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L'ARALDO DEL DIVINO AMORE - RIVELAZIONI DI S. GELTRUDE
LIBRO TERZO
PREFAZIONE DI LANSPERGIO
La vergine Geltrude, per umiltà, non scrisse nè questo terzo libro, nè
i seguenti, però li ha dettati, - dietro ordine del Signore, - ad una
consorella colta perchè li scrivesse. Geltrude si credeva indegna di
raccontare grazie così eminenti, pensando di sciuparle col tocco della
sua penna, e preferì che un'altra le mettesse in luce, affinchè Dio
ricevesse degno omaggio di lode e di ringraziamento dalle anime che ne
verrebbero a conoscenza.
Ella pensava di togliere da un pantano una perla preziosa e
d'incastonarla in oro finissimo, rivelando ad altri i doni della bontà
divina, perchè il Signore avrebbe così ricevuto quelle lodi e quei
ringraziamenti ch'ella disperava di poterGli rendere. A tale ragione si
aggiunse poi l'ordine tassativo dei Superiori, che obbligarono l'una a
far conoscere le sue rivelazioni, l'altra a scriverle.
Questo terzo libro è ripieno d'istruzioni e di consolazioni; contiene
pure pii esercizi nei quali ciascuno, secondo lo stato particolare, può
imparare il modo di servire Dio e di piacerGli; come convenga offrire
al Padre celeste i meriti e il frutto della Passione del Figlio suo,
per espiare i propri peccati ed applicarsi i frutti della Redenzione;
come bisogna amare Dio con tutto il cuore, con quale divozione ricevere
i Sacramenti ed infine, come sia necessario conformarsi in ogni cosa al
divino beneplacito. Tutte queste cose, e molte altre ancora contenute
in questi libri, sono l'espressione pratica dell'amore di Dio verso i
suoi eletti. Tale amore rende, in questi ultimi tempi, il Signore così
compassionevole verso l'umana fragilità, da prodigarci con abbondanza
pari alla misericordia, i suoi doni, i suoi santi e se stesso senza
riserva alcuna, purchè la nostra buona volontà sia disposta a tutto
ricevere. Continua dunque, caro lettore; non ti pentirai d'aver letto
queste pagine.
PROLOGO
La grande umiltà di Geltrude, e soprattutto un forte impulso della
divina volontà, l'obbligarono a far conoscere a una persona quanto
segue. Sentendosi troppo indegna per rispondere alla grandezza dei
divini favori con riconoscenza adeguata, dopo d'averli manifestati ad
una consorella se ne rallegrava per la gloria di Dio, parendole d'aver
tolto una gemma dal fango per incastonarla in oro fulgente. Fu dunque
per ordine dei superiori che la sua consorella scrisse le pagine
seguenti.
CAPITOLO I. - SPECIALE PROTEZIONE DELLA VERGINE MARIA.
Geltrude aveva saputo, per via di rivelazione, che avrebbe dovuto
sopportare avversità per crescere in merito. Era alquanto perplessa,
temendo la sua fragilità; ma il Signore n'ebbe compassione e le diede
sua Madre, l'Augusta dispensatrice della grazia necessaria per ben
sopportare quella tribolazione. Egli voleva che, se la sofferenza le
avesse stretto l'anima al di sopra delle sue forze, subito si
rivolgesse alla Madre della misericordia che immediatamente le avrebbe
accordato soccorso.
Poco tempo dopo ella si trovò immersa nella desolazione più tormentosa,
perchè una persona consacrata a Dio, voleva costringerla a rivelare i
favori particolari ricevuti nella festa precedente. Per vari motivi
ella non giudicava opportuno aderire a quel desiderio, d'altra parte
temeva di resistere alla divina volontà. In tale dubbio ricorse alla
Consolatrice degli afflitti e n'ebbe questa risposta: «Dà generosamente
tutto quello che hai, perchè il mio Figliuolo è abbastanza ricco per
restituirti con sovrabbondanza quello che avrai speso per la sua
gloria». Tuttavia ella teneva nascosto il suo segreto con tante
precauzioni da riuscirle assai penoso e difficile svelarlo ad altri.
Si prostrò allora ai piedi di Gesù, supplicandolo di manifestare,
ancora più chiaramente, la sua divina volontà, e di darle la forza di
compirla. Il benigno Salvatore si degnò di illuminarla con queste
parole: « Deposita le mie ricchezze alla banca, perchè al mio ritorno,
ne abbia gli interessi ».
Lo Spirito Santo illuminò allora la sua intelligenza. Ella comprese
d'avere celato i divini favori per motivi di amore proprio; così, in
seguito, rivelò con facilità i doni di Dio, secondo la profonda parola
dei Proverbi: « Gloria regum est celare verbum: gloria autem Dei est
investigare sermonem: La gloria del Re è di tenere nascosta la parola,
ma quella, di Dio consiste nel premurosamente rivelarla ».
CAPITOLO II. - ANELLI DI SPIRITUALE ALLEANZA
Geltrude offerse un giorno al Signore, mediante una breve preghiera, le
sofferenze dell'anima e del corpo, intendendo di aggiungere anche le
delizie spirituali ed il riposo fisico di cui non poteva usufruire. Le
apparve allora Gesù, portando quella duplice offerta sotto il simbolo
di anelli ricchi di brillanti, posti, quali splendidi ornamenti, alle
sue dita divine. Dopo d'aver ricevuto quella luce, rinnovò assai spesso
la sua offerta. Un giorno, mentre la ripeteva con fervore, sentì Gesù
toccarle l'occhio sinistro con l'anello della mano sinistra, simbolo
della sofferenza fisica. Immediatamente sentì un acutissimo dolore a
quell'occhio sul quale il Signore aveva posto la mano, tanto che esso
non riacquistò mai più l'antico vigore.
L'atto del Signore le fece comprendere che l'anello è simbolo delle
nozze; e che le sofferenze fisiche, o morali sono il segno infallibile
delle divine predilezioni delle nozze dell'anima con Dio. In verità
colui che soffre può dire fiduciosamente: « Anulo suo subarrhavtt me »
(Pontif. Rom. De Consacratione Virginum). « Mi ha dato il suo anello
come pegno ». Se poi l'anima afflitta sa lodare e ringraziare il suo
Dio nell'angoscia, può con gioia celeste aggiungere: « Et tamquam
sponsam decoravit me corona » (Ibid), perchè la riconoscenza a Dio fra
le pene, procura gloriosa corona più preziosa dell'oro e del topazio.
CAPITOLO III. - MERITO DELLA SOFFERENZA
Un giorno venne rivelato a Geltrude che la naturale ripugnanza che noi
proviamo di fronte ai dolore, può darci un aumento di gloria. Verso la
Pentecoste provò un dolore così forte al fianco, che le persone
presenti avrebbero temuto vederla morire in quello stesso giorno, se
non avessero fatto esperienza che altre volte aveva superate
felicemente simili crisi. Il divino Consolatore ed Amante delle anime
volle allora istruirla nel modo seguente: disse che quando si sarebbe
trovata sola per la negligenza di coloro che avrebbero dovuto curarla,
Egli avrebbe supplito alla loro mancanza con la sua dolce presenza,
pegno d'ineffabili conforti. Ma se le attenzioni e le premure si
fossero moltiplicate intorno a lei, Egli si sarebbe nascosto con
aumento delle sue sofferenze.
Comprese allora Geltrude che più siamo abbandonati dagli uomini, più
Dio ci accarezza nella sua misericordia. Verso sera, essendo tormentata
dalla violenza del male, chiese un attimo di ristoro; il Signore,
alzando le braccia, le mostrò che portava sul suo petto, quasi
magnifico ornamento, tutte le sofferenze che aveva sopportato in quella
giornata. Tale monile le parve completo e senza difetto, e mentalmente
concluse che il male stava per finire. Ma Gesù, leggendole nel
pensiero, le disse: « Quello che soffrirai ancora, aumenterà lo
splendore dei mio gioiello ». Infatti il divino serto era ricco di
pietre preziose, ma tali pietre non avevano alcuno splendore. Fu allora
colpita da una specie di peste di forma benigna, durante la quale
sofferse di più per l'assenza di ogni consolazione che per la stessa
malattia.
CAPITOLO IV. - DISPREZZO DELLE CONSOLAZIONI TEMPORALI
Nei giorni che seguirono la festa di S. Bartolomeo, Geltrude fu
oppressa da una profonda melanconia che le fece perdere la pazienza. A
causa di tale fragilità l'anima sua fu immersa in tenebre così
profonde, da sembrarle d'aver perduto per sempre la divina presenza. Ma
il sabato seguente, mentre si cantava l'antifona « Stella Maris, Maria»
riebbe la gioia spirituale per intercessione della gran Madre di Dio.
La domenica successiva, felice di gustare le ineffabili dolcezze del
suo Dio, si risovvenne della passata impazienza e di altre sue colpe,
concependo di se stessa il più sincero disprezzo.
Allora domandò al Signore la grazia di correggersi, ma lo fece con tale
abbattimento, per la vista delle sue numerose miserie, che concluse con
accento quasi disperato: « O Padre delle misericordie, poni termine a
questi mali, giacché io non so mettervi nè limiti, nè misura « Libera
me Doratine et pone me juxta te, et cujusvis manus sit contra me.
Liberami, Signore, mettimi vicino a Te e che nessuna mano possa
elevarsi contro di te » (Giob. XVII, 2). Il Signore, che desiderava
consolarla ed istruirla, le mostrò un giardinetta ricco di vari fiori,
cinto d'una siepe di spine ed inaffíato da un ruscello di miele.
« Consentiresti
- chiese il Signore alla sua Sposa - d'abbandonarmi per godere la
vista di questi fiori, e per gustare il sapore di questo miele?
» « No, certo mio Signore! » rispose vivacemente Geltrude.
Gesù mostrò poscia a' suoi sguardi un altro giardinetto dal suolo
paludoso, dove cresceva a stento una magra verzura, e spuntavano alcuni
fiori senza profumo, nè vaghezza. « E
quest'altro giardino - chiese Gesù - lo preferiresti al tuo Dio?
» « Ah, esclamò Geltrude con indignazione, coprendosi inorridita il
volto: - Come potrei fissare la mia scelta su ciò che è vile e
perituro, mentre posseggo in Te, mio Dio, il solo tesoro vero, durevole
ed eterno?
« Aggiunse il Signore: «
I doni di cui ho arricchito l'anima tua sono la prova sicura che
possiedi la carità: perché dunque ti lasci opprimere dal turbamento e
dalla disperazione alla vista dei tuoi peccati? Non è forse scritto
"Charitas operit multitudinem peccatorum" "La carità copre la
moltitudine dei peccati?". Col giardino paludoso ed arido che tu hai
disprezzato, ho voluto simboleggiare la vita carnale: con quello
fiorito, la vita dolce, piacevole, esente d'avversità, quella vita che
tu avresti potuto godere comodamente, usufruendo del favore degli
uomini e di una riputazione di santità, se non avessi preferito la mia
divina volontà
« Oh, mio amatissimo Gesù - rispose Geltrude - fosse vero che io avessi
rinunciato alla mia propria volontà, disprezzando il giardino fiorito!
Ma temo d'averlo abbandonato a causa de' suoi angusti confini » « Infatti - riprese il
Signore - quando vedo le
anime dei miei eletti immerse nelle gioie della vita, la delicatezza
della mia infinita bontà mi suggerisce di eccitare in esse il rimorso
di coscienza, affinchè quella spina interiore loro manifesti il poco
valore dei beni terreni, ed essi li disprezzino più facilmente».
Geltrude, con atto generoso e spontaneo, rinunciò allora a tutte le
gioie terrene e persino alle celesti consolazioni, abbandonandosi
ciecamente alla volontà del suo Dio. Cinta dalle braccia del suo divin
Sposo, fiduciosamente appoggiata al suo sacro petto, le sembrava che
gli sforzi di tutte le creature riunite insieme non sarebbero più
riuscite a strapparla da quel domicilio di pace, dove attingeva dalla
Piaga del divino Costato un liquore vivificante più squisito del
balsamo.
CAPITOLO V. - COME IL SIGNORE SI CHINO' SU GELTRUDE CHE SI
UMILIAVA PROFONDAMENTE AL SUO COSPETTO
Nella festa dell'apostolo S. Matteo il Signore la colmò della dolcezza
delle sue benedizioni. Geltrude, imitando il sacerdote che, durante la
S. Messa, innalza il calice del prezioso Sangue, volle presentare ella
stessa tale offerta al suo Dio, in omaggio di ringraziamento. Ma poi
prese a riflettere che quell'oblazione santa, le servirebbe ben poco,
se non si unisse in pari tempo al Cristo disposto a soffrire per suo
amore, ogni sorta di tribolazioni. Allora staccandosi con generoso
sforzo dal petto beatificante del Signore ove si riposava con tanta
delizia, si distese a terra come un vile cadavere, dicendo: «Eccomi o
mio Dio, pronta a sopportare qualsiasi genere di dolore che possa
aumentare la tua gloria». Gesù, pieno di bontà, si levò e, ponendosi
accanto alla sua sposa, l'attirò teneramente a sè con queste parole:
«Hoc est meum ». «Ecco qualcosa che veramente è mio».
Fortificata dalla divina virtù, ella si rialzò e rispose: « Sì, mio
Signore, io sono l'opera delle tue mani ». Riprese l'amabile Salvatore.
« Ed io aggiungerò che
non posso essere felice senza di te! » Piena di
ammirazione per quelle adorabili parole, ricche d'infinita
accondiscendenza, ella aggiunse: « Come mai, o mio Dio, parli così,
mentre dopo d'aver provato le tue delizie nella creazione, possiedi in
Cielo e sulla terra falangi d'innumerevoli amici coi quali puoi vivere
felice, anche se io non fossi stata creata? ». Le rispose Gesù: « Chi è sempre stato privo d'un
membro non ne soffre la menomazione, come colui a cui sia stato tolto
in giovinezza. Così avendo io stabilito e fissato il mio amore
nell'anima tua, non potrò mai sopportare che tu sia separata da me
».
CAPITOLO VI. - COLLABORAZIONE DELL'ANIMA CON DIO
Nel giorno della festa di S. Maurizio, durante la S. Messa, al momento
della Consacrazione, Geltrude disse al Signore: « Oh, mio Dio quanto è
grande ed inestimabile l'opera della tua potenza. e del tuo amore! La
mia piccolezza non osa neppure fissarvi lo sguardo. Io discendo e mi
sprofondo nell'abisso della mia bassezza, e ivi aspetterò la parte che
mi sarà assegnata in questo tesoro, comune a tutti gli eletti ».
Le rispose Gesù: « Non
hai tu mai osservato come una madre, intesa ad assettare un
bell'intreccio di perle e di fili di seta, si faccia, nel delicato
lavoro, aiutare dal suo figliuolo minore? Essa lo pone su d'una
seggiola più elevata, e poi gli porge ora un filo di seta, ora una
perla. In tal, modo io ti ho posta ben in alto, per assistere a questa
S, Messa; se tu consenti, anche a prezzo di gravi sacrifici, ad
offrirmi generosamente il tuo buon volere ed a disporti a tutto fare ed
a tutto soffrire affinché l'oblazione del mio Corpo e del mio Sangue
abbia a produrre il suo pieno effetto per la salute dei vivi e per la
liberazione dei defunti, allora, nonostante la debolezza del tuo
potere, mi avrai aiutato efficacemente, nel compimento della mia grande
opera redentrice ».
CAPITOLO VII. - COMPASSIONE DI GESU' A NOSTRO RIGUARDO
Era il giorno dei Santi Innocenti: Geltrude bramava di presentarsi
fervorosamente a ricevere la SS. Comunione, ma provava una grande
difficoltà per le numerose distrazioni che l'assalivano. Avendo chiesto
il divino aiuto, ebbe da Gesù questa misericordiosa risposta: «Sappi, figlia mia, che se
un'anima, provata dalle tentazioni, si rifugia in me, è quella colomba.
scelta fra mille, della quale parlo nella scrittura "Una est colomba
mea, tamquam electa ex millibus, qui in uno oculorum suorum
transvulnerat Cor rneum divinum" ; Ella è questa sposa più amata di cui
un solo sguardo ferisce il mio cuore, e se fossi impotente a
soccorrerla, l'anima mia ne proverebbe un dolore così profondo, che
tutte le gioie del Cielo non basterebbero ad addolcirlo. Nella mia
Umanità congiunta alla Divinità, i miei diletti trovano un avvocato
compassionevole per le loro rinascenti miserie » « Ma
Signor mio » - riprese Geltrude - « come mai il tuo Corpo immacolato,
che non conobbe nessun disordine, potrà inclinarti ad aver compassione
delle nostre svariatissime miserie? ». Rispose Gesù: « Potrai convincertene per poco
che tu rifletta alla parola dell'Apostolo: « Debuit per omnia fratribus
assimilari, ut misericors fleret (Eb. II, 17). Dovette assomigliare ai
suoi fratelli per diventare misericordioso». Poi aggiunse:
«Te lo ripeto: lo sguardo
unico con cui la mia diletta mi rapisce il cuore, è quella confidenza
tranquilla e sicura che la porta a riconoscere che posso e voglio
aiutarla fedelmente in ogni cosa. Tale fiducia incondizionata fa
violenza alla mia tenerezza ed io divento impotente a resisterle »
« Io vedo bene » - rispose Geltrude - che l'abbandono confidente ti
rapisce il cuore, ma come fare a ottenere un dono così perfetto? E che
sarà mai di coloro che non l'hanno? ». - Rispose il Signore: - « La mia grazia non viene meno a
nessuno; tutti possono vincere la pusillanimità, meditando dei passi
della S. Scrittura che ispirano confidenza. Qual'è l'uomo che non
possa, se pur vuole, richiamare, almeno sulle labbra, le parole di
confidenza e di abbandono di cui sono infiorati i libri santi, come per
esempio, quest'espressione di Giobbe: « Etsi in profundum inferni
demersus fuero, inde me liberabis » e quest'altra « Ettamsi occideris
me, in te sperabo » « Quand'anche fossi inghiottito in
fondo degli abissi, Tu me ne ritrarresti, o Signore! Quand'anche Tu mi
uccidessi, io in Te spererei? » (Giob. XIII, 15).
CAPITOLO VIII. - LE CINQUE PARTI DELLA S. MESSA
Un giorno Geltrude, obbligata a letto per malattia, non poteva
assistere alla S. Messa, durante la quale avrebbe dovuto comunicarsi.
Con cuore angosciato disse al suo Dio: « Ecco, amabilissimo Gesù, che,
per disposizione della tua divina Provvidenza, non posso recarmi al S.
Sacrificio; come potrò ricevere degnamente il tuo Corpo sacratissimo ed
il tuo prezioso Sangue, poichè la mia migliore preparazione consiste
nell'unirmi con l'intenzione al celebrante, seguendo le varie parti del
S. Sacrificio?».
Il Signore rispose: « Giacchè
mi chiami in causa e sembri quasi rivolgermi un rimprovero, voglio, mia
amatissima Sposa, cantarti un epitalamio pieno di dolcezza e d'amore.
Ricorda che ti ho riscattata col mio Sangue e sappi che i trentatré
anni, nei quali ho lavorato sulla terra, sono stati consacrati a
preparare le mie nozze con te. Questo pensiero ti serva per la prima
parte della S. Messa.
Ascolta; sono Io che te
lo dico: - sappi che sei stata arricchita dal mio Spirito, e, come il
mio Corpo ha lavorato trentatré anni in preparazione alle nozze con te,
l'anima mia esultava in giocondi trasporti, pensando ai mistici
sponsali che doveva contrarre con l'anima tua. Questo pensiero ti terrà
luogo della seconda parte della S. Messa. -
Impara ancora da me: la
mia Divinità si è diffusa in te; è lei che, con la potente virtù,
mescola dolcezze inebrianti e delizie soprannaturali alle tue diuturne
sofferenze fisiche. Questo ti serva come terza parte della S. Messa.
Ascolta ancora una volta: fu il mio amore che ti ha santificata!
Riconosci dunque che nessuno dei beni che possiedi è tuo, ma ricorda
che hai ricevuto da me tutta quello che può renderti gradita a' miei
occhi; ciò ti servirà di meditazione per la quarta parte della S. Messa.
Infine ti rivolgo
un'ultima parola: ricorda a quale altezza fosti innalzata, mediante
l'unione con Me e riconosci che, essendomi dato ogni potere in cielo e
sulla terra, nulla può impedirmi di parteciparti la mia gloria e di
volere che colei, che è veramente la sposa del Re, sia chiamata regina
e riceva gli onori dovuti alla sua dignità. Deliziati nel meditare tali
privilegi e non rammaricarti più di non aver potuto assistere alla S.
Messa ».
CAPITOLO IX. - GENEROSA DISPENSAZIONE DELLA DIVINA GRAZIA
Dio aveva rivelato ad una persona che voleva, per le preghiere delle
monache, liberare un grande numero di anime purganti, perciò erano
state richieste al Convento preghiere particolari. Geltrude si dispose
a recitarle con grande fervore, in unione alle sue consorelle, quando
scorse Nostro Signore tutto raggiante di gloria nell'atto di dispensare
i suoi benefici. Siccome non poteva chiaramente discernere l'atto del
Signore, gli chiese fiduciosamente: « O Dio, ricco di bontà,
nell'ultima festa di S. Maria Maddalena ti sei degnato di rivelare,
alla tua indegna serva, che avresti accordato grazie speciali di
misericordia a coloro che in quel giorno si sarebbero prostrati ai tuoi
piedi per imitare la fortunata peccatrice, tua amatissima seguace.
Degnati, te ne supplico, rivelarmi anche oggi, l'atto che stai
compiendo in questo momento ». Rispose il Signore: « Distribuisco i
miei doni ». Comprese ella allora che Egli applicava alle anime dei
defunti le preghiere del Convento. Quantunque però questa anime fossero
presenti, essa non poteva vederle.
Aggiunse il Signore: « Non
vorresti offrirmi i tuoi meriti, perchè io possa aumentare le mie
liberalità? ». L'anima di Geltrude fu intenerita per
l'unzione di tale dolce invito e, pur non sapendo che la comunità era
tutta in preghiera per lo stesso scopo, provò una grande riconoscenza
per nostro Signore che si degnava chiederle qualche cose di personale.
Rispose quindi gioiosamente: « Sì, mio Dio, io ti offro, non soltanto i
miei beni che sono poca cosa, ma anche quelli della comunità di cui
posso disporre in virtù di quel dolce vincolo fraterno che la tua
divina grazia ha stretto fra noi; quindi con volontà piena, ti presento
quest'offerta per onorare le tue divine perfezioni».
Allora il Signore, come distolto dalla sua occupazione per l'immensa
gioia che gli procurava tale offerta, stese una bianca nuvola che lo
coperse insieme alla sua amatissima Sposa, poi s'inchinò verso di lei
ed attirandola dolcemente a sè, le disse: « Occupati di me solo, e
gusta le delizie della mia grazia ».
