divina pupilla. su Geltrude, dicendo: « Firmabo super te oculos meos - Terrò il mio occhio fisso su di te » (Sal. XXXI, 8). A quelle parole ella comprese il triplice effetto che lo sguardo divino, come raggio, di sole, opera in un'anima, e il triplice modo di prepararsi a riceverlo.

Prima di tutto lo sguardo divino purifica l'anima, toglie ogni macchia e la rende più candida della neve: è l'umile conoscenza dei propri difetti che produce questo risultato.

Secondariamente lo sguardo della divina Bontà ammorbidisce l'anima e la dispone a ricevere i doni spirituali, come la cera che si ammollisce ai raggi dei sole, diventando atta a ricevere le varie impronte: effetto che si ottiene mediante la buona volontà.

Terza cosa, il divino sguardo feconda l'anima che allora produce fiori di virtù come la terra ci dà frutti vari e saporiti, quando è riscaldata dai raggi vivificanti del sole: si raggiunge tale scopo con un pieno abbandono alla Volontà di Dio ed una ferma confidenza nella divina Bontà che fa servire a nostro bene, tanto le cose prospere come le avverse.

« In seguito, siccome le Monache si comunicavano alternativamente a due SS. Messe, apparve il Signore che con tenerezza ineffabile distribuiva loro il Pane consacrato, mentre il Sacerdote segnava ogni Ostia con la Croce.

Ora, quando Nostro Signore distribuiva ciascuna Ostia, pareva accordare a Geltrude una potente benedizione. Ella ne fu alquanto sorpresa.

« Oh Signore - esclamò - Tu mi colmi di favori meravigliosi. E' possibile che le mie Consorelle che ti ricevono Sacramentalmente, ottengano maggiori ricchezze? ». E il Signore: « Colui che si orna di gioielli preziosi è forse più ricco di chi tiene racchiusi i suoi tesori? ». Queste parole le fecero capire che, se la S. Comunione Sacramentale accorda grazie salutari di cui anima e corpo sentono effetti potenti, pure chi, con retta intenzione di glorificare Dio, si astiene dalla S. Comunione per obbedienza, o per discrezione, pur desiderando ardentemente di ricevere il Cibo divino, merita la stessa ampia benedizione a Geltrude accordata dalla divina carità, cioè frutti di grazia molto copiosi. Tuttavia bisogna sempre ricordare che l'ordine e il segreto di tale azione di Dio rimangono celati all'umano intelletto.


CAPITOLO XXXIX. - QUANTO SIA UTILE RICORDARE LA PASSIONE DI GESU' CRISTO


Geltrude, considerando un giorno la sua indegnità, si scoraggiò in tal modo da determinare un arresto sulla via della perfezione. Allora il Signore, nell'immensa sua bontà, si chinò verso di lei, dicendole: « Secondo l'etichetta che regola i doveri degli sposi, conviene al re recarsi dalla regina per visitarla nelle stanze ove riposa».. Tali parole fecero capire a Geltrude che Dio si ritiene obbligato verso l'anima che medita con amore la Sua Passione, come il re che ha dei doveri da compiere riguardo alla regina in virtù del matrimonio che li unisce.

Ella riconobbe allora di avere meritato l'amabilissima visita del Salvatore, perchè si era applicata a meditare, un venerdì, la Passione e comprese che, qualsiasi anima, benchè assai tiepida nella divozione, otterrebbe favori eccelsi se ricordasse con amore i patimenti di Gesù.


CAPITOLO XL. - COME IL DIVIN FIGLIO PLACA IL PADRE


Geltrude un giorno domandava a se stessa quale dei lumi soprannaturali che la bontà divina le aveva accordati, sarebbe stato più utile manifestare agli uomini per loro profitto. Il Signore rispose al suo pensiero così: « L'uomo dovrebbe sempre ricordare che Io, Figlio della Vergine, sono continuamente occupato a patrocinare presso mio Padre, la causa del genere umano. Ed ecco come placo la sua giustizia. Quando l'uomo, per fragilità, si macchia di colpa, offro all'Eterno Padre in espiazione, il Cuor mio immacolato. Se pecca con la bocca, Gli presento la mia innocentissima bocca; se il male penetra nelle sue opere, offro al Padre le mie mani trafitte, ed oppongo così in diverse maniere, la mia innocenza ai peccati dei fratelli, afnnchè, se lo vogliono, possano facilmente ottenere perdono e misericordia. Io vorrei che i miei eletti, ogni qualvolta tale remissione viene loro accordata, si ricordassero con opportuni ringraziamenti, che essi devono al mio misericordioso intervento, un perdono così pronto e completo ».


CAPITOLO XLI. - PIO SGUARDO AL CROCIFISSO


Un venerdì, mentre Geltrude rimirava il Crocifisso, fu penetrata tutta di dolore e d'amore. Ella disse fiduciosamente a Gesù: « Dolcissimo e amantissimo Salvatore, quanto hai sofferto oggi per la mia salvezza! Ed io miserabile ho trascorso l'intera giornata in occupazioni futili, senza ricordare quanto ogni ora hai patito per me Tu che, essendo la vita, sei morto per amore del mio amore! ».

Gesù dall'alto della Croce le rispose: « Io ho supplito alle tue negligenze, raccogliendo oggi, d'ora in ora, nel mio Cuore, quanto avresti dovuto radunare nel tuo, ed è così colmo di grazie per te, che ne è come ingombro, così che aspettavo ansiosamente il momento in cui tu mi avresti diretta questa preghiera perchè senza di essa, tutto quanto ho accumulato per Te non ti avrebbe giovato a nulla. Con questa preghiera invece tu puoi appropriartelo davanti a Dio Padre, come cosa tua ».

Riconosciamo l'amore di Dio per gli uomini! Appena l'anima negligente ha formulato un solo pensiero di rimpianto, Gesù offre a Dio Padre, soddisfazione per essa e lo fa con tale pienezza che ogni colpa resta riparata. Oh, quanto merita di essere benedetta e ringraziata una tale misericordia!

Un giorno, mentre Geltrude contemplava con divozione il Crocifisso, comprese che l'anima, guardando amorosamente l'emblema della nostra Redenzione, merita che Dio rivolga con bontà il suo sguardo verso di lei. Sotto l'influsso del medesimo sguardo essa diviene brillante come uno specchio, ove si riflette l'immagine del Salvatore; la Corte celeste si rallegra a tale vista e l'anima ne ha aumento di merito per l'eterna ricompensa.

Geltrude ricevette anche questo insegnamento: quando l'uomo guarda il Crocifisso con divozione, deve pensare che Gesù gli dica con bontà: « Ecco come per tuo amore ho voluto essere appeso nudo, sfigurato, coperto di piaghe, con le membra violentemente distese su d'una Croce! Il mio Cuore è così appassionatamente amante del tuo che, se per salvarti fosse necessario, sopporterei di bel nuovo, volentieri per te sola, tutto quanto ho sofferto per il mondo intero!». Tali pensieri devono ridestare nei cuori sentimenti di riconoscenza, perchè è sempre effetto di una grazia divina che gli occhi degli uomini incontrino l'immagine della Croce, e non ve li fissino mai senza che l'anima ne risenta salutari impressioni. La contemplazione dei dolori di Gesù è sempre di profitto; perciò sarebbe assai colpevole il cristiano ingrato che trascurasse di venerare Colui che si è offerto come prezzo inestimabile del nostro riscatto.

Altra volta, mentre il suo spirito era immerso nella considerazione dei patimenti del Redentore, comprese che le preghiere, o meditazioni che hanno qualche relazione con tali misteri, portano all'anima maggior frutto degli altri esercizi. Infatti come è impossibile maneggiare la farina senza impolverarsi, così l'anima non può meditare la Passione, sia pure con poco fervore, senza trarne qualche vantaggio. Quando una persona legge qualche punto dei dolori di Gesù, essa procura all'anima sua una specie di attitudine e facilità a ricevere i frutti dei medesimi dolori, giacchè l'intenzione di chi medita frequentemente la Passione. è più fruttuosa delle innumerevoli intenzioni di altri che non se ne occupano mai. Sforziamoci dunque di coltivare tale sacro ricordo, affinchè diventi per noi favo di miele alla bocca, melodia armoniosa all'orecchio, allegrezza ineffabile al cuore.


CAPITOLO XLII. - IL FASCETTO DI MIRRA


Geltrude vicino ai letto teneva il Crocifisso. Una notte parve chinarsi su lei, quasi stesse per cadere; essa lo rialzò teneramente, dicendo: « O dolcissimo Gesù, perchè t'inchini? ». Rispose Egli: « L'amore del mio Divin Cuore mi trae verso di te». Allora ella prese la santa immagine, se la strinse al cuore, la coperse di carezze e di baci esclamando: « Fasciculus myrrhae dilectus meus mihi. - Il mio diletto è per me un fascetto di mirra » (Cent. 1, 12). L'amabile Salvatore, terminando la citazione, a nome suo, aggiunse: «Inter haec ubera mea commorabitur - Egli dimorerà sul mio seno» (Ibid.).

Inoltre le insegnò che l'uomo deve unire tutte le sue pene e difficoltà alla sua santissima Passione, così come s'introduce un ramoscello di fiori in un fascetto di mirra. Se il numero e l'intensità dei suoi mali lo portano all'impazienza, deve ricordare l'ammirabile dolcezza del Cuore di Gesù che, simile a mansueto agnello, si è lasciato prendere ed immolare per la nostra salute, senza proferire lamento. Se l'uomo sta per vendicarsi del male ricevuto, ricordi con quale generosità il suo Dio non rese mai male per male, né fece vendetta per gli oltraggi ricevuti. Anzi, in ricambio degli atroci dolori che gl'inflissero, riscattò con lei sofferenze e con la morte, coloro che l'avevano perseguitato fino a vederlo spirare sotto i loro occhi. Infine se l'uomo sente odio contro i suoi nemici, ricordi l'eccessiva mansuetudine con la quale l'amorosissimo Figlio di Dio, fra i dolori cocenti della Passione e le angosce di morte pregò per coloro che lo crocifissero, dicendo: « Pater, angosce illis etc. - Padre, perdona loro ecc. ». Unendosi a quello stesso amore, preghi lui pure per i suoi nemici.

Aggiunse ancora Gesù: « Se alcuno avvolge e nasconde, per così dire, le sue pene nel fascetto di mirra dei miei dolori e si fortifica agli esempi della mia Passione, cercando d'imitarli, diventa allora veramente colui che inter ubera mea commorabitur. Io gli accorderò con tenerezza speciale, tutto ciò che ho meritato mediante la mia pazienza e le altre virtù, affinché le sue ricchezze siano aumentate ».

Geltrude chiese allora: « Gradisci, o mio Gesù, l'amore che si porta all'immagine della tua Croce? » « Io l'accetto con profonda gratitudine - rispose - però coloro che venerano la Croce senza imitare i miei esempi, assomigliano ad una madre che riveste la sua figliuola con abiti a sua scelta, senza tener conto dei gusti della sua creatura e talvolta facendole sopportare amari rifiuti. Finchè la figlia non si veda assecondata, nelle sue brame, non è riconoscente per le spese fatte a suo riguardo, perchè sa che la mamma l'adorna per sodisfare alla sua vanità e non per vera tenerezza. Così tutte le prove d'amore, di lode, di rispetto prodigate al Crocifisso non possono farmi piacere, se non, si cerca nello stesso tempo d'imitare gli esempi della mia Passione».


CAPITOLO XLIII. - L'IMMAGINE DEL CROCIFISSO


Geltrude desiderava ardentemente di avere un Crocifisso per venerarlo spesso con amore; però cercava di moderare il suo desiderio, temendo che quell'esercizio esteriore troppo assiduo, fosse a detrimento delle sue predilette pratiche interiori. Gesù le disse allora: « Non temere, mia diletta figlia; in tale divozione io sono l'unico oggetto dei tuoi pensieri, quindi non può ostacolare le gioie spirituali di cui ti colmo. Ti confido poi che mi torna assai gradito vedere lo strumento del mio supplizio circondato d'amore e di rispetto. Un re che non può sempre stare con la sua sposa diletta, le lascia talora vicino il parente più caro; in questo caso egli ritiene fatte a se stesso tutte le gentilezze che la sposa prodiga a costui, perchè sa che non agisce per impulso di affezione illecita verso un estraneo, ma per casto amore allo stesso suo sposo. Così io trovo le mie delizie negli onori resi alla Croce, perchè sono una prova d'amore per me. Tuttavia non basta contentarsi d'avere la Croce; essa deve rendere più vivo il ricordo dell'amore e della fedeltà che mi hanno fatto sopportare le amarezze della Passione, perchè più che alla sodisfazione personale, bisogna mirare agli esempi che il Crocifisso richiama ».


CAPITOLO XLIV. - COME LA SOAVITA' DIVINA ATTRAE L'ANIMA


Una notte Geltrude, meditando divotamente la Passione, si lasciò trasportare dall'ardore de' suoi desideri, tanto da sentirsene il cuore bruciato come da fiamma: « O mio amorosissimo Gesù, - diss'ella - se gli uomini sapessero quello cha provo, mi consiglierebbero di moderare tali fervori per non nuocere alla salute; ma Tu, che penetri nell'intimo del mio essere, sai bene che nessuno sforzo delle mie potenze potrebbe impedirmi di sentire l'intima dolcezza della tua visita divina ». Rispose il Salvatore: « Chi dunque, a meno che non sia folle, può ignorare che la soavità infinitamente potente della mia divinità supera in misura incomprensibile tutti i diletti umani? Le consolazioni terrestri, paragonate alle celesti, sono come goccie di rugiada di fronte all'immensità dell'oceano. Se gli uomini spesso si lasciano talmente sedurre dai piaceri sensibili da mettere talora in pericolo, non solo la salute del corpo, ma perfino l'eterna salvezza, a più forte ragione un cuore, penetrato dalla soavità divina, si trova nell'impossibilità di reprimere le fiamme di un amore che deve procurargli una felicità senza tramonto».

Ella obbiettò: « Forse gli uomini potrebbero dire che, avendo io fatta la Professione in un ordine cenobitico, debba moderare l'intensità della divozione, per poter praticare tutte le austerità della Regola».

Il Signore si degnò d'istruirla con questo paragone «Immaginati, figlia mia, che alla mensa reale presiedano parecchi ciambellani, pronti a servire con zelo e riverenza il loro Signore. Supponi che il re, stanco ed indebolito per l'età, desideri aver vicino uno di quei servitori per appoggiarsi a lui: non ti sembrerebbe cosa disdicevole, che il ciambellano lasciasse cadere il re, levandosi di scatto, col pretesto che è stato proposto al servizio della tavola? Così non è opportuno che un'anima, chiamata gratuitamente alle delizie della contemplazione, si sottragga sotto pretesto di seguire più perfettamente la Regola. Io sono il Creatore, il riformatore dell'universo, e mi compiaccio infinitamente più di un'anima amante che di altri esercizi, o lavori materiali, che possono anche compiersi senza amore e retta intenzione ».

Il Signore completò il suo insegnamento con queste parole: « Se però alcuno, non attratto dallo Spirito Santo al riposo della contemplazione, facesse sforzi personali per raggiungere tale privilegio, trascurando così la Regola, assomiglierebbe al servitore invadente che, invece di stare in piedi, aspettando gli ordini del padrone, si sedesse a fianco del re, senza esservi invitato: naturalmente si attirerebbe il disprezzo; così colui che aspirasse alla contemplazione divina, che è un favore che nessuno può ottenere senza una grazia specialissima, ne avrebbe più detrimento che profitto pcrchè, da una parte non progredirebbe nella contemplazione, dall'altra sodisferebbe con tiepidezza alle osservanze regolari.

Il Religioso poi che cercasse distrazioni piacevoli, trascurando la Regola senza necessità e per fare i suoi comodi, si potrebbe paragonare al valletto che, destinato a servire il suo signore, se ne andasse come un mozzo di stalla ad insudiciarsi nel riordino delle scuderie ».


CAPITOLO XLV. - DELICATO OMAGGIO RESO AL CROCIFISSO


Un venerdì Geltrude, dopo d'aver passato l'intera notte in preghiera e in desideri ardenti, si ricordò di aver tolto i chiodi del Crocifisso per porvi boccioli profumati di garofano. Chiese pertanto a Gesù: « O mio diletto Signore, che hai tu pensato quando con atto tenerissimo, tolsi i chiodi dalle dolci ferite dei tuoi piedi e delle tue mani, per porvi fragranti bocciolini? ». Le rispose Gesù: « Tale prova di amore mi ha così consolato che ho diffuso sulle piaghe dei tuoi peccati il balsamo della mia divinità; i santi attingeranno delizie eterne alla vista di quelle ferite asperse da un liquore di così alto pregio ». Insistette Geltrude: « Mio Gesù, accorderai lo stesso favore a tutti coloro che ti onoreranno in questo modo? ». « Non a tutti, - rispose il Signore - ma solamente a quelli che compiranno questo atto con lo stesso tuo amore; però grande sarà la ricompensa anche per le anime che non ti eguaglieranno in fervore e divozione ».