Ma Geltrude riprese: « Perché mai, o Dio, infinitamente buono, hai
rivelato a un'altra persona quello che volevi fare per le anime
purganti, e mi hai privato di questa luce, mentre, di solito, mi sveli
la maggior parte de' tuoi segreti? ». Rispose il Signore: « Ricordati che spesso i miei doni
non servono che ad umiliarti, perché te ne giudichi indegna; così li
ricevi come un mercenario a cui si paga il salario. Tu pensi che la tua
fedeltà dipenda unicamente da questi benefici, e allora esalti le anime
che, senza alcun favore speciale, sono fedelissime in tutte le cose.
Ebbene stavolta ho voluto farti condividere la loro sorte, perchè il
tuo zelo per le anime purganti e le tue assidue preghiere, non essendo
ispirate d'alcun favore particolare, fossero per te più meritorie
».
Mentre ascoltava queste ineffabili parole, fu come rapita nella
contemplazione di quella bontà divina che, ora diffonde sulle anime
nostre il fiume impetuoso delle sue grazie, ora rifiuta anche un minimo
favore per custodire più sicuramente tali grazie.
La vista dell'ammirabile condotta di Dio che tutto faceva convergere al
bene dell'anima sua, eccitò in essa tale riconoscenza che, rapita in
estasi e quasi venendo meno sotto l'azione divina, si gettò sul sacro
petto di Gesù, dicendo: « O Dio, la mia debolezza non può sopportare la
vista di queste meraviglie d'amore ». Il Signore attenuò allora lo
splendore di quella luce; ma quando Geltrude si fu un po' rinvigorita,
gli disse: « Poichè la
tua Provvidenza, o mio Dio, nella sua incomprensibile sapienza, ha
creduto bene privarmi di questo dono, non voglio più nemmeno
desiderarlo. Però ti pregherei di dirmi soltanto, se mi esaudisci
quando io ti prego in favore de' miei amici ». E il
Signore affermò con giuramento: « Io
ti esaudisco con la mia divina virtù ». « Allora ti prego
per quella persona che mi fu sì spesso raccomandata ». Geltrude vide
sfuggire dal sacro petto del Redentore un ruscello d'acqua limpida come
il cristallo, che penetrò fino nel più intimo dell'anima per la quale
pregava. Ella interrogò ancora il Signore: « Se questa persona non
sente l'effusione della tua grazia che l'investe, potrà approfittarne?
». E Gesù di rimando: «
Quando il medico fa prendere ad un malato una medicina salutare, spesso
non è dato a coloro che lo curano constatarne subito i buoni effetti,
ed il malato stesso non si sente guarito sul momento. Pure il medico,
che conosce la potenza del rimedio, ne prevede il felice risultato
». « Ma perchè, Signore » - insistette Geltrude - « non togli a
quest'anima le sue cattive abitudini e gli altri suoi difetti come
tante volte te ne ho pregato? ». « Non
hai tu meditato - rispose il signore - quello che si dice della mia
infanzia: "Profictebat aetate et sapienza coram Deo et hominibus?
Avanzava in grazia e in sapienza davanti a Dio e davanti agli uomini?"
(Luc. II, 52). Questa persona con lento progresso giornaliero, cambierà
a poco a poco i suoi difetti in virtù; io le perdonerò tutto quello che
deriva dall'umana fragilità, per potere poi darle in cielo le
ricompense che ho destinato all'uomo, volendo io innalzarlo al di sopra
degli stessi angeli ».
L'ora della S. Comunione s'avvicinava. Geltrude domandò al Signore di
volere benevolmente anticipare il tempo della sua misericordia e di
convertire tanti peccatori, quante erano le anime purganti che avrebbe
liberato, ascoltando le preghiere della comunità. Ella aveva
l'intenzione di pregare per le anime peccatrici che, nella divina
prescienza, si sarebbero salvate, non osando includere anche quelle che
già correvano la via della dannazione. Ma il Signore le rimproverò
quella riserva: « Con la
presenza reale del mio Corpo e del mio prezioso Sangue che stai per
ricevere - le disse - non potresti ottenere che anche i peccatori che
stanno per dannarsi abbiano a convertirsi? ».
L'immensa misericordia racchiusa in tali parole la riempì
d'ammirazione: « O mio Dio, - rispose - poichè la tua infinita bontà si
degna d'ascoltare la mia preghiera, io, unendomi all'amore di tutte le
tue creature, ti domando di convertire tanti peccatori quante anime
purganti libererai, e di convertire quegli stessi peccatori che vivono
in istato di dannazione: tale immensa grazia sia accordata a tutti
coloro a cui vorrai dispensarla, dovunque essi siano e nel tempo
fissato dalla tua Provvidenza. Rivolgendoti questa supplica non voglio
avere di mira nè i miei amici, nè i miei parenti, nè alcuno della mia
famiglia ».
Il Signore accolse benevolmente questa generosa domanda e promise
esaudirla; Geltrude aggiunse: « Vorrei sapere, o mio Dio, quello che
potrei fare per supplire all'insufficienza delle mie preghiere ». Ma il
Signore non rispondeva. E Geltrude: « O mio dolce Gesù, Tu taci perché,
conoscendo il fondo de' cuori, non puoi chiedere alla mia debolezza ciò
che forse non saprebbe darti ». Il Salvatore rispose con un volto
raggiante di dolcezza: « La sola confidenza può facilmente ottenere
qualsiasi cosa. Tuttavia se il tuo zelo vuole offrirmi un tributo
d'omaggio, recita trecentosessantacinque volte il salmo "Laudate
Dominum omnes gentes ecc.": così mi presenterai un gradito supplemento
alle lodi che le creature hanno trascurato di rendermi ».
CAPITOLO X. - TRE OFFERTE PREZIOSE
Alla festa di S. Mattia, ella aveva stabilito, per diverse ragioni,
d'astenersi dalla S. Comunione: durante la prima Messa, teneva lo
spirito attento a Dio ed ai bisogni della sua anima.
Il Signore le dimostrò allora con numerosi attestati di tenerezza,
l'affezione più verace e profonda, proprio quella che un amico può
sentire per il suo amico. Ma ella non era soddisfatta, essendo abituata
a ricevere favori più elevati, in una forma superiore. Quello ch'essa
avrebbe voluto era di uscire dal suo io per aderire completamente al
Diletto, chiamato fuoco consumatore; anzi desiderava liquefarsi, negli
ardori della carità per unirsi più intimamente all'oggetto dell'amor
suo. Ma siccome il ringraziamento non assecondava in quel giorno le sue
aspirazioni infuocate, ella vi rinunciò per la gloria di Dio e riprese
le sue pratiche abituali. Tali pratiche consistevano nel lodare
l'immensa bontà e accondiscendenza della SS. Trinità, per tutti i
benefici sgorgati dagli abissi infiniti delle sue ricchezze per
diffonderli su tutti i beati.
Inoltre ella ringraziava l'augusta Triade per tutti i favori accordati
alla SS. Madre di Dio, per i doni eccellenti infusi nella SS. Umanità
di Gesù Cristo. Infine supplicava tutti i Santi riuniti, e ciascuno di
essi in particolare ad offrire, in supplemento delle sue negligenze,
alla risplendentissima, tranquilla Trinità, l'amore e la perfezione coi
quali, nel giorno del loro trapasso, si presentarono davanti al Dio
della gloria, per ricevere la ricompensa delle loro fatiche. A tale
scopo recitò tre volte il salmo Laudate Dominum omnes gentes, in onore
di tutti i Santi, della Vergine e del Salvatore divino.
Ma le disse Gesù: « Come farai a ringraziare i Santi delle preghiere
che stanno per offrirmi secondo le tue intenzioni, poichè vuoi
tralasciare la S. Comunione, per mezzo della quale tu sei solita ad
offrirmi, da parte loro, i sensi della più perfetta riconoscenza? ». A
tale domanda Geltrude non osò rispondere.
Al momento della Consacrazione ella sentì l'ardente desiderio di
trovare un'offerta degna d'essere presentata al Padre, come tributo di
lode. Il Signore le disse: «
Se tu ti preparassi oggi a ricevere il Sacramento vivificante del mio
Corpo e dei mio Sangue, ti sarebbe possibile ottenere i tre benefici
che tu bramavi, cioè di godere la dolcezza del mio amore, di sentire
l'anima tua liquefarsi per l'ardore della mia Divinità, in modo che
possa scorrere in me come l'argento fuso si mescola con l'oro nel
crogiolo; infine tu possederesti un prezioso tesoro degno d'essere
offerto al Padre onnipotente, in omaggio di eterna lode e tutti i Santi
ne avrebbero aumento di ricompensa ».
Persuasa da tali divine espressioni, ella s'infiammò di un desiderio
così ardente di ricevere il SS. Sacramento che, per farlo, non avrebbe
esitato a passare fra spade sguainate. Andò quindi a comunicarsi e,
mentre stava ringraziando Dio di tanto dono, il dolce Amico le disse: «
Stamane, assecondando un moto di volontà propria, tu ti preparavi a
compiere il dovere d'un servo volgare che porta al suo padrone calce,
travi e mattoni. Ma io ti ho eletta nel mio amore e ti ho posta fra i
felici invitati che si saziano alla mia tavola regale ».
Siccome poi, in quello stesso giorno, una consorella si era astenuta,
senza serio motivo, dalla S. Comunione, Geltrude chiese al Signore: «
Perchè mai hai permesso, o Dio misericordioso, ch'ella fosse così
fieramente tentata? ». Rispose Gesù: « Non devi accusare me, perchè
essa ha coperto così bene gli occhi col velo della sua indegnità, da
non poter più scorgere l'immensa tenerezza del mio fraterno amore ».
CAPITOLO XI. - DI UN'INDULGENZA E DELL'AMORE AL DIVIN
BENEPLACITO
Geltrude seppe che si predicava un'indulgenza di parecchi anni, secondo
l'uso di quei tempi per incoraggiare offerte: ella disse al Signore: «
O mio Dio, se possedessi grandi ricchezze vorrei consacrare argento e
oro per la gloria di Dio, l'onore del tuo Nome, in espiazione delle mie
colpe e per ottenere l'ampiezza delle sante indulgenze».
Rispose Gesù con bontà: « Con
l'autorità e la potenza della mia Divinità, ricevi la completa
remissione delle tue colpe e fragilità». La sua anima le
riapparve subito purificata e smagliante di celeste candore.
Qualche giorno dopo, rivide l'anima sua scintillante di purezza ed ebbe
timore d'essersi illusa, perchè aveva commesso alcune negligenze che
avrebbero dovuto appannare quel magnifico splendore.
Il Signore con dolce benignità volle consolarla e le disse: « Credi tu forse che io abbia un
potere inferiore a quello che pur ho accordato alle mie creature? Se ho
comunicato al sole la virtù di fare sparire le macchie col calore dei
suoi raggi infuocati, e di rendere la parte macchiata nitida, e linda,
a più forte ragione Io, che sono il Creatore dei sole, potrò diffondere
la ricchezza della mia misericordia sull'anima che desidero purificare
ed abbellire con la forza indomabile del mio eterno amore».
In altra occasione Geltrude alla vista della sua indegnità, si era così
scoraggiata da non poter più cantare le divine lodi, nè aspirare alle
dolcezze della contemplazione. In seguito però riuscì a rinvigorirsi
per la misericordia di Dio, ed i meriti della santissima vita di Nostro
Signore Gesù Cristo; così le fu possibile avanzarsi, secondo il suo
desiderio, verso la Maestà del Re dei re, rivestita di quella bellezza
che brillava nella regina Ester, in presenza d'Assuero.
Il Signore le chiese benevolmente: «Che
cosa comandi, o mia regina e sovrana? ». Ella rispose: «
Chiedo e desidero ardentemente, che si compia in me sempre la tua
amabilissima volontà! ». Allora il Salvatore, nominandole l'una dopo
l'altra le persone che si erano raccomandate alle sue preghiere, le
chiese: « Che vuoi per
quell'anima, e per quell'altra, e per quest'altra che più
particolarmente si raccomandano alle tue orazioni? ».
« Oh, mio Dio, - rispose Geltrude - la mia delizia è tutta qui: domando
unicamente che si compia in esse, a perfezione, la tua divina Volontà
». Insistette Gesù: « E
per te non hai qualche desiderio particolare? ». Geltrude
affermò: « Desidero sopra tutte le cose vedere la tua amabile pacifica
Volontà realizzarsi in me in tutte le creature: per raggiungere questo
scopo sarei pronta ad esporre a qualsiasi supplizio ciascun membro del
mio corpo ».
L'infinita bontà di Dio, che le aveva ispirato brame così perfette,
volle degnamente compensarla con questa promessa: « Tu hai commosso il mio Cuore col
tuo assoluto abbandono alla mia Volontà, perciò mi compiaccio di
ricompensare il tuo ardente zelo con un dono specialissimo. Ti amerò in
avvenire, e Tu sarai gradita al mio divino sguardo come se sempre la
tua vita fosse stata la copia perfetta della mia Volontà, e non
l'avessi mai trasgredita nella minima cosa ».
CAPITOLO XII. - MISTICA TRASFIGURAZIONE COMPIUTA
DALLA GRAZIA
Mentre si cantava l'antifona: In lectulo meo etc. (Cantic. III) ove si
trovano ripetute quattro volte queste parole: « Quem diligit anima mea
- Colui che la mia anima predilige » ella comprese che l'anima fedele
può cercare Dio in quattro modi diversi: Con le parole: « In lectulo
meo per noctem quaesiiri quem diligit anima mea - Nel mio giaciglio,
durante la notte, ho cercato Colui che amo» (Cant. III) ella comprese
la prima via con cui si cerca Dio, che consiste nell'offrirgli continue
lodi nel sacro riposo della contemplazione. L'antifona continua: «
Quaesivi illum et non inveni - L'ho cercato e non l'ho trovato». Perché
l'anima prigioniera nella carne mortale, non riesce a lodare Dio
perfettamente.
La seconda maniera di cercare Dio le fu svelata in questo versetto: «
Surgam et circuibo civitatem, per vicos et plateas, quaerens quem
diligit anima mea » « Mi leverò, girerò intorno alla città, cercherò
nelle vie e nelle piazze pubbliche colui che l'anima mia ama». Perchè
l'anima percorre le vie e le piazze, cioè che studia con ringraziamenti
di compensare i benefici divini prodigati alle sue creature; ma, non
riuscendo a livellare i benefici con la gratitudine, aggiunge con
ragione: « Quaesivi illum et non inveni ».
Nel terzo versetto: « Invenerunt me vigiles qui custodiunt civttatem -
Coloro che vegliano per custodire la città, mi hanno incontrato», le
diede modo di comprendere che gli avvisi della giustizia e della
tenerezza di Dio, portano l'anima a concentrarsi in se stessa.
La sposa dei cantici dopo d'aver paragonato la bontà di Dio con la sua
indegnità, incomincia a gemere, a fare penitenza de' suoi peccati e a
sospirare la divina misericordia, dicendo: « Num quem diligit anima mea
vidistis? » « Non avete visto colui che la mia anima ama? ». Non avendo
nessuna fiducia ne' suoi meriti, si rivolge a Dio in atto di piena
confidenza e trova il Diletto dell'anima sua, sia per fervente
supplica, come per la luce della grazia.
Dopo il canto di quest'antifona, durante la quale aveva gustato
consolazioni ineffabili, ella senti il cuore e tutte le sue membra così
scosse dalla virtù divina, che le parve di venir meno: « O mio diletto
Gesù, - disse Geltrude - ora posso proprio affermare che le profondità
del mio essere, e tutte le mie membra hanno trasalito alla tua dolce
venuta ». Rispose il Signore: « Conosco l'unzione divina che scorre da
me e che in me ritorna, ma mentre vivi in carne mortale, non puoi
capire la tenerezza di Dio che in te si è riversata. Desidero che tu
sappia che, in forza di tale grazia, hai ricevuto una gloria che
potrebbe paragonarsi a quella che rifulse nel mio Corpo al Monte Tabor.
Nella dolcezza del mio amore posso quindi dire di te: « Hic est filius
meus dilectus in quo miht bene complacui » (Matt. XVII, 5). « Costui è
il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto »; perché la
caratteristica di questa grazia è d'investire il corpo e l'anima del
mio stesso meraviglioso splendore ».
CAPITOLO XIII. - SPIRITO DI RIPARAZIONE
Un giorno, mentre si ripiegavano i sacri lini, cadde a terra un'Ostia
ch'era stata posta sull'altare e che si dubitava fosse stata consacrata.
Geltrude ricorse subito a Gesù e, sentendo che quell'Ostia non era
consacrata ne giubilò in segreto, perché tale irriverenza era stata
risparmiata al suo Diletto. Pure ardente di zelo com'era per la gloria
di Dio, disse:! « Quantum. quella tua infinita bontà abbia impedito
oltraggio così grave verso il SS. Sacramento, pure poichè sono tante le
offese che ti si fanno, non solo dai tuoi nemici, ma ancora da coloro
che dovrebbero esserti amici e talvolta, cosa degna di lagrime
infinite, dai tuoi stessi sacerdoti e religiosi, non dirò nulla alle
mie consorelle per non privarti delle riparazioni che ti offriranno e
dell'omaggio delle loro consolazioni ». E aggiunse: « Fammi conoscere,
mia Gesù, quale sodisfazione ti sarebbe cara per riparare le offese che
si commettono contro di Te, perchè mi sarà dolce consumare tutte le mie
forze per la gloria e l'onore del tuo Nome ». Il Signore le manifestò
che, gradirebbe assai la recita di duecentoventicinque Pater noster per
onorare le sue sacratissime membra, in unione di quell'amore col quale
Egli si è fatto uomo per amor nostro. Desiderò inoltre si facesse lo
stesso numero di atti di carità al prossimo, come se si facessero a Lui
stesso, memori della parola evangelica: « Quod uni ex minimis mei
fecistis, mthi fecistis - Quello che avete fatto al più piccolo de'
miei, l'avete fatto a me stesso » (Matt. XXV, 40), Infine chiese che lo
stesso numero di volte si rinunciasse ai piaceri inutili della terra
per dare gloria a Dio.
Oh, come sono grandi e ineffabili le misericordie del nostro
caritatevole Salvatore che si degna gradire soddisfazioni così piccole
e ricompensarle generosamente, quantunque non meriteremmo che giusti
castighi, rifiutandogli tanto spesso il dovuto omaggio del puro amore.
CAPITOLO XIV. - L'ANIMA VIENE PURIFICATA IN DUE MODI
L'AMAREZZA DELLA PENITENZA E LA SOAVITA' DELL'AMORE
Il Signore per aumentare i meriti delle anime che gli sono care e
assicurare meglio la loro salvezza, permette talvolta che trovino
difficoltà notevoli nel compimento dei doveri facilissimi. Ciò appunto
capitò a Geltrude. La confessione delle sue colpe le parve un giorno
così penosa, che credette di non poter superarsi con le sole sue forze.
Pregò allora il Signore, con tutto lo slancio della sua fede e l'ardore
della sua carità. Le chiese Gesù: « Vorresti
affidarmi, con un atto di assoluta confidenza, la cura di questa
confessione e non pensarci più nell'avvenire?». Rispose Geltrude: « Sì,
mio amorosissimo Salvatore, io ho piena e sovrabbondante fiducia nella
tua onnipotente bontà: ma dopo d'averti offeso, sento il bisogno di
ripensare con amarezza alle mie colpe, per offrirti così una prova
efficace di pentimento ».
Avendo il Signore gradito la sua buona volontà, ella s'immerse nella
considerazione della sua miseria, e ben tosto vide la sua pelle qua e
là strappata come se si fosse avvoltolata in un roveto spinoso. Ella
mostrò le sue piaghe al Padre delle misericordie perchè, medico abile e
fedelissimo, avesse la bontà di guarirla.
Il Signore, chinandosi benignamente verso di lei, le disse: « Col mio soffio divino ti preparo
il bagno salutare della confessione. Quando poi sarai purificata
secondo i miei desideri, apparirai splendente al mio divino sguardo
». Ella volle ben tosto svestirsi per essere immersa in quel mistico
bagno e disse: « O mio Dio, tengo in cuore un desiderio così ardente
della tua gloria, che mi sento forzata a spogliarmi d'ogni desiderio di
umano onore, anzi se fosse necessario sarei pronta a dichiarare i miei
peccati davanti al monto intero ».
Il Signore la ricoperse allora dei suoi propri indumenti e la fece
dolcemente riposare sulla sue braccia fino a che il bagno fu pronto,
cioè fino al momento della confessione.
Ma quando giunse quell'istante ella fu di nuovo stretta da un vivo
turbamento: « Signore - disse - Tu non ignori come questa confessione
mi sia penosa; perché mai permetti che io sia angosciata fino a questo
punto? », Rispose il buon Maestro: « Le persone che fanno i bagni
devono poi sottoporsi a energiche frizioni per fortificare il corpo;
così l'anima tua diverrà più generosa in mezzo alle difficoltà
».
Ella vide allora alla sinistra del Signore preparato un bagno, dal
quale s'alzavano tiepidi vapori: nello stesso tempo il Signore le
mostrò alla sua destra un giardino delizioso adorno di olezzanti fiori,
fra i quali si distinguevano magnifiche rose, senza spine, che
affascinavano lo sguardo coi loro vaghi colori. Il Signore invitò
Geltrude a entrare in quell'amenissimo giardino, tanto più che il bagno
le riusciva insopportabile.
« No, mio Gesù - rispose generosamente la Santa - entrerò piuttosto
senza esitare nel bagno, che Tu hai riscaldato col tuo soffio divino »,
E il Signore « Cosi sia
per la tua eterna salvezza ».
Ella comprese poi che quel bel giardino simboleggiava la soavità
interna della divina grazia. Infatti la grazia, abitante per mezzo del
soffio dolce e leggero dell'amore, spande sull'anima fedele la
profumata rugiada delle lagrime che la rendono candida come la neve e
le danno una perfetta sicurezza, non solo riguardo alla remissione de'
peccati, ma anche riguardo all'abbondanza dei meriti. Da ciò ella
concluse che il Signore era stato contento di vedere che, per amor suo,
lasciava la via facile e dolce delle celesti consolazioni e sceglieva
un cammino aspro e penoso.
Dopo la confessione si ritirò piamente nell'oratorio e sentì la
presenza dell'amabìle Redentore che le aveva reso quell'atto così
difficile e doloroso. Ella infatti aveva provato difficoltà enorme a
dichiarare difetti leggerissimi che altri, senza nessun turbamento,
avrebbero accusato, anche in pubblico.
Giova sapere che l'anima resta purificata da tutti i suoi peccati, in
due diversi modi; con l'amarezza della penitenza e i sentimenti da essa
ispirati. La prima purificazione è simboleggiata nel bagno: l'anima si
giustifica anche nel crogiolo dell'amore e dei sentimenti da esso
derivanti: ciò che vien simboleggiato dal delizioso giardino.
Geltrude si riposò in seguito. nella sacra ferita della Mano sinistra
di Gesù, come per gustarvi, dopo il bagno, quella quiete che accompagna
la traspirazione, e colà attese l'ora di poter compiere la penitenza
imposta dal Confessore. Siccome tale penitenza doveva farla in un certo
tempo determinato dal sacerdote, ella s'affliggeva di non poter forse,
prima d'averla compiuta, godere liberamente e familiarmente la presenza
del suo amatissimo Signore.
Durante la S. Messa quando il celebrante innalzò l'Ostia Santa, che
cancella il peccato e riconcilia l'uomo con Dio, Ella si unì al divin
Sacrificio, presentando quell'offerta divina al Padre in spirito di
riparazione per ottenere il perdono di ogni colpa, e in ispirito di
ringraziamento per il bagno salutare della confessione. L'offerta venne
accolta eri ella fu ammessa nel seno del Padre, oceano di bontà
infinita. Là ella comprese per esperienza che l'Oriente che brilla in
alto Oriens ex alto, l'aveva veramente visitata con le viscere della
sua misericordia e della sua bontà.
CAPITOLO XV. - L'ALBERO DELL'AMORE
All'indomani durante la S. Messa al momento dell'Elevazione, si sentì
assonnata e poco attenta alla preghiera. Ma il suono del campanello la
risvegliò di scatto ed ella vide il. Signore Gesù che teneva fra in
mani un albero, il cui tronco era stato spezzato a livello del suolo; i
suoi frutti erano magnifici e ciascuna foglia brillava come stella,
irradiando luminoso splendore.
Il Signore scosse l'albero in mezzo alla corte celeste e i Santi, con
grande giubilo, ne gustarono i frutti saporiti. Poco dopo Egli piantò
l'albero nel cuore di Geltrude come in fertile giardino, perché
producesse frutti di vita, dando alla sua Sposa ombra rinfrescante e
nutrimento squisito. Appena piantato l'albero ella s'impegnò di farlo
fruttificare, e pregò per una persona che le aveva recata pena.
Geltrude chiese anzi di sopportare nuovamente quell'affronto per
ottenere grazie più abbondanti a colei che glielo procurava. In quello
stesso momento vide in cima all'albero un fiore stupendo che si sarebbe
mutato in frutto, appena ella avesse tradotto in atto il suo santo
progetto. Quell'albero simboleggiava dunque la carità che, non solo
produce frutti di buone opere, ma anche fiori di santi desideri e
foglie luminose di nobili pensieri; perciò tutti gli abitanti del cielo
giubilano, quando vedono un mortale generoso che si prende cura dei
suoi sofferenti fratelli.
In quello stesso momento dell'Elevazione le venne regalato un magnifico
monile d'oro, che dava risalto allo splendido abito rosa che aveva
ricevuto alla vigilia, quando riposava sul sacro petto del Signore.
Nel medesimo giorno, all'ora di Nona, Gesù le apparve nell'aspetto di
un giovane pieno di grazia e di bellezza. Egli la pregò di cogliere
alcune noci dall'albero suddetto per offrirgliele e, sollevandola da
terra, la pose a sedere su di un ramo: « O amabilissimo giovinetto,
come mai mi chiedi questa cosa? Per la virtù e per il sesso sono assai
debole, tanto che mi pare più conveniente ricevere che dare ». « No - rispose Egli - la sposa che si trova in casa dei
suoi genitori, agisce con grande libertà e disinvoltura, mentre il suo
fidanzato, quando viene a visitarla, non può comportarsi nello stesso
modo. Ma in queste occasioni la fidanzata si mostra verso di lui piena
di riguardi e di delicatezze: Egli a sua volta la riceverà nella sua
casa con tenerezza, e benevolenza ».
Il Signore volle farle capire come sono da riprendersi quelli che
dicono: « Se Dio volesse
quello che voglio io e mi desse l'abbondanza della sua grazia, farei
questo e quello ». Come se non fosse giusto che l'uomo
spezzi in tutto la volontà propria per compiere quella di Dio,
assicurandosi così una meravigliosa ricompensa !
Geltrude stava per offrire le noci al giovinetto, quando egli salì
sull'albero, sedette al suo fianco e l'invitò a togliere il gheriglio
dal guscio per cibarsene. Voleva con tale simbolo insegnarle che non
basta vincere i propri risentimenti per far del bene ai nemici, ma che
bisogna altresì farlo il più delicatamente possibile.
Sotto il velo di quelle noci, il Signore voleva raccomandarle la
beneficenza verso coloro che la perseguitavano; quei frutti
dall'involucro duro e amaro erano posti sull'albero dell'amore assieme
a mele e frutti gustosissimi, per far capire che la carità verso i
nemici deve praticarsi fra le dolcezze dell'amore di Dio, amore che
rende l'uomo pronto a soffrire persino la morte per il nome di Gesù
Cristo.
CAPITOLO XVI. - VANTAGGI DELLA PERSECUZIONE E COMUNIONE
SPIRITUALE
L'ultimo giorno nel quale il Convento celebrava l'ufficio divino che
l'interdetto ecclesiastico doveva poi sospendere, si cantò la Messa
Salve Sancta Parens, in onore della Madre di Dio.
Geltrude chiese al Signore: « O Dio, infinitamente buono, come ci
consolerete nell'attuale desolazione? ».
« Io attingerò in voi - rispose Gesù - delizie abbondanti. Come lo sposo
gusta la compagnia della sua sposa nell'intimità della camera nuziale,
più volentieri che nei tumulto di una folla, così io troverò gioie
squisite nell'accogliere i sospiri ardenti e i gemiti dei vostri cuori.
L'amor mio divamperà in voi con nuovi accrescimenti come fa il fuoco
che, compresso, raddoppia di vigore. Le compiacenze che troverò nelle
anime vostre e lo slancio del vostro amore per me, saliranno come acqua
che s'innalza con tanta maggior forza quanto più fortemente è stretta
fra le dighe ».
Geltrude chiese: « Quanto tempo durerà quest'interdetto? » « Ti assicuro che per tutta il
tempo che esso si prolungherà, io sarò largo delle mie grazie più elette
».
Aggiunse la Santa: «I grandi della terra considerano una vergogna
trattare con persone di bassa condizione; è quindi giustissimo che il
Re dei re tenga segreti i disegni, della Provvidenza e non li riveli a
una creatura vile quale sono io. E' questo il motivo per cui Tu, o Gesù
mio, mi lasci nell'incertezza, benchè conosca il principio e la fine di
ogni vicenda?». « Non è
così, figlia mia, - rispose il Salvatore - ma devi sapere che io agisco solo
in vista del tuo maggior bene. A volte nella contemplazione ti svelo i
miei segreti, altre volte credo opportuno tenerteli nascosti per
mantenerti nell'umiltà. Quando te li confido tu comprendi cosa diventi
per la mia grazia, quando te li celo tu vedi cosa sei da sola
».
All'Offertorio della S. Messa: « Recordare Vírgo Mater Ricordati, o
Vergine Madre» quando si giunse a quelle parole: ut loquaris pro nobis
borea - di parlare in nostro favore », mentre supplicava la Madre delle
grazie di essere generosa, il Signore le disse: « In questo momento non è
necessario che nessuno perori le vostre cause, perché io vi sono
completamente favorevole ». Ma Geltrude, memore delle sue
fragilità e di quelle delle consorelle, non poteva comprendere come il
Signore fosse pienamente placato.
Fu appunto allora che Gesù le disse con tenerezza immensa: « La mia naturale benignità
m'inclina a considerare di preferenza quanto v'ha di migliore in
un'anima; la mia Divinità investe e abbraccia questa parte migliore,
dando risalto al più perfetto e dissimulando quello che è meno degno
».
« O Gesù, Tu che sei così magnifico nei tuoi doni - aggiunse la Santa -
come mai accordi le dolcezze delle tue consolazioni ad un'anima così
indegna come la mia, e così poco preparata a riceverle? » « Ne sono come forzato dal mio amore
». « Ma dove sono, dunque, caro Gesù, le macchie che ho contratte
qualche giorno fa con quell'impazienza che m'ha sconvolto il cuore e
che ho perfino manifestata con parole un poco alterate? ». « Sappi che il fuoco della mia
Divinità, le ha consumate e che in tal modo faccio scomparire le
deformità delle anime che mi sono tanto care » « O
clementissimo Gesù, poichè la tua bontà è così tenera con la mia
debolezza, vorresti dirmi se l'anima da te purificata dovrà, dopo la
morte risarcire quelle colpe col fuoco del Purgatorio?» E siccome il
Signore fingeva di non aver sentito, ella insistette: « In verità, o
mio Dio, se la tua giustizia l'esigesse, io mi sprofonderei volentieri
in quell'abisso di fiamme, per darti degna soddisfazione; però se la
tua bontà e misericordia ricavassero maggior gloria nel consumare tali
colpe col fuoco dell'amor tuo, io ti pregherei di distruggere tutti i
miei peccati nelle fiamme della tua divina carità, quantunque mi senta
indegna di questa somma grazia ».
E. la bontà divina, inesauribile nella sua tenerezza, accordò a
Geltrude quanto aveva chiesto.
Il giorno seguente mentre si celebrava la S. Messa nella chiesa
parrocchiale, al momento della S. Comunione, Ella disse al Signore: « O
clementissimo Padre, come mai non ti commuovi vedendoci private del
cibo preziosissimo del tuo Corpo e dei tuo Sangue, a motivo di quei
miseri beni temporali che servono solo per il nostro materiale
sostentamento? ».
Rispose Gesù: « Come
potrei compiangere l'amatissima mia sposa, giacchè, avendo divisato
d'introdurla nella sala luminosa e fiorita del banchetto di nozze, e
scoprendo nei suoi ornamenti un piccolo difetto, mi faccio premura di
tirarla in disparte per rimediarvi e poter poi presentarla ai
convitati, in tutto lo splendore della sua magnificenza? ».
E Geltrude, sempre bramosa di nuova luce: « Come mai, Signore, la tua
grazia può abitare nell'anima di coloro che ci fanno tanto soffrire con
questo interdetto?».
Le rispose il Salvatore: « Non
occuparti di loro: Io stesso mi riservo di giudicarli».
Al momento dell'Elevazione, mentre Ella offriva a Dio l'Ostia Santa,
come tributo di lode eterna per la salvezza del Monastero, il Signore
ricevette quella stessa Ostia, e con un'aspirazione del più intimo del
Suo essere, ritrasse una soavità vivificante, dicendo: «In
quest'aspirazione sazio le mie Spose con un cibo divino ». E Geltrude «
O buon Gesù, stai forse per comunicare tutte le monache? ». « No » rispose, « ma solo quelle che lo desiderano,
o che bramano avere tale desiderio. Riguardo poi alle altre, siccome
appartengono a questo convento, avranno il privilegio di sentire nelle
loro anime un misterioso anelito che le porterà verso di Me, così come
farebbe colui che, non avendo appetito, pure si lasciasse attrarre dal
buon odore delle vivande a gustarle con piacere ».
Nel giorno dell'Assunta, all'Elevazione dell'Ostia, Ella intese queste
parole del Signore:, « Mi offro a Dio Padre, e m'immolo per le mie
membra ». Allora ella chiese: « Permetteresti forse, o mio Dio, che
noi, tue membra, abbiamo da essere da Te separate per l'anatema di cui
ci minacciano coloro che vogliono impossessarsi dei nostri beni? ». «E puoi tu supporre -
rispose il Salvatore -
che qualcuno riesca a strappare dalla profondità della mia anima
l'amore che a voi mi unisce? Come un coltello di legno non può spezzare
un corpo solido, ma solo vi lascia una lieve traccia, così l'anatema
non vi colpisce, ma appena vi sfiora ».
« O mio Dio che sei l'ineffabile verità, - chiese ella - Tu mi avevi
promesso che, in questi giorni di sofferenza, noi avremmo sentito
crescere il nostro amore per Te, e che Tu stesso avresti goduto le più
abbondanti delizie nei cuori delle tue Spose; come va che parecchie si
lamentano di essersi raffreddate nella carità a tuo riguardo?». Il
Signore affermò: « Io
chiudo nel mio seno la sorgente di tutti i beni e vado distribuendoli a
ciascuno secondo la loro necessità, nel tempo più conveniente
».
CAPITOLO XVII. - L'ACCONDISCENDENZA DEL SIGNORE E LA
DISTRIBUZIONE DELLA SUA GRAZIA
Nella seconda domenica d'agosto durante la quale si festeggiava S.
Lorenzo e la dedicazione della chiesa, Geltrude pregava fervorosamente
per parecchie persone che avevano sollecitato la sua intercessione,
quando scorse un vigoroso ceppo di vite, scendere dal trono di Dio fino
a terra, le cui foglie servivano poi come di scala per risalire in
alto. Questa scala simboleggiava la fede, mediante la quale gli eletti
s'inalzavano verso le regioni celesti.
Ella riconobbe in alto, a sinistra del trono, molti membri del
Monastero e lo stesso Figlio di Dio che si teneva ritto, con grande
riverenza davanti al Padre celeste. L'ora si avvicinava nella quale, se
le Monache non avessero avuto l'interdetto, avrebbero ricevuto la SS.
Comunione. Geltrude desiderò ardentemente che, per un particolare
effetto della divina clemenza, a cui nessun potere umano è in grado di
resistere, tutte, lei e le altre consorelle, venissero spiritualmente
cibate del SS. Sacramento.
Vide allora il Signore Gesù immergere nel seno del Pardre l'Ostia che
teneva in mano e toglierla poi rosseggiante di sangue. Mentre, sorpresa
di questo fatto, andava chiedendosi come mai il rosso simbolo della
Passione, potesse essere attribuito al divin Padre, ella non potè
vedere se il desiderio, che poco prima aveva manifestato, si fosse
compito.
Soltanto un po' più tardi ella riconobbe che il Signore aveva stabilito
la sua dimora nelle anime che si trovavano alla sinistra del divino
trono. Ma come si fosse compiuto il fatto non potè scoprirlo.
In quel frattempo si ricordò di una persona che, prima della S. Messa,
s'era raccomandata alle sue preghiere con divozione e umiltà; rivoltasi
a Gesù lo supplicò d'accordare a quell'anima i favori richiesti. Ma
Egli le rispose che nessuno poteva salire la mistica scala della fede,
se non era sorretto dalle ali della confidenza e che quella persona ne
aveva ben poca. Riprese Geltrude: « Ma Signore, ho notato che, se manca
di fiducia, ciò avviene perchè si sprofonda continuamente nell'abisso
dell'umiltà; ricorda, o caro Gesù, che hai promesso di colmare gli
umili dei tuoi più grandi favori ». Ed il Signore, accondiscendendo
benevolmente, affermò: « Discenderò
e comunicherò le mie grazie a quest'anima, e anche a tutte quelle che
vedrò sprofondate nella valle della loro miseria ».
Vide allora il Signore discendere come da una scala imporporata. Poi le
apparve in mezzo all'altare rivestito di abiti pontificali, tenendo in
mano una specie di pisside. Durante la S. Messa fino al Prefazio se ne
stette assiso rivolto verso il sacerdote. Era circondato e servito da
una moltitudine grande di angeli: tutta la parte della Chiesa che si
trovava alla sua destra, cioè a settentrione, ne era gremita. Quei
felicissimi spiriti lasciavano trasparire una grande letizia nel
percorrere quei luoghi benedetti, ove i loro concittadini avevano
offerto tante preghiere a Dio. Con tale parola « concittadini » era
designata la comunità, facendosi allusione al IV responsorio della
festa dell'Assunta: « Gaudent chori angelorum consortes et concives
nostri ».
Alla sinistra del Signore, verso mezzogiorno, stava un solo coro di
angeli, seguito da quello degli Apostoli. Veniva, in seguito, il coro
dei Martiri, il coro dei Confessori e infine il coro delle Vergini.
Mentre Geltrude ammirava tali meraviglie, si ricordò che secondo la S.
Scrittura c la purezza si avvicina a Dio » (Sap. VI, 20) e potè
contemplare una luce speciale, candida come neve, che risplendeva fra
Gesù e il coro delle Vergini: essa pareva unire queste privilegiate
creature al loro Sposo celeste con un vincolo di dolcissima tenerezza,
e il gioioso incanto di una familiarità tutta divina.
In seguito le fu dato vedere che raggi luminosi si dirigevano verso
alcuni membri della Comunità, investendoli completamente, come se fra
essi e il Signore non vi fosse ostacolo alcuno, quantunque parecchie
muraglie le separassero dalla Chiesa ove aveva luogo questa visione.
Mentre Geltrude si deliziava della scena più sopra descritta, la sua
sollecitudine le fece pensare al resto della Comunità. Disse quindi al
Signore: « Poiché la tua infinita bontà, o mio Dio, ha diffuso nella
mia anima l'abbondanza delle tue grazie, cosa darai alle monache che in
questo momento stanno occupate ai lavori manuali, e non godono certo le
delizie che mi colmano il cuore? ». « Io diffondo il mio balsamo nelle
loro anime - rispose Gesù - quantunque sembrino in uno stato
incosciente di sonnolenza ».
Geltrude ricercò qual'era la virtù del balsamo e fu meravigliata che
una stessa ricompensa fosse offerta alle persone che praticano gli
esercizi spirituali, e a quelle che non li compiono, perchè il balsamo
rende il corpo incorruttibile e produce tale effetto, sia che venga
applicato durante la veglia, o durante il riposo.
Venne poi illuminata con un esempio ancor più pratico. Quando una
persona mangia, tutte le membra si rinvigoriscono, quantunque sia la
sola bocca che gusta il cibo. Così. quando una grazia speciale è
concessa ai fedeli, essa produce tosto un aumento di merito in coloro
che loro sono uniti, soprattutto poi fra i membri di uno stesso
Monastero, eccettuati però coloro che covano in cuore odii inveterati,
o cattiva volontà assecondata.
Durante l'intonazione del Gloria in excelsis Deo, il Signore Gesù,
Pontefice supremo, esalò un soffio divino verso il Padre, simile a
fiamma ardente. Alle parole « et in terra pax hominibus bonae
voluntatis », diresse il medesimo soffio sotto forma di candida luce,
verso le persone presenti.
Al « Sursum corda » il Figlio di Dio si alzò, parve aspirare con forza
possente i desideri di tutti i presenti poi, volgendosi a oriente,
circondato da innumerevoli Angeli che lo servivano, tenne le mani
innalzate ed offerse al Padre, con le parole del Prefazio, i voti di
tutti i fedeli.
All' « Agnus Dei » il Signore si rizzò in mezzo all'altare con tutta la
potenza della sua Maestà; al secondo « Agnus Dei » diffuse l'onda della
sua Sapienza sulle persone presenti; al terzo « Agnus Dei » parve
raccogliersi in se stesso ed offerse al Padre i voti ed i desideri di
tutti. Allora lasciò traboccare l'esuberanza dell'amor suo e diede, con
la sua sacratissima bocca, il bacio di pace a tutti i Santi presenti.
Volle in seguito glorificare il coro delle Vergini con un privilegio
tutto speciale e, dopo averle onorate col bacio di pace, si degnò di
deporre sul loro petto, con le sue benedette labbra, anche il dolce
bacio dell'amore. Diffondendo poi. sull'assemblea delle Suore i raggi
vivificanti della sua tenerezza, disse loro: « Io sono tutto vostro;
ciascuna di voi può godere di me secondo il suo desiderio »,
Dopo questa comunione ella disse: « Quantunque la mia anima sia colma
d'ineffabile dolcezza, pure trovo che, stando Tu sull'altare, sei
ancora troppo lontano da me; ti prego pertanto di farmi sentire durante
la benedizione della S. Messa, la grazia di esserti intimamente unita
». Il Signore si degnò manifestarle tale benefica unione, stringendola
al suo sacratissimo Cuore, con un amplesso di forza e di dolcezza
incomparabile.
CAPITOLO XVIII. - PREPARAZIONE A RICEVERE IL CORPO DI CRISTO
ED ALTRE DIVINE MANIFESTAZIONI
I. Devoto esercizio verso il SS. Sacramento.
Un giorno Geltrude si avanzava a ricevere il SS. Sacramento, mentre il
coro cantava l'antifona « Gaude et laetare ». Alle parole « Sanctus,
Sanctus, Sanctus » il sentimento della sua bassezza la penetrò così
profondamente, da gettarla in un abisso d'umiltà; domandò allora al
Signore di preparare Lui stesso la sua anima a ricevere degnamente il
Cibo celeste per la gloria di Dio e la salvezza delle anime del mondo
intero.
Il Figlio di Dio, dolcissimo Amico delle sue creature, si chinò verso
di lei e durante il secondo « Sanctus » depose sull'anima sua un
soavissimo bacio, dicendo: «
Nel momento in cui mi si offre questo Sanctus io ti regalo, col mio
bacio divino, tutta la santità della mia Umanità e della mia Divinità,
perché ti serva di preparazione e possa venire degnamente a ricevermi ».
Il giorno dopo, ch'era una domenica, mentre ella esprimeva la sua
gratitudine per un tale beneficio il Figlio di Dio, il più bello fra
tutti gli Angeli, la prese fra le sue braccia e, come trovasse in lei
tutta la sua gloria, la presentò al Padre rifulgente nella perfezione
di santità di cui l'aveva colmata. Il Padre si compiacque talmente in
quell'anima, presentata dal Figlio suo, che, lasciando traboccare il
suo amore, le conferì, in unione con lo Spirito Santo, la perfezione
che loro era stata tributata col primo e col terzo « Sanctus ».
Geltrude ricevette così una benedizione piena e completa, in nome
dell'Onnipotenza, della Sapienza e della divina Bontà.
II. Il Signore l'assicura che non si separerà mai da lei.
Un altro giorno, mentre parecchie consorelle erano obbligate ad
astenersi, per diverse ragioni, dalla S. Comunione, ella s'avvicinò al
Signore e gli disse gioiosamente: « Come ti ringrazio, amatissimo Gesù,
d'avermi posta in una situazione tale che, nè parenti, nè altro motivo
possono allontanarmi dal tuo divino Banchetto ». Il Signore, con
l'abituale sua bontà, rispose: « Tu
riconosci che niente può allontanarti da me; sappi anche che nulla vi
è, nè in cielo, nè in terra, nulla, neppure i rigori della mia
giustizia e dei miei giudizi che possano porre ostacolo ai benefici di
cui voglio colmarti per la gloria suprema del mio Cuore ».
Altra volta ella doveva ricevere ancora la SS. Comunione, e desiderava
con ardore di essere degnamente preparata da Gesù stesso; Egli si
compiacque di dirle con bontà: «
Io voglio rivestirmi di te; protetta dalla difesa di questo velo, la
mia mano potrà stendersi al peccatore e fargli del bene, senza
riportare ferite dal suo pungiglione. Io voglio inoltre rivestire te di
Me stesso, affine di comunicare il medesimo onore e i favori che
l'accompagnano a quanti tu, richiamandoli alla tua memoria, avrai
avvicinato a Me ».