A tali dolci parole, Geltrude prese il Crocifisso, lo coperse di teneri baci e, stringendolo al cuore, gli prodigò tutto il suo amore; poi, sentendosi venir meno per la veglia così prolungata, depose il Crocifisso dicendo: « Ti saluto amatissimo Gesù e ti auguro buona notte: permettimi di dormire perchè possa riavere le forze che ho esaurito in questi nostri dolci colloqui ». Dette queste parole, tolse lo sguardo dal Crocifisso per prendere un po' di riposo.

Ma il Signore, avendo staccato il braccio destro dalla Croce, abbracciò la sua Sposa con infinito amore; e le sussurrò all'orecchio: « Ascolta mia diletta, voglio farti sentire il canto della mia divina dilezione » e sulla melodia dell'inno Itex Christe, factor omnium, cantò, con la dolcissima sua voce, questa strofa:

Amor meus continuus

Tibi languor assiduus,

Amor tuus suavissimus

Mthi sapor gratissimus.

L'amor mio incessante

Eternizza il tuo languore

L'amor tuo avvampante

M'offre il più dolce sapore.

Finito che ebbe, disse: « Ora, invece del Kyrie eleison, che si canta dopo ogni strofa, chiedimi le grazie che desideri ». Geltrude espose le sue suppliche e fu esaudita pienamente. In seguito il Signore Gesù cantò la stessa strofa, invitando la sua Sposa a pregare: dissero così alternativamente parecchie volte le stesse parole, ma Geltrude, per la prolungata insonnia, si sentiva mancare le forze, tanto che divenne necessario ripararle. S'abbandonò un momento al sonno fino all'alba: il Signore Gesù, che sta sempre con coloro che lo amano, le apparve in sogno e lai riscaldò dolcemente sul suo Cuore. Sembrò che nella ferita del Costato preparasse un cibo delizioso, che con le sue mani offrì a Geltrude per rinvigorirla. Infatti si svegliò completamente ristorata, tanto che, nel pieno possesso delle sue forze, sciolse un inno di ringraziamento al suo Signore.


CAPITOLO XLVI. - LE SETTE ORE DELL'UFFICIO IN ONORE DELLA S. VERGINE MARIA


Una notte Geltrude, avendo meditato a lungo la Passione di Gesù, si sentì nell'Impossibilità, per l'estrema, debolezza, di recitare il Mattutino. Si rivolse allora fiduciosa, mente al Salvatore con queste parole: «Ah, mio Dio, poiché le esigenze della natura reclamano imperiosamente il riposo, dimmi almeno quale omaggio potrei offrire, in compenso, alla beatissima tua Madre, per risarcirla dell'Ufficio che non ho detto». Rispose Gesù: «Lodami con la dolce armonia del mio Cuore, per l'innocenza della sua perfetta verginità. Vergine mi concepì, Vergine mi diede alla luce, Vergine inviolabile continuò ad essere dopo la mia nascita, imitando l'innocenza con la quale, fino dai primi albori del giorno, io fui per la salute del genere umano, afferrata, legato, schiaffeggiato, percosso ed avvilito crudelmente con tanti obbrobri e ignominie».

Mentre ella così pregava, vide Gesù presentare alla S. Vergine il suo divin Cuore. Ella vi assorbì un nettare più dolce del miele, e parve come inebbriata per la soavità di quella bevanda. Geltrude disse allora alla Regina del cielo «Ti lodo e ti saluto, Madre di ogni beatitudine, sacrario augustissimo dello Spirito Santo e ti lodo mediante il Cuore dolcissimo di Gesù Cristo, Figliolo di Dio Padre e Figliolo amatissimo, supplicandoti di soccorrerci in tutti i nostri bisogni e nell'ora della nostra morte. Così sia!». Geltrude comprese che se alcuno lodasse il Signore con la suddetta aspirazione per glorificare la Vergine Maria, offrendole ogni volta il Cuore del suo amato Figlio, la Sovrana celeste accetterebbe volentieri tale omaggio, ricompensandolo secondo la generosità della sua materna tenerezza.

Aggiunse il Signore: «All'ora di Prima lodami, mediante il mio dolcissimo Cuore, per quella sì cara umiltà con la quale la Vergine tutta pura si rese, di giorno in giorno, più degna di ricevermi e d'imitare il divino abbassamento col quale Io, che sono il giudice dei vivi e dei morti, mi degnai alla prima ora del giorno, di comparire al tribunale di un gentile per operare la redenzione del genere umano.

All'ora di Terza lodami per quell'ardente desiderio coi quale la Vergine amabilissima mi attrasse dal seno del Padre nel suo grembo verginale, e m'imitò infiammandosi di quei divini ardori che mi facevano sospirare la salute del mondo, allorché lacerato da crudeli sferze e coronato di spine, mi degnai di portare con tanta dolcezza e pazienza, sulle spalle stanche ed insanguinate, la Croce ignominiosa.

«All'ora di Sesta lodami per quella ferma confidenza, con cui la Vergine celeste, per la sua buona volontà e sante intenzioni, incessantemente aspirò a vedermi glorificato: così Essa m'imitò e corrispose a quello zelo che mi consumava allorchè sospeso sulla Croce, in mezzo alle più crudeli amarezze, sospiravo con tutte le forze la redenzione del genere umano, esprimendo il mio desiderio con quelle parole "Ho sete", cioè ho sete delle anime, ho sete al punto che, se fosse necessario, soffrirei supplizi ancora più crudeli ed amari, offrendomi ad ogni eccesso di dolore per riscattare l'uomo.

«All'ora di Nona lodami per quel mutuo ardente amore che unisce il mio Cuore divino con quello della Vergine Immacolata, di quella Vergine che nel seno verginale uni inseparabilmente l'eccellenza della Divinità con la debolezza dell'Umanità. Amandomi in tale guisa Ella riprodusse l'immagine fedele di quell'amore che dimostrai allorchè io, Autore della vita, soccombetti all'ora di nona sulla Croce ad una morte amarissima per la redenzione del genere umano.

« All'ora di Vespro lodami per quella costanza con cui, dopo la fuga degli Apostoli, in mezzo all'universale abbandono, la Vergine restò sola, all'avvicinarsi della mia morte, immobilmente fedele. Imitò così quella divina fedeltà con cui, dopo la mia morte e la deposizione dalla Croce, ricercai gli uomini fino al Limbo per toglierveli con l'onnipotente mio braccio e condurli alle gioie del cielo.

«All'ora di Compieta, lodami per quell'ammirabile perseveranza con la quale la mia dolce Madre continuò fino alla morte in ogni sorta di virtù e di opere buone, imitando lo zelo con cui io, dopo d'avervi ottenuta, con amarissima morte la vera libertà, non ricusai alla tomba il mio Corpo incorruttibile, per mostrare all'uomo che non vi è cosa, per vile che sia, a cui non mi sottometta per la sua eterna salvezza».


CAPITOLO XLVII. - MANIFESTAZIONE DELL'AMICIZIA DEL SIGNORE


Geltrude sentiva il peso delle relazioni con le creature perchè un'anima che ama veramente il Signore, trova fuori dì Lui noia e sofferenza.

Così le capitava molto spesso di togliersi di scatto da ogni commercio umano per correre dal suo Gesù, dicendo: « Eccomi qui, o mio Maestro: la conversazione delle creature annoia l'anima mia, che si diletta solo in Te; dò quindi un addio a tutti e me ne vengo a Te, o mio sommo Bene, unica gioia del mio cuore».

Baciando allora le cinque Piaghe del Crocifisso, Geltrude diceva ad ognuna: « Io ti saluto, Gesù, Sposo adorno delle tue cinque Piaghe come di altrettanti fiori; ti saluto e ti abbraccio con un amore che vorrebbe riunire tutti gli amori, con la compiacenza della tua stessa Divinità, deponendo il mio ardente bacio sulle ferite dell'amor tuo ». A tali parole Gesù pareva consolato e Geltrude gustava la soavità della vera divozione. Ella chiese un giorno al Signore se tale esercizio gli fosse assai gradito, quantunque v'impiegasse solo qualche minuto. Rispose il Salvatore « Ogni volta che tu fai quest'azione, appari agli occhi miei come un amico che offre per un giorno ospitalità all'amico, sforzandosi di dimostrargli, con ogni sorta di attenzioni e di delicatezze, l'amor suo. Quell'ospite, così bene accolto, penserebbe in cuor suo il modo di ricambiare tanta cortesia quando l'amico verrebbe, a sua volta, a visitarlo; così il Cuor mio va amorosamente meditando quale ricompensa ti accorderà nell'eterna vita, per tutte le tenerezze che mi hai prodigato sulla terra. Ti renderò il centuplo, secondo la regale munificenza della mia potenza, sapienza e bontà ».


CAPITOLO XLVIII. - EFFETTI DELLA COMPUNZIONE


Il Monastero di Geltrude si trovava in forti preoccupazioni per l'avvicinarsi di un nemico che si diceva fortemente armato. In tale frangente le Monache decisero di recitare il Salterio, dicendo alla fine di ciascun versetto « O Lux beatissima », con l'antifona « Veni Sancte Spiritus ». Geltrude pregava con grande dívozione insieme alle sue Consorelle e comprese che, con quella preghiera fatta sotto l'egida dello Spirito Santo, il Signore convertiva parecchie anime. Egli voleva che dopo d'avere riconosciuto le loro negligenze, ne concepissero vera contrizione, col fermo proposito d'emendarsi; e di evitare, per quanto possibile, di peccare in avvenire.

Mentre alcune Consorelle provavano tali sentimenti, Geltrude vide elevarsi dal loro cuore, mosso dallo Spirito Santo, una specie di vapore che si diffondeva in tutto il Monastero, cacciando i nemici; più un cuore era contrito e volonteroso di bene, più il vapore che da esso sfuggiva, aveva la forza di cacciare le potenze ostili.

Ella comprese allora che il Signore, con quella preoccupazione per la minaccia degli assalitori, voleva attrarre più intimamente i cuori di quel privilegiato Monastero, affinchè, spezzati dal dolore e purificati da ogni colpa, si rifugiassero sotto la sua paterna protezione, per attingervi il concorso delle divine consolazioni.

Dopo l'aver ricevuto questa luce ella disse a Gesù: « Perché mai, amatissimo Maestro, le rivelazioni di cui la tua bontà mi favorisce sono così differenti da quelle che accordi ad altre? Perché permetti che vengano conosciute mentre preferirei tenerle nascoste? ».

Rispose Gesù: « Se uno scienziato, interrogato da personaggi di diverse nazioni, rispondesse a tutti in una sola lingua, ben pochi lo capirebbero. Ma se parla ad ognuno il suo linguaggio, cioè il latino al latino, il greco al greco, la sua alta sapienza si manifesterà appunto perchè sa farsi comprendere da tutti. Così avviene anche di me; più è grande la diversità con cui comunico i miei doni, e maggiormente risplende la profondità inesauribile della mia sapienza. -

« Tale sapienza tratta ciascuno secondo la sua propria capacità e secondo le tendenze di ciascun'anima; parlo ai semplici con immagini e paragoni sensibili e propongo a coloro che hanno l'intelligenza più vigorosa, immagini più complicate e simboli più oscuri ».


CAPITOLO XLIX. - PREGHIERA GRADITISSIMA AL SIGNORE


In altra consimile occasione la Comunità recitò il salmo: « Benedic anima mea, Domino», aggiungendo a ciascuno dei versetti orazioni adatte alla circostanza. Geltrude prese parte divotamente a tali suppliche. Allora il Signore le apparve pieno di grazia e di bellezza. Ad ogni versetto, recitato dalle Monache, prostrate per domandare pietà, Egli si avvicinava a Geltrude per invitarla a baciare la Piaga sacratissima dei Costato. Ella lo baciò un gran numero di volte e Nostro Signore le fece capire che quell'omaggio gli tornava assai gradito.

«Mio amatissimo Gesù - gli disse - poiché questa divozione ti è così cara, ti supplico d'insegnarmi una preghierina in questa senso, e tale che Tu possa gradirla con la stessa bontà da parte di tutti coloro che la reciteranno». L'ispirazione divina le fece capire che Gesù gradirebbe assai la breve supplica seguente, e che tale omaggio sarebbe a lui molto più caro di lunghe preghiere, purchè gli fosse offerto per mezzo del suo dolcissimo Cuore, organo sublime della SS. Trinità.

1. Jesu, Salvator mundi, exaudi nos, cui nihil est impossibile, nasi tantummodo non posse, misexis misereri.

2. Qui per Crucem tuam mundum redimisti, Christe, nudi nos.

3. Ave, Jesu, Spense floride, cum delectamento divinitatis tuae, ex affetto totius universitatis salutans amplector Te, et sic in vulnus amoits deosculor Te.

1. Gesù, Salvatore del mondo, esaudiscimi Tu, a cui nulla è impossibile, fuori che non avere compassione dei miserabili.

2. Tu che, con la Tua Croce hai riscattato il mondo, o Cristo, ascoltami.

3. Ti saluto, o Gesù, mio amabile Sposo, nel gaudio ineffabile della Tua divinità, ti abbraccio con l'affetto di tutto l'universo, e parimenti ti bacio nella Piaga amorosa del Tuo Costato.

In altra occasione, mentre si ripeteva lo stesso Salmo, il Signore Gesù apparve a Geltrude in forma di Crocifisso, lasciando sfuggire dalle sue Piaghe fiamme ardenti che salivano verso il Padre, propiziandone la misericordia a vantaggio del Monastero. Questa visione era la conferma delle predilezioni di Gesù per quella diletta Comunità.


CAPITOLO L. - DELIZIE DI GESU' NEL CUORE DI GELTRUDE


Un giorno, mentre stava apparecchiandosi alla S. Comunione, Geltrude fu presa da un malore che le tolse ogni forza, gettandola in un'estrema prostrandone. Nel timore che la sua divozione ne subisse detrimento disse a Gesù: «O dolcezza dell'anima mia! Ben so che sono indegna di riceverti, e mi asterrei oggi dalla SS. Comunione, se potessi trovare in qualche altra creatura, ristoro e consolazione. Ma dall'Oriente all'Occidente, da Settentrione a Mezzogiorno, non c'è proprio nulla che, all'infuori di Te, possa dare gioia e refrigerio all'anima mia e al mio corpo. Eccomi dunque piena di amore ed anelante per l'ardente desiderio, correre a Colui che è la sorgente di vita! ». Il Signore accettò quella tenera effusione con la solita bontà, e si degnò di rispondere: « Poichè affermi di non trovare piacere in alcuna creatura fuori di me, così io giuro" per la mia divina virtù, che non voglio prendere piacere in alcuna creatura senza di te ». Mentre raccoglieva questa parola così piena di accondiscendente bontà, Geltrude pensava in cuor suo che forse tale benigna disposizione avrebbe potuto cambiare, ma Gesù, entrando nel suo pensiero, le disse « Per me, volere e potere sono un'unica cosa, perciò non posso che ciò che voglio ». Rispose ella: « O amabilissimo Gesù, quali delizie puoi provare in me, che sono il rifiuto di tutte le creature? ». E il Salvatore: « L'occhio della mia Divinità prova estrema dolcezza a mirare colei che ha creata così gradevole al Cuor mio e che ho ricolma di tante grazie. Il mio orecchio è deliziato come da soave musica, ascoltando le parole dolcissime che escono dalla tua bocca, sia che tu preghi con amore per i peccatori, o per le anime purganti, sia che tu riprenda, o istruisca gli altri, sia che corregga alcuno, a mia lode, anche con una sola parola. Quand'anche tali tuoi accenti non avessero per gli uomini alcuna utilità, pure, a motivo del tuo buon volere e della retta intenzione, essi producono al mio orecchio suoni deliziosi che commuovono le intime profondità del Cuor mio. La speranza con la quale tu aspiri senza posa verso di me, esala un profumo squisito che gusto con gioia. I tuoi gemiti e i tuoi desideri sono più accetti al mio palato di cibi prelibati. Nel tuo amore infine trovo i gaudi dei tuoi soavi amplessi ».

Geltrude un giorno sentì un'ardente brama di riacquistare la salute, per poter seguire con fervore e puntualità la Regola del suo Ordine. Il Signore le rispose con bontà: « Perché mai la mia Sposa vorrebbe spiacermi, contrariando i miei voleri? ». Rispose ella: « Potrebbe mai contrariarti una preghiera che è ispirata solo dal desiderio della tua gloria? ». « Le tue osservazioni a questo riguardo - rispose il Salvatore - le considero benignamente, quali semplici fanciullaggini, ma se tu v'insistessi, io non lo vedrei di buon occhio ». Queste parole fecero capire alla Santa che se è bene desiderare la sanità unicamente per servire meglio Iddio, è però molto più perfetto abbandonarsi interamente alla sua Volontà, persuasi che Dio dispone tutto a nostro vantaggio, sia che ci consoli, sia che ci provi con le tribolazioni. »


CAPITOLO LI. - I BATTITI DEL CUORE DI GESU'


Un giorno Geltrude vedeva le Consorelle affrettarsi ad andare in Chiesa per assistere alla predica, mentre essa era ritenuta in cella dall'infermità: « Ah! mio carissimo Signore - dissella gemendo - quanto volentieri andrei alla predica se non fossi ammalata! ». « Vuoi tu, mia diletta, che ti predichi Io stesso? ».