III. Accoglienza favorevole delle Tre divine Persone.
Un mattino Geltrude doveva partecipare ai divini misteri e andava
meditando i grandi benefici ricevuti da Dio, quando si ricordò di un
passo del libro dei Re: « Quis ego sum, aut quae domus patris mei? Chi
sono io e qual'è la dimora dei miei padri? » (I Re. XVIII, 18). Non
indugiò però a meditare quelle parole, come se riguardassero solo le
persone che vissero nei tempi andati; piuttosto ella si considerò quale
tenera pianticella, posta vicino al divin Cuore, raggiante di
tenerezza, pronta a riceverne il dolce influsso. Ma poi, quasi
inaridita a cagione delle colpe e negligenze commesse, stava per
dissolversi in cenere, sì da sembrare un piccolo carbone giacente al
suolo. Invocò ella allora Gesù, Figlio di Dio, Mediatore ricco di
bontà. Lo pregò di purificarla e di presentarla al Padre. Il Signore
parve attrarla a sè, per mezzo dell'influenza amorosa che irradiava dai
suo Cuore squarciato, per lavarla nell'acqua che da esso fluiva,
irrorandola col Sangue prezioso e vivificante di quella sacratissima
ferita. Tale operazione ravvivò il piccolo carbone spento che si mutò
ben presto in un albero verdeggiante i cui rami si dividevano in tre
direzioni, come vediamo in un giglio. Il Figlio di Dio e lo Spirito
Santo parvero deporre su due altri rami, i frutti della Sapienza e
dell'Amore.
Dopo aver ricevuto il Corpo di Gesù, Geltrude vide l'anima sua sotto la
forma di un albero che affondava le radici nel Costato del Signore e
sentì, in modo misterioso, che l'albero attingeva in quella Piaga
benedetta una linfa vivificante che, dalle radici, saliva nei rami,
nelle foglie e nei frutti, comunicando loro la virtù della Divinità e
dell'Umanità del Salvatore.
Così la vita divina si manifestava in essa con nuovi splendori, come
l'oro appare più fulgido attraverso al cristallo. La SS. Trinità e
tutti i Santi gustarono, a quella vista, gioie meravigliosamente dolci;
i Santi si alzarono rispettosamente, piegarono le ginocchia e
presentarono ciascuno i loro meriti sotto la forma di corone che
sospesero ai rami, dell'albero. Essi, in quell'omaggio, volevano
glorificare e lodare Colui che si degnava risplendere attraverso la sua
creatura, procurando loro nuovi godimenti.
Geltrude pregò inoltre per tutti quelli che in cielo, sulla terra e nel
Purgatorio avrebbero ricevuto qualche profitto dalle sue buone opere,
se non fosse stata così negligente, e domanda che partecipassero ai
beni di cui la sua anima, per la divina generosità, era stata
arricchita.
Ben presto le sue opere, simboleggiate nei frutti dell'albero,
cominciarono a stillare un liquore prezioso di cui una parte si diffuse
sugli abitanti del cielo per aumentarne le gioie; un'altra parte scorse
giù nel Purgatorio, per addolcire le pene di quelle anime desolate; la
terza investì tutta la terra, donando ai giusti maggiore slancio verso
la santità e ai peccatori le amarezze salutari del pentimento.
IV. Vantaggi dell'assistenza alla S. Messa.
Un giorno Geltrude, durante la S. Messa, offerse al divin Padre,
assieme al sacerdote, l'Ostia santa, in riparazione de' suoi peccati e
per supplire alle sue negligenze. Le fu rivelato che l'anima sua era
stata accolta dalla divina Maestà con la stessa compiacenza con cui
aveva gradito Gesù Cristo, splendore e immagine del Padre, Agnello
immacolato, immolantesi su tutti gli altari per la salvezza del mondo.
Dio Padre, mirando l'anima di Geltrude attraverso all'innocentissima
Umanità di Cristo, la trovava pura e illibata; considerandola poi negli
splendori della Divinità del Salvatore, la trovava adorna e ricca di
ogni virtù, cioè delle stesse perfezioni di cui la Divinità aveva
arricchito l'Umanità del Verbo incarnato.
Geltrude ringraziò il Signore d'averla colmata dei suoi benefici, e
ricevette questa luce: tutte le volte che una persona assiste alla S.
Messa, unendosi a Gesù che s'immola per il riscatto del mondo, Dio
Padre la contempla con la stessa compiacenza dell'Ostia Santa.
Quest'anima diventa allora risplendente come una persona che, uscendo
dalle tenebre, si trovasse avvolta nella piena luce del sole.
La Santa chiese a Gesù: « Se si cadesse poi in peccato, si spegnerebbe
questa luce, come se la persona suddetta passasse dal meriggio a luogo
tenebroso? ». « No,
figlia mia - rispose Gesù - perché colui che pecca pone, per
così dire, l'ombra d'una nube fra lui e la mia misericordia; ma la mia
bontà gli conserva, per la vita eterna, un pò di quelle benedizioni,
che poi vedrà crescere e moltiplicarsi ogni volta che si accosterà con
divozione ai sacri misteri ».
V. Come i peccati di lingua rendono indegni della SS..
Comunione.
Dopo d'aver ricevuto la SS. Comunione riflettè di quanta vigilanza
bisogna circondare la lingua per evitare qualsiasi peccato, essendo
proprio essa che ha l'insigne onore di ricevere i preziosi misteri di
Cristo.
Il Signore volle illuminarla con questo paragone: « Se qualcuno non vigila per
evitare parole oziose, vane, bugiarde, immodeste o maldicenti, e, senza
averne fatto penitenza,, s'accosta a ricevermi, costui mi accoglie come
farebbe una persona che, aprendo la sua casa ad un ospite, gli
rovesciasse addosso un mucchio di sassi posto sulla soglia, o gli
assestasse un colpo di bastone sul capo ».
O Tu che leggi, medita queste parole e piangi di compassione,
considerando, da una parte la durezza del cuore umano, dall'altra la
bontà di Dio che non si stanca di salvare gli uomini che lo
perseguitano così crudelmente.
VI. Come l'anima deve rivestirsi per ricevere degnamente la
SS. Comunione.
Geltrude si trovò un giorno poco preparata per ricevere la SS.
Comunione e, siccome il tempo stringeva, ella cercò di rinfrancare se
stessa con questa riflessione: « Ecco
che lo Sposo ti chiama; come potrai presentarti a Lui senza essere
adorna dei meriti necessari a coloro che vogliono. cibarsi degnamente
delle sue Carni immacolate? ». La povertà dell'anima sua
le appariva così assoluta, da farle perdere ogni speranza nelle sue
personali industrie; però mise tutta la sua confidenza in Dio, facendo
queste riflessioni: «A che mi serve aspettare? Quand'anche avessi mille
anni a mia disposizione, non potrei dispormi bene, perchè nulla in me
ha valore per arricchire lamia preparazione.
« Me ne andrò dunque incontro a Gesù con umiltà e fiducia ed Egli,
quando mi vedrà da lungi, avrà compassione di me, e il suo onnipotente
amore lo indurrà a concedermi i beni necessari per riceverlo degnamente
». Con questi sentimenti si avanzò verso Dio, tenendo sempre lo sguardo
fisso alla sua bassezza e povertà.
Aveva appena fatto pochi passi, quando Gesù le apparve; la guardò con
tenera compassione, volle rivestirla della sua innocenza con una tunica
candidissima, e della umiltà, che gli fa accettare di unirsi a creature
così indegne, offrendole una tunica violacea.
La speranza che fa desiderare al Signore gli amplessi dell'anima, era
simboleggiata da un ornamento di colore verde l'amore di cui Dio si
compiace di circondare le sue creature, la coprirebbe con un prezioso
manto d'oro; la gioia che procura a Dio gaudio ineffabile nel
discendere nei nostri cuori, formerebbe una corona di perle smaglianti.
Ella riceverebbe infine, come calzatura, quella confidenza, con la
quale il Signore si appoggia alla nostra fragile sostanza, dichiarando
di trovare la sua delizia nei figliuoli degli uomini. Così adorna ella
si accostò fervorosamente alla SS. Comunione.
VII. Con quale amore il Signore si dà nel SS. Sacramento.
Dopo d'aver ricevuto la SS. Comunione, Geltrude, tutta raccolta in sè,
vide Gesù in figura di un pellicano che, come spesso si suole
rappresentare, si apre il cuore col becco. Piena di ammirazione chiese:
« O mio dolce Maestro, cosa vuoi farmi comprendere sotto questa figura?
». «Voglio che tu
consideri quanto smisurato sia l'amore che mi induce a fare agli uomini
un sì eccelso dono. Se l'espressione potesse convenirmi direi che la
morte mi parrebbe meno amara del rifiutare questo dono ad un'anima
amante. Considera in qual modo mirabile la tua anima riceva da questo
divin Sacramento una grazia, che è come un anticipo della vita eterna,
cosi come i piccoli del pellicano ricevono la vita dal sangue che cola
dal cuore del padre ».
VIII. Eccesso di bontà nel divin Sacramento.
Un predicatore aveva lungamente predicato i rigori della divina
giustizia e la sua parola era penetrata così addentro nel cuore di
Geltrude, da crearvi rinascenti perplessità.
Il Signore si degnò d'incoraggiarla: « Se non vuoi più guardare con gli
occhi dell'anima le bontà infinite con cui ti circondo, guarda almeno
con quelli del corpo, come m'imprigiono in un piccolo ciborio e sotto
quali umili apparenze mi accosto all'uomo. Capirai allora che
nell'Eucarestia la misericordia imprigiona completamente la giustizia,
ed è appunto la misericordia che voglio manifestare agli uomini in
questo Sacramento ».
Altra volta, per gli stessi motivi, la divina Bontà l'invitò, in questi
termini, a gustare tutta la dolcezza dell'Eucaristico Dono: « Guarda la minima proporzione
dell'Ostia, sotto cui mi nascondo per, nutrirti della mia Divinità e
della mia Umanità; considera che subordino il mio Corpo, così umiliato,
al corpo dell'uomo che mi riceve, e tale subordinazione non è che la
figura di quella che mi sottomette alla volontà di chi comunica
».
Un giorno, mentre Geltrude si comunicava, il Signore le manifestò
l'eccesso della sua bontà: « Hai
notato come, per celebrare il S. Sacrificio, il sacerdote si ricopre di
un'ampia pianeta per riverenza a sì augusto mistero? Però quando
distribuisce il mio Corpo, l'ornamento è rialzato sulle braccia: è con
la mano nuda che offro il Pane celeste per far capire che, se accetto
con bontà quello che si fa per prepararsi alla S. Comunione, cioè
preghiere, digiuni e altre simili opere, tuttavia m'inchino con una
compassione molto più tenera verso coloro che, sprovveduti di tali
ornamenti, ricorrono fiduciosamente alla mia misericordia, giudicandosi
incapaci di onorarmi degnamente. Tale è la mia benignità, ma sono pochi
quelli che penetrano questo dolce mistero d'amore ».
IX. L'Umiltà è più gradita a Dio della divozione.
Un giorno, mentre la campana suonava per chiamare le monache alla SS.
Comunione e già si era iniziato il canto dell'antifona, Geltrude disse
al Signore: « Ecco, o mio Diletto, che a me ti avvicini! Ma perchè non
hai supplito alla mia indegnità, accordandomi gli ornamenti della
divozione? ». Rispose Gesù: « Uno
sposo preferisce talvolta mirare la mano bianca e delicata della sua
sposa senza guanto e il suo collo senza monili; così io mi compiaccio
più dell'umiltà di chi si comunica che della divozione ».
Un'altra volta, quantunque parecchie Consorelle si fossero astenute
dalla SS. Comunione, ella ricevette gioiosamente il Corpo di Cristo e
sciolse, dall'intimo del cuore, l'inno del cuore, l'inno del più
fervido ringraziamento. « Tu m'hai invitata al tuo sacro Banchetto -
diceva ella - e io sono venuta, cantando le tue lodi ». Il Signore le
rispose con parole d'ineffabile dolcezza: « Sappi che io ti desideravo con
tutto l'amore del Cuore ». « O Signore - riprese la Santa
- quale gloria e quale gioia può ridondare alla tua Divinità dal fatto
che, con la mia bocca indegna, ho accolto il tuo immacolato Sacramento?
». E il dolce Salvatore: « Sappi,
o figlia, che l'amore che si porta a un amico fa trovare un incanto
speciale in tutte le sue parole; così la mia tenerezza mi fa gustare
nel cuore degli eletti tali gioie che loro stessi non possono neppure
supporre, nè provare ».
X. II divin Sacramento si dà all'anima non per essere visto,
ma per essere gustato.
Un giorno, mentre il sacerdote distribuiva la S. Comunione, Geltrude
voleva contemplare da lungi la sacratissima Ostia, ma non poteva per la
folla di persone che assiepavano l'altare. Ella sentì allora Gesù
invitarla amabilmente con queste parole: « Coloro che vivono da me lontani,
ignorano questo mistero d'amore. Se tu vuoi avere la gioia di
conoscerlo, avvicinati a me ed esperimenta, non per mezzo della vista,
ma del gusto, la dolcezza di questa manna nascosta».
XI. Non bisogna biasimare coloro che per rispetto si
astengono dalla SS. Comunione.
Geltrude vide un giorno una consorella avvicinarsi alla SS. Comunione
con sentimenti di timore così esagerato, da sentirsi allontanare da
quella suora con una specie d'intimo disgusto.
Il Signore gliene fece amoroso rimprovero: « Non sai, figlia mia, che il
rispetto e l'onore mi sono dovuti come la tenerezza e l'amore? Giacchè
la fragilità umana è incapace di compiere con un solo sentimento questi
due doveri, e voi siete le membra di un solo corpo, è conveniente che
la disposizione che manca all'una, sia supplita da un'altra. Così colui
che è più commosso da sentimenti d'amore, si occuperà meno della
riverenza che pure mi è dovuta. Dev'essere però contento che altri mi
prodighi il rispetto e desiderare che anch'esso possa ottenere, a sua
volta, le consolazioni della divina dolcezza ».
XII. II Signore vuol essere servito a nostre proprie spese.
Un'altra volta Geltrude vide una monaca turbarsi per lo stesso motivo,
e pregò per lei. Il Signore rispose: « Vorrei che i miei eletti non mi
considerassero così crudele, ma che fossero persuasi che tengo conto e
gran conto di quello che fanno a loro spese. Colui che nell'aridità più
assoluta compie le sue opere di pietà, preghiere, genuflessioni e tutto
il resto, persuaso che la divina Bontà accetterà le sue offerte, sa
veramente servirmi nella pratica immediata del suo amore ».
XIII. Perchè talora, durante la S, Comunione, ci sentiamo
privati della grazia della divozione.
Geltrude esponeva un giorno a Gesù i lamenti di una persona che si
sentiva meno divota nei giorni di Comunione. Non è effetto del caso, -
spiegò il Signore - ma è una disposizione provvidenziale della mia
bontà, perchè, se accordo la grazia della divozione per giorni ordinari
e in momenti imprevisti, sforzo, per così dire, il cuore dell'uomo ad
elevarsi verso di me, mentre, se non avesse ricevuto tale grazia,
resterebbe immerso nel torpore.
Sottraendo invece il fervore nei giorni di festa, nell'ora solenne
della S. Comunione; i miei eletti concepiscono ardenti desideri, si
esercitano nell'umiltà e i loro sforzi li fanno progredire nella via
della perfezione, più che se avessero doni di grazia sensibile ».
XIV. Non bisogna omettere la SS. Comunione quando si sono
commesse colpe veniali.
Geltrude pregava un giorno per una persona che si era astenuta dalla S.
Comunione per timore di scandalizzare il prossimo, essendo caduta in un
leggero fallo esterno. Il Signore le rispose con un paragone: « Quando ci si accorge d'avere una
macchia sulle mani, ci si affretta a lavarle, e allora esse si
purificano completamente: la stessa cosa capita talvolta ai miei
eletti. Permetto che cadano in qualche colpa leggera, perchè, compiendo
poi atti di pentimento e d'umiltà, diventino più graditi ai miei divini
sguardi e l'anima loro rinnovata, sfavilli di particolare splendore.
Purtroppo però molti contrastano i miei amorosi disegni, non stimando
la riconquistata bellezza interiore, e preoccupandosi soltanto della
rettitudine esterna, basata sul giudizio degli uomini, - essi si
privano così dell'immensa grazia di ricevermi, nel timore di essere
biasimati da coloro che, avendo visto i loro falli, non hanno però
visto il pentimento che li ha distrutti ».
XV. Gesù, a nostra richiesta, supplisce abbondantemente per
ogni colpa..
La voce del Signore che invitava Geltrude alla mensa degli Angeli, si
fece sentire un giorno; al suo cuore con tanta dolcezza, che le
Sembrava già - di abitare gli eterni palagi, e di essere assisa in quel
glorioso regno al banchetto del Padre celeste: Ma la vista della sua
miseria d'indegnità la rendeva ansiosa, tacito che - cércava, di
sfuggire, sì granite onore. Il Figlio di Dio le si accostò allora e la
tirò in disparte, per disporla Lui stesso al divino incontro. Le lavò
le mani per simboleggiare la remissione dei peccati, ottenuta mediante
i meriti della sua Passione. Poi, togliendosi gli ornamenti regali,
collane, braccialetti, anelli li offerse: alla sua Sposa, invitandola
ad avanzarsi con gravità nella bellezza dei suoi gioielli, e
raccomandandole di non correre come un'insensata senza dignità, la
quale è atta più a ricevere disprezzo che onore.
Geltrude comprese che coloro che camminano come gli insensati, portando
gli ornamenti del Signore, sono quelli che dopo d'avere considerato le
loro imperfezioni, domandano al Figlio di Dio di soccorrerli; ma,
ricevuto tale sommo beneficio, non dilatano il cuore in una confidenza
completa nelle soddisfazioni di Cristo, e continuano a mantenersi nelle
loro infondate trepidazioni.
XVI. Grazie accordate per la S. Comunione ben fatta.
Un altro giorno Geltrude, dopo di essersi comunicata, offerse a Dio il
Corpo del Signore per il sollievo delle anime del Purgatorio, e
comprese che quella sua oblazione le aveva considerevolmente confortate
nelle loro pene cocenti. Rapita d'ammirazione esclamò: « O mio
dolcissimo Signore! devo confessare per la tua maggior gloria che,
nonostante la mia indegnità, ti degni d'onorarmi con la tua presenza e
perfino fissare la tua dimora nell'anima mia! Perchè mai la S.
Comunione non produce sempre quei felici risultati che mi hai permesso
oggi di constatare?».
Rispose Gesù. « Un re nel
suo palazzo non è accessibile a tutti: ma quando, nel santo trasporto
dell'amore, si reca a visitare la regina, discendendo nel suo
appartamento privato, allora tutti i cortigiani godono ampiamente delle
regali munificenze e ricevono con gioia i benefici del sovrano. Così,
quando cedo alla dolce bontà del mio Cuore, e mi abbasso a nutrire del
divino Sacramento un'anima, esente da colpa mortale, tutti coloro che
sono in cielo, in purgatorio e sulla terra ne ricevono benefici
inestimabili ».
XVII. La SS. Comunione solleva le Anime del Purgatorio.
Un giorno, mentre Geltrude stava per comunicarsi, provò un bisogno
immenso di sprofondarsi nell'abisso della sua miseria, e di
nascondervisi totalmente per onorare l'ineffabile accondiscendenza del
Signore che ciba i suoi eletti col suo Corpo e li inebria con il suo
Sangue.
Ella comprese allora il sublime annientamento del Figlio di Dio, quando
discese nel limbo per liberare le anime che ivi stavano prigioniere.
Mentre si sforzava di unirsi a quell'ineffabile umiliazione, si trovò
come immersa negli abissi del Purgatorio. Là, rinnovando i suoi
sentimenti, comprese le parole che le diceva Gesù: « Con la S. Comunione ti attirerò a
me in tal modo che tu trascinerai tutte le anime, a cui giungerà
l'incomparabile profumo dei santi desideri che sfuggono così
copiosamente da te».
Dopo d'aver accolto tale promessa Ella s'avvicinò alla mensa angelica,
pregando il Signore di liberare tante anime del Purgatorio, quante
erano le molecole dell'Ostia che aveva in bocca. E il Signore rispose: «Per farti capire che le mie
misericordie sorpassano tutte le mie opere e che nessuna creatura può
misurare l'abisso della mia bontà, ti assicuro che, per i meriti del
Sacramento di vita, sono disposto ad accordarti molto di più di quanto
hai chiesto».
XVIII. Meravigliosa unione con Gesù per mezzo dell'Ostia
Consacrata.
Geltrude, dovendosi un giorno comunicare, si andava umiliando ancora
più profondamente del solito, persuasa della sua indegnità. Ella pregò
il Signore di ricevere in suo nome, l'Ostia Santa nella stessa sua
persona, d'incorporarsela e di permettere in seguito che, per mezzo del
suo soffio divino, ella ne aspirasse, di ora in ora, qualche virtù,
nella misura ch'Egli crederebbe più conveniente alla sua debolezza.
Riposò poi alquanto sul sacro petto del Salvatore, come raccolta nelle
sue braccia divine e posta in modo che il suo lato sinistro sembrava
applicato al lato destro di Gesù.
Poco dopo, essendosi levata, s'accorse che il suo lato sinistro aveva
l'impronta vermiglia di una cicatrice insanguinata, ricevuta nel
contatto dell'aperto Costato di Cristo.
Accostandosi poi alla S. Comunione, le parve che il Signore ricevesse
con la sua bocca adorabile la Santa Ostia, la quale, attraversando il
suo petto affiorò alla Piaga del Costato e ivi rimase. Gesù disse alla
sua Sposa: « Questa
Ostia ci unirà in modo che una parte coprirà la tua ferita, l'altra
parte la mia. Ogni giorno tu toccherai quest'Ostia con grande
divozione, meditando l'inno « Jesu nostra Redemptio » » (festa
dell'Ascensione). In seguito le disse di prolungare tutti i giorni la
preghiera per accrescere sempre più il desiderio del divin Sacramento;
perciò le ingiunse di recitare quell'inno una volta il primo giorno,
due ai secondo e così di seguito fino alla sua prossima Santa Comunione.
CAPITOLO XIX. - COME BISOGNA PREGARE E SALUTARE LA MADRE DI
DIO
Geltrude, prima d'iniziare la meditazione, pregò Gesù d'indicarle il
soggetto più adatto per il bene dell'anima sua, ed Egli le rispose: « Tienti vicino alla Madre mia che
è assisa al mio fianco e onorala con lodi ferventi ».
Allora ella salutò la Regina del cielo con quel versetto « Paradisus
voluptatis etc. - Paradiso di delizie ecc. » e la felicitò per essere
stata gradevolissima abitazione della Sapienza infinita di Dio, la
quale, attingendo da tutta l'eternità ineffabili delizie nel seno del
Padre, e conoscendo tutte le creature, aveva degnato sceglierla per
dimora. Indi pregò la celeste Regina d'accordarle un cuore adorno delle
sue stesse virtù, affinchè Dio potesse compiacersi di abitarvi. La
beatissima Vergine parve allora amorevolmente inchinarsi per piantare
nel cuore di Geltrude la rosa della carità, il giglio della purezza, la
viola dell'umiltà, il girasole della obbedienza e molti altri
bellissimi fiori; in tal modo Geltrude riconobbe che la Madre di Dio è
sempre pronta a esaudire le preghiere di coloro che la invocano con
fiducia.