« Assai volentieri » riprese Geltrude. Allora il Signore attrasse la Santa in modo tale, che il suo cuore riposava sui divin Costato. Dopo un momento di ineffabile riposo, ella poté discernere due palpiti dolcissimi ed ammirabili. Le disse Gesù: « Ciascuno di questi palpiti procura la salvezza degli uomini in diverse maniere: il primo quella dei peccatori, il secondo la santificazione dei giusti.

«Col primo palpito d'amore invoco continuamente Dio Padre, lo placo e propizio la sua divina misericordia. Con questo stesso palpito parlo a tutti i Santi, scusando presso di loro i peccatori, con l'indulgenza e lo zelo di un buon fratello, invitandoli ad intercedere per essi. Questo medesimo palpito è il richiamo incessante che dirigo misericordiosamente all'anima colpevole, con un indicibile desiderio di vederla tornare a me, che non mi stanco di aspettarla, « Col secondo palpito ripeto continuamente al padre quanto io sia felice d'avere dato il mio Sangue. per redimere tanti giusti, nel cuore dei quali godo delizie ineffabili. Invito poi la Corte celeste ad ammirare con me la vita di queste anime perfette, a ringraziare Dio per tutti i beni loro accordati e che loro sto preparando. Infine questo palpito del mio Cuore è il trattenimento abituale e familiare che tengo coi giusti, sia per attestare loro deliziosamente il mio amore, sia per riprenderli delle loro imperfezioni e farli, di giorno in giorno, di ora in ora, progredirei sempre.

Come nessuna occupazione esterna, nessuna distrazione della vista, o dell'udito, interrompono i battiti del cuore dell'uomo, così il governo provvidenziale dell'universo non potrebbe mai arrestare, interrompere, rallentare, nemmeno per un istante, fino alla fine dei secoli, questi dolci battiti del mio divin Cuore ».


CAPITOLO LII. - COME OFFRIRE L'INSONNIA AL SIGNORE


Qualche tempo dopo Geltrude passò una notte quasi interamente insonne, rimanendone stanca, e svigorita. Come d'abitudine offrì a Gesù la sua pena in eterna lode, per la salvezza misericordiosa del mondo intero.

Il Signore, compatendo con bontà alla sua sofferenza, le insegnò d'invocarlo, in casi consimili, con questa preghiera: « O Gesù, per la tranquillissima dolcezza con la quale hai riposato da tutta l'eternità nel seno del Padre, per il gradito tuo soggiorno di nove mesi nel seno della Vergine, per le gioie che hai gustate nel cuore di anime particolarmente amate, ti prego, o Dio misericordioso, di degnarti, non per mia soddisfazione, ma per la tua eterna gloria, di accordarmi un po' di riposo, affinchè le mie membra affaticate possano rinvigorirsi ».

Mentre pronunciava questa preghiera, Geltrude vedeva le parole trasformarsi in gradini per aiutarla ad elevarsi fino a Dio. Il Signore le mostrò allora, preparato alla sua destra, un magnifico seggio, dicendole: « Vieni, o mia eletta, reclinati sul mio Cuore e vedi se l'amor mio, sempre vigilante, ti permetta di gustare un po' di riposo».

Quand'ella si fu alquanto ristorata sul Cuore del Signore, raccogliendone i palpiti dolcissimi, disse: « O amor mio, che significano questi tuoi palpiti? ». « Significano - rispose - che quando una persona si trova sfinita e priva di forze per l'insonnia, può rivolgermi tale preghiera per rinvigorirsi e cantare le mie lodi. Se poi non l'esaudisco, ed essa sopporta la sua debolezza con umile pazienza, allora sarà accolta dalla mia divina Bontà con gioia tutta speciale. Un amico non è forse riconoscente se vede l'amico suo più intimo, levarsi subito al suo richiamo, quantunque sia assonnato ed imporsi quel sacrificio per avere la consolazione d'intrattenersi con lui? Tale atto di cortese compiacenza gli è più gradito che se un altro amico, che passa solitamente le notti insonni, si levasse volentieri, ma più per abitudine che per amore. Così colui che mi offre pazientemente la sua infermità, quantunque la malattia e le veglie abbiano esaurito le sue forze, mi è assai più cara di colui che, avendo buona salute, passa l'intera notte in orazione, senza risentire disagio».


CAPITOLO LIII. - AMOROSO ABBANDONO ALLA DIVINA VOLONTA'


Nelle frequenti malattie Geltrude subiva forti traspirazioni con rialzi improvvisi di febbre.

Una notte, sofferente più del consueto, si crucciava per indovinare se il male si sarebbe aggravato o meno.

Le apparve Gesù con l'amabile grazia di un fiore appena sbocciato; nelle palme aperte e stese verso di lei, aveva la malattia e la salute: questa nella destra, quella nella sinistra.

Voleva ch'ella scegliesse. A quest'atto così soave, Geltrude, come di scatto, scostò da sè le due Mani del Salvatore e, reclinando con infantile abbandono il capo sul suo Cuore dolcissimo, nel quale sapeva risiedere la pienezza d'ogni bene: «Signore, - esclamò - io distolgo lo sguardo da Te, per dimostrarti come sinceramente desidero che Tu non tenga conto della mia volontà, ma in tutto quello che mi riguarda Tu abbia a compiere sempre e unicamente il tuo Volere».

Qual tratto sublime! Ella ci insegna che l'anima fedele deve confidare nella divina Provvidenza a tal punto, che le torni dolce d'ignorare i disegni di Dio a suo riguardo, per compiere più perfettamente il suo beneplacito. Gesù fece allora scaturire dal suo Cuore due getti di acqua, che sembravano traboccare come da una coppa troppo piena, per riversarli nell'anima di Geltrude « Poichè rinunci alla tua volontà - le disse - per abbandonarti interamente alla mia, e ti sottrai perfino al mio sguardo per compierla con maggiore perfezione, sappi che io trasfondo in te tutta la dolcezza e la gioia del mio Cuore divino ».

Rispose la santa: « O amorosissimo Salvatore, Tu mi hai dato così spesso il tuo sacratissimo Cuore che vorrei sapere quale altro frutto potrò ritrarre da questa tuo nuovo dono, che mi viene così generosamente offerto ». Egli rispose: « La fede cattolica non insegna forse che chi si comunica una sola volta mi riceve per vantaggio della sua salvezza eterna, e accoglie pure tutti i beni racchiusi nei tesori della mia Divinità, e della mia Umanità? Pure più il cristiano si comunica spesso, e maggiormente arricchisce di gloria il grado che gli è riservato ».


CAPITOLO LIV. - DILETTO DELL'ANIMA IN DIO


Molti pensavano che la continua applicazione di Geltrude all'orazione, fosse la causa del suo stato di languore, o almeno ne impedisse la perfetta guarigione. Fu perciò consigliata d'interrompere i trattenimenti prolungati con Dio, ed ella vi si prestò docilmente, abituata com'era a tener in gran conto l'opinione altrui che preferiva sempre alla sua.

Invece adunque d'attendere alla contemplazione, ella cercava lo svago nel decorare in varie maniere le immagini del Crocifisso, per mantenere sempre vivo in cuore il ricordo dell'unico suo Amico.

Una notte, non potendo dormire, andava architettando nella mente il disegno d'un sepolcro sontuoso, ornato di dipinti, dove potesse, durante la prossima settimana Santa, esporre agli sguardi, Gesù sepolto. Il Dio di bontà, che si delizia nell'osservare e nel notare anche le minime azioni di coloro che lo amano, si chinò verso Geltrude e le disse: « Delectare in Domino, charissima et dabit tibi petitiones cordis tui ». « Rallegrati nel Signore, mia diletta, ed Egli esaudirà le suppliche del cuor tuo». (Sal. XXXVI, 4).

Con tali parole le fece capire che, quando un'anima trova le sue delizie in Dio, sia facendo lietamente le opere di dovere, sia cercando un po' di contento sensibile nelle cose che lo riguardano, Egli prova delizie ineffabili come un padre di famiglia gode della gioia dei figli, ascoltando le canzoni di un menestrello che rallegra i convitati. E' proprio questa la « domanda del cuore » esaudita in favore dell'anima che, avendo Dio di mira., si diverte innocentemente nelle cose esteriori. L'uomo si sente appagato, perché desidera naturalmente che Dio trovi in lui le sue delizie.

Geltrude chiese poi a Gesù: « Qual gloria puoi ritrarre, dolcissimo Signore, da una gioia che è più dei sensi che non dello spirito? », Le rispose Gesù: « Un usuraio avaro non approfitta forse di ogni minima occasione per aumentare il proprio capitale? Ebbene, io ho stabilito di porre in te la mia delizia; vigilo, con delicata premura, affinchè nulla si perda di quanto mi offri per rallegrarmi, nulla, neppure la sfumatura d'un pensiero, neppure il lieve movimento del tuo dito mignolo. Tutto, tutto farò servire per la mia gloria e per la tua eterna salute ».

Riprese la Santa: « Se queste piccole cose ti fanno tanto piacere, di qual valore non sarà al tuo divino sguardo quel piccolo carme che ho composto da poco e nel quale ho descritto le scene della Passione, celebrando il tuo amore con parole tolte dagli scritti dei Santi? ».

E Gesù: « Gustai la gioia piena e perfetta di un amico che, a braccio di un suo vero amico, passeggiasse in un delizioso giardino per respirarne l'aria piena di olezzi, per ricrearsi fra il variopinto sorriso dei fiori e il canto degli uccelli, per godere il rinfresco di squisiti frutti. Tì renderò gioia per gioia, piacere per piacere, consolazione per consolazione, e per di più queste stesse cose io farò anche con quelli che leggeranno il tuo carme, con lo stesso. cuore con cui l'hai composto ».


CAPITOLO LV. - PROVE D'AMORE


Geltrude si era riavuta da diverse malattie; dopo la settima recidiva, una notte si occupava del Signore, il Quale si degnò chinarsi sul suo giaciglio e dirle con tenerezza infinita: « O figlia mia, fammi annunciare il dolce messaggio che langui d'amore per me». «Mio diletto - rispose la Santa - come oserei dire io, indegnissima, che languo d'amore per Te?» Ed il Signore «Ricordati che colui che si offre volentieri a soffrire per amor mio, può glorificarsi e proclamare che langue d'amore per me, purchè durante la prova si mantenga paziente e diriga verso di me lo sguardo dell'anima sua».

Ella aggiunse: « Amatissimo Signore, quale gloria ti procurerebbe tale messaggio? » Egli rispose: « Questo messaggio fa le delizie della mia Divinità e onora la mia Umanità; è una gioia per il mio sguardo, una lode gradita per il mio orecchio ». E aggiunse: « Colui che mi recherà questo messaggio riceverà consolazioni grandi, e la tenerezza commossa del mio Cuore mi porterà a guarire coloro che desiderano la grazia del perdono; a predicare agli schiavi, cioè ad annunciare la misericordia ai peccatori; infine a liberare i prigionieri, cioè le anime del purgatorio».

« O Padre delle misericordie - aggiunse ella ancora - ti degnerai, dopo questa crisi, di rendermi la salute? » « La mia patema provvidenza, - rispose Gesù - te lo lascia ignorare. Se ti avessi annunciato fin da principio che dovevi subire sette malattie di seguito, la tua pazienza non avrebbe potuto sopportare il peso; se poi ti dicessi ora che questa malattia è l'ultima, o che presto sarà finita, questa assicurazione diminuirebbe molto il merito de' tuoi petimenti. Perciò la mia provvidenza paterna, congiunta alla mia infinita sapienza, ti hanno lasciato ignorare luna e l'altra cosa per il tuo maggior bene, e per obbligarti a rivolgerti a me con tutto il cuore. Lasciami disporre tutto a mio piacimento; veglio su di te con fedeltà, conosco la debolezza della tua virtù; misurerò la prova a seconda delle tue forze. In grazia di queste industrie del mio amore, dopo la settima malattia, la tua volontà è più ferma che non lo fosse dopo la prima. Così la mia divina onnipotenza compie ciò che sembrerebbe impossibile all'umana ragione ».


CAPITOLO LVI. - SANTA INDIFFERENZA DI GELTRUDE


Una notte, mentre Geltrude prodigava al Signore le sue tenerezze, Gli chiese: « Come mai da molto: tempo i miei malori più non mi preoccupano e mi riesce indifferente di guarire, o di restarmene inferma, di vivere o di morire? ». Rispose Gesù: « Quando lo sposo conduce in un giardino la sposa per cogliervi delle rose ed intrecciarne una ghirlanda, la sposa, rapita dalla conversazione dello sposo, non pensa neppure di chiedergli quali rose preferisce. Giunti poi che siano nel giardino, ella prende indistintamente e con gioia, dalla mano del suo diletto, le rose che egli le presenta per comporne un vago serto. Tale è la condotta dell'anima fedele che si è abbandonata al mio beneplacito. La mia volontà è per lei un giardino ricco di rose; col medesimo sembiante ella accoglie, la malattia, o la morte, perché ha piena confidenza nella mia paterna bontà ».


CAPITOLO LVII. - ODIO DEL DEMONIO A PROPOSITO DI UN GRAPPOLO D'UVA


L'esercizio di tante meditazioni e le delizie che le causava la frequente visita di Gesù, avevano fatto perdere a Geltrude il sonno, riducendola a uno stato di debolezza estrema. Accasciata e stanca, sentendosi venir meno, ella mangiò, durante la notte, un grappolo d'uva con l'intenzione di ristorare Gesù Cristo stesso. Egli accettò tale offerta con riconoscenza e le disse: «In questo momento attingo al tuo cuore una deliziosa bevanda, la quale compensa con la sua dolcezza, l'amarezza del fiele e dell'aceto che, per amor tuo, lasciai appressare alle mie labbra sul Calvario. Più tu, prendendo qualche ristoro utile al tuo corpo, considererai puramente la mia gloria, più dolce sarà la refezioni che gusterò nell'anima tua».

Avendo Geltrude gettato sul pavimento della cella i resti dell'uva, vide il demonio intento a raccoglierli, come per accusarla e convincerla davanti al tribunale di Dio, di avere, contro la Regola, mangiato prima di Mattutino. Ma tosto che ebbe egli toccato quegli avanzi, si scottò le dita tanto che, emettendo grida orribili, prese la fuga. Geltrude si accorse che nel correre via a precipizio, il demonio si guardava bene dal toccare coi piedi le bucce roventi, il cui contatto gli causava un supplizio intollerabile.


CAPITOLO LVIII. - A COSA POSSONO SERVIRE I NOSTRI DIFETTI


Geltrude, scrutando durante una notte insonne l'anima sua, si rimproverava amaramente come di una colpa, dell'abitudine da essa contratta di dire, senza riflettere e senza necessità « Deus scii! - Dio lo sa! ». Ella scongiurò il Signore dì perdonarle il passato e di accordarle in avvenire la grazia di non pronunciare invano l'adorabile suo Nome.

Il Signore le disse con tenerezza: « E che! Perchè vuoi privare me della gioia che sento e te della ricompensa che meriti, quando, ricadendo in questo fallo, ti umilii e proponi di non commetterlo più? Un re non è forse sodisfatto, quando vede uno dei suoi soldati impegnato a lottare eroicamente contro i suoi nemici? Tale è la mia soddisfazione e tu d'altronde aumenti il tesoro dei tuoi meriti, rendendo più bella la tua corona eterna »,

Gesù la fece allora riposare dolcemente sul suo petto, dandole un sentimento profondo della sua indegnità: « Ecco, o mio Signore » gli disse « che ti offro il mio miserabile cuore, perché tu vi prenda le tue delizie, secondo l'amabile tuo volere ». « Provo più gioia a ricevere il debole cuor tuo, - rispose il Signore, - offerto con tanto amore, che se ricevessi un cuore pieno di energia e di fortezza; così appunto avviene quando, sulla tavola imbandita di un grande signore, si serve non un animale domestico, ma selvaggina a lungo inseguita dal cacciatore, perchè le sue carni sono più tenere e hanno gusto più delicato ».