In seguito cantò il versetto: « Gaude morum disciplina - Rallegrati, o
regola dei costumi ecc. » per congratularsi con la Vergine di avere
ella disciplinato l'insieme dei suoi affetti, desideri e sensi con
tanta cura, da offrire all'Ospite divino nel suo cuore verginale un
omaggio degno di Lui.
Siccome poi Geltrude espresse il vivo desiderio di condividere il
medesimo favore, la Madre celeste parve inviarla i suoi propri affetti
sotto la sembianza di giovani vergini che dovevano unire i loro
sentimenti a quelli di Geltrude, per ottenere alla Santa la grazia dì
servire meglio il Signore, e di riparare ai suoi difetti e inevitabili
fragilità. La beata Vergine dimostrò ancora con tale accondiscedenza,
come sia pronta a esaudire le nostre suppliche. In seguito ci fu un
attimo di silenzio: infine Geltrude disse a Gesù: « O Fratello mio
dolcissimo, poichè ti sei incarnato per soccorrere le nostre miserie,
degnati d'offrire alla tua beatissima Madre, omaggi che riparino la
povertà delle mie lodi ».
A queste parole il Figlio di Dio si levò, piegò le ginocchia davanti
alla Madre sua e, chinando il capo, la salutò con tanta tenerezza e
grande riverenza, da farle gradire con bontà gli omaggi, dei quali il
Figlio suo riparava in modo sì nobile, l'imperfezione.
L'indomani nell'ora della preghiera comune, la Vergine Maria apparve a
Geltrude, quasi magnifico giglio splendente di candore; tale giglio era
composto di tre petali: uno diritto, s'innalzava in mezzo verso il
cielo; gli altri due erano ricurvi ai lati. Ella comprese con quella
visione, che la Vergine è chiamata giustamente « il candido, giglio
della SS. Trinità» perché più di ogni altra creatura ha partecipato
alle virtù divine, e non si è mai macchiata di polvere di peccato. Il
petalo diritto rappresentava la onnipotenza del Padre, gli altri due
inclinati simboleggiavano la Sapienza del Figlio e la Bontà dello
Spirito Santo, virtù che la SS. Vergine possedeva in grado eminente.
La Madre di misericordia afferma che chi l'avesse proclamata « candida
giglio della SS. Trinità e rosa splendente di Paradiso » avrebbe
esperimentata la podestà che l'Onnipotenza del Padre le aveva
comunicato come Madre di Dio; avrebbe ammirato le ingegnose
misericordie che la Sapienza del Figlio le aveva ispirato, e
contemplato l'ardente carità accesa nel Suo Cuore dallo Spirito Santo.
Aggiunse Maria: « All'ora
della sua morte mi mostrerò e quest'anima nello splendore di una sì
grande bellezza che la mia vista la consolerà e le comunicherà gioie
celesti ». Da quel giorno Geltrude propose di salutare la
Vergine Maria, o le immagini che la rappresentavano con queste parole:
« Ave, candidum lilium fulgidae semperque tranquillae Trinitatis,
rosaque prae fulgida ceelicce amaenitatis de qua nasci, et de cuius
latte pasci Rex coelorum voluit, divinis influxionibus animas nostras
pasce. - Ti saluto, o giglio più bianco della neve, giglio della
raggiante, sempre tranquilla Trinità. Ti saluto, Rosa brillante della
celeste umanità, dalla quale il Re del cielo volle nascere e prendere
il latte verginale: vieni in soccorso di me, povero peccatore, adesso e
nell'ora della mia morte. Così sia ».
CAPITOLO XX. - FERVIDO AMORE PER DIO E OMAGGIO ALLA VERGINE
MARIA
Geltrude aveva l'abitudine, (comune del resto fra coloro che si amano),
d'indirizzare tutto quanto le pareva bello e gradito verso il suo
diletto Gesù. Quando sentiva leggere, o cantare in onore della Vergine,
o dei Santi, parole di tenerezza che ridestavano i suoi affetti, ella
si indirizzava con slancio del cuore al Re dei re, al Sovrano
unicamente amato. Ora accadde che, nella solennità dell'Annunciazione,
il predicatore si compiacque di esaltare grandemente la Regina del
cielo e non parlò dell'Incarnazione del Verbo, causa della nostra
salvezza. Geltrude ne provò un'intima pena e, passando dopo la predica
davanti all'altare della gran Madre di Dio, non potè salutarla con la
solita tenerezza dolce e profonda,. ma il suo amore si rivolse tutto
verso Gesù, frutto benedetto del seno verginale.
Poco dopo Geltrude si sentì presa da un certo turbamento e chiese a se
stessa se, con tali sentimenti, non avesse mal disposta verso di sè la
Celeste Sovrana.
Gesù si degnò d'istruirla, dissipando delicatamente le sue
inquietudini. « Non
temere, carissima figlia, d'aver offeso la mia dolce Madre, volgendo
tutti i moti del tuo cuore verso di me; Ella al contrario ne è assai
soddisfatta. Però, per levarti ogni scrupolo in avvenire, quando tu
passerai dinanzi all'altare della mia purissima Madre, saluta
divotamente la sua immagine e non curare la mia ». « Non
sia mai - ribatté vivacemente Geltrude - ch'io trascuri Colui che è
tutta la mia gioia e la mia vita, per rivolgere ad altri gli atti della
mia riverenza e del mio amore! ». Il Signore insistette con ineffabile
tenerezza « Mia cara figlia, obbediscimi e ogni qualvolta, noncurante
di me, saluterai la Madre mia, ti compenserò come se avessi compiuto,
un atto di alta perfezione, anzi come se di gran cuore tu avessi
disprezzato innumerevoli beni per accrescere e centuplicare la mia
gloria ».
CAPITOLO XXI. - RIPOSO DEL SIGNORE
Nella domenica dopo la festa della SS. Trinità, sull'ora di
mezzogiorno, il Signore apparve a Geltrude assiso sul suo trono; pareva
dolcemente addormentato, inebriato dal mistico vino dell'amore.
Geltrude si prostrò a' suoi piedi, li baciò ripetutamente e, come di
solito, prodigò al suo Diletto tenerezze ineffabili. Tuttavia visse per
tre giorni in grande aridità di spirito. Al quarto giorno, durante la
S. Messa, non potendone più, ella abbandonò i piedi del Signore e, con
l'ingenuo ardore della sua tenerezza, si slanciò sul Cuore del suo
Diletto, cercando d'interromperne il sonno.
Il Signore si svegliò e, cedendo alle dolci istanze della sua Sposa, la
cinse con le braccia divine, e serrandola sui trafitto Costato, le
disse: « Posseggo ora
ciò che ho tanto desiderato. La volpe che spia la preda si stende per
terra fingendo d'essere morta e quando gli uccelli, ingannati dalla sua
posa, le svolazzano intorno per cibarsi delle sue carni, essa, con
rapido salto, li afferra. Io pure, ardendo d'amore per Te, ho usato
un'astuzia simile, per possederti interamente e raccogliere il vivo
slancio dell'anima tua, acuito dal lungo desiderio ».
CAPITOLO XXII. - COME LA MALATTIA PUO' RIPARARE I DIFETTI
Geltrude in un certo periodo fu presa da grande debolezza, che le
impediva l'osservanza della Regola. Oppressa da sfinimenti un giorno si
sedette per assistere ai Vespri. Col cuore colmo di desiderio e di
tristezza, ella disse al Signore: « O dolcissimo Salvatore, non
riceveresti maggior gloria se io, invece di restarmene in questa penosa
impotenza, potessi andare in coro a salmodiare con le mie consorelle, e
continuare per tutta la giornata a seguire l'osservanza regolare con
fervore ed esattezza? ». Le rispose Gesù: « Credi tu che Io sposo goda minori
delizie nella familiarità e nei casti amplessi della camera nuziale, di
quando può presentare la sua sposa al pubblico, nel fulgore della sua
bellezza? ». Geltrude comprese allora che l'anima mostra
al pubblico i suoi ornamenti, quando può compire tutti i suoi doveri
per la gloria di Dio; ma che riposa con lo sposo nella camera nuziale,
quando le malattie le impediscono tali opere esterne. Priva allora
delle gioie dell'attività ella s'abbandona tutta al divino beneplacito
e il Signore si compiace maggiormente in essa, appunto perchè non ha le
soddisfazioni pericolose della vana gloria.
CAPITOLO XXIII. - TRIPLICE BENEDIZIONE
Geltrude assisteva un giorno alla S. Messa con grande divozione. Quando
arrivò al « Kyrie eleison » l'Angelo suo custode la prese tra le
braccia come una pargoletta e la presentò al divin Padre perchè la
benedicesse, dicendogli: « O Padre onnipotente, benedici questa tua
figliuola! ». Ma il Padre tardava a rispondere, come se giudicasse cosa
poca degna della sua maestà benedire quella fragile creatura.
Allora il Figlio di Dio si alzò e la coperse tutta coi meriti della sua
santissima vita. Di colpo Geltrude si trovò adorna di ricchi vestiti e
constatò di essere giunta all'età perfetta di Cristo (Ef. IV, 13). Dio
Padre si chinò allora su di lei con bontà e le diede una triplice
benedizione, che le valse la triplice remissione dei peccati di
pensieri, parole e opere, coi quali aveva offeso la sua onnipotenza.
Per ringraziarlo di un beneficio così grande, ella presentò al Padre
tutta la vita purissima del Cristo, di cui si sentiva rivestita. Allora
le gemme preziose che ornavano i suoi abiti, sfiorandosi a vicenda,
produssero un'aronia dolcissima, a gloria del Padre. Così ci è dato
capire a quale punto questo Padre pieno di bontà, gradisce l'offerta
della santissima vita del Figlio suo.
L'Angelo Custode la presentò poi al Figlio, dicendo: « O Figlio
dell'Eterno Re, benedici la tua sorella! », Quand'ebbe ricevuto la
triplice benedizione per il perdono delle colpe commesse contro la
divina Sapienza, l'Angelo la presentò allo Spirito Santo con quelle
parole: « Benedici, o Amico delle anime, la tua Sposa! », e Geltrude
ricevette la triplice benedizione che cancellò le colpe commesse contro
la Bontà divina.
Tu che leggi, se ti pare opportuno, potrai meditare su queste nove
benedizioni, durante il canto del Kyrie eleison.
CAPITOLO XXIV. - EFFETTI DELL'ATTENZIONE DURANTE LA SALMODIA
Un giorno Geltrude si sforzava di cantare con grande attenzione le Ore
canoniche per onorare Dio ed il Santo di cui si celebrava la festa;
vide allora le parole della divina lode slanciarsi dal suo cuore verso
il Cuore di Gesù, sotto la forma di dardi infiammati che lo penetravano
profondamente, recandogli ineffabili delizie.
Dalla punta di tali dardi sfuggivano raggi luminosi, simili a fulgori
di stelle, che investivano tutti i Santi con lucidi riflessi di nuova
gloria; il Santo poi di cui si celebrava la festa, pareva rivestito di
uno splendore anche più meraviglioso.
La parte inferiore del dardo lasciava gocciolare una mistica pioggia,
che procurava agli uomini aumenti di grazia e alle anime del Purgatorio
salutare refrigerio.
CAPITOLO XXV. - AIUTI STUPENDI OFFERTI ALL'ANIMA DAL CUORE DI
GESU'
Un'altra volta Geltrude si sforzò di meditare ogni parola del divino
Ufficio con profonda divozione; ma la sua buona volontà era contrariata
dalla debolezza della natura; disse con tristezza: « Quale frutto potrò
ricavare da un lavoro compiuto con tanta incostanza?».
Il Signore, non potendo sopportare tale desolazione, le presentò con le
stesse sue Mani il suo Cuore divino, simile a lampada ardente, e le
disse: « Ecco che offro
agli occhi dell'anima tua il mio sacratissimo Cuore, organo
dell'adorabile Trinità, affinchè tu lo preghi di riparare le
imperfezioni della tua vita e di renderti in tutto gradita al mio
sguardo; Esso, come un servitore fedele e premuroso, sarà ai tuoi
ordini per riparare d'ora in ora le tue negligenze ». La
bontà accondiscendente di Gesù la colmò di stupore e d'ammirazione.
Ella non poteva persuadersi che il Cuore di Gesù, sacro tesoro della
Divinità e sorgente di ogni bene, si degnasse di stare ai suoi ordini,
come un servitore, per riparare la fragilità d'una creatura così
miserabile. Ma Gesù pieno di dolcezza ebbe compassione della sua
pusillanimità e l'incoraggiò con questo paragone: « Se tu avessi una voce armoniosa e
sonora, desiderosa d'espandersi nel canto, mentre vicino a te si
trovasse una persona dalla voce falsa e stridula, che potesse emettere
solo suoni discordanti, non saresti sdegnata s'ella volesse a ogni
costo, eseguire un canto stonato, mentre potresti farlo tu con facilità
e perfezione? Così anch'io conosco la tua miseria e il mio Cuore può
supplirvi; anzi lo desidera ardentemente, essendo questa per Lui una
gioia vivissima. L'unica cosa che chiede è che Tu gliene dia
l'incarico, se non con una parola, almeno con un cenno qualsiasi della
volontà. Allora Esso compirà in te, in tuo nome, tutti gli atti della
vita e lo farà con una gioia raggiante d'amore ».
CAPITOLO XXVI. - ABBONDANZA DI GRAZIE CHE IL CUORE DIVINO
DIFFONDE
Nei giorni che seguirono, meditando con riconoscenza su questo
magnifico dono, ebbe un gran desiderio di sapere fino a quando il
Signore glielo conserverebbe. Egli si degnò di rispondere: « Te lo lascerò fin quando vorrai,
nè giammai ti capiterà di deplorarne la perdita ». « Mio
dolcissimo Gesù - aggiunse Geltrude - come va che spesso considero il
tuo divin Cuore quasi lampada ardente sospesa nell'anima mia così
miserabile, e altra volta, quando col soccorso della tua grazia posso
avvicinarmi a Te, ho la gioia di ritrovarlo questo divin Cuore nel tuo
petto e di attingervi ineffabili delizie? ».
Rispose il Signore: « Quando
vuoi afferrare qualche cosa, stendi la mano, e appena in possesso
dell'oggetto da te bramato, la ritiri tosto; così quando vedo la tua
anima allontanarsi un poco da me per il fascino delle cose esteriori,
io rivolgo verso di essa il mio Cuore languente d'amore. Se tu rispondi
ai miei teneri inviti, se acconsenti a ricevermi ed a contemplarmi
nell'intimo dell'anima tua, allora ti ritiro in me con il mio Cuore e
t'offro il godimento delle sue perfezioni ».
Geltrude alla considerazione di tanta bontà, fu penetrata d'amore e di
riconoscenza. Ella approfondiva sempre più la sua miseria che la
rendeva indegna di qualsiasi grazia e si gettava, con grande disprezzo
di sè, nella valle dell'umiltà che le era familiare rifugio; ivi rimase
un po' di tempo nascosta a tutti gli umani sguardi, poi Dio
onnipotente, che abita nel più alto de' cieli e che trova le sue
delizie a diffondere sugli umili la rugiada delle sue grazie, parve far
uscire dal suo Sacro Cuore una cannula d'oro, simile a lampada ardente
che illuminava Geltrude, inabissata nel suo nulla. Con quel misterioso
canale Gesù faceva scorrere su di lei l'abbondanza ammirabile dei
divini favori. Se per esempio si umiliava alla vista delle sue colpe,
il Signore, pieno di compassione, versava nell'anima sua la linfa
feconda delle virtù che distruggeva tutte le sue imperfezioni, tanto
che tali macchie non apparivano più agli occhi della divina Maestà. Se
altra volta ella desiderava qualche dono speciale e quelle dolcezze che
il cuore umano suole ambire, nello stesso istante tali benefici erano
concessi alla sua anima per mezzo del canale di cui abbiamo più sopra
parlato.
Geltrude gustava da tempo la soavità di tali delizie e con la grazia di
Dio, aveva potuto inalzarsi alla più alta perfezione arricchendosi di
tutte le virtù, (non le sue proprie, ma quelle del Signore), quando
intese nel cuore una voce armoniosa che risuonava come la soave melodia
di un'arpa toccata da mano maestra; essa diceva: « Vent mea ad me - Tu
che sei mia, vieni da me - Intra meum in me - Tu che, sei mia, vieni in
me - Mane meus mecum - Tu che sei il mio bene, resta con me - ».
L'amabile Salvatore si degnò spiegarle questi canti « Veni mea ad me »,
perchè ti amo e desidero vederti a me vicino quale Sposa fedele, perciò
ti dissi: « Veni »: « Intra meum in me », perché godo grandi delizie
nell'anima tua, e come il fidanzato aspetta con ardore il giorno delle
nozze che completerà la gioia del suo cuore, così desidero che tu entri
ed abiti in me. « Mane meus mecum »: poichè ti ho scelta, Io, che sono
il Dio d'amore, desidero rimanere con te in una unione indissolubile,
unione simile a quella che esiste fra il corpo e l'anima, unione sì
stretta che l'uomo non può esistere neppure un minuto, quando l'anima
ha abbandonato il suo mortale involucro ».
Durante l'incanto di questo sublime colloquio, Geltrude fu attratta
verso il Cuore di Gesù in modo meraviglioso, mediante quel mistico
canale al quale abbiamo più sopra accennato, e si trovò felicemente
introdotta nel seno del suo Sposo e del suo Dio. Quanto poi in quel
sacro asilo ella abbia. sentito, visto, gustato, toccato del Verbo di
vita, ella solo lo sa, e Colui che si degnò d'ammetterla a unione così
sublime. Colui che è lo Sposo delle anime amanti, Gesù, il Dio
benedetto nei secoli, sopra ogni cosa.
CAPITOLO XXVII. - LA SEPOLTURA DI GESU' NELL'ANIMA
Un Venerdì Santo, dopo la recita dell'ufficio si celebrava la sepoltura
di Gesù. Geltrude supplicò il Salvatore di seppellirsi nell'anima sua
come in perpetua dimora. Egli si degnò d'esaudirla e le disse con
bontà: « Io che sono chiamato la pietra dell'edificio sarò quella
pietra posta alla porta de' tuoi sensi; per custodirli vi porrò i miei
soldati, cioè gli affetti miei che ti preserveranno da qualsiasi amore
profano e lavoreranno a procurare in te la mia eterna gloria, nella
misura della grazia che ti verrà accordata ». Poco dopo ella cadde in
un fallo contro la carità, giudicando troppo severamente gli atti di
una persona. Penetrata di dolore, corse da Gesù e gli disse: « O mio
Dio, tu hai posto delle sentinelle all'entrata del mio cuore, ma ohimè,
forse si sona allontanate, perchè ho giudicato tanto duramente il mio
prossimo !». Il Signore rispose: «
Come puoi credere che si siano allontanate, se il tuo stesso pentimento
di quest'istante prova la loro assidua vigilanza? Infatti se tu non
aderissi a Me con tutto il cuore, non proveresti tanto dispiacere per
avermi recato pena ».
CAPITOLO XXVIII. - IL CUORE DI GESU' E' IL CHIOSTRO DELL'ANIMA
A vespro Geltrude cantava quelle parole: « Vidi aquam egredientem de
tempio » e il Signore le disse: « Dirigiti
verso il mio Cuore; esso sarà veramente il tuo santuario. Di più scegli
nelle diverse parti del medesimo altre dimore, ove tu possa condurre la
vita religiosa regolare, perchè voglio che il mio sacro Corpo sia il
Chiostro ave tu abiti ». Rispose la santa: « O Signore,
quale altra dimora dovrei cercare? Ho trovato nel tuo Cuore che mi hai
dato come santuario, tanta dolcezza che non mi è possibile cercare
altrove il nutrimento e il riposo che mi sono necessari ». E Gesù di
rimando: « Se lo brami
troverai infatti cotesti beni nel mio Cuore, giacchè sai che parecchi
santi, per esempio S, Domenico, non s'allontanavano mai dal tempio, ma
che ivi mangiavano e dormivano. Tuttavia io vorrei che tu scegliessi
nel mio Corpo i soggiorni adatti alla vita claustrale ».
Per obbedire agli ordini di Dio ella risolvette di scegliere il luogo
del passeggio nei piedi del Salvatore; nelle sue sacre Mani quello del
lavoro; la sua bocca divina le servirebbe di capitolo e di parlatorio;
nei suoi occhi ella leggerebbe e studierebbe; le sue orecchie infine
sarebbero il tribunale ove dichiarerebbe i suoi peccati. Il Signore
l'invitò a salire, dopo le sue colpe, verso quel sacro tribunale, per
mezzo di cinque gradi d'umiltà, espressa in quelle parole: « Io vile,
peccatrice, povera, cattiva, indegna corro in quell'abisso della
misericordia Infinita del mio Gesù, per essere lavata da tutte le
macchie e purificata da ogni colpa. Così sia ».
CAPITOLO XXIX. - IL SALUTO DEL SIGNORE
Geltrude un giorno meditava parecchie circostanze nelle quali aveva.
dovuto esperimentare la fragilità e l'incostanza umana. Volgendosi
allora verso Gesù gli disse c Amare
Te solo, mio Diletto, è tutto per me (1) ». Egli, chinandosi,
l'abbracciò teneramente, dicendole « Amarti, o Figlia, è una gioia
estremamente dolce al Cuor mio ». Appena Gesù ebbe pronunciate queste
parole, tutti i Santi si rizzarono davanti al trono di Dio e offrirono
i loro meriti al Signore perchè, a sua maggior gloria, degnasse
offrirli a Geltrude afl~nchè diventasse degno domicilio dell'Altissimo.
Ella constatò allora con quale prontezza il Signore si degna inchinarsi
verso di noi, e come i Santi siano divorati dal desiderio di onorare
Dio, poichè coprono coi loro meriti l'indigenza degli uomini.
Così Geltrude esclamò con tutto lo slancio del cuore: « Io, piccola, vile creatura, ti
saluto amatissimo Gesù! ». Rispose il Salvatore di
rimando: « A mia volta ti saluto, dilettissima figlia! ».
Ella poi comprese che, se un'anima dice a Dio: « Mo diletto,
dolcissimo, amatissimo Gesù » o altre parole consimili, ogni volta
ricaverà la stessa risposta a lei diretta e godrà in cielo un
privilegio speciale, analogo a quello concesso a S. Giovanni
Evangelista, che ottenne una gloria particolare perchè quaggiù era
chiamato: c discipulus quem diligebat Jesus - il discepolo che Gesù
amava » (S. Giov. XXI, 7).
CAPITOLO XXX. - MERITO DELLA BUONA VOLONTA' E DELL'OFFERTA DEL CUORE,
CON ALTRE ISTRUZIONI DATE A GELTRUDE RIGUARDO ALLE PAROLE DELL'UFFICIO
DIVINO
I. Buona volontà.
Durante la S. Messa: « Veni, et ostende » il Signore le apparve tutto
dolcezza e grazia, irradiando dalla sacra persona luce celeste,
vivificante. Nel giorno del Natale pareva discendere dal trono sublime
della sua gloria, come per riversare, con maggior abbondanza sulle sue
anime dilette torrenti di grazie. Geltrude pregò allora per le persone
che si erano raccomandate alle sue preghiere, e per quelle alle quali
desiderava ottenere speciali favori.
Le disse Gesù: « Ho dato
ad ogni anima una cannula d'oro con la quale potranno attingere nella
profondità del mio Cuore, tutto quello che vorranno ».
Ella comprese che quel misterioso condotto significava la buona
volontà, mediante la quale l'uomo può appropriarsi tutte le ricchezze
spirituali dei cielo e della terra. Vuole per esempio un'anima offrire
a Dio le lodi, i ringraziamenti, l'obbedienza, la fedeltà di cui alcuni
Santi ci hanno dato l'esempio? Subito la divina bontà accetta
l'intenzione come un fatto compiuto. Questa cannula prodigiosa si
adorna poi di oro prezioso, quando l'uomo ringrazia Dio di avergli dato
una facoltà così nobile, che gli serve ad acquistare tali meriti, come
non potrebbe fare il mondo intero con le sue forze naturali.
Vide inoltre che tutte le monache della Comunità circondavano il
Signore, ciascuna munita di quel misterioso tubo, per attrarre la
grazia, secondo la misura delle sue forze. Mentre alcune attingevano
preziosi tesori direttamente dal Sacro Cuore, altre li ricevevano dalle
Mani del Salvatore. Ma più esse si allontanavano dal Sacro Cuore, più
avevano difficoltà a ottenere quanto desideravano. Invece, se si
sforzavano di aspirare dal centro stesso del Sacro Cuore,
s'inebbriavano di dolcezze copiose, con grande facilità. Quelle che
attingevano direttamente le grazie dal Sacro Cuore, rappresentavano le
anime che si sottomettono alla Volontà di Dio e bramano che si compia
perfettamente, sia per le cose temporali come per le spirituali. Queste
anime commuovono così profondamente l'infinita bontà di Dio che, al
momento opportuno, ricevono la divina grazia tanto più copiosamente,
quanto hanno maggiormente bramata il compimento del divino Volere. Le
altre invece che attingono grazie dalle membra del Signore,
simboleggiavano le anime che si sforzano di ottenere da Dio doni e
virtù, ma seguono le tendenze personali della propria volontà; esse
ottengono tanto più difficilmente i divini favori, quanto meno
s'abbandonano alla divina Provvidenza.
II. Perfetta offerta del cuore a Dio.
Geltrude un giorno rivolse questa preghiera al Signore: « Amabilissimo
Gesù, nella pienezza della mia volontà ti offro il mio cuore libero da
ogni affetto umano, pregandoti di purificarlo nell'acqua che sgorga dal
tuo Sacratissimo Costato, di arricchirlo coi meriti del prezioso Sangue
del tuo dolcissimo Cuore, e di unirlo intimamente a Te, nel soave
spirito del tuo divino amore ». Il Figlio di Dio allora le si mostrò in
atto dì offrire all'eterno Padre il cuore della sua diletta unito al
suo proprio Cuore divino, sotto forma di un calice elle risultava di
due parti, saldate con candida cera. A tale vista Geltrude disse con
umile divozione: « Fa, o amabilissimo Gesù, che il mio cuore rimanga
sempre vicino al tuo come una di quelle anfore ché i servi, ad un
cenno, porgono ai loro padroni per ristorarli. Possa Tu sempre trovarlo
pronto, sia per attingervi, sia per riempirlo a vantaggio di chi vorrai
».
Gesù accettò con bontà quell'offerta, e disse al Padre suo: « O Padre
santo, fa che per la tua eterna gloria, il cuore di questa creatura sia
il felice tramite che abbia a diffondere sul mondo la sorgente
inesausta dei benefici racchiusi nello stesso mio sacro Cuore ».
Siccome, in seguito, Geltrude rinnovava spesso questa offerta, vedeva
il cuor suo colmo di doni celesti e dalle mille lodi, ringraziamenti,
suppliche che ne emanavano, comprendeva che gli eletti dei cielo ne
ricevevano aumento di gioia. Altra volta, esso contribuiva
all'avanzamento in virtù di coloro che erano sulla terra, come vedremo
più avanti. Geltrude comprese poi che Dio gradiva questo scritto,
perché doveva fare del bene ad anime innumerevoli.
III. Onore reso a Dio. Efficacia della divina misericordia.
Nel tempo d'Avvento, mentre si cantava il responsorio «Ecce venit
Dominus protector noster, sanctus Israel - Ecco che viene il Signore,
nostro protettore, il Santo d'Israele », ella comprese che se un'anima
abbandona completamente a Dio la condotta della sua vita, se sospira
con ardore di essere diretta nella prosperità, come nell'afflizione
dall'amabilissima divina Volontà, essa dà a Dio tanta gloria quanta ne
procurerebbe al principe colui che gli ponesse sul capo una corona
regale.
Con le parole dei profeta Isaia « Elevare, elevare, consurge Jerusalem
- Levati, levati, Gerusalemme » (Isaia LI, 17), Geltrude comprese quali
benefici la santità procuri alla Chiesa militante. Infatti quando
un'anima ardente d'amore per Dio, a Lui si rivolge con volontà sincera
di riparare, se lo potesse, interamente, le offese che le colpe umane
procurano alla divina gloria, quando, nell'ardente carità che la
consuma, gli offre tale dimostrazione di tenerezza, la divina Bontà si
mostra così placata che giunge talvolta a perdonare al mondo intero.
Questo viene espresso dalle parole. « Usque ad fundum calicis bibtsti -
Hai bevuto il calice sino al fondo » (Ibid) perché, con questo mezzo,
la dolcezza della misericordia si sostituisce ai rigori della
giustizia. Ma le parole che seguono: « Potasti usque ad faeces - Hai
bevuto fino alla feccia » fa capire che nessuna redenzione è possibile
ai dannati, perchè non hanno diritto che alla feccia della giustizia.
IV. Vantaggi che derivano dall'evitare parole e azioni
inutili.
Geltrude, leggendo le parole d'Isaia: « Glorificaberis dum non facis
vias tuas etc. - Sarai glorificato se non segui le tue inclinazioni
ecc. (Isaia LVIII, 13) », comprese che, se dopo d'aver accarezzato
diversi progetti, si rinuncia al piacere di vederli eseguiti perchè non
hanno utilità per il bene, si avranno tre vantaggi:
1) Di trovare in Dio le più grandi delizie: « Delectaberis in Domino -
Ti rallegrerai in Dio » (Is, LVIII, 14).
2) Di sfuggire al nefasto impero dei pensieri pericolosi: « Sustollam
te super altitudinem terrae - T'innalzerò al di sopra delle altezze
della terra» (Ibid).
3) Di ricevere dal Figlio di Dio, in premio d'aver resistito alla
tentazione ed ottenuto vittoria, una parte speciale ai meriti della sua
santissima vita, secondo la parola dei sacri libri: « Et cibabo te
haereditate Jacob patris tui »: « Ti darò per nutrimento l'eredità di
Giacobbe tuo padre » (Ibid). In questo altro testo dello stesso
Profeta: « Ecce merces ejus cum eo » « Porta con sè la propria
ricompensa», (Ibid) (XL, 10) Geltrude comprese che Gesù nel suo immenso
amore per gli eletti, si degna di essere Lui stesso la loro ricompensa.
Egli si unisce ad essi con tanta dolcezza, che la creatura, oggetto di
sì grande amore, può affermare in verità che è ricompensata al di là
dei propri meriti « Et opus illius coram illo - E l'opera sua è davanti
a Lui » (lbid). Quando l'anima s'abbandona completamente alla santa
Provvidenza, e cerca in tutti i suoi atti di compiere la divina
Volontà, essa, per grazia celeste, appare già perfetta allo sguardo di
Dio.
V. Il pentimento purifica.
Geltrude mentre recitava il responsorio della vigilia di Natale:
«Sanctificamini, filii Israel - Santificatevi, figli d'Israele »
comprese che, se un'anima deplora le colpe che ha commesse e rimpiange
di non aver compiuto tutto il bene che le era possibile, risoluta ormai
di sottomettersi in tutto alla divina legge, appare agli occhi della
divina Maestà già santificata come il lebbroso, che fu purificato dalle
sue colpe dallo stesso Salvatore: « Volo mundare - Voglio che tu sii
purificato » (Matt. VIII, 3).
Con quella parola: « Cantate Domino canticum novum - Cantate al Signore
un cantico nuovo » (Is. XLII, 19) le fu mostrato che chi canta con
grande fervore, canta un cantico nuovo; infatti egli si trova
interamente rinnovato e gradito a Dio, perchè ha ricevuto la grazia di
dirigere verso di lui le sue intenzioni.
VI. Dio colpisce i suoi eletti per guarirli.
In quel testo d'Isaia « Spiritus Domini super me - Lo spirito del
Signore è su me » (Is. LXI, 1) e quello che segue « ut mederer
contritos corde - per guarire i cuori infranti », Geltrude vide che il
Figlio di Dio, essendo stato mandato per sollevare i tribolati, usa
provare i suoi eletti con la sofferenza, per avere poi l'occasione di
portarvi rimedio. In tal caso s'avvicina all'anima, non toglie la prova
che, pur spezzando il cuore, riesce tanto meritoria, ma si applica a
guarire, nella fragile creatura, quello che può essere pericoloso e
funesto.
Mentre il coro cantava il salmo CIX, alle parole: « In splendoribus
Sanctorum - Nello splendore dei Santi » ella comprese che la luce di
Dio è immensa e inconcepibile. Se tutti i Santi, da Adamo fino
all'ultimo uomo, ne avessero una conoscenza personale chiara, profonda,
vasta, secondo le possibilità delle creature, (bisogna ricordare che la
conoscenza di una è diversa da quella di un'altra), se inoltre il
numero dei Santi fosse mille e mille volte più grande, la Divinità
resterebbe sempre inesauribile ed infinitamente al di sopra di ogni
intelligenza creata. Perciò non si dice: « In splendore », ma « In
splendoribus sanctorum, ex utero ante luciferum genui te - Negli
splendori dei santi ti ho generato nel mio seno, prima dell'aurora».
VII. Ciascuno deve portare la sua croce alla sequela di Gesù
Cristo.
Ai vesperi di un Martire, mentre si cantava l'antifona « Qui vult
venire post me - Colui che vuole seguirmi » Geltrude vide il Salvatore
avanzarsi su di una strada fiancheggiata da verzura e fiori, ma stretta
e spinosa; pareva preceduto da una Croce che apriva il varco,
divaricando i rami e rendendo la via praticabile. Gesù si rivolgeva con
volto sereno verso coloro che camminavano dietro a Lui, ed invitava i
suoi amanti a seguirlo, dicendo: « Qui vult venire post me, abneget
semetipsum, tollat crucem suam et sequatur me etc. - Chi vuole seguirmi
prenda la sua croce e mi segua». Ascoltando tali parole comprese che la
croce di ciascuno è la sua tentazione personale. Per esempio certe
anime trovano la loro croce nell'obbedienza, eseguendo ordini contrari
ai loro gusti; altre sono oppresse dalla malattia che loro impedisce di
fare quello che vogliono. Noi dobbiamo portare la nostra croce,
soffrendo volentieri quanto di duro e di penoso ci presenta il dovere,
senza nulla trascurare di quanto può fare piacere a Dio e glorificare
il suo Nome.
VIII. La correzione troppo severa si muta in merito per chi
la sopporta.
Geltrude, recitando quel versetto: « Verba iniquorum - Le parole dei
cattivi» (Sol. LXIV, 4) comprese che se una persona, caduta per umana
fragilità in difetto, ne riceve una correzione troppo severa, viene
dalla misericordia di Dio largamente benedetta, perché quell'eccesso di
rigore provota la sua bontà e procura alla colpevole aumento di meriti.
IX. Dio castiga per misericordia i suoi fedeli ed abbandona i
perversi alla loro cattiveria.
Alla fine della Salve Regina, mentre si cantava quell'invocazione: «
misericordis oculos », Geltrude desiderò ricevere la salute del corpo.
Il Signore le disse sorridendo: « Ma
non sai che Dio ti guarda con maggior tenerezza quando sei oppressa
dalla sofferenza fisica, o da angosce morali? ».
Nella festa di più Martiri, quando il coro cantò quelle parole
gloriosum Sanguinem, ella capì che il Sangue sparso per Cristo è lodato
nella S. Scrittura, quantunque naturalmente ispiri un certo orrore.
Così comprese che nella vita religiosa certe trasgressioni alla Regola,
volute dall'obbedienza e dalla carità, piacciono tanto a Dio, da poter
essere degne di lode e chiamate gloriose. Altra volta comprese che, per
un segreto giudizio, Dio permette ad uomini perversi d'interrogare
un'anima eletta per carpirle qualche segreto ed averne poi risposte
atte a fissarli nei loro errori. Dio lo permette per la condanna dei
tristi e la perseveranza dei buoni. Perciò il Profeta Ezechiele si
esprime in questi termini: « Qui posuerit munditias suas in corde suo,
et scandalum iniquitatis suae contro faciem suam, et venerit ad
prophetam, interrogans cum pro me. Ego Dominus respondebo ci in
multitudine immunditiarum suarum, ut capiatur in corde suo - Colui che
ha chiuso le sue impurità in cuore, che ha messo lo scandalo delle sue
iniquità davanti al suo volto, e che andrà poi a trovare il Profeta e
l'interrogherà nel nome mio, io stesso gli risponderò secondo la
moltitudine delle sue infamie, perchè sia ingannato dal suo medesimo
cuore» (Ezch. XIV, 4, 5).
X. Chi crede deve confidare in Dio: non c'è peccato senza
consenso.
Geltrude nelle parole cantate in onore di S. Giovanni « Haurit virus
hic lethale - Bevve veleno mortale », comprese che la virtù della fede
preservò Giovanni da veleno mortifero, così come la resistenza della
volontà conserva l'anima senza macchia, malgrado gl'influssi malvagi
che potrebbero insinuarsi in cuore, senza il consenso della volontà.
Recitando il versetto: « Dtgnare Domine die isto etc. - Degnati, o
Signore, in questo giorno ecc. » ella ricevette questa luce: se l'uomo
che ha pregato Dio di preservarlo dai peccato, cadesse, per un segreto
permesso dell'Altissimo, in qualche grave colpa, troverebbe però subito
pronta la grazia, quasi bastone d'appoggio per rialzarsi e facilitare
la sua conversione.
XI. Come dobbiamo benedire Dio e riprendere i colpevoli.
Geltrude durante il canto del Responsorio Benedicens si presentò al
Signore per implorarne la benedizione, come se avesse personificato lo
stesso Noè. Ricevuta tale benedizione parve che il Signore desiderasse
la sua. Ella comprese che l'uomo benedice Dio quando si pente d'averlo
offeso e gli domanda aiuto per non cadere mai più nel peccato. Gesù,
volendo farle capire come quell'atto gli è gradito, s'inchinò
profondamente per ricevere tale benedizione, quasi che la salvezza del
mondo ne fosse la conseguenza. -
A quelle parole: « Ubi est frater tuus, Abel? - Dov'è Abele tuo
fratello? » (Gen. IV, 9) comprese che Dio domanderà conto a ciascun
religioso delle colpe che i fratelli commettono contro la Regola,
perchè esse si sarebbero potute evitare con una buona parola detta al
colpevole, oppure con un prudente ricorso al Superiore.
La scusa che taluni adducono: « Non ho l'obbligo di correggere il
fratello » oppure l'altra « Sono peggiore di lui », non saranno meglio
accolte dal Signore delle parole di Caino: « Numquíd eustos fratris mei
sum ego? - Sono forse il guardiano del mio fratello? » (Gen. IV, 9).
Davanti a Dio tutti gli uomini hanno lo stretto dovere di aiutarsi a
vicenda, per evitare le colpe ed eccitarsi al bene. Tutte le volte che
su questo punto non ascoltano la voce della coscienza, peccano contro
Dio; se trascurano tale dovere, dovranno rendere stretto conto a Dio,
il quale chiederà ragione dell'anima del fratello, più a loro che allo
stesso Superiore il quale, per il suo ufficio, è gravato da tanti
impegni e non può talora accorgersi delle mancanze dei sudditi. Perciò
la minaccia, « Vae facienti, vae, vae consentienti - Condanna a ohi fa
il male, e doppia condanna e chi v'acconsente », deve risuonare in
fondo ad ogni coscienza come un solenne invito alla correzione: è gran
male tacere quando si può, con parole opportune, evitare colpe che
diminuiscono la gloria di Dio.
XII. Chi difende la giustizia, riveste Dio.
Geltrude mentre cantava il responsorio: « Induit me Dominus - Il
Signore mi ha rivestito» ricevette questa luce. Colui che combatte
legittimamente per la giustizia, lavorando con parole e con azioni per
promuovere la fede, ricopre il Signore di un ricco paludamento di
gloria e di salute. Nell'eterna vita Dio gli prodigherà le larghezze
della sua regale munificenza, e dopo d'avergli accordato un manto
d'allegrezza, lo coronerà con un diadema di gloria.
Ella comprese allora che colui il quale nel combattimento per il bene
della religione, avrà sopportato avversità e contraddizioni, diventerà
più caro a Dio, come il povero si mostra doppiamente soddisfatto
quando, con un solo abito, riesce ad essere riscaldato e vestito;
quand'anche poi per l'opposizione dei cattivi, il lavoro intrapreso a
gloria di Dio non avesse risultato positivo, pure la ricompensa del
servo fedele non sarebbe punto diminuita.
Al canto del responsorio « Vocavit Angelus Domini ». Geltrude comprese
che gli Angeli, la cui assistenza sarebbe sufficiente a preservarci da
ogni male, sospendono talora, per ordine divino, la loro efficace
protezione e paterna Provvidenza.
Dio permette allora che i suoi eletti siano tentati per ricompensarli
maggiormente, avendo essi con la loro virtù, trionfato del nemico,
quantunque l'ausilio degli Angeli fosse loro stato momentaneamente
sospeso.
XIII. Beni che procurano l'obbedienza e l'avversità.
Nell'ufficio dello stesso giorno, al responsorio che segue
immediatamente « Vocabit Angelus Domini Abraham » Geltrude si rese
ragione perchè il padre dei credenti meritò di essere chiamato da un
Angelo, nel momento in cui alzava il braccio per compiere gli ordini
del cielo.
Così se l'anima, giusta, per amore di Dio, sottomette il giudizio e
mostra buona volontà di fronte a un sacrificio gravoso, merita di
essere subito sorretta dalle dolcezze della grazia e consolata dal buon
testimonio della coscienza. Con Tali favori l'infinita bontà di Dio
anticipa le gioie dell'eterna ricompensa, ed i trionfi di quel giorno
nel quale ciascuno riceverà a seconda delle sue opere.
Una volta ella, pensando a parecchie gravi sofferenze sopportate,
domandò fiduciosamente a Gesù perché mai le avesse permesse. Egli
rispose: « Quando la mano di un padre vuole opportunamente correggere
un figliuolo, la verga non può porre resistenza. Così i miei eletti non
dovrebbero mai attribuire i mali che soffrono agli uomini; essi sono
semplici strumenti di cui mi servo per esercitare la loro pazienza. I
miei amici dovrebbero piuttosto considerare il mio paterno amore, il
quale non permetterebbe al minimo soffio di turbarli, se non fosse per
aumentare le loro eterne gioie. E' bene però che i miei eletti abbiano
compassione di coloro che, perseguitandoli, macchiano la loro anima ».
XIV. Le nostre opere, offerte a Dio Padre, per mezzo del
Figlio suo, gli sono assai gradite.
Un giorno Geltrude, provando grande difficoltà nel compiere un lavoro,
disse al Padre celeste: « Signore, ti offro quest'azione, per mezzo del
tuo Figlio unico, nella virtù dello Spirito Santo, per la tua eterna
gloria». Comprese tosto che quell'offerta aveva dato all'opera sua un
valore straordinario, che l'aveva inalzata al disopra del livello
umano, dandole splendori deiformi. E come gli oggetti appaiono di
colore verde o azzurro, a seconda degli occhiali che si mettono, così
nulla piace di più a Dio Padre di un'azione compiuta per mezzo del suo
dilettissimo Figlio Gesù.
XV. Nessuna preghiera ben fatta rimane infeconda.
Geltrude un giorno chiese al Signore a che cosa servivano le frequenti
preghiere ch'ella faceva per i suoi amici, giacché non ne ricavava
alcun buon effetto.
Gesù si degnò illuminarla con questo paragone: « Quando un giovanissimo
principe ritorna al palazzo dell'imperatore, dopo d'avere ricevuto
l'investitura di un grande feudo e il possesso di ricchezze
considerevoli, coloro che l'incontrano non vedono in lui che la
debolezza dell'infanzia e neppure suppongono che un giorno sarà grande
e potente. Non stupirti quindi se non puoi scoprire l'effetto immediato
delle tue preghiere. La mia eterna Sapienza. dispone tutto per il
miglior bene. Quello che è certo si è che, più si prega per un'anima,
più si collabora alla sua eterna felicità. La preghiera perseverante
non è mai infeconda, quantunque gli uomini non possano capire quaggiù
il modo con cui io li esaudisco ».
XVI. I santi pensieri; il loro merito e la loro ricompensa.
Geltrude desiderava sapere quale ricompensa riceverebbe un'anima che
avesse innalzato a Dio tutti i suoi pensieri. Ebbe da Gesù
quest'istruziane: « L'uomo che dirige i suoi pensieri verso Dio, sia
meditando, sia pregando, pone uno specchio tersissimo di fronte al
trono glorioso della divinità. In tale specchio il Signore contempla
con gioia la sua propria immagine, perché è Lui stesso che dirige e
ispira tutto ciò che è buono. Se poi, per l'umana fragilità, l'uomo
provasse difficoltà in questo continuo orientamento verso Dio, non deva
scoraggiarsi, ma ricordare che più lo sforzo sarà faticoso, più lo
specchio presentato di fronte all'adorabile Trinità e a tutti i Santi,
sarà luminoso e brillante; di più tale specchio rifulgerà eternamente
per la gloria di Dio e per l'allegrezza eterna dell'anima che avrà
saputo santificare i suoi pensieri ».
XVII. Ostacoli alla divozione nei giorni di festa.
In un giorno di festa Geltrude, per un forte male di testa, non poté
cantare; ella domandò ingenuamente a Gesù perché mai permetteva che
quel malessere la sorprendesse soprattutto nei giorni di maggiore
solennità. Le rispose il Signore: «
Lo faccio per tema che il fascino delle melodie sacre non ti renda meno
sensibile ai delicati tocchi della grazia». Obbiettò
vivacemente Geltrude: «Ma la bontà tua, o mio Signore, potrebbe
preservarmi da tale pericolo ». « Infatti
potrei farlo: però ricorda che l'anima ha maggior guadagno quando, per
mezzo della prova e della sofferenza, le vengono tolte occasioni di
colpa, perché ha allora il doppio merito della pazienza e dell'umiltà».