CAPITOLO LIX. - DISCREZIONE DI GESU' NEL DOMANDARE SOLO QUELLO CHE E' PROPORZIONATO ALLE NOSTRE FORZE


Le infermità impedivano a Geltrude di cantare in coro. Ella vi si portava tuttavia e prestava orecchio alla salmodia delle Consorelle, per spendere le sue poche forze al servizio di Dio. Non era però senza fatica che vi applicava lo spirito, e tale impotenza era per lei oggetto di tristezza e di scoraggiamento. Spesso se ne doleva con Gesù, dicendo: « O mio amabilissimo Maestro, quale vita inutile è mai la mia! Quale onore posso renderti mentre me ne sto qui seduta, negligente ed inutile, afferrando solo a stento il suono di qualche parola? ». Gesù faceva sembianza di non udirla, ma alfine un giorno rispose: « E tu non saresti riconoscente ad un amico che venisse talvolta a offrirti una dolce e corroborante bevanda da te bramata? Sappi bene: le poche parole che tu proferisci, canti, o mediti mi sono ancora più gradite e consolanti ».

Al S. Vangelo della Messa, ella durava fatica ad alzarsi, tanto era la stanchezza che l'abbatteva; ma poi si rimproverava quell'esitazione come una viltà. A che - pensava ella - risparmiarmi così, mentre non ho più speranza di ricuperare la salute? Un giorno tuttavia ella interrogò il Signore per sapere quello che tornava alla sua maggiore gloria, e ne ricevette questa risposta: « Quando per mio amore fai cosa che supera le tue forze, te ne sono riconoscente come se il tuo sacrificio fosso indispensabile al mio cuore. Quando, al contrario, con retta intenzione, risparmi le forze e curi il corpo, te ne sono grato come se tu donassi un necessario sollievo alle mie membra inferme: tanto nell'uno come nell'altro caso, ti ricompenserò secondo l'ampiezza della mia divina magnificenza ».


CAPITOLO LX. - RINNOVAZIONE MISTICA DEI SACRAMENTI


Un giorno, esaminando accuratamente la coscienza, Geltrude trovò una colpa che avrebbe voluto confessare: ma non avendo opportunità di ricevere quel Sacramento, si rifugiò, com'era solita, presso l'unico Consolatore dell'anima sua e Gli confidò la sua pena.

Le rispose Gesù: « Perchè turbarti, o mia diletta? Ogni volta che tu lo desidererai, Io, che sono il sommo Sacerdote ed il vero Pontefice, mi metterò a tua disposizione per rinnovare in te la grazia dei sette Sacramenti: lo farò con un semplice atto della mia volontà, e con maggior efficacia degli altri Sacerdoti, che li amministrano uno dopo l'altro. Ti battezzerò nelle onda del mio Sangue prezioso; ti cresimerò con la potenza della mia vittoria; ti sposerò nella fede del mio amore; ti consacrerò nella perfezione della mia santissima vita; scioglierò i lacci delle tue colpe, con la bontà della mia misericordia; nell'eccessiva mia carità ti nutrirò di me stesso, cibandomi, a mia volta, delle delizie che il tuo amore. mi procura. Infine nella soavità del mio spirito, ti penetrerò interiormente di un'unzione così efficace, da imbeverne i tuoi sensi e le tue opere: saraì così sempre più santa e meglio adatta a ricevere le pure delizie dell'eterna vita ».


CAPITOLO LXI. - MERITO DI UN'ACCONDISCENDENZA CARITATEVOLE


Geltrude malgrado le sue sofferenze, erasi alzata per recitare il Mattutino e già ne aveva terminato un notturno, quando una sorella ammalata giunse anch'essa presso di lei. L'amabile Santa si offerse di ricominciare il Mattutino e lo fece con maggior divozione.

Durante la S. Messa, che venne in seguito celebrata, mentre era intenta a lodare il Signore, vide l'anima sua adorna di splendidi diamanti che avevano fulgori meravigliosi. Era stato Gesù a ricompensarla della carità verso la Consorella inferma; la tunica aveva tante gemme quante parole contava il Notturno, da essa ripetuto per compiacenza.

La vista di quel magnifico ornamento, ravvivò in Geltrude il sentimento della sua indegnità. Ella si ricordò di varie mancanze che non aveva potuto scoprire al confessore, (allora lungi dal Monastero), affliggendosi di non poterle accusare prima di comunicarsi. Le confidò allora a Nostro Signore, il quale le rispose : « Perchè ti occupi di queste negligenze, mentre ti vedi avvolta nel ricco paludamento della carità? Non sai tu che questa virtù cancella la moltitudine dei peccati? (I Pietro IV, 8). Riprese ella: « Come posso essere confortata pensando che la carità dissimula le mie colpe, poichè so che di esse la mia anima è tuttora offuscata? ». Ma il Signore affermò: « Sappi, o figlia, che la carità non solo copre i peccati, ma li distrugge e li annienta; come il sole penetra il cristallo, così essa fa risplendere l'anima e l'arricchisce di nuovi tesori ».


CAPITOLO LXII. - ZELO PER L'OSSERVANZA DELLA REGOLA.


Geltrude si accorse un giorno che una Consorella trascurava alcune osservanze della Regola; ne ebbe pena e temette di offendere Dio se non avesse corretto la compagna di quelle colpe, di cui era stata testimonio. D'altra parte, per un senso di umana fragilità, temeva il giudizio di Consorelle meno severe, che l'avrebbero giudicata troppo esigente, trattandosi di osservanze minime.

Ella allora offerse, come faceva di solito, alla maggior gloria di Dio, la pena che avrebbe provato a causa di quella probabile contraddizione. Gesù ne fu lieto e le disse: « Ogni volta che tu, per mio amore, incorrerai in rimproveri e dispiaceri, io ti fortificherò, ti sosterrò, ti circonderò da ogni parte, così come una città validamente difesa da mura e fossati, affinchè nessuna occupazione possa mai distoglierti, o allontanarti da me. Aggiungerò poi a' tuoi meriti quelli che la tua Consorella avrebbe acquistati se si fosse sottomessa umilmente e per mia gloria alle tue correzioni».


CAPITOLO LXIII. - FEDELTA' DEL SIGNORE VERSO LE ANIME


E' un fatto innegabile che generalmente siamo più sensibili alle ingiurie di un amico, che a quelle di un nemico, secondo il detto dei salmi: « Se un nemico mi maledicesse, lo avrei sopportato, ecc. Quoniam si inimicus mens maledixisset mihi, sustinuissem utique, etc. » (Sal. LIV, 13). Geltrude si era turbata vedendo che una persona, per la salvezza della quale si era spesa con tanto zelo, non corrispondeva alle sue sollecitudini, anzi pareva che si studiasse di mostrarle astio e disprezzo.

Il Signore, al quale ella aveva confidato il suo cruccio, la consolò dicendole: « Non rattristarti, figlia mia, io ho permesso questa cosa per la tua santificazione. Trovo grandi delizie a conversare teco, e così ho voluto godere più a lungo di questa gioia. La madre di un fanciulletto teneramente amato, lo vuole sempre a sè vicino, e quando lo vede allontanarsi per andare a divertirsi co' suoi compagni, pone nelle vicinanze qualche spauracchio per incutergli timore. E questi impaurito, corre tosto a rifugiarsi nel suo grembo. Io, che sempre ti desidero a me vicino, permetto che le creature ti rechino pena; constatando la loro infedeltà corri allora con maggior ardore verso di me, sicura di trovare nel mio Cuore fedeltà perfetta».

Il Signore la raccolse allora, come una pargoletta, nelle sue braccia e divinamente accarezzandola, le sussurrò all'orecchio queste parole: « Una tenera madre sa bene addoicire co' suoi baci, ì crucci del suo bambino; così io voglio calmare le tue pene ed i tuoi dolori con soavi parole d'amore ». Dopo d'averle fatto gustare sul suo Costato le infinite dolcezze delle divine consolazioni, Gesù le presentò il suo Cuore, dicendole: « Considera, o mia diletta figlia, le profondità del mio Cuore; guarda con quanta diligenza vi ho deposto tutte le azioni che hai compiuto per piacermi, e considera a quale punto le ho arricchite, per il maggior profitto dell'anima tua. Dimmi se puoi rimproverarmi di averti mancato di fedeltà, anche con una sola parola ». Dopo ciò ella vide il Signore intesserle una corona di fiori dorati, di splendore ineffabile, premio della pena testé sofferta.

Geltrude, ricordandosi allora di alcune persone, oppresse da gravi dolori, disse a Gesù: « O Padre misericordioso, chissà quale premio e quale magnifico ornamento preparerai a quelle anime che soffrono immensamente più di me, senza essere ristorate da quelle consolazioni che Tu prodighi all'indegnissimo cuor mio! Eppure neanche con tale soccorso, so soffrire pazientemente le varie contrarietà che m'accadono in giornata! ». Le rispose l'amabile Maestro: « In questa, come in ogni altra circostanza, ti mostro la tenerezza della mia predilezione. Una madre, nell'immenso amor suo, vorrebbe pure rivestire il suo bambino di stoffe d'oro e d'argento; ma, considerando che non potrebbe sopportarne il peso, gli prepara una guarnizione di vaghi fiori che danno risalto alla sua infantile leggiadria, senza opprimerlo soverchiamente. Così io, addolcendo le tue pene perchè non abbia a soccombere, non ti privo del merito della pazienza ».

Queste parole mostrarono a Geltrude la grandezza della divina bontà. Ella ne fu profondamente commossa e cercò di mostrare la sua riconoscenza con fervide lodi. Man mano che ringraziava Gesù delle sofferenze che le aveva inviate, si accorse che i vaghi fiori della sua corona si trasformavano in oro massiccio. Il Signore infatti le fece capire che il ringraziamento per le pene, anche leggere, che l'amore suo ci manda, supplisce a quello che manca in peso a tali sofferenze, dando loro un valore tutto speciale, così come un vaso di puro oro sorpassa in valore un vaso d'argento, semplicemente dorato all'esterno.


CAPITOLO LXIV. - FRUTTO DELLA BUONA VOLONTA'


Gli ambasciatori di un grande signore erano venuti domandare qualche Religiosa della Comunità, per fondare un nuovo Monastero. Geltrude, di nulla più desiderosa che di compiere il beneplacito divino, quantunque si sentisse mancare le forze, andò a prostarsi davanti al Crocifisso, offrendosi pronta per quella fondazione, con l'ardente desiderio di sacrificarsi per la sua gloria. Il Signore, commosso a quell'atto grande, staccò la Mano dalla Croce per abbracciare teneramente la sua Sposa. Egli provò la gioia vivissima di un malato che, sul punto di soccombere, si vedesse offrire un rimedio sicuro per riacquistare la salute.

Stringendola amorosamente al suo Cuore le disse: « Sii la benvenuta, mia cara Sposa! Benvenuta te che sei il balsamo consolatore delle mie Piaghe e il dolce conforto di tutti i miei dolori! ». Geltrude, come rapita in cielo, comprese che quando si offre tutta la propria volontà al santo beneplacito divino, pure prevedendo probabili e dure avversità, tale offerta Gesù la gradisce come se nei giorni della sua Passione, si fosse versato un balsamo di refrigerio sulle sue ferite atroci.

In seguito, pur facendo orazione, ella andava meditando il modo di promuovere e di mantenere l'osservanza regolare, qualora avesse potuto prendere parte a quella fondazione. Ben presto però, rientrando in se stessa, si rimproverò di sciupare inutilmente il tempo, giacchè la sua debole salute era così scossa da mostrarle ben vicina la tomba, piuttosto che.incoraggíarla a speranze di apostolato. In ogni caso se per grazia speciale, avesse potuto unirsi al gruppo partente; non le sarebbe mancato il tempo, in seguito, di fare i preparativi del caso.

Il Signore Gesù le apparve allora in mezzo alla sua anima, raggiante di gloria e adorno di rosee di gigli: « Guarda - le disse - come sono glorificato dalle disposizioni della tua buona volontà. Essa mi pone in mezza a fulgide stelle, a candelabri d'oro, com'è scritto nell'Apocalisse, quando S. Giovanni vide l'immagine dei Figliuolo dell'uomo circondata da aurei candelabri, e tenendo in mano sette stelle. Gli altri pensieri che ti sono venuti in seguito, mi procurano piacere e gaudi simili a quelli che proverei in mezzo a rose ed a freschissimi gigli ».

Geltrude aggiunse: « O Dio del mio amore, perchè mai mi riempi lo spirito di volontà così diverse che rimarranno sempre senza effetto? Qualche giorno fa mi hai fatto desiderare l'Estrema Unzione e la morte. ma mentre mi stavo preparando, mi hai ricolmata di gioia e di consolazione. Adesso, invece, dirigi le mie brame verso una nuova fondazione, benchè non abbia neppure le forze sufficienti per compire qui i miei doveri ».

Il Signore le rispose: « Già te lo dissi al principio di questo libro: Ti ho prescelta per servire di luce nelle nazioni, cioè per illuminare un grande numero di anime: tutti devono trovare in questo libro quanto è necessario per la loro istruzione e per il loro conforto. A volte gli amici godono di trattare fra loro di alcune possibilità, che però non hanno nulla di concreto. Spesso una persona cara propone ad anime dilette cose alquanto ardue, per provare la loro fedeltà e gioisce alla testimonianza del loro buon volere. Così io pure mi compiaccio di proporre a' miei eletti alcune gravi difficoltà, che però non accadranno mai, per mettere alla prova la loro generosità e il loro amore. Li ricompenso allora con meriti innumerevoli che diversamente non avrebbero potuto acquistare ».

Gesù proseguì: « Qualche tempo fa ti misi in cuore il presentimento della morte vicina; la tua volontà si dispose ad accettarla. Tu volesti che si affrettassero a darti l'Estrema Unzione e ti preparasti con diligenza a ricevere quel Sacramento. Ma tu non dovevi morire; sappi che tutto ciò ché allora facesti, io lo tenga in serbo nell'intima del mio Cuore, come un tesoro che ti appartiene e che servirà per l'eterna tua beatitudine. Così si dice nei libri santi: « Justus si morte prcaeoccupatus fuerit, in refrigerio erit - Il giusto, quando anche fosse colpito da morte improvvisa, troverà riposo » (Sap. IV, 7).

Se la morte un giorno dovesse sorprenderti senza lasciarti tempo, come spesso avviene alle anime più sante, di ricevere gli ultimi Sacramenti, la tua anima non perderà nulla e le tue antecedenti preparazioni ti varranno la grazia di un transito sereno. Nulla nel mio Cuore appassisce: esso è un suolo dove la zolla sempre verdeggia, dove fiori e frutti si mantengono ognora freschi, nell'inalterabile primavera della mia eternità ».


CAPITOLO LXV. - COME POSSONO SERVIRE LE PREGHIERE FATTE PER IL PROSSIMO


Geltrude offerse un giorno a Dio, per una persona che l'aveva pregata, tutto ciò che la divina bontà aveva operato gratuitamente nella sua anima, perchè le servisse di vantaggio e di spirituale aiuto.

Ben tosto quella persona apparve in piedi davantt al Signore, assiso sopra un trono di gloria: Egli teneva in mano un abito di meravigliosa ricchezza e lo spiegava davanti a quell'anima, senza tuttavia rivestirla di quel magnifico paludamento.

Geltrude, alquanto sorpresa, chiese al Signore: « Qualche giorno fa, quando ti feci una preghiera consimile per una creatura bisognosa, ti sei degnato d'inalzarla alle gioie più sublimi del Paradiso. Perchè mai ora, o Dio di bontà, per i meriti delle grazie che mi hai accordate, non rivesti quella persona con l'abito sontuoso che le vai mostrando, e ch'ella desidera tanto ardentemente?».

Rispose il Signore: « Quando mi si fanno in spirito di carità offerte per le anime purganti, io le applico in soddisfazione delle loro colpe, per il refrigerio delle loro pene e per l'aumento della loro beatitudine, secondo lo stato e il merito di ciascuna. Ho compassione della povertà di tali anime e, sapendo che non possono aiutarsi da sole, la mia bontà mi inchina sempre verso la misericordia, la pietà, il perdono. Quando invece mi si fanno simili offerte per i vivi, le custodisco per la loro salvezza eterna, ma siccome possono loro stessi aumentare, con opere buone, i loro meriti, pretendo che li guadagnino con sforzi personali e che non si cullino nel desiderio di tutto ottenere per merito altrui. Perciò se la persona per la quale tu preghi desidera adornarsi dei benefici che ti ho conferito, deve applicarsi spiritualmente a tre cose: 1) con sentimento d'umiltà e di riconoscenza, deve inchinarsi per ricevere questo abito ricchissimo, cioè confessare d'aver bisogno dei meriti altrui e ringraziarmi col cuore colmo di tenerezza, d'aver supplito alla sua indigenza con l'altrui abbondanza. 2) Deve indossare questo abito con la sicura speranza di ricevere, con questo mezzo, grandi vantaggi per il bene dell'anima sua. 3) Infine deve rivestirsene, esercitandosi nella pratica della carità e delle altre virtù. Chi vuol partecipare ai beni del prossimo deve seguir queste norme per ritrarne grande profitto ».