XVIII. Effetti della buona volontà.
Un giorno Geltrude, trasportata da un impeto di fervore, disse: « Come
sarei felice, o mio Dio, se un fuoco ardente bruciasse l'anima mia,
riducendola in sostanza liquida che potesse scorrere facilmente in Te
». Rispose il Signore: «
La tua volontà sarà quel fuoco divoratore ». Ella comprese
allora che, con un solo movimento di buona volontà, si può ottenere la
realtà dei desideri che hanno Dio per oggetto.
XIX. Vantaggi della tentazione.
Geltrude pregava spesso il Signore di sradicare ogni difetto da essa e
dagli altri. Ma poi comprese che la divina bontà non poteva esaudirla
che in parte, cioè attenuando la fatale necessità che risulta dalle
cattive abitudini. Con l'aiuto di Dio l'aníma riesce allora a resistere
facilmente al male, perché la difficoltà cessa di crescere con
l'abitudine che, giustamente, è chiamata una seconda natura. Ella
riconobbe allora l'ammirabile consiglio della divina bontà per la
salvezza delle anime; Dio, per avere il diritto di aumentare la loro
eterna ricompensa permette che siano fortemente combattute dal pungolo
del peccato: resistendo aumentano la loro gloria e il loro eterno
trionfo.
XX. Gesù soccorre nella loro agonia coloro che hanno pensato
a Lui.
Geltrude ascoltò in una predica queste parole: « Nessuno potrà salvarsi senza
l'amore di Dio; tale amore deve essere almeno sufficiente per condurlo
a sentimenti di contrizione e all'emenda della vita ».
Ella si turbò pensando che molti, in punto di morte, sentono dolore dei
peccati, più per timore dell'inferno che per puro amore di Dio. Ma il
Signore la rassicurò dicendole: «Quando
vedo nell'agonia coloro che durante la vita hanno qualche volta pensato
a me, o che hanno compiuto qualche buona opera negli ultimi giorni, mi
mostro a essi con tanta bontà, tenerezza e amabilità che essi si
pentono d'avermi offeso e tale atto di dolore loro vale l'eterna
salvezza. Così vorrei che i miei eletti mi glorificassero, e
ringraziassero per tale insigne favore ».
XXI. Dio non fissa lo sguardo sulle imperfezioni di un'anima
che lo ama veramente.
Geltrude, considerando la miseria dell'anima sua, ne fu così costernata
e concepì un tale disprezzo di se stessa, che si andava domandando con
ansietà se potesse piacere al suo Dio. Infattì dove il suo occhio
infermo poteva scorgere una macchia, lo sguardo penetrante della
divinità avrebbe scoperto innumerevoli colpe. Il Signore le diede
questa consolante. risposta: « L'anima
giunge a piacermi per mezzo dell'amore ».
Ella comprese allora che se l'amore umano giunge a far trovare del
fascino perfino in esseri deformi, Dio, che é la carità per essenza,
soprà trovare bellezze meravigliose nelle creature da lui amate.
XXII. Come il Signore moderò in Geltrude il desiderio della
morte.
Geltrude, come l'Apostolo, sospirava ardentemente di essere separata
dai corpo per unirsi a Cristo e per l'ardore di tale brama, faceva
sentire a Dio i gemiti del suo cuore amante,
Il Signore si degnò di farle capire che ogni qualvolta, pur sentendo
vivissimo desiderio di uscire dalla prigione del corpo, si fosse
rassegnata a rimanere quaggiù tutto il tempo che il Signore avesse
voluto, altrettante volte il Figlio di Dio le comunicherebbe i meriti
della sua santissima vita, perchè si perfezionasse sempre di più
davanti allo sguardo del Padre celeste.
XXIII. Dio non esige il frutto delle opere per ciascuno de'
suoi doni.
Geltrude, ricordando un giorno le grazie numerose e varie ricevute
dalla bontà divina, si protestò miserabile, ingrata, indegna di ogni
bene per avere sciupato tanti tesori; ella si rendeva conto di non aver
trafficato tali doni per il suo proprio vantaggio, nè d'averne
ringraziato degnamente il Signore; di più doveva convenire di avere
trascurato anche il profitto del prossimo, il quale non avendo
conosciuto quelle grazie, non era stato in grado di trarne
edificazione, elevandosi a una più alta conoscenza di Dio.
Gesù consolò la sua Sposa, mandandole una luce speciale. Egli le fece
capire che, diffondendo i suoi doni sugli uomini, non esige un frutto
speciale per ciascuno di essi, ben conoscendo la fragilità delle sue
crature; tuttavia, non potendo trattenere l'impeto della sua bontà e
generosità, sparge continuamente sugli uomini l'abbondanza delle sue
grazie, quasi per prepararli alla meravigliosa opulenza della felicità
eterna. Così è del fanciullo al quale vengono affidati titoli di
proprietà; egli non ne capisce affatto il pregio, ma giunto a età
matura si compiacerà di tali ricchezze. Per tanto l'amabile Salvatore,
accordando grazie celesti al suoi eletti, loro dona un pregusto di quei
beni la cui pienezza formerà il loro eterno godimento.
XXIV. La volontà d'avere buoni desideri supplisce al loro
difetto.
Geltrude un giorno si sentì amareggiata per il timore di non avere un
desiderio abbastanza intenso di lodare il buon Dio. Una luce
soprannaturale però le fece capire che il Signore si accontenta della
buona volontà di coloro che bramano di avere ardenti desideri. L'anima
si riveste allora dello splendore dei suoi stessi aneliti allo sguardo
di Dio, che gusta in essa maggior delizie di quelle che noi proveremmo
contemplando in primavera la vaghezza di un prato adorno di magnifici
fiori.
Un'altra volta Geltrude, oppressa dalla malattia, si era un po'
allentata nell'abituale attenzione alla divina presenza. Quando si
accorse della sua negligenza, ne provò cocente rimorso e subito
risolvette di confessare la colpa a Gesù con umile divozione. Ella
giustamente temeva di dover fare grandi sforzi prima di ritrovare le
dolcezze della grazia celeste; invece immediatamente sentì la bontà
divina chinarsi verso di lei, dicendole con un tono pieno d'amore: «
Mia figlia, tu sei sempre meco, e tutto quello che è mio, è tuo ».
Quelle parole le fecero comprendere che se l'uomo, a causa dell'innata
fragilità trascura di dirigere l'intenzione a Dio, Egli nella sua
tenera misericordia giudica le sue azioni degne di eterna ricompensa,
purchè la volontà non si distolga da Dio, e abbia un vero, attuale
dolore dei propri peccati. All'avvicinarsi di una festa, Geltrude si
sentì assalita da un attacco di malattia. Con la solita confidenza
pregò il Signore di lasciarle la salute fino a solennità compiuta, o
almeno di diminuire i dolori in modo da poter celebrare le sacre
funzioni; tuttavia si sottomise pienamente al divino beneplacito. Gesù
le rispose amabilmente: « Con
questa preghiera e soprattutto con l'adesione incondizionata alla mia
Volontà, mi hai introdotto in un giardino delizioso ove trovo
ineffabili godimenti, mirando le aiuole smaltate di olezzanti fiori.
Sappi dunque che se ti esaudisco, sono io che ti seguirò nel giardino
ove tu gusti le tue delizie, se, al contrario, non rispondo
affermativamente alla tua richiesta, e tu ricevi il rifiuto con
pazienza, sei tu che mi seguirai nel giardino delle mie preferenze.
Ricorda, o figlia, che mi compiaccio assai più di te, quando trovo
nella tua anima ferventi desideri, quantunque talora un po' attenuati
per la malattia, che non quando tu senti ardenti brame e accesa
divozione, ma congiunte alla tua propria sodisfazione ».
XXV. Bisogna temere che l'assecondare i sensi, diminuisca in
noi la grazia.
Geltrude domandò un giorno al Signore come mai Egli facesse gustare a
certe anime la dolcezza delle consolazioni, mentre altre vivevano nella
più desolante aridità.
Il Salvatore le diede questa istruzione: « Il cuore dell'uomo è stato creato
per contenere le delizie spirituali, come il vaso è stato fatto per
contenere l'acqua. Se il vaso colmo lascia sfuggire il liquido da
qualche fessura, a poco, a poco si vuoterà e rimarrà asciutto. Così se
il cuore che racchiude delizie celesti, le perde attraverso
all'accontentamento dei sensi, guardando, o ascoltando quando gli
piace, o seguendo la sua cupidigia, lascia evaporare, per così dire, le
dolcezze sì rituali e se ne sta vuoto nell'incapacità desolante di
trovare la sua gioia in Dio. Tutti possono farne esperienza in se
stessi. Quando l'uomo segue le sue tendenze, guardando e ascoltando
cose vane e inutili, subito si sente allontanare dai pensieri celesti:
è il dolce liquore spirituale che sfugge, come l'acqua dal vaso. Se
invece egli resiste generosamente per piacere a Dio, agli allettamenti
sensibili, subito sente crescere in sè una segreta gioia intima che
sovrabbonda, tanto da non poter più contenerla. Perciò colui che saprà
vincere e mortificare la natura, riuscirà a deliziarsi in Dio, e le sue
gioie saranno grandi in proporzione dello sforzo fatto per vincersi
».
Un giorno Geltrude fu presa da una profonda tristezza, per cosa di poca
importanza. Mentre il sacerdote esponeva l'Ostia Santa all'adorazione
dei fedeli, offerse la sua desolazione a Dio, in lode eterna. Il
Signore parve allora attrarla a sè, come attraverso a un'apertura di
quell'Ostia misteriosa; la fece dolcemente riposare sul suo Cuore e le
disse con bontà: « In
questo domicilio sarai esente da ogni pena, ma ogni volta che te ne
allontanerai, il tuo cuore proverà un profondo disgusto che ti servirà
d'antidoto salutare, riconducendoti verso il tuo Dio ».
XXVI. Il Signore consola Geltrude come farebbe una madre col
suo bambino.
Un giorno Geltrude, affatto sfinita e senza forze, disse a Gesù: « O
mio Maestro, che diverrò io? Che cosa farete di me? ». Egli le rispose:
« Come una madre consola
i suoi figli, così o ti consolerò ». E aggiunse: « Non hai veduto qualche volta una
madre accarezzare il suo figlioletto? ». Geltrude taceva;
non si ricordava di averlo veduto mai. Il Signore le ricordò allora che
quell'anno stesso, sei mesi prima, aveva incontrato una madre che
accarezzava la sua creatura, e le rammentò tre cose che aveva viste in
quell'incontro senza fermarvi il pensiero.
« Prima »
disse Gesù « hai veduto
come la madre invitava a diverse riprese, il fanciulletto ad
abbracciarla, e quegli non poteva corrispondere all'invito, se non
facendo sforzi per giungere fino al di lei volto. Così sarà solo col
farti violenza che giungerai, per mezzo della contemplazione, a godere
la dolcezza e il soave godimento dell'amor mio »
« Tu osservasti, in
secondo luogo, che la madre stuzzicava e teneva desta la volontà del
fanciullo, dicendogli: « Vuoi questo? Vuoi quello? » senza però dargli
alcuna cosa di quello che sembrava offrirgli. Così Dio tenta tante
volte l'uomo, proponendogli l'accettazione di pene e di prove alle
quali però non vuole sottoporlo; Dio si contenta di tale accettazione
e, giacchè l'anima è sottomessa, si rende degna di ricompense eterne
».
« Infine hai veduto come
nessuno dei presenti, tranne la mamma, comprendeva il linguaggio del
bimbo, i movimenti delle sue piccole mani ed i suoni inarticolati della
sua voce. Così solo Dio vede e comprende l'intenzione dell'uomo nelle
sue opere, le giudica a norma di essa, e i suoi giudizi sono ben
diversi da quelli degli uomini che vedono solo l'esterno ».
Una sola volta Geltrude, ricordando i suoi peccati, sentì confusione
somma e si gettò nel profondo abisso dell'umiltà, cercando di
nascondervisi totalmente; ma il Signore la seguì con tale
accondiscendenza che tutta la Corte celeste meravigliata cercava di
trattenerlo: « Io non
posso tralasciare di seguire la mia Sposa » disse il
Signore « perchè la
calamita potente della sua umiltà attrae l'amore del mio divin Cuore
».
XXVII. Dio apprezza molto la pazienza.
Geltrude chiese un giorno al Signore su quale soggetto fissare
l'attenzione per il perfezionamento dell'anima sua. Le rispose Gesù: « Desidero che tu impari la pazienza
». Trovandosi appunto in quel momento assai turbata, gli chiese: « Come
e con quale mezzo potrò impararla? ». Il Signore, accostandola a sè,
come fa un esperto maestro col suo giovane scolaro, lei insegnò tre
lettere che dovevano insegnarle tale scienza. Alla prima lettera le
disse: « Considera come
il re onora della sua amicizia colui che condivide le sue umiliazioni e
i suoi trionfi. Così la mia tenerezza per te s'accresce, quando soffri
per mio amore disprezzi che assomìgliano a quelli da me sofferti».
« Alla seconda lettera aggiunse: «
Ammira di quanto rispetto sono circondati coloro che il re onora e
associa ai suoi lavori; ti sarà facile capire quale gloria in cielo
avranno coloro che in terra esercitarono la pazienza».
Alla terza lettera concluse: «
Rifletti a qual punta si può essere consolati dalla delicata
compassione di un cuore fedele e potrai capire, con quale soave bontà
io ti consolerò nei cieli per le minime afflizioni che sopporterai in
questa vita ».
CAPITOLO XXXI. - PROCESSIONE CON L'IMMAGINE DELLA CROCE
Al ritorno di una processione, che era stata fatta per ottenere la
serenità del tempo, mentre le Monache varcavano la soglia della Chiesa
precedute dal Crocifisso, Geltrude sentì che il Figlio di Dio,
dall'alto del suo patibolo, diceva al Padre: « Eccomi, o Padre,
rivestito dell'umana natura, che ho assunto per la salvezza del mondo;
io vengo con una falange di anime fedeli ad offrirti le mie suppliche
». Ella comprese che l'Eterno Padre era stato placato con quelle
semplici parole, più che se gli avessero offerto una soddisfazione che
superasse cento volte i peccati degli uomini.
Le sembrò che il Padre, innalzando la Croce, dicesse: « Hoc erit signum
foederis inter me et terram - Ecco il segno dell'alleanza fra me e la
terra » (Gen. IX, 13).
In altra occasione il popolo era assai preoccupato per il maltempo.
Geltrude ed altre anime avevano implorato la misericordia di Dio, senza
nulla ottenere; allora la Santa disse fiduciosamente a Gesù: « O vero Amico degli uomini, come
puoi resistere a tante preghiere? Io sono l'ultima delle tue creature,
pure è tale la mia confidenza in Te, che potrei io sola impetrare
favori molto più grandi; perchè tardi ad esaudire la voce di tutto un
popolo? ». « Pensi
tu - rispose il benignissimo Salvatore - che un padre si stancherebbe
di ascoltare suo figlio domandargli uno scudo, se a ciascuna delle sue
domande potesse mettergli in serbo cento monete d'oro? Non ti sorprenda
dunque se Io vi lascio supplicare inutilmente, come a voi sembra; ogni
qualvolta m'invocate per ottenere un cielo più sereno, anche allora che
m'indirizzate a questo scopo solo una parola, o un languido desiderio,
aggiungo ai vostri eterni tesori più assai di cento monete d'oro ».
CAPITOLO XXXII. - BUONI DESIDERI E SOGNI ANGOSCIOSI
Udiva un giorno. Geltrude cantare nella Messa da morto, quel versetto
del salmo: « Sicut cervus », e a quelle parole « Sitivit anima mea »,
per rianimare il suo fervore, esclamò: « Tu sei, mio Dio, l'unico vero
bene e i miei desideri di possederti sono così poco accesi! Quanto è
raro il caso che possa dire con verità: « L'anima mia ha sete di Te!
».
« Guardati tuttavia
» rispose Gesù « di
dirlo di rado; ripetilo anzi di frequente, perchè è tale la tenerezza
del mio amore per gli uomini, che allorchè alcuno dei miei eletti
desidera un bene qualunque, io gli sono grato del suo desiderio come se
Io stesso ne fossi l'oggetto, perché il bene che desidera è in me, ed è
da me che ogni bene deriva. Così quando alcuno dei miei amici desidera
la salute, la tranquillità, il benessere, la scienza, o altri simili
beni, io mi considero come l'oggetto stesso del suo desiderio, affine
di avere un motivo, un pretesto d'aumentare i suoi meriti, la sua
ricompensa, a meno che non guasti tale desiderio con un'intenzione
colpevole, quale sarebbe volere la salute per fare il male, la scienza
per vanità.
« Di qui viene -
proseguì Gesù - che mando frequentemente al miei diletti infermità
corporali, desolazioni di spirito, afflizioni di ogni genere. Essi
desiderano allora di sottrarsi a questi mali, di ricevere beni contrari
e il mio Cuore, ardente d'amore, geloso di aumentare le loro ricchezze
eterne, trova in questi desideri l'occasione di sodisfare la sua
liberalità secondo le leggi della giustizia.
« Altra volta ancora, Io,
la cui delizia è di stare coi figli degli uomini, non trovando nulla in
un'anima che possa piacermi, le mando tribolazioni, dolori di corpo e
di spirito; tali pene mi forniscono motivo legittimo di abitare presso
di lei, perchè, secondo la parola della Scrittura, l'inclinazione della
mia bontà mi conduce e mi trattiene presso coloro che sono afflitti di
cuore « Il Signore è vicino a coloro che hanno il cuore afflitto »
(Salmo XXVII, 19). Sarò con lui nella tribolazione (Salm. XC, 15). La
considerazione di tali eccessi d'amore colma di riconoscenza il cuore
della creatura, che è forzata a esclamare con l'Apostolo: « O
profondità delle ricchezze, della sapienza e della scienza di Dio, come
sono incomprensibili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie! » (Rom.
XI, 33).
Una notte Geltrude assaporava nel sogno le delizie di un banchetto
celeste. Quando fu desta disse al Signore in atto di ringraziarlo: «
Perché, o Gesù, consolarmi così con tanta dolcezza, mentre io non
merito alcuno dei tuoi doni, e tanti altri sono tormentati da sogni
spaventosi? ». Le rispose il Signore: « E' la mia paterna Provvidenza,
che permette durante il sonno tali turbamenti. Quando alcuno dei miei
amici non contraria in nulla durante il giorno la cupidigia naturale
dei sensi, privandosi così da se stesso dei beni celesti, io gli mando
la notte incubi, terrori, spaventi, affinchè quei patimenti gli
facciano acquistare qualche merito ». « Ma Signore -
insistette Geltrude - di qual merito possono essere ai tuoi occhi, i
patimenti che nessuna retta intenzione riferisce al tuo servizio, e al
quali la volontà è ripugnante? ». Gesù rispose: « La mia benignità saprà volgerli a
qualche profitto anch'essi. Benché un ornamento d'oro e di diamanti sia
da preferirsi, tuttavia certa gente si stima felice di portare, in
mancanza d'altro, anche gioielli di cristallo e di rame. Così avviene
appunto di tali persone ».
Un giorno Geltrude aveva recitato le ore canoniche un po'
distrattamente; ad un tratto le apparve il nemico dell'umano genere
che, con aria beffarda, si sforzava d'imitarla per deriderla e andava
terminando il salmo: « Mirabilia testimonia tua », (Ps. CXVIII, 12)
precipitando e sopprimendo sillabe e parole. Terminato il versetto egli
le disse sardonicamente: « Veramente il tuo Creatore, il tuo Salvatore,
l'Amico del tuo cuore ha bene trafficato i suoi doni, dandoti una così
grande facilità d'eloquio! Tu hai il talento di pronunciare discorsi
stupendi, ma quando ti rivolgi a Dio, sei così precipitata nel tuo dire
che, in un solo salmo, hai omesso tante sillabe, tante lettere e tante
parole». Geltrude comprese allora che quello scaltro nemico aveva
contato esattamente e con precisa minutezza le sillabe omesse nella
salmodia, e pensò quale terribile accusa avrebbe portato al momento
della morte contro coloro che recitano abitualmente l'Ufficio con
negligenza e con precipitazione.
Un'altra volta mentre filava, lasciò sfuggire qualche tenuissimo
fiocchetto di lana, pur tenendo la mente fissa in Dio, al quale aveva
offerto il lavoro. Vide ben tosto il demonio raccogliere quei fili, per
accusarla di negligenza. Ma il Signore, invocato con fede dalia Santa,
cacciò il demonio, rimproverandolo d'aver osato intervenire in
un'azione che gli era stata precedentemente offerta, con tanto amore.
CAPITOLO XXXIII. - COME NOSTRO SIGNORE E' FEDELE
NELL'ESAUDIRCI
Un giorno Geltrude, in un ardente impeto d'amore, disse a Gesù: « O mio
Signore, potessi io pregarti, affidandoti tutte le mie brame! ». E il
Signore: « Sì, mia
regina, e mia signora, comandami ed io mi affretterò a obbedirti, come
un suddito obbedisce alla sua sovrana». Ma la Santa
obbiettò: « Non voglio, mio Gesù, muovere dubbi intorno alla tua
misericordiosa parola, però, nonostante il rispetto che provo per la
tua accondiscendente bontà, permettimi di domandarti perchè mai ora ti
mostri così disposto a esaudire la tua povera ancella, mentre poi tante
volte le mie preghiere risultano senza effetto?». Gesù le rispose con
questo paragone: « Se
una regina occupata nel lavoro, dicesse ai suo servitore: « Dammi il
filo che pende dalla mia spalla sinistra » s'affretterebbe il servo ad
obbedirla, ma, accorgendosi che il filo sta appeso alla destra, lo
toglierebbe delicatamente, persuaso che è meglio agire in tal modo,
piuttosto che strappare violentemente un filo dalla parte sinistra.
Così, quando io che sono la Sapienza incarnata, sembro non esaudirti
secondo i tuoi desideri, dispongo però le cose in modo a te
vantaggioso, e ti accordo grazie ben più preziose di quelle che tu
domandi ».
CAPITOLO XXXIV. - PROFITTO CHE GLI UOMINI POSSONO RITRARRE
DALL'OFFERTA FATTA DAL SIGNORE E DAI SANTI
Geltrude doveva comunicarsi una mattina, ma non si sentiva
convenientemente preparata e ne gemeva dal profondo del cuore. Allora
pregò la Vergine e tutti i Santi di offrire a Gesù le ferventi
disposizioni che avevano quando in terra s'accostavano alla Mensa
Eucaristica. Anzi, salendo ancor più in alto con la sua ineffabile
confidenza, Geltrude pregò Gesù stesso d'offrire quella perfezione di
cui era adornno nel giorno dell'Ascensione, quando si presentò al Padre
per essere glorificato. Più tardi, riflettendo alla preghiera fatta,
Ella andava domandandosi quali frutti ne avrebbe ricavato. Le affermò
Gesù: « Allo sguardo
della Corte celeste apparisti rivestita dei magnifici paludamenti che
hai desiderato ». E aggiunse: « Perchè manchi di confidenza?