CAPITOLO LXVI. - PREGHIERA COMPOSTA DA GELTRUDE E APPROVATA DA NOSTRO SIGNORE


In un certo periodo, avanti la Quaresima, Geltrude si era abituata a ripetere queste parole, rivolte a Nostro Signore: « O eccellentissimo Re dei re, illustrissimo Principe» ed altre simili. Una mattina, mentre si trovava raccolta nell'oratorio, ella chiese al Signore: « O mio amatissimo Gesù, che ne farai di queste espressioni che mi ritornano così spesso alle mente e sulle labbra?». Egli le mostrò una collana d'oro composta di quattro parti. Mentre stava riflettendo cosa significassero, comprese per ispirazione divina, che la prima indicava la Divinità di Gesù Cristo; la seconda, la Sua Santissima Anima; la terza, l'anima fedele riscattata col suo preziosissimo Sangue; infine la quarta, rappresentava il Corpo immacolato del Salvatore. Geltrude notò che l'anima fedele si trovava fra l'Anima e il Corpo di Cristo, per significare il vincolo d'amore indissolubile, col quale il Signore a sè avrebbe unito la sua diletta Sposa. Ad un tratto la Santa fu rapita in estasii e nel momento in cui la grazia inondava con dolce violenza il suo cuore, disse questa ispirata preghiera: « O Vita dell'anima mia! Che gli affetti del cuor mio, assorbiti dal fuoco del tuo amore, mi uniscano intimamente a Te! Che il mio cuore rimanga privo di vita, qualora amasse alcuna cosa senza di Te!

« Non sei Tu che dài ai colori la leggiadria, ai sapori delizia, agli odori profumo, ai suoni armonia, alle più care affezioni le loro attrattive e dolcezze? Sì, in Te si trovano i più deliziosi godimenti, da Te zampillano le acque abbondanti della vita, verso di Te un incanto irresistibile attrae, per Te l'anima è inondata di santi affetti, poichè Tu sei l'abisso illimitato della Divinità!

« O degnissimo Re dei re, o Sovrano supremo, Principe di gloria, Maestro dolcissimo, Protettore onnipotente, Tu sei la perla vivificante della dignità umana, creatore delle meraviglie, consigliere di sapienza infinita, aiuto generoso, Amico fedelissimo!

« Colui che si unisce a Te, gusta le più caste delizie, riceve le più tenere carezze da Te che sei il più dolce degli Amici, il più tenero dei cuori, il più affettuoso degli sposi, il più casto degli zelatori!

« I fiori di primavera non più sorridono se si paragonano a Te, fiore raggiante dello splendore di Dio: o amabilissimo Fratello, o adolescente pieno di grazia e di forza, o Compagno infinitamente caro, ospite generoso, albergatore munifico che servi i tuoi amici come se fossero tanti re; io rinuncio a tutte le creature per scegliere Te solo!

« Per te respingo ogni piacere, per Te supero ogni contrarietà e dopo d'aver fatto tutto per Te, non voglio essere apprezzata da alcuno, ma solo da Te.

« Riconosco, col cuore e con la bocca che sei l'autore e il conservatore d'ogni bene. Struggendo il mio povero cuore nel fuoco che infiamma il tuo Cuore divino, unisco i miei desideri e la mia divozione alla forza irresistibile delle tue preghiere, affinchè per questa intera, divina unione, io sia condotta alla vetta della più alta perfezione dopo di avere estinto in me tutti i movimenti della natura ribelle ». Geltrude vide che ciascuna di queste aspirazioni brillava come perla incastonata in monile d'oro. La seguente domenica, assistendo alla S. Messa, durante la quale doveva comuiiicarsi, recitava con grande divozione questa preghiera, e le sembrava che Nostro Signore ne provasse gioia immensa. Allora gli disse: « O amantissimo Gesù, poichè questa supplica ti è tanto gradita, voglio diffonderla, così molte persone potranno offrirtela a guisa di un aureo gioiello». Il Salvatore rispose: « Nessuno può darmi ciò che è mio; sappi però che se alcuno recita divotamente questa preghiera, otterrà la grazia di conoscermi meglio e, per l'efficacia delle parole che contiene, attirerà sopra di sè e riceverà nell'anima sua lo splendore della Divinità, come colui che, girando verso il sole una piastra di puro oro, vede riflettere in essa il fulgore dei raggi, di luce».

Geltrude provò subito l'efficacia di tale promessa, perchè, avendo terminata la suddetta preghiera, vide l'anima sua investita dalla divina luce e provò, come non mai, la dolcezza della conoscenza di Dio.


CAPITOLO LXVII. - COME IL SIGNORE PER MEZZO DI GELTRUDE DIFFUSE SU TANTE ANIME IL TORRENTE DELLA DIVINA GRAZIA


Nostro Signore apparve un giorno a Geltrude e le chiese il cuore, dicendo: « Figlia mia, dammi il tuo cuore ». Ella glielo diede con gioia e le parve che Gesù l'applicasse al Cuor suo, trasformandolo in un acquedotto che scendeva fino a terra, per spargere abbondantemente sugli uomini i torrenti della bontà divina.

Il Signore aggiunse: « Sarà mia gioia servirmi del tuo cuore; esso sarà il canale che, attingendo tesori alla sorgente riboccante del mio Cuore, diffonderà i divini favori su tutti coloro che si disporranno a riceverli, cioè che ricorreranno a te con fiducia ed umiltà.


CAPITOLO LXVIII. - COME SIA NECESSARIO UMILIARSI SOTTO LA MANO DI DIO


Pregava un giorno Geltrude per alcuni miserabili che, dopo d'avere ingiustamente lesi i diritti del Monastero, minacciavano di fare maggior danno alla Comunità.

Il Signore, buono e misericordioso, le apparve con un braccio dolorosamente ripiegato e contorto, di guisa che i nervi sembravano dilacerati. Ora Egli disse alla sua Sposa: « Considera quali sofferenze mi cagionerebbero coloro che venissero adesso a picchiare colpi replicati su questo mio braccio indolenzito; eppure sono stato così trattato da coloro che odo parlare, senza pietà, della gente che vi perseguita. Dimenticano purtroppo, che quei miserabili perdono l'anima e che sono le mie membra. Coloro invece che mossi da compassione, implorano la mia clemenza, perché tolga misericordiosamente tali povere anime dai loro disordini, e le guidi a miglior vita, applicano al mio braccio un unguento dolcissimo. Quanto poi a coloro che, con avvisi, consigli, ammonizioni li conducono caritatevolmente all'emenda e alla conversione, sono altrettanti medici esperti che fasciano il mio braccio malato e con mano delicata, rimettono a poco a poco i muscoli nella loro posizione naturale».

Geltrude sorpresa per questo eccesso di begninità divina, aggiunse: « Dolcissimo Gesù, come puoi chiamare tuo braccio siffatta gente tanto indegna di quest'onore? ». Rispose il Signore: « Li chiamo così perchè sono membra del corpo della Chiesa, della quale mi onoro di essere Capo ». Ella rispose: «Ma non ne sono staccati dalla scomunica lanciata solennemente contro di loro, a causa delle vessazioni esercitate contro il nostro Monastero?». E Gesù: « E' vero che sono scomunicati; ma possono ancora venire dalla Chiesa prosciolti; io li considero a me congiunti con questo legame, e l'amore che nutro per essi mi tiene in una inesprimibile angoscia. Non si può dire a parole l'ardore con cui desidero la conversione di questi infelici ».

Geltrude, avendo in seguito pregato il Signore di difendere il Monastero dai loro assalti e di prenderlo sotto la sua divina protezione, ricevette questa risposta: « Lo farò se voi, nell'umiltà del cuore, riconoscerete dì meritare questo castigo per le vostre negligenze nel mio servizio; ma se per orgoglio, v'irriterete contro questi infelici, allora lascerò giustamente che prevalgano contro di voi e vi molestino ancora ».


CAPITOLO LXIX. - COME IL LAVORO PUO' ESSERE SORGENTE DI MERITO


Il Monastero era gravato da un debito ingente e Geltrude pregava insistentemente il Signore affinchè, nella sua divina bontà, desse ai procuratori il modo di pagarlo. Rispose Gesù, con tenerezza: « Cosa mi darete in ricambio di questa grazia?».

E Geltrude pronta: « Se ci fai tale immenso favore noi potremo servirti con minore inquietudine e con maggiore divozione ». Ma il Signore replicò: « A me non interessa che mi serviate così giacchè non ho affatto bisogno dei vostri beni, e mi è indifferente vedervi applicate agli esercizi spirituali, oppure ai lavori esterni; è l'intenzione che dà la misura del merito. Se avessi preferito d'essere servito nella pace della contemplazione, avrei riformato la natura umana, dopo la caduta di Adamo; in modo da non avere essa bisogno nè di cibo, nè di vesti, né d'altra cosa necessaria alla vita; ma dai travagli dei miei amici, ritraggo profitto maggiore. Un potente imperatore non si contenta di avere nel suo palazzo damigelle d'onore avvenenti e ben vestite, ma anche principi, capitani, ufficiali, impiegati adatti ai vari servizi e sempre disposti a seguire i suoi ordini. Così io non trovo soltanto le mie delizie negli esercizi della pietà contemplativa, ma mi compiaccio pure di altre occupazioni utili e variate che hanno per fine l'onor mio, e che mi invitano a dimorare con gioia fra ì figli degli, uomini. Sono appunto questi lavori manuali che danno occasione agli uomini di praticare maggiormente la carità, la pazienza, l'umiltà e le altre virtù ».

Più tardi ella vide il principale amministratore del Monastero alla presenza di Dio; era curvo dal lato destro e si rialzava a stento, di tempo in tempo, per offrire al Signore, una moneta d'oro, nel cui centro splendeva un magnifico diamante. Il Signore spiegò: « Se addolcissi la pena di colui per il quale tu preghi sarei privato di questa splendida gemma che mi è così cara. L'amministratore stesso poi perderebbe la ricompensa preparatagli, perchè mi offrirebbe una semplice moneta d'oro, senza diamante. Fare la mia volontà nella consolazione è darmi dell'oro; ma compirla nella tribolazione è aggiungere all'oro, lo splendore d'una perla d'alto pregio ». Geltrude però non si dava per vinta ed insisteva, con maggiori suppliche presso il Signore, perchè sollevasse l'amministratore. Gesù le disse: « Perchè mai trovi così duro che si sopporti qualche cosa per amor mio, poichè sono quel vero Amico, la cui fedeltà resiste alle vicende del tempo? Le creature quando vedono una persona cara ridotta alla miseria, provano grande amarezza, trovandosi impotenti a sollevarla. Ma io che sono ìl solo e vero Amico, corro verso l'anima desolata, recandole i fiori freschissimi delle buone opere compiute in pensieri, parole ed azioni. Tali fiori sono seminati sulle mie vesti come rose e gigli di gradito olezzo. Al contatto vivificante della mia presenza divina, rinasce in questa creatura sofferente la speranza della vita eterna, dove riceverà la ricompensa del bene fatto. La gioia ch'ella concepisce a tale vista, la prepara a gustare il gaudio dell'eterna felicità, quando verranno spezzati i legami del corpo. Allora nell'entusiasmo della completa letizia, ella canterà le divine lodi, ripetendo: « L'odore del mio Diletto è come la fragranza di un campo fertile». (Gen. XXVII, 27). Infatti come il corpo è formato da diverse membra unite fra loro, così nell'anima vi sono parecchi sentimenti: il timore, la sofferenza, la gioia, l'amore, la speranza, l'odio e la modesta verecondia. Più l'uomo si sarà servito di queste passioni per la mia gloria, maggiormente troverà in me quegli ineffabili godimenti e delizie di pace che dispongono l'anima a gustare l'eterna beatitudine. Nel giorno della risurrezione, quando il corpo diventerà incorruttibile, ogni membro riceverà una speciale ricompensa per le opere compiute e per i lavori che avrà, eseguiti in nome mio, per mio amore. L'anima poi avrà un premio particolare più sublime, per la compunzione e l'amore che avrà sentito, o anche solo semplicemente per la vita data al corpo ».

Siccome poi Geltrude, piena di compassione per il fedele amministratore del Monastero, ricominciava a pregare con fervore il Signore perchè ricompensasse le sue fatiche e le sue pene, ebbe dal Salvatore questa risposta: « Ricorda, o figlia, che il suo corpo sfinito nel lavoro, è per me un tesoro nel quale depongo ad ogni passo, tante diamme d'argento quanti sono i sacrifici della sua carica. Il suo cuore poi è come un forziere ove depongo con gioia una dramma d'oro ogni volta che, per mia gloria, cerca di provvedere ai bisogni della Comunità ».

Geltrude, ammirata, obbiettò: « Ma Signore quest'uomo non mi pare così perfetto, da poter supporre che compia tutte le sue azioni, solo per la tua gloria; credo che talora sarà spinto da motivi umani, cioè dal desiderio del guadagno e dal benessere che ne sarà il risultato. Come mai allora, mio Dio, Tu che sei la verità senza ombra, puoi dire di trovare in lui le tue delizie?.».

Il Signore si degnò di rispondere: « La sua volontà è talmente subordinata alla mia che sono sempre il motivo principale de' suoi atti; perciò egli ritrae inestimabili ricompense da tutti i suoi pensieri, da tutte le sue parole ed opere. Ciò non toglie che, se si applicasse a compiere ogni atto con intenzione esplicita accrescerebbe la sua ricompensa, così come l'oro supera in valore l'argento; se poi s'impegnasse a dirigere verso di me tutti i suoi progetti e le sue sollecitudini con la stessa retta intenzione, tutto riuscirebbe nobilitato, appunto come l'oro puro senza lega è più prezioso di un oro oscurato ».


CAPITOLO LXX. - MERITO DELLA PAZIENZA


Una persona conosciuta da Geltrude, si era gravemente ferita e soffriva assai. La santa, commossa, pregò Dio di guarirle quel membro che era stato colpito durante un lavoro legittimo, sul campo del dovere. Le rispose Gesù: «Io le renderò l'uso della parte malata ed ella otterrà un premio grande per il dolore sofferto. Di più tutti gli altri membri che si sforzarono di sollevare la parte ammalata, otterranno pure un premio eterno. Se si tuffa una stoffa in un bagno colorato, tutta prende la medesima tinta; così, te lo ripeto, quando un membro soffre, anche gli altri, che si sforzano di sollevarlo, saranno con esso ricompensati».

E Geltrude: « Ma Signore, come mai le membra che si aiutano reciprocamente potranno ottenere un premio così grande, poichè non agiscono con un fine soprannaturale, ma soltanto per recare un po' di refrigerio al dolore? ». Il Signore le diede questa consolante risposta: « Sappi, o figlia, che la parte di sofferenza che l'uomo, dopo di aver cercato tutti gli alleviamenti, sopporta per mio amore, gli procura una gloria incomparabile, perchè venne santificata dalla parola che ho detto al Padre mio, nel momento supremo dell'agonia: "Pater, si fieri potest, transeat a me calix iste - Padre, se è possibile, passi da me questo calice". (Matt. XXVI, 39). Ripetendo questa parola l'uomo acquista molti meriti, e un'ineffabile ricompensa».

La Santa insistette: « Non preferisci Tu, o mio Dio, che invece di rassegnarsi amorosamente alla parte di dolore che non si può alleggerire, si soffra coscientemente tutto il male, senza accettare ristoro di sorta?». Rispose il Salvatore: « Questo è un segreto della mia divina giustizia. Per esprimermi secondo il vostro modo umano di comprendere la verità, ti dirò che questi due diversi sentimenti sono come due ben distinti colori, ma belli così che sarebbe difficile stabilire quale sia il migliore». Signore, - aggiunse Geltrude - infino a tanto che riferirò alla persona ammalata quanto a suo riguardo mi hai detto, abbi la bontà di darle un vivo sentimento di gioia».

« No, - rispose Gesù, - ma sappi che con segreta disposizione della mia infinita Sapienza, le rifiuto tale dolcezza, perchè la sua anima sia più pronta e si distingua in tre virtù: la pazienza, la fede, l'umiltà. Se la consolassi, la sua pazienza scemerebbe di valore, perchè la gioia gustata le farebbe dimenticare il dolore; la fede pure non avrebbe più merito, perchè questi vivi sentimenti le renderebbero chiari i misteriosi disegni della Provvidenza, avendo S. Gregorio detto: « La fede non ha più merito, quando la ragione umana le porta la sua esperienza » (Omelia XXVI sul Vangelo): da ultimo la sua umiltà ne sarebbe scossa, mentre, continuando nel suo stato di sofferenza, le sarà facile pensare che Dio non la giudica degna di comunicarle direttamente le sue grazie, ma solo per tramite di anime più privilegiate».


CAPITOLO LXXI. - CONFESSIONE DEI DIVINI BENEFICI


Geltrude, piena di compassione, pregava un giorno per una persona che aveva proferito parole impazienti, e che si era azzardata di chiedere al Signore perchè le mandasse sofferenze superiori alle sue forze!

Il Signore le disse: «Chiedile quali pene le occorrono, perchè per guadagnarsi il cielo, non può farne a meno; quando poi le avrà, dille di sopportarle pazientemente». Questi accenti della voce di Gesù fecero comprendere a Geltrude, essere molto pericoloso desiderare altre prove da quelle che Dio ha preparate per noi. L'anima, al contrario, deve accogliere con fiducia grande le sofferenze che l'amore di Dio crede conveniente mandarle, sempre misurate dal suo amore infinito.

Ad un tratto Gesù, mutando aria ed aspetto, le disse con immensa tenerezza: « E tu che pensi della tua sorte? Ti ho forse addossato croci troppo pesanti? I patimenti che ti mando ti sembrano scelti male a proposito? ». « Oh no! - rispose Geltrude - ma confesso e confesserò per tutta la vita che Tu hai disposto meravigliosamente ogni cosa per il bene della mia anima e del mio corpo, sanità e malattia, gioie e dolori. L'hai fatto così bene che nessuna sapienza umana, dal principio alla fine dei secoli, avrebbe potuto uguagliarti, o Dio dolcissimo, che tutto operi con ineffabile soavità! ». Allora il Figlio di Dio la guidò verso il Padre, affinchè rendesse omaggio alla sua Provvidenza e Geltrude disse: « Ti ringrazio, Padre santo, che con tutte le forze dell'anima mia, per mezzo del divin Mediatore che siede alla tua destra, dei magnifici doni che mi hai prodigato con tanta generosità; riconosco altamente che nessuna potenza, se non la tua, che dà la vita a tutte le creature, avrebbe potuto arricchirmi di questi favori».

In seguito Gesù la condusse dallo Spirito Santo perché rendesse omaggio anche alla sua bontà. La Santa disse: « Ti ringrazio, o adorabile Spirito Santo, dolce Paracleto, mediante Colui che, con la tua cooperazione si è incarnato nel seno della Vergine, perchè, malgrado la mia indegnità, mi hai prevenuto con le benedizioni gratuite della tua dolcezza, come nessun'altra bontà avrebbe potuto fare, se non la tua, dove si celano, da dove procedono e da cui si ricevono tutti i beni ».

Il Figlio di Dio allora, dandole prove di speciale tenerezza, le disse: « Ora che hai fatto questo solenne omaggio alle Persone divine, ti prendo a preferenza di ogni altra creatura, sotto la mia speciale custodia e la farò in modo superiore a quello che dovrei per diritto di creazione, di redenzione e anche di predilezione ».

Da ciò ella dedusse che il Signore prenderebbe in modo speciale, sotto la sua protezione l'anima che, lodando la divina bontà, si confida con completo abbandono alla sua Provvidenza, così come un Priore monastico si sente in obbligo di provvedere ai bisogni di colui che ha tutto rinunciato nelle sue mani per la religiosa Professione.


CAPITOLO LXXII. - EFFETTI DELLA PREGHIERA


Geltrude, pregando per parecchie persone che le erano state raccomandate, si ricordò in particolare di un'anima che aveva cara. « Dolcissimo Signore, - diss'ella - esaudisci la preghiera che dirigo alla benignità del tuo paterno Cuore per essa ». Rispose Gesù: « Io ti esaudisco frequentemente quando preghi per lei». «Donde avviene dunque - obbiettò Geltrude - ch'ella continua a parlarmi della sua indegnità ed a reclamare il mio soccorso come se Tu non la consolassi giammai?».

Il Salvatore rispose: « L'umile sentimento che questa anima ha di se stessa mi rapisce il cuore, ed è un ricco abbigliamento che l'adorna in modo stupendo; ella mi piace ognora più a misura che spiace a se stessa, e questa grazia s'accresce quanto maggiormente tu preghi per lei ». Geltrude supplicava sempre il Signore per quell'anima e per altre ancora; Egli le disse: « Ha attratte le tue raccomandate sempre più vicine a me; perciò devono aspettarsi maggiori tribolazioni. Quando una bimba, seguendo lo slancio del suo tenero amore, vuole ad ogni costo, avvicinarsi alla mamma e sedersi sulla stessa sua sedia, si trova in posizione assai incomoda a confronto degli altri fratelli, i quali prendono liberamente posto intorno alla loro genitrice. La mamma poi non potrà guardare in volto la sua bambina che le si stringe al fianco, cosa che invece può comodamente fare con gli altri figli che la circondano».


CAPITOLO LXXIII. - VANTAGGI DELLA PREGHIERA


I. La mancanza di fede ne sospende gli effetti.


Geltrude viveva di preghiera; ella era instancabile nel raccomandare le persone e le intenzioni che le venivano affidate. Un giorno, dopo di avere baciato fervorosamente il Crocifisso, ella gli confidò i suoi desideri. Vide allora una sorgente zampillare dal Cuore divino e diffondersi all'intorno, come segno che le sue preghiere erano esaudite.

Ma poi pensò: « A che vale che io abbia pregato per quelle persone, poichè esse non ne risentono effetto alcuno, e perciò non hanno nè fiducia, nè conforto?».

Il Signore le rispose con questo paragone: «Quando un re, dopo lunga guerra, conclude la pace, coloro che sono lontani non sanno questa felice nuova fino al momento in cui è possibile renderla loro nota; così coloro che restano lungi da me per la diffidenza ed altri difetti, non possono sentire la dolce unzione delle preghiere che si fanno per essi ». « Ma, Signore, - aggiunge Geltrude - fra le persone che ti ho raccomandato, ve ne sono di quelle che, secondo la stessa tua conferma, vivono assai vicino a Te», « E' vero - confermò Gesù - pure colui a cui il re vuole trasmettere i suoi ordini di presenza deve aspettare che sia giunto il momento opportuno; così mi propongo di trasmettere a queste anime l'effetto delle tue preghiere quando lo crederò conveniente ».

Ella inalzò in seguito suppliche speciali per una persona che l'aveva afflitta e si ebbe questa risposta: « Come quando un piede è ferito, anche il cuore lo compatisce, così è impossibile alla mia paterna tenerezza non guardare con occhio misericordioso colui che, spinto da vera carità, mi supplica per il prossimo quantunque senta egli medesimo il peso delle proprie colpe e senta estremo bisogno della divina pietà ».


II. Quello che bisogna chiedere per i malati.


Grande dovere di solidarietà umana e cristiana è pregare per gli ammalati. Geltrude compiva con slancio tale obbligo ed un giorno supplicò Gesù di dirle ciò che doveva chiedere per un certo infermo: « Bastano - rispose Gesù - due brevi preghiere che tu mi rivolga, ma queste con divozione. Prima mi dirai « Signore, conservagli la pazienza»; indi aggiungerai: «Fa, o Signore, che secondo gli eterni desideri del tuo Cuore paterno, ogni istante di patimento che Tu riservi a quest'infermo procuri la Tua gloria ed accresca i suoi meriti per il cielo », Gesù concluse, dicendo: « Ogni qualvolta ripeterai questa preghiera i tuoi meriti aumenteranno con quelli del malato, come quando si passa una vernice fresca sopra una tela, affinchè il dipinto brilli di nuovo splendore ».


III. Cosa bisogna chiedere per i Superiori.


Geltrude pregava spesso per i prelati che hanno nella Chiesa cariche elevate. Nostro Signore le fece conoscere ciò che preferiva in questi alti dignitari e le disse che dovevano occupare il loro posto come se non l'avessero, cioè che esercitassero le loro mansioni come se dovessero farlo per un giorno e per una sola ora, sempre pronti ad abbandonarle, eppure molto solleciti di lavorare alacremente per la divina gloria. Essi dovrebbero spesso dire col cuore « Andiamo, affrettati a lavorare per Dio, verrà giorno in cui, deponendo la carica, sarai contento d'essertí consumato per il trionfo di Dio e per il bene delle anime ».


IV. Effetti di una domanda di preghiere.

Geltrude supplicò il Signore per una persona che aveva domandato con tanta umiltà l'aiuto delle sue preghiere. Vide il Signore inchinarsi con bontà verso quell'anima, investirla di celesti splendori e in quella luce smagliante, comunicarle la sua grazia con quanto desiderava. Nel medesimo istante sentì Gesù dirle queste parole: « Tutte le volte che una persona si raccomanda alle preghiera di un'altra, con fiducia di ottenere grazie, il Signore la ricompensa secondo il suo desiderio, quand'anche colei a cui si è raccomandata dimenticasse, per negligenza, il sua impegno ». -


CAPITOLO LXXIV. - DIVERSE PERSONE DI ORDINI DIFFERENTI


I. L'anima paragonata all'aquila.


Geltrude interessava, Nostro Signore alle sorti di un'anima ardente di grandi desideri. Il buon Maestro le rispose: « Dille da parte mia che, s'ella desidera di essere unita pienamente a me, deve costruirsi ai miei piedi un nido formato dalle foglie della sua bassezza e dalle palme della mia dignità; là ella dovrà sempre ricordare che, senza la grazia di Dio, l'uomo è pronto bensì a fare il male, ma lento a compiere il bene.

« Ella penserà frequentemente alla mia misericordia, ricordando che sono un buon Padre, sempre pronto ad accoglierla anche quando, dopo le sue colpe, si pente e torna a me.

« La confidenza le darà le ali per uscire dal nido, ed ella potrà elevarsi fino al mio Cuore, per magnificare con cantici di ringraziamento i molteplici favori ricevuti dalla divina bontà.

« S'ella poi brama spiccare più alto il volo e spiegare ampiamente le ali dei desideri, s'innalzi con slancio rapido come quello dell'aquila al di sopra di se stessa, con la contemplazione delle celesti cose, e sostenga il suo volo davanti al mio Volto. Sollevata sulle ali dei Serafini, coll'audace anelito dell'amore, contempli ella il Re divino nella sua bellezza, con lo sguardo purificato dello spirito.

« Ma poichè la vita presente non è fatta per rimanere a lungo sulle alture della contemplazione, ch'ella potrà raggiungere solo per brevi momenti e rare ore, come dice S. Bernardo, dovrà ben tosto ripiegare le ali col ricordo della sua miseria, e ridiscendere fino al nido primiero per riposarsi nell'umiltà, aspettando che la confidenza la elevi di nuovo fino al mio Cuore, e che la contemplazione la esalti fino alla mia divina presenza; allora ella troverà nuovamente le sue delizie a solcare i campi fioriti dell'amore mediante lo spirito di ringraziamento, per raggiungere nell'estasi le vette della vita mistica. Con questi diversi atteggiamenti, sia che ella entri in se stessa con la considerazione della sua miseria, sia che ne esca per ricevere i miei benefici, sia che si elevi alla visione delle celesti cose, sempre gusterà gioie di Paradiso».


II. Di una persona la cui vita era raffigurata nelle tre dita del Salvatore.


Geltrude si ricordò di un'altra persona che le era stata divotamente raccomandata. Questa aveva passato nel mondo gli anni giovanili, ed era entrata in Monastero già anziana. Geltrude si rivolse dunque verso il Signore per presentargli il suo cuore e ricordargli la promessa fattale, cioè ch'esso doveva servirgli di canale per diffondere i benefici celesti sulle anime che li avrebbero sollecitati umilmente, per sua intercessione.

Subito il Figlio di Dio le comparve su di un trono reale, tenendo in mano il cuore che gli aveva presentato; vide pure la persona raccomandata avanzarsi verso il trono del Signore e inginocchiarsi rispettosamente.

Il Signore stese verso di lei la mano sinistra dicendo « Io la riceverò nella mia incomprensibile Onnipotenza, nella mia imperscrutabile Sapienza e nella mia infinita Bontà ». Pronunciando tali parole, presentava a quella persona tre dita della mano sinistra: l'indice, il medio, l'anulare. Da parte sua essa toccava, con il dito corrispondente quello del Signore; con un movimento rapido, il buon Gesù voltò la sua Mano benedetta, in modo che si trovò al di sopra di quella suddetta persona. Voleva con quelle tre dita e con quel gesto, mostrare tre maniere speciali, adatte per regolare la vita di quell'anima.

I. Desiderava ch'essa, per spirito di umiltà, si sottomettesse in ogni azione, alla Onnipotenza divina, considerandosi come serva inutile, che ha consumato il vigore della giovinezza nella vanità, senza pensare a Dio, suo Creatore, chiedendo la forza per agire rettamente.

II. Desiderava che si confessasse indegna, in presenza della Sapienza imperscrutabile di Dio, di ricevere le dolci effusioni della divina luce, per non avere, dall'epoca della sua infanzia, applicato le facoltà allo studio delle cose divine, ma di essersene servita per pascerne la vanità. Doveva perciò inabissarsi nell'umiltà, sforzandosi poi, in tempi e luoghi adatti, di comunicare al prossimo le ricchezze diffuse dalla divina bontà nell'anima sua.

III. Infine doveva ricevere con fervidi ringraziamenti il dono della buona volontà, dono gratuito accordatole perchè potesse praticare i consigli precedenti.

Il Signore portava all'anulare della mano sinistra un anello di vile materia, che aveva incastonata una gemma preziosa, di colore rosso fiammante.

Geltrude comprese che l'anello figurava la distratta vita secolare di quella persona e che la gemma indicava la divina misericordia che le aveva fatto dono della buona volontà, la quale rende tutte le opere perfette allo sguardo di Dio. Perciò la sua voce, cioè la sua intenzione, doveva ringraziare continuamente Dio per un benefico così segnalato.

Geltrude capì un'altra cosa. Tutte le volte che quella persona, coll'aiuto di Dio, compirebbe un'opera buona, il Signore metterebbe quell'azione nella Sua Mano destra come anello prezioso e lo mostrerebbe a tutta la Corte celeste, quasi per gloriarsi del dono della sua Sposa; con giubilo ineffabile tutti gli abitanti del cielo, stimolati dall'alto, la inchinerebbero, mostrandole amore e riverenza, quale Sposa del gran Re. Di più i beati della chiesa trionfante, che soccorrono coloro che militano in terra, renderebbero a quella persona, secondo il beneplacito divino, i loro servigi, ogni volta che il Signore li inviterebbe a farlo. InfIne tutto il tesoro di beni che la Chiesa trionfante piove sulla militante, verrebbe concesso a quella persona, ogni volta che il Signore, con un cenno d'invito, si compiacesse di permetterlo.


III. Invito a stabilire il nido nel Sacro Costato di Cristo.


Mentre Geltrude raccomandava a Dio una persona, ricevette per la medesima questo regolamento di vita. Stabilito ch'ella abbia il nido nel cavo della roccia, cioè nel Sacro Cuore di Gesù, bisogna che si riposi nella profondità di tale caverna, assaporando il miele della pietra, cioè la benevolenza delle aspirazioni di quel Cuore deificato. Dovrà poi meditare attentamente nelle Scritture la vita ammirabile del Cristo, sforzandosi d'imitarlo specialmente sotto tre aspetti:

I. - Il Signore passava le notti in preghiera: dovrà ella, in ogni tribolazione, ricorrere all'orazione.

II. - Gesù predicava nelle città e nelle campagne: ella cercherà di dare a tutti buon esempio, non solamente con parole, ma con le azioni, il contegno, il tratto.

III. - Il Cristo prodigava i suoi benefici su tutti coloro che a Lui ricorrevano: ella pure compirà, il bene, in questo modo: quando si disporrà ad agire, o a parlare raccomanderà tale azione al Signore, unendola alle opere perfette del Figlio di Dio, affinchè sia regolata, seconda la sua adorabile Volontà, per la salute dell'umano genere.

Terminata l'azione, l'offrirà di nuovo al Signore perché la perfezioni e la presenti al Padre come omaggio di eterna lode.

In seguito Geltrude ricevette pure questo insegnamento. Quando quella persona dovrà uscire dal nido, dovrà servirsi di tre appoggi: sul primo camminerà, sul secondo s'appoggerà a destra, sul terzo s'appoggerà a sinistra.

Il primo appoggio sarà l'ardente carità mediante la quale si sforzerà di condurre a Dio tutti gli uomini e di essere loro utile per la gloria del Padre, in unione all'amore con cui Gesù Cristo ha operato la salute del mondo.

Il secondo appoggio, che la sosterrà dalla parte destra, sarà l'umile soggezione con cui si sottometterà, per amor di Dio ad ogni autorità, vigilando attentamente perchè le sue azioni non scandalizzino nè superiori, nè inferiori.

Il terzo appoggio, a sinistra, sarà l'esatta vigilanza e il continuo controllo per preservare pensieri, parole, opere da ogni ombra di peccato.


IV. Di un'anima che costruisce il trono davanti a quello di Dio.


A Geltrude venne pure rivelato lo stato di un'altra anima, oggetto delle sue preoccupazioni e suppliche spirituali. Ella le apparve davanti al trono di Dio, ove andava costruendosi un magnifico seggio formato di pietre preziose, legate da un cemento di purissimo oro.

Talora quella persona si riposava sul trono, tale altra si rialzava per continuare alacremente il suo lavoro. Geltrude comprese che le pietre preziose rappresentavano le pene destinate a conservare ed a nobilitare in quell'anima i doni di Dio, giacchè il Signore prepara in questa vita un cammino duro e aspro per i suoi eletti, nel timore che le dolcezze della via loro facciano dimenticare le gioie della patria. L'oro, che ricongiungeva bellamente le gemme, figurava la grazia spirituale di cui doveva servirsi in piena fiducia, e negli interessi della sua salvezza, per saldare insieme, come si fa col cemento, le sue pene interne ed esterne.

Ella si riposava ogni tanto sul trono, per dimostrare che gustava ivi consolazioni ineffabili; ma riprendeva tosto il lavoro intorno ai trono per simboleggiare l'esercizio perseverante delle buone opere, che fa progredire l'anima nel cammino della perfezione.


V. Di un'altra anima che stava potando un albero.


Geltrude vide, davanti al trono della Maestà divina, un magnifico albero, dal tronco vigoroso, dai rami fronzuti, dalle foglie splendenti quasi oro.

La persona per cui ella pregava, saliva sull'albero e, con un utensile adatto, staccava alcuni rami che cominciavano ad essicarsi. Man mano che li tagliava, le venivano offerti altri rami verdeggianti che dovevano prendere il posto di quelli tolti; appena innestato, il nuovo ramoscello produceva un frutto di colore rosso e l'anima lo coglieva per offrirlo al Signore, il quale ne provava delizie incomparabili.

L'albero rappresentava lo stato religioso, ove quella persona era entrata per servire Dio: le foglie d'oro significavano le buone opere compiute nell'Ordine. Per i meriti dei parenti, che l'avevano condotta al Monastero e raccomandata a Dio, le sue opere avevano un valore superiore ad ogni altro, come l'oro vince in pregio gli altri metalli.

L'utensile che le serviva per potare i rami simboleggiava la considerazione attenta dei propri difetti, dapprima scoperti, poi estirpati con salutare penitenza. La novella fronda che doveva prendere il posto di quelle tagliate, era la figura della vita perfettissima di Gesù Cristo, la quale, in virtù dei meriti dei parenti, più sopra accennati, era sempre messa in opera per riparare i falli. Infine il frutto, colto ed offerto al Signore, era simbolo della buona volontà di quell'anima per correggersi, assai cara a Dio, perché sincera.

E' noto che il Signore preferisce questa disposizione interna a grandi opere compiute senza retta intenzione.


VI. Istruzioni per una persona colta, la cui vita è figurata dai tre Apostoli sul Tabor.


Geltrude un giorno pregava il Signore per due persone, che le erano state raccomandate, ma delle quali ignorava le disposizioni. Ella fiduciosamente, chiese a Gesù: « O Amico dolcissimo, che conosci ogni cuore, degnati svelarmi, a riguardo di queste anime, quello che può tornare gradito alla tua Volontà ed utile per la loro salvezza».

Il Salvatore le ricordò benignamente le rivelazioni che aveva avuto in passato, riguardanti due altre persone, la prima colta, la seconda ignorante, che avevano entrambe rinunciato al secolo. Egli le consigliò di partecipare tali rivelazioni alle persone di cui s'interessava attualmente, ed aggiunse: « Le cinque rivelazioni che precedono e le due che seguono, sono un insegnamento di cui tutti possono approfittare, qualunque sia il loro stato e la loro professione».

Ecco la rivelazione concernente la persona colta. Il Signore disse a Geltrude: «L'ho presa co' miei apostoli per condurla sul monte della novella luce. Procuri di regolare la sua vita, impostandola sul significato del nome degli apostoli, che mi accompagnarono sul Tabor: « Pietro, secondo gl'interpreti, significa agnoscens colui che sa. Nelle letture e meditazioni deve quindi, con l'aiuto della riflessione, giungere a conoscere se stessa. Se il libro, ad esempio, tratta di vizi e di virtù, deve esaminarsi come ha combattuto quelli, ed acquistato queste.

« Quando poi sarà giunta ad una più perfetta conoscenza del suo interno, si sforzerà, secondo il significato del nome Giacomo - supplantator - colui che vince di correggersi de' suoi difetti con una lotta tenace e d'acquistare le virtù che le mancano.

« Siccome poi il nome Giovanni è interpretato: in quo est gratia, sarà bene che, a tempo opportuno; e specialmente al mattino ed alla sera, si sforzi di allontanare le vane, dissipazioni per raccogliersi in se medesima, per occuparsi di Me e per scrutare la mia Volontà. Allora, sia che le ispiri di lodarmi, o di ringraziarmi, o di pregare per i peccatori e per le anime del Purgatorio, avrà cura d'obbedirmi, e di praticare divotamente l'esercizio da me richiesto ».


VII. Istruzione per una persona ignorante che aveva l'ufficio di cuciniera.


Ecco la rivelazione riguardante una persona indotta. Geltrude, avendo pregato per la medesima, che si rattristava di non poter fare lunga orazione per l'impegno faticoso del suo ufficio, ricevette questa risposta: « Ella vorrebbe servirmi per un'ora, ma io esigo da lei molto di più. Voglio che ella stia con me tutto il giorno, che compia tutte le sue azioni per la mia gloria e con lo stesso fervore come se stesse pregando. Di più bramo che, lavorando per il benessere materiale delle Consorelle, ella abbia l'intenzione, non solo di preparare il cibo per il beneficio del loro corpo, ma perché progrediscano nel mio amore e siano confermate nel bene.

Se farà così il suo lavoro sarà per me un delizioso banchetto accuratamente servito, con cibi scelti e con condimenti assai gustosi ».


CAPITOLO LXXV. - LA CHIESA E' RAFFIGURATA NELLE MEMBRA DI CRISTO


Mentre Geltrude pregava per un'anima cara, Gesù, Re di gloria, le apparve, mostrandole, con la forma stessa della sua Umanità, la Chiesa che è il suo Corpo mistico, poichè è chiamato, e lo è in realtà, suo Sposo e suo Capo.

Il Salvatore aveva la parte destra adorna di magnifici ornamenti regali, mentre la sinistra era nuda ed impiagata. La Santa comprese subito che il lato destro rappresentava le anime elette, prevenute dalle benedizioni divine, per un dono speciale della grazia, e anche in premio delle loro virtù personali. Il lato sinistro invece figurava gl'imperfetti, carichi di vizi e di peccati.

Pregare per le anime già avanzate nella virtù, è fregiare il Salvatore di splendidi ornamenti; censurare le anime imperfette, rimproverarle duramente per i loro falli, è percuotere e riaprire le ulcere di Gesù; tali censori con le loro amare invettive fanno zampillare il sangue dei fratelli perfino sul volto, che ne resta macchiato e sfigurato.

Con tutto ciò il benigno Signore, vinto dalla bontà considera più le delicatezze ricevute dagli amici, che hanno adornato la parte destra, che gli oltraggi dei nemici e, coi meriti degli eletti, toglie le macchie che deturpano i malvagi.

Disse Gesù: « Piacesse a Dio che si volesse fasciare e guarire le piaghe della mia Chiesa che sono Piaghe mie, risanando le miserie delle anime imperfette! L'ulcera vuol essere prima toccata con precauzione: bisogna trattare da principio con dolcezza l'anima che si vuole correggere dai difetti, riprendendola amichevolmente e non ricorrendo al rigore, se non quando si ha la certezza che le dolci maniere rimarrebbero infruttuose. Quanti non hanno compassione alcuna delle mie Piaghe! Essi vedono i difetti del prossimo e tosto ne approfittano per vilipenderlo, non curandosi di dirigergli una parola di correzione.

« Ciò sarebbe, secondo loro, esporsi, o prendersi troppa briga, perciò vanno scusandosi come Caino: « Numquid custos fratris mei sum ego? - Sono forse il custode di mio fratello?» (Gen. IV, 9). Costoro mettono sulle mie Piaghe un preparato che le avvelena, facendovi brulicare i vermi. Una buona parola avrebbe forse guarito il fratello; col non proferirla ne lasciano aumentare i difetti.

« Altri fanno conoscere ai Superiori le mancanze dei fratelli, ma si sdegnano se la correzione si fa aspettare, e risolvono di non fare più nessun accenno in proposito, giacchè non si è dato importanza al loro avviso. Inoltre si permettono di giudicare senza misericordia gl'infelici, dei quali pretendono volere la guarigione, e non volgono loro neppure un accento che li riduca verso il bene. Anche costoro mettono esteriormente un preparato sulle mie Piaghe, mentre introducono nell'interna un ferro infuocato che le brucia e le dilacera.

« Altri, che potrebbero correggere il prossimo, trascurano di farlo, non per malizia, ma per noncuranza. Questi mi contristano come chi, passandomi vicino, mi schiacciasse un piede. Ve ne sono altri che pensano solo ai loro comodi e a soddisfarli in tutto, senza curarsi dello scandalo che danno a chi li vede; essi torturano le mie Mani con lesine infuocate. Alcuni amano sinceramente e rispettano i prelati santi, ma giudicano con rigore e disprezzano, senza riguardo alcuno, quelli che sono meno perfetti,

« In questo caso ornano la parte destra del mio Capo di perle preziose; quanto alla sinistra, che è assai indolenzita, e che desidero posare sui loro cuore per trovare un po' di sollievo, è da essi spietatamente colpita con pugni, furibondi. Vi sono poi persone poco sincere, che applaudiscono e lodano le cattive azioni dei Superiori per propiziarseli e poter poi fare più facilmente quello che loro aggrada. Costoro rivoltano con violenza indietro il mio Capo, facendomi provare una tortura inesprimibile: di più, insultando alle mie sofferenze, sembrano beffarsi delle Piaghe che sfigurano il mio Volto ».

Giacchè Nostro Signore, con questa meravigliosa rivelazione, ha proclamato d'identificarsi con la sua Chiesa, fino al punto di considerare i buoni come parte destra del suo Corpo ed i cattivi come la sinistra, i cristiani devon riflettere seriamente in qual modo potranno servire i membri sani, e quelli ammalati del Cristo.

Sarebbe cosa troppo abbominevole vedere un uomo straziare le piaghe di un suo amico, cospargerle di veleno e respingerlo quando chiedesse di essere sostenuto per un po' di sollievo. Se un cristiano avesse usato tale durezza, offendendo nel prossimo il suo Creatore e Redentore, si sforzi di emendarsi e di rendersi utile ai fratelli.

Prodighi tutto il bene possibile ai perfetti per eccitarli a fare continui progressi: circondi di tenerissime cure gli imperfetti per correggerli. Obbedisca con amore i Superiori quando comandano il bene, e sopporti i loro difetti con silenziosa riverenza. Eviti però di adularli, se agiscono male, e, se non potrà correggerli con discorsi, si sforzi almeno di farlo con pii desideri e ferventi suppliche offerte al Signore.


CAPITOLO LXXVI. - COMUNICAZIONE SPIRITUALE DEI MERITI


Geltrude con senso d'ineffabile carità, aveva chiesto al Signore, entrando in Chiesa, che partecipasse ad un'anima cara, che si era raccomandata alle sue preghiere, i meriti delle sue opere buone; digiuni, preghiere, penitenze ecc. Rispose Nostro Signore: «Io comunicherò a quest'anima tutti i favori che la mia divina liberalità ti accorda gratuitamente, e che ti accorderà fino alla morte». Riprese Geltrude: « Poichè, per la Comunione dei Santi, l'intera Chiesa partecipa a quanto faccio di bene e anche a quanto fanno gli eletti, vorrei sapere se questa persona riceve dalla tua bontà, o mio dolce Gesù, qualche cosa; di più quando, in virtù del bene che le voglio, ti chiedo di renderla partecipe di tutti i favori che mi accordi ». Il Salvatore rispose con un paragone: « Una nobile damigella, che sa preparare collane di perle per farne gioielli a uso suo e di sua sorella, aggiunge lustro al decoro de' suoi genitori e a tutta la famiglia, quantunque le lodi del pubblico si rivolgano soprattutto a colei che ha confezionato tali collane: pure anche, la sorella, che ha ricevuto quei gioielli, benchè forse meno eleganti, sarà ammirata plù delle altre sorelle, che non hanno ricevuto ornamento alcuno. Così, benchè la Chiesa partecipi ai favori accordati a ciascuno dei suoi membri, l'anima però che li riceve, ne ritrae maggior vantaggio, e coloro ai quali essa desidera parteciparli ne fruiscono beneficio più grande dell'insieme degli altri fedeli ». Geltrude allora fece notare a Nostro Signore che quella persona aveva portato spesso dei ristori materiali per sollevare Matilde, la cantrice del Monastero, recentemente defunta; aggiunse che quella persona si rammaricava assai di non essersi intrattenuta a lungo con la cara malata per consolarla, nel timore di affaticarla troppo. Rispose Gesù: « La generosa carità con cui quest'anima ha ristorato la mia eletta, ed il rimpianto che serba in cuore per non aver potuto sollevarla ancora di più, mi riescono cosi graditi come se mi servisse a mensa cibi squisiti, al pari di un illustre principe che facesse lo stesso ufficio al banchetto del suo imperatore. Io mi sono assai compiaciuto negli esercizi coi quali Matilde mi ha onorato, servendosi delle forze che le avevano procurato i regali avuti da quella persona; intendo parlare non solo di soccorsi materiali, ma altresì dei pensieri, degli atti, dei consigli che, in ogni occasione, sostennero la mia diletta Matilde. Riguardo poi al rincrescimento di non avere potuto intrattenersi più a lungo con essa, supplirò io stesso a tale deficienza. Uno sposo che ama teneramente la sua sposa e che la vede, per una estrema delicatezza, troppo timida nel chieder ciò che pure desidera, questo sposo, dico, commosso dal saggio riserbo della sua diletta, lo accorda il doppio di quanto brama. Così le darò generosamente quanto le manca.

« Per la gioia poi ch'essa prova nel vedere i benefici di cui ho colmato la mia eletta, riceverà in cielo delizie ineffabili e l'irradiazione delle grazie che ho concesse a Matilde. Tale riverbero che sfuggirà dall'anima della mia Sposa, è lo splendore infinito della divina chiarezza che l'illumina. Come i raggi del sole, dardeggiando sulla superficie delle acque, si riflettono sulla muraglia, così il fulgore de' miei benefici brillerà nelle anime che furono prevenute sulla terra dalla dolcezza delle mie benedizioni; avrà poi speciali bagliori su quelle che provarono in terra una gioia speciale, al pensiero di tali benefici. Tuttavia vi sarà una differenza, e cioè brilleranno, non come sulla superfice opaca di una muraglia, ma a guisa di un lucidissimo specchio, che riflette distintamente le immagini che gli sono poste davanti ».


CAPITOLO LXXVII. - UITILITA' DELLA TENTAZIONE


Geltrude, avendo un giorno pregato per una persona afflitta dalla tentazione, ricevette questa risposta: « Permetto tale prova per farle conoscere e deplorare un difetto che si sforzerà di correggere, senza però riuscirvi: l'umiliazione provata per tale impotenza, cancellerà quasi intieramente ai miei occhi altri difetti ch'essa non conosce. L'uomo che scorge d'avere una macchia sulla mano, si lava purificando le due mani da ogni bruttura, cosa che non avrebbe fatto se quella macchia, non gliene avesse dato l'occasione».


CAPITOLO LXXVIII. - LA FREQUENTE COMUNIONE PIACE A DIO


Fra coloro che dirigevano il Monastero si trovava una persona i cui sentimenti, a proposito della S Comunione, erano ispirati più dallo zelo della giustizia che dallo spirito della misericordia. A sentir lui non poche Religiose mancavano della divozione necessaria per comunicarsi spesso, o non si preparavano al divino incontro con la dovuta diligenza. Egli esprimeva questi pensieri nelle pubbliche istruzioni, di modo che, ben presto, riuscì a rendere le Monache sfiduciate e timorose di comunicarsi. Geltrude se ne afiìiggeva e, pregando un giorno per l'austero direttore, chiese a Gesù se approvasse quel metodo. Rispose il Salvatore: «Le mie delizie sono di stare coi figli degli uomini. Per contentare il mio amore ho istituito questa Sacramento: mi sono obbligato a dimorarvi fino alla consumazione dei secoli, e ho voluto che si ricevesse di frequente. Se dunque alcuno, sia con pubbliche istruzioni, sia con privato consiglio, allontana dalla S. Comunione un'anima che non è in peccato mortale, impedisce e interrompe le delizie del mio Cuore. Se un principino si compiacesse grandemente di conversare, di giocare con fanciulli poveri, di bassa condizione, non si sentirebbe forse contrariato se il suo precettore duramente ve lo riprendesse, e cacciasse i poveri contadinelli sotto il pretesto che la dignità di un giovane principe non permette simili giochi, in compagnia di gente plebea? ».

« Signore - aggiunse la Santa - se la persona, a riguardo della quale ti ho interrogato, mutasse opinione e condotta, non le perdoneresti le sue esagerazioni? ». E Gesù: « Non solo le perdonerei tosto, ma le sarei grato di tale mutamento, come il principino al precettore che, cambiando parere, riconducesse egli stesso al suo discepolo i compagni di gioco, invitandoli graziosamente a divertirsi col suo giovane signore ».


CAPITOLO LXXIX. - VANTAGGI DELLO ZELO


Geltrude pregava per una persona che era alquanto contristata per timore di aver offeso Dio, correggendo con asprezza certe negligenze di Regola, che avrebbero potuto essere dannose per l'osservanza comune.

Ella ricevette dal migliore dei Maestri questa dilucidazione: « Se qualcuno desidera che il suo zelo sia a me gradito sacrificio di lode e procuri grande merito per l'anima sua, dovrà soprattutto applicarsi a tre cose:

« 1) Mostrare sempre volto amabile alla persona che corregge, (cosa del resto dovuta anche solo alla buona educazione) e, pur esigendo ciò che è bene, dovrà usare parole dolci e tratto caritatevole.

« 2) Avere somma cura di non propagare i difetti, se non per grave necessità, e in questo caso, manifestarli solo a persone prudenti ».

« 3) Non tacere mai per rispetto umano, ma, cercare in tutta carità l'occasione di distruggere il male, avendo di mira la gloria di Dio ed il bene delle anime.

« Facendo così l'anima sarà ricompensata, non in ragione del successo ottenuto, ma in proporzione del sacrificio fatto. Se i suoi sforzi non saranno coronati da risultato consolante, la colpa sarà di coloro che non hanno corrisposto al buon consiglio, osando resistere alla caritativa opera fraterna ».

In una certa occasione Geltrude pregava per le due persone che disputavano fra loro, una per difendere la giustizia, l'altra per mantenere la carità.

Il Signore le disse: « Quando un buon padre vede i suoi cari figliolini divertirsi davanti a lui, esercitandosi a lottare fra di loro, sorride compiaciuto, anche se talvolta si accapigliano: - se però s'accorge che uno dei combattenti colpisce sul serio il fratello, allora interviene e castiga il colpevole. Cosi faccio io, che sono il Padre delle misericordie, quando vedo i miei figli discutere e accalorarsi fra loro, quantunque preferirei che fossero sempre in pace. Se però alcuno tratta duramente l'avversario, non potrà evitare la correzione che la verga della mia giustizia paterna gl'infliggerà ».


CAPITOLO LXXX. - UTILITA' FUTURA DELLA PREGHIERA


Una persona si lamentava spesso di non ritrarre profitto alcuno dalle preghiere che si facevano per essa. Geltrude ne parlò a Gesù, il Quale le disse: «Domandale ciò che sceglierebbe per un suo cuginetto, se alcuna si offrisse di dargli o un beneficio, a l'equivalente in danaro. Ella, col suo buon senso, risponderà che val meglio per il fanciullo un beneficio i cui redditi aumenteranno fino all'età maggiore, mentre il denaro, affidato alle sue mani inesperte, sarebbe ben presto sciupato in futili cose. Raccomanda a quella persona d'affidarsi alla mia bontà; io le sono Padre, Fratello, Amico, e mi preoccupo più de' suoi interessi, ch'ella non saprebbe farlo per quelli del prossimo e degli stessi suoi parenti.

Deva persuadersi che metto fedelmente in serbo i frutti di tutte le preghiere, di tutti i buoni desideri che mi sono offerti per essa, e glieli porrò nelle mani quando non ci sarà più pericolo che li perda. Tale disposizione le sarà assai più salutare che se le dessi immediate consolazioni dopo la preghiera, perchè quella gioia darebbe occasione a sentimenti di orgoglio e di vana gloria; se poi le dessi prosperità temporali, l'anima sua forse le trasformerebbe in occasione di colpa ».


CAPITOLO LXXXI. - VANTAGGI DELL'OBBEDIENZA


L'ebdomadaria recitava a memoria il capitolo del Mattutino con l'intenzione di osservare perfettamente la S. Regola, che ordinava di recitarlo in quel modo. Geltrude vide che quella Religiosa acquistava, con tale atto di obbedienza, tanti intercessori in cielo, quante erano le parole del capitolo. «All'ora della morte - affermava Geltrude a questo proposito, usando le parole di S. Bernardo, - l'agonizzante sentirà la voce di tutte le opere sue. Fosti tu che ci eseguisti - diranno esse - noi siamo cosa tua, nè ti abbandoneremo giammai, ma verremo teco al tribunale di Dio. Allora tutti gli atti di obbedienza, prenderanno essi pure una voce per rassicurare il morente: essi avranno l'autorità di potenti personaggi, ciascuno dei quali basterà a sventare l'accusa d'una negligenza, o d'un fallo, e l'agonizzante sarà sommamente consolato nelle sue angosce ».


CAPITOLO LXXXII. - RACCOMANDAZIONE D'UNA EBDOMADARIA CHE LEGGEVA IL SALTERIO


Una ebdomadaria, che doveva recitare il Salterio prescritto dalla Regola, si era raccomandata alle preghiere di Geltrude. Questa vide in ispirito il Figlio di Dio, condurre l'ebdomaria davanti al trono di Dio Padre. Gesù lo pregò di rendere partecipe quell'anima dell'ardente amore e della fedeltà, coi quali Egli stesso aveva desiderato la sua gloria e la salvezza misericordiosa del mondo. Egli bramava che l'ebdomadaria, aiutata da quel soccorso, ottenesse le grazie desiderate.

Quando il Figlio ebbe invocato ii Padre, la persona, per cui aveva pregato, apparve ricoperta di abiti simili ai suoi, e giacchè si legge che il Figlio si tiene in piedi davanti al Padre, ad intercedere per la Chiesa, così anch'essa, come la regina Ester, stava ritta affine di pregare in unione a Gesù per il suo popolo, cioè per il suo Ordine. Ella adempì a tale obbligo sempre nella stessa positura, ed il Padre accettò le sue parole in due modi: dapprima come un signore che ottiene da un mallevadore il saldo del debito, di cui si è fatto garante; poi, come un padrone che riceve dal suo intendente una somma di danaro, per distribuirla a' suoi cari amici. Geltrude vide che il Signore ascoltava tutte le preghiere che quell'anima gl'indirizzava per la Comunità, anzi scorse che l'aveva posta davanti a sè, per distribuire alle sue Consorelle tutto quello che bramavano.


CAPITOLO LXXXIII. - UTILITA' DELLA SOMMESSIONE AI SUPERIORI


Geltrude aveva pregato Gesù di correggere Lui stesso i difetti di un Superiore. Ella ricevette questa risposta: «Non sai tu che, non soltanto quella persona, ma che tutti coloro che stanno a capo di quest'Ordine, che mi è così caro, hanno qualche difetto? Nessuno quaggiù è impeccabile. La bontà, la dolcezza, la tenerezza che ho per questa Congregazione, fanno sì che esercito i suoi membri nella virtù, permettendo che i Superiori commettano qualche mancanza; i sudditi ne avranno un immensa accrescimento di gloria, perchè ci vuole maggiore virtù a sottomettersi ad una persona di cui si conoscono le deficienze, che a un'altra, le cui azioni sembrano perfettissime ». Ma Geltrude insistette: « Dolcissimo Gesù, quantunque io provi una gioia immensa, pensando che gl'inferiori accrescano i loro meriti, pure gradirei di più che i Superiori fossero irreprensibili, perchè temo che le loro mancanze siano frutto di fragilità ».

Rispose l'amabile Maestro: « Io che conosco i loro difetti permetto che negli incalzanti impegni della loro carica commettano qualche fallo, senza di cui forse non riuscirebbero mai a diventare veramente umili. Invece nelle loro deficienze, come anche nelle loro buone opere, i meriti degl'inferiori si accrescono e gli stessi Superiori guadagnano, tanto per i difetti che per le virtù dei sudditi, proprio come tutte le membra di un corpo contribuiscono al suo benessere generale».

Geltrude comprese allora la bontà e la sapienza infinita del Signore, che prepara con tanta industria il trionfo degli eletti, servendosi meravigliosamente dei difetti per fare progredire nelle virtù. Se la stupenda, ineffabile misericordia di Dio, non le si fosse palesata che in questa sola circostanza, tutte le creature, unite insieme, non potrebbero mai lodarne sufficientemente il Signore.


CAPITOLO LXXXIV. - LA VERA PURIFICAZIONE DELL'UOMO


Un giorno Geltrude, mentre pregava per una persona afflitta, ricevette questa risposta: « Non temere, figlia mia; io non permetto mai che i miei eletti siano tribolati al di là delle loro forze e mi tengo sempre presso di loro per moderare, quando occorra, la prova. Una madre che riscalda il suo pargoletto, tiene la mano fra il fuoco ed il bambino. Tale è la mia condotta a riguardo dei giusti, perchè non è già per bruciarli, ma per purificarli e salvarli, che li espongo al fuoco della tribolazione». Poco appresso Geltrude offrì le sue preghiere al Signore per un'anima, dalla quale desiderava la conversione e, nell'impazienza delle sue brame, disse a Gesù: « Io sono è vero l'infima delle tue creature, ma poichè è per la tua gloria che io voglio la salvezza di quest'anima, donde avviene che, potendo ogni cosa, Tu non mi esaudisci? » «La mia Onnipotenza - rispose Gesù - mi permette di fare tutto ciò che voglio; ma la mia Sapienza mi fu discernere l'ora e il modo più adatto per l'esecuzione de' miei disegni. Un re desidera che le sue stalle siano ben tenute e potrebbe ristabilirvi l'ordine e la pulizia, scopandole egli medesimo; però non lo farà mai, perchè le convenienze non glielo permettono. Così io desidero la conversione dei peccatori, ma quando un'anima cade volontariamente nel male, Io non ne la ritraggo, se prima, aiutata dalla grazia, non fa violenza a se stessa e non stende verso di me la mano perchè possa decentemente pigliarla».


CAPITOLO LXXXV. - COME IL SIGNORE SUPPLISCE PER LA CREATURA


Un giorno Geltrude vide che una Suora, percorrendo gli stalli del coro, raccomandava, in nome della Superiora, l'osservanza di una particolarità, la cui omissione avrebbe turbato l'ordine della Salmodia. La Santa chiese al Salvatore se gradisse quell'atto di zelo. Egli rispose: «Quando un'anima si dà pensiero di prevenire, per la mia gloria, ogni negligenza durante l'Ufficio, ne la ricompenso, supplendo Io stesso a ciò che può mancarle nel fervore e nell'attenzione».


CAPITOLO LXXXVI. - OFFERTA A DIO DEI DOLORI E DELLE PERDITE DI PERSONE CARE


Geltrude stava supplicando il Signore per una persona desolatissima d'aver perduto un'amica prediletta. Le disse Gesù: « Vi hanno tristezze più amare delle altre; quelle per esempio che si risentono quando si riceve la notizia della morte di una persona amata, presso la quale si riceveva, non solo le consolazioni dell'amicizia, ma anche il buon consiglio per il progresso spirituale. Ebbene, se in tale frangente, l'anima si rassegna alla mia Volontà, dicendo: «Accetto il divin beneplacito e, se mi fosse data la scelta fra il compimento della Volontà di Dio e l'effettuazione del mio desiderio contrario, sceglierei che la Volontà di Dio si compisse. Se un cuore afflitto si facesse violenza ed accettasse il mio Volere per la durata di un'ora potrebbe andar sicuro che conserverei sempre a quest'atto generoso la primiera sua perfezione e che, lungi dall'offendermi per le impressioni di abbattimento che ne potessero seguire, le farei tutte convergere alla sua salvezza eterna ed alla sua temporale consolazione. Quando quest'anima rifletterà desolatamente ai vantaggi che ha perduti con la morte della persona diletta e al vuoto della sua assenza, io conterò tutti questi pensieri ed altri consìmili derivanti dall'umana fragilità, impegnandomi a compensarli con gioie e con meriti. La mia bontà mi obbliga ad agire così. Come l'orefice che prepara in un metallo prezioso il posto per diverse perle, prende l'impegno di trovarle e d'incastonarvele, così la mia bontà non lascia incomplete le opere sue. La mia divina consolazione è qui paragonata alle gemme preziose, perché si suole attribuire a tali perle proprietà speciali. Infatti quella consolazione celeste, comprata dall'uomo a prezzo di dolori, possiede tale virtù da supplire a ogni perdita, con sovrabbondanza di conforti nel tempo e nelle eternità ».


CAPITOLO LXXXVII. - COME IL SIGNORE RIPARA LE COLPE DI FRAGILITA'


Geltrude pregava per una persona bramosa di possedere davanti a Dio il merito della verginità e che temeva, per l'umana debolezza, di avere contratto qualche colpa in sì delicata materia. Tale persona le apparve fra le braccia di Gesù; era ricoperta di una tunica candida come neve, con pieghe disposte artisticamente. Il Signore volle benevolmente istruirla, dicendole: « Quando, per umana fragilità, qualche ombra offusca l'anima vergine, se essa rimpiange il male fatto e compie qualche penitenza, io trasformo le sue colpe in adatti ornamenti analoghi alle pieghe che danno all'abito grazia e bellezza. Tuttavia, giacchè rimane sempre vera la parola della S. Scrittura: Incorruptio proximum facit esse Deo - La perfetta purezza avvicina l'uomo a Dio (Sap. VI, 20) così, se tali macchie si moltiplicassero, metterebbero un ostacolo alle effusioni del divino amore, come la sovrabbondanza degli abiti impedisce nella Sposa gli abbracci dello Sposo ».


CAPITOLO LXXXVIII. - OSTACOLI FRAPPOSTI ALL'AZIONE DIVINA DAL GIUDIZIO PROPRIO


Geltrude pregava per un'anima desiderosa delle divine consolazioni; ma Gesù le disse: «Essa mette ostacolo all'effusione della grazia. Quando attiro i miei eletti alla intimità del mio amore, agisco in corrispondenza alle loro disposizioni; colui che si ostina nell'attacco al suo amor proprio, assomiglia ad una persona che si turasse le narici per non respirare l'olezzo dell'atmosfera, imbalsamata di fragranze. Invece colui che per amor mio rinuncia alle sue personali vedute, acquista tanti meriti quanto maggior violenza si imposta, praticando l'umiltà e giungendo a vittoria completa, perciò l'Apostolo ha detto: « Non coronabitur risi qui legitime certaverit - Nessuno sarà coronato se non avrà legittimamente combattuto » (II Tim. II, 5).


CAPITOLO LXXXIX. - LA VOLONTA' EQUIVALE ALL'OPERA


Geltrude supplicava Nostro Signore per una persona che trovava grande difficoltà in un lavoro che le era stato imposto. Gesù volle istruirla con questo paragone: «Ecco un uomo che, per amor mio, vuole intraprendere un grande lavoro nel quale teme difficoltà enormi, tanto che, quasi certamente, la sua vita interiore ne proverà detrimento. Ebbene sappi che se in questo caso, preferirà il compimento del mio Volere al bene stesso della sua anima, io stimerò tanto la sua buona intenzione, d'accettarla come se il lavoro fosse già compiuto. Quand'anche quest'uomo non iniziasse neppure l'opera sua, io lo ricompenserei come se l'avesse compiuta a perfezione ».


CAPITOLO XC. - NON BISOGNA PREFERIRE L'ATTIVITA' ESTERIORE ALLA VITA INTERIORE


Un giorno Geltrude pregava per una persona annoiata da varie preoccupazioni esterne, che per altro dipendevano dalla sua volontà. Le disse Gesù: « Tali pene la purificano dalle macchie che ha contratte, abbandonandosi troppo agli affari esterni, preferendo i vantaggi umani al profitto spirituale ». Rispose Geltrude: « Poiché non ci è dato vivere senza l'uso dei beni esterni, come mai questa persona può avere peccato, avendo ella una carica importante a cui soddisfare? ».

Le rispose Gesù: « Per una nobile donzella è un onore indossare un mantello foderato di pelliccia tigrata; ma se ella volesse mettere l'indumento in modo da lasciare al di fuori la pelliccia, quell'ornamento onorevole diventerebbe motivo di confusione. La madre sua, non potendo sopportare quel vestire ridicolo, le getterebbe almeno sulle spalle un indumento, per nascondere in qualche modo quella bizzarria che la farebbe sembrare insensata. Ed io che amo teneramente questa persona che mi è figlia, dissimulo i suoi difetti, coprendoli con quelle noie che risultano dalle sue occupazioni, senza per altro che vi sia vero colpa. Di più la rivesto di pazienza, come di un ornamento privilegiato, avendo raccomandato nel Vangelo di cercare prima di tutto il regno di Dio (Luc. XVI, 31) cioè il progresso spirituale. Quanto alle cose esterne, non ho neppure detto di cercarle in secondo luogo, ma ho promesso di darle in sopra più ».

I religiosi che bramano essere amici di Dio, devono pesare attentamente la verità di queste parole.