Stenteresti forse a credere che Io, che sono il Dio di bontà e di
potenza, abbia la facoltà di compiere quello che può fare l'ultimo
venuto? Infatti quando una persona in terra vuol onorare un amico
indigente, gli presta la sua veste perchè possa fare bella comparsa;
non farò io altrettanto con le anime che di me si fidano?
». Geltrude si ricordò allora che in quel giorno, aveva promesso ad
alcune persone di comunicarsi per loro, e pregò Dio di accordare alle
medesime il frutto del Sacramento. Gesù le disse: «Accordo loro la grazia bramata,
però saranno libere di servirsene a loro talento ».
Siccome Geltrude volle sapere in qual modo desiderava che quelle anime
ne approfittassero, il benigno Salvatore aggiunse: « Esse ne trarranno
grande vantaggio se spesso, con cuore puro e volontà docile, a me si
rivolgeranno per implorare grazia e misericordia; allora rifulgeranno
di quegli stessi ornamenti che tu loro hai ottenuto con la tua
fiduciosa preghiera ».
CAPITOLO XXXV. - EFFETTI DELLA S. COMUNIONE
Geltrude pregò una volta il Signore di concederle la grazia che all'ora
della morte, il suo ultimo cibo fosse il vivifico Sacramento
dell'Eucaristia: ma un'illuminazione soprannaturale le fece comprendere
che non aveva chiesto la cosa migliore. L'effetto di questo Sacramento
non è per nulla diminuito dalle cure che per necessità si prestano al
corpo, e tanto meno da quel po' di cibo che le misere condizioni di un
ammalato possono esigere e che egli prende anche contro sua voglia, per
sostenere la vita a gloria di Dio. Anzi, se in virtù dell'unione che
per l'azione sacramentale si stabilisce fra l'anima e Dio tutto ciò che
è buono acquista un valore più grande, tanto più diventerà meritorio
nell'ora della morte tutto ciò che si farà con intenzione pura, dopo
d'aver ricevuto il SS. Sacramento. La pazienza nel dolore, il cibo e la
bevanda, tutto diventerà occasione di meriti in virtù dell'unione
sacramentale col Corpo di Cristo.
CAPITOLO XXXVI. - VANTAGGI DELLA S. COMUNIONE FREQUENTE
Un giorno, prima di accostarsi alla S. Comunione, Geltrude chiese a
Gesù: « Signore, che cosa mi darai? », Egli le rispose: « Mi darò a te, come mi sono dato
alla mia SS. Madre ». Insistette la Santa: « Ieri le mie
consorelle ti ricevettero con me, oggi esse si astengono dalla S.
Comunione; cosa avrò più di loro poichè Tu ti dai sempre tutto intero?
». E Gesù: « Nel mondo
il governatore che è stato incaricato delle sue alte funzioni due
volte, ha la precedenza di fronte a colui che vi è stata eletto una
volta sola; come non sarà più glorioso in cielo colui che più di
frequente mi avrà ricevuto in terra? ». « Oh, quanto
grande adunque - esclamò Geltrude - sarà la gloria dei Sacerdoti che si
comunicano ogni giorno! ». « Certo
- disse Gesù - che la
loro gloria sarà meravigliosa, purchè si comunichino degnamente. Non
bisogna però confondere l'amore di un'anima che a me si unisce
sacramentalmente, con la gloria di cui è rivestito colui che celebra i
sacri misteri; così le ricompense sono diverse; diverse per il cuore
ardente d'amore e di desiderio; diverse per chi mi riceve con timore e
riverenza; diverse ancora per coloro che si preparano a ricevermi con
una lunga e fervorosa preghiera; ma nessuna ricompensa verrà accordata
a chi celebra i divini misteri con freddezza e per abitudine ».
CAPITOLO XXXVII. - COME IL SIGNORE CORREGGE I DIFETTI
DELL'ANIMA AMANTE
In una solennità della Vergine Maria, Geltrude, avendo ricevuto favori
eccelsi, considerava amaramente la sua ingratitudine e negligenza. Le
sembrava di non aver mai reso degni omaggi alla Madre di Dio ed agli
altri Santi. Eppure avendo ricevuto grazie stupende, sentiva il bisogno
di offrire lodi superne.
Il Signore, volendola consolare, si rivolse alla Vergine ed ai Santi: « Non ho forse io riparato
sovrabbondantemente le negligenze della mia Sposa a vostro riguardo,
quando mi sono comunicato ad essa, davanti a voi, nelle delizie della
mia Divinità? ». « In verità - risposero - la sodisfazione
ricevuta è stata incommensurabile ».
Allora Gesù si rivolse con tenerezza verso la sua Sposa dicendole: « Questa riparazione non ti basta? ».
« O benignissimo Signore, - rispose - certo che mi basta, ma non posso
essere pienamente felice, perchè un pensiero turba la mia gioia:
conosco la mia debolezza e penso che, dopo aver ricevuto la remissione
delle mie passate negligenze, potrei commetterne altre ancora », Ma il
Signore aggiunse: « Mi
darò a te in un modo così completo, da riparare non solo le colpe
passate, ma anche quelle che in avvenire potranno contaminare l'anima
tua. Sforzati però, dopo d'avermi ricevuto nel SS. Sacramento, di
mantenerti in una perfetta purezza ». E Geltrude: « Ohimè!
Signore, temo assai di non essere capace di praticare tale condizione,
perciò ti prego, o amabilissimo Maestro, d'insegnarmi a cancellare
immediatamente ogni macchia di peccato », « Non permettere - rispose il
Signore - che la colpa rimanga neppure un momento sull'anima tua, ma
appena t'accorgerai di qualche imperfezione, invocami con quel versetto
« Miserere mei Deus » oppure con questa preghiera: « O Cristo Gesù,
unica mia salvezza, per i meriti della tua morte salutare, dammi il
perdono di tutti i miei peccati».
In seguito Geltrude si comunicò e l'anima sua le parve limpida come
purissimo cristallo, più bianca della neve. La divinità di Gesù,
ch'ella aveva ricevuto, splendeva quasi oro finissimo che rifulge
attraverso il cristallo, producendovi operazioni così meravigliose e
così dolci, che l'adorabilissima Trinità e tutti i Santi gustarono
ineffabili delizie. Geltrude compresa allora che tutto quanto si è
perduto spiritualmente, può riacquistarsi per mezzo della SS.
Comunione, degnamente ricevuta. Infatti la divinità agiva in essa in
modo cosi eccelso, che tutta la Corte celeste proclamava di gustare
gioie ineffabili, mirando l'anima sua pervasa di luce divina.
Riguardo poi a quello che più sopra abbiamo affermato, cioè che il
Signore le aveva promesso di cancellare perfino le colpe future,
bisogna intendere la cosa in questo senso: come attraverso ad un prisma
di cristallo si può vedere ugualmente da tutte le faccie ciò che il
cristallo racchiude, così l'operazione divina si sarebbe compiuta in
Geltrude, tanto se fosse stata attenta e fedele nella pratica delle
buone opere, quanto se la fragilità umana avesse momentaneamente
distolta la sua attenzione.
Ma perchè tale meravigliosa, salutare opera potesse compirsi, era
necessario che l'anima non fosse oscurata da ombra di colpa pienamente
avvertita.
CAPITOLO XXXVIII. - EFFETTO DEL DIVINO SGUARDO
Geltrude, nella sua fervente pietà, desiderava con infuocato ardore di
comunicarsi. Una volta, essendosi sforzata di apparecchiarsi meglio
ancora del solito, esaurì così le sue forze che la notte della domenica
provò tale debolezza da sembrarle impossibile di poter accostarsi al
sacro Banchetto. Si rivolse allora a Gesù per consultarlo e conoscere
la sua santa volontà: Egli rispose: « Lo sposo che ha gustato cibi
deliziosi, trova maggior piacere a starsene con la sposa nell'intimità
della camera nuziale, invece di rimanere ancora assiso a tavola. Così
io sarei contento che tu oggi; per spirito di discrezione, omettessi di
ricevermi nella S. Eucarestia ». E Geltrude: « Come mai,
amantissimo Gesù, puoi dichiarare di essere del tutto sazio? ». Rispose
il Signore: « Il
raccoglimento dei sensi, la sobrietà delle parole, il. fervore dei
desideri e delle preghiere con cui ti sei preparata alla S. Comunione
mi hanno nutrito come cibi deliziosissimi ». Nonostante
l'estrema debolezza Geltrude assistette alla S. Messa, bramando di
comunicarsi almeno spiritualmente. Proprio allora capitò in Monastero
un Sacerdote che tornava dalla campagna, ove si era recato a portare il
viatico ad un povero infermo. Geltrude, sentendo il suono della campana
che la chiamava alla chiesa esclamò con accento infiammato: « O Gesù,
gioia dell'anima mia, come sarei felice di riceverti, almeno
spiritualmente, se avessi un po' di tempo per prepararmi ». Rispose il
Signore: « Il mio
sguardo ti purificherà completamente ». In quel mentre si
degnò fissare la sua divina pupilla. su Geltrude, dicendo: « Firmabo
super te oculos meos - Terrò il mio occhio fisso su di te » (Sal. XXXI,
8). A quelle parole ella comprese il triplice effetto che lo sguardo
divino, come raggio, di sole, opera in un'anima, e il triplice modo di
prepararsi a riceverlo.
Prima di tutto lo sguardo divino purifica l'anima, toglie ogni macchia
e la rende più candida della neve: è l'umile conoscenza dei propri
difetti che produce questo risultato.
Secondariamente lo sguardo della divina Bontà ammorbidisce l'anima e la
dispone a ricevere i doni spirituali, come la cera che si ammollisce ai
raggi dei sole, diventando atta a ricevere le varie impronte: effetto
che si ottiene mediante la buona volontà.
Terza cosa, il divino sguardo feconda l'anima che allora produce fiori
di virtù come la terra ci dà frutti vari e saporiti, quando è
riscaldata dai raggi vivificanti del sole: si raggiunge tale scopo con
un pieno abbandono alla Volontà di Dio ed una ferma confidenza nella
divina Bontà che fa servire a nostro bene, tanto le cose prospere come
le avverse.
« In seguito, siccome le Monache si comunicavano alternativamente a due
SS. Messe, apparve il Signore che con tenerezza ineffabile distribuiva
loro il Pane consacrato, mentre il Sacerdote segnava ogni Ostia con la
Croce.
Ora, quando Nostro Signore distribuiva ciascuna Ostia, pareva accordare
a Geltrude una potente benedizione. Ella ne fu alquanto sorpresa.
« Oh Signore - esclamò - Tu mi colmi di favori meravigliosi. E'
possibile che le mie Consorelle che ti ricevono Sacramentalmente,
ottengano maggiori ricchezze? ». E il Signore: « Colui che si orna di gioielli
preziosi è forse più ricco di chi tiene racchiusi i suoi tesori?
». Queste parole le fecero capire che, se la S. Comunione Sacramentale
accorda grazie salutari di cui anima e corpo sentono effetti potenti,
pure chi, con retta intenzione di glorificare Dio, si astiene dalla S.
Comunione per obbedienza, o per discrezione, pur desiderando
ardentemente di ricevere il Cibo divino, merita la stessa ampia
benedizione a Geltrude accordata dalla divina carità, cioè frutti di
grazia molto copiosi. Tuttavia bisogna sempre ricordare che l'ordine e
il segreto di tale azione di Dio rimangono celati all'umano intelletto.
CAPITOLO XXXIX. - QUANTO SIA UTILE RICORDARE LA PASSIONE DI
GESU' CRISTO
Geltrude, considerando un giorno la sua indegnità, si scoraggiò in tal
modo da determinare un arresto sulla via della perfezione. Allora il
Signore, nell'immensa sua bontà, si chinò verso di lei, dicendole: «
Secondo l'etichetta che regola i doveri degli sposi, conviene al re
recarsi dalla regina per visitarla nelle stanze ove riposa».. Tali
parole fecero capire a Geltrude che Dio si ritiene obbligato verso
l'anima che medita con amore la Sua Passione, come il re che ha dei
doveri da compiere riguardo alla regina in virtù del matrimonio che li
unisce.
Ella riconobbe allora di avere meritato l'amabilissima visita del
Salvatore, perchè si era applicata a meditare, un venerdì, la Passione
e comprese che, qualsiasi anima, benchè assai tiepida nella divozione,
otterrebbe favori eccelsi se ricordasse con amore i patimenti di Gesù.
CAPITOLO XL. - COME IL DIVIN FIGLIO PLACA IL PADRE
Geltrude un giorno domandava a se stessa quale dei lumi soprannaturali
che la bontà divina le aveva accordati, sarebbe stato più utile
manifestare agli uomini per loro profitto. Il Signore rispose al suo
pensiero così: « L'uomo
dovrebbe sempre ricordare che Io, Figlio della Vergine, sono
continuamente occupato a patrocinare presso mio Padre, la causa del
genere umano. Ed ecco come placo la sua giustizia. Quando l'uomo, per
fragilità, si macchia di colpa, offro all'Eterno Padre in espiazione,
il Cuor mio immacolato. Se pecca con la bocca, Gli presento la mia
innocentissima bocca; se il male penetra nelle sue opere, offro al
Padre le mie mani trafitte, ed oppongo così in diverse maniere, la mia
innocenza ai peccati dei fratelli, afnnchè, se lo vogliono, possano
facilmente ottenere perdono e misericordia. Io vorrei che i miei
eletti, ogni qualvolta tale remissione viene loro accordata, si
ricordassero con opportuni ringraziamenti, che essi devono al mio
misericordioso intervento, un perdono così pronto e completo
».
CAPITOLO XLI. - PIO SGUARDO AL CROCIFISSO
Un venerdì, mentre Geltrude rimirava il Crocifisso, fu penetrata tutta
di dolore e d'amore. Ella disse fiduciosamente a Gesù: « Dolcissimo e amantissimo
Salvatore, quanto hai sofferto oggi per la mia salvezza! Ed io
miserabile ho trascorso l'intera giornata in occupazioni futili, senza
ricordare quanto ogni ora hai patito per me Tu che, essendo la vita,
sei morto per amore del mio amore! ».
Gesù dall'alto della Croce le rispose: « Io ho supplito alle tue
negligenze, raccogliendo oggi, d'ora in ora, nel mio Cuore, quanto
avresti dovuto radunare nel tuo, ed è così colmo di grazie per te, che
ne è come ingombro, così che aspettavo ansiosamente il momento in cui
tu mi avresti diretta questa preghiera perchè senza di essa, tutto
quanto ho accumulato per Te non ti avrebbe giovato a nulla. Con questa
preghiera invece tu puoi appropriartelo davanti a Dio Padre, come cosa
tua ».
Riconosciamo l'amore di Dio per gli uomini! Appena l'anima negligente
ha formulato un solo pensiero di rimpianto, Gesù offre a Dio Padre,
soddisfazione per essa e lo fa con tale pienezza che ogni colpa resta
riparata. Oh, quanto merita di essere benedetta e ringraziata una tale
misericordia!
Un giorno, mentre Geltrude contemplava con divozione il Crocifisso,
comprese che l'anima, guardando amorosamente l'emblema della nostra
Redenzione, merita che Dio rivolga con bontà il suo sguardo verso di
lei. Sotto l'influsso del medesimo sguardo essa diviene brillante come
uno specchio, ove si riflette l'immagine del Salvatore; la Corte
celeste si rallegra a tale vista e l'anima ne ha aumento di merito per
l'eterna ricompensa.
Geltrude ricevette anche questo insegnamento: quando l'uomo guarda il
Crocifisso con divozione, deve pensare che Gesù gli dica con bontà: « Ecco come per tuo amore ho voluto
essere appeso nudo, sfigurato, coperto di piaghe, con le membra
violentemente distese su d'una Croce! Il mio Cuore è così
appassionatamente amante del tuo che, se per salvarti fosse necessario,
sopporterei di bel nuovo, volentieri per te sola, tutto quanto ho
sofferto per il mondo intero!». Tali pensieri devono
ridestare nei cuori sentimenti di riconoscenza, perchè è sempre effetto
di una grazia divina che gli occhi degli uomini incontrino l'immagine
della Croce, e non ve li fissino mai senza che l'anima ne risenta
salutari impressioni. La contemplazione dei dolori di Gesù è sempre di
profitto; perciò sarebbe assai colpevole il cristiano ingrato che
trascurasse di venerare Colui che si è offerto come prezzo inestimabile
del nostro riscatto.
Altra volta, mentre il suo spirito era immerso nella considerazione dei
patimenti del Redentore, comprese che le preghiere, o meditazioni che
hanno qualche relazione con tali misteri, portano all'anima maggior
frutto degli altri esercizi. Infatti come è impossibile maneggiare la
farina senza impolverarsi, così l'anima non può meditare la Passione,
sia pure con poco fervore, senza trarne qualche vantaggio. Quando una
persona legge qualche punto dei dolori di Gesù, essa procura all'anima
sua una specie di attitudine e facilità a ricevere i frutti dei
medesimi dolori, giacchè l'intenzione di chi medita frequentemente la
Passione. è più fruttuosa delle innumerevoli intenzioni di altri che
non se ne occupano mai. Sforziamoci dunque di coltivare tale sacro
ricordo, affinchè diventi per noi favo di miele alla bocca, melodia
armoniosa all'orecchio, allegrezza ineffabile al cuore.
CAPITOLO XLII. - IL FASCETTO DI MIRRA
Geltrude vicino ai letto teneva il Crocifisso. Una notte parve chinarsi
su lei, quasi stesse per cadere; essa lo rialzò teneramente, dicendo: «
O dolcissimo Gesù, perchè t'inchini? ». Rispose Egli: « L'amore del mio Divin Cuore mi
trae verso di te». Allora ella prese la santa immagine, se
la strinse al cuore, la coperse di carezze e di baci esclamando: «
Fasciculus myrrhae dilectus meus mihi. - Il mio diletto è per me un
fascetto di mirra » (Cent. 1, 12). L'amabile Salvatore, terminando la
citazione, a nome suo, aggiunse: «Inter haec ubera mea commorabitur -
Egli dimorerà sul mio seno» (Ibid.).
Inoltre le insegnò che l'uomo deve unire tutte le sue pene e difficoltà
alla sua santissima Passione, così come s'introduce un ramoscello di
fiori in un fascetto di mirra. Se il numero e l'intensità dei suoi mali
lo portano all'impazienza, deve ricordare l'ammirabile dolcezza del
Cuore di Gesù che, simile a mansueto agnello, si è lasciato prendere ed
immolare per la nostra salute, senza proferire lamento. Se l'uomo sta
per vendicarsi del male ricevuto, ricordi con quale generosità il suo
Dio non rese mai male per male, né fece vendetta per gli oltraggi
ricevuti. Anzi, in ricambio degli atroci dolori che gl'inflissero,
riscattò con lei sofferenze e con la morte, coloro che l'avevano
perseguitato fino a vederlo spirare sotto i loro occhi. Infine se
l'uomo sente odio contro i suoi nemici, ricordi l'eccessiva
mansuetudine con la quale l'amorosissimo Figlio di Dio, fra i dolori
cocenti della Passione e le angosce di morte pregò per coloro che lo
crocifissero, dicendo: « Pater, angosce illis etc. - Padre, perdona
loro ecc. ». Unendosi a quello stesso amore, preghi lui pure per i suoi
nemici.
Aggiunse ancora Gesù: « Se
alcuno avvolge e nasconde, per così dire, le sue pene nel fascetto di
mirra dei miei dolori e si fortifica agli esempi della mia Passione,
cercando d'imitarli, diventa allora veramente colui che inter ubera mea
commorabitur. Io gli accorderò con tenerezza speciale, tutto ciò che ho
meritato mediante la mia pazienza e le altre virtù, affinché le sue
ricchezze siano aumentate ».
Geltrude chiese allora: « Gradisci, o mio Gesù, l'amore che si porta
all'immagine della tua Croce? » « Io
l'accetto con profonda gratitudine - rispose - però coloro che venerano
la Croce senza imitare i miei esempi, assomigliano ad una madre che
riveste la sua figliuola con abiti a sua scelta, senza tener conto dei
gusti della sua creatura e talvolta facendole sopportare amari rifiuti.
Finchè la figlia non si veda assecondata, nelle sue brame, non è
riconoscente per le spese fatte a suo riguardo, perchè sa che la mamma
l'adorna per sodisfare alla sua vanità e non per vera tenerezza. Così
tutte le prove d'amore, di lode, di rispetto prodigate al Crocifisso
non possono farmi piacere, se non, si cerca nello stesso tempo
d'imitare gli esempi della mia Passione».
CAPITOLO XLIII. - L'IMMAGINE DEL CROCIFISSO
Geltrude desiderava ardentemente di avere un Crocifisso per venerarlo
spesso con amore; però cercava di moderare il suo desiderio, temendo
che quell'esercizio esteriore troppo assiduo, fosse a detrimento delle
sue predilette pratiche interiori. Gesù le disse allora: « Non temere, mia diletta figlia;
in tale divozione io sono l'unico oggetto dei tuoi pensieri, quindi non
può ostacolare le gioie spirituali di cui ti colmo. Ti confido poi che
mi torna assai gradito vedere lo strumento del mio supplizio circondato
d'amore e di rispetto. Un re che non può sempre stare con la sua sposa
diletta, le lascia talora vicino il parente più caro; in questo caso
egli ritiene fatte a se stesso tutte le gentilezze che la sposa prodiga
a costui, perchè sa che non agisce per impulso di affezione illecita
verso un estraneo, ma per casto amore allo stesso suo sposo. Così io
trovo le mie delizie negli onori resi alla Croce, perchè sono una prova
d'amore per me. Tuttavia non basta contentarsi d'avere la Croce; essa
deve rendere più vivo il ricordo dell'amore e della fedeltà che mi
hanno fatto sopportare le amarezze della Passione, perchè più che alla
sodisfazione personale, bisogna mirare agli esempi che il Crocifisso
richiama ».
CAPITOLO XLIV. - COME LA SOAVITA' DIVINA ATTRAE L'ANIMA
Una notte Geltrude, meditando divotamente la Passione, si lasciò
trasportare dall'ardore de' suoi desideri, tanto da sentirsene il cuore
bruciato come da fiamma: « O mio amorosissimo Gesù, - diss'ella - se
gli uomini sapessero quello cha provo, mi consiglierebbero di moderare
tali fervori per non nuocere alla salute; ma Tu, che penetri
nell'intimo del mio essere, sai bene che nessuno sforzo delle mie
potenze potrebbe impedirmi di sentire l'intima dolcezza della tua
visita divina ». Rispose il Salvatore: « Chi dunque, a meno che non sia
folle, può ignorare che la soavità infinitamente potente della mia
divinità supera in misura incomprensibile tutti i diletti umani? Le
consolazioni terrestri, paragonate alle celesti, sono come goccie di
rugiada di fronte all'immensità dell'oceano. Se gli uomini spesso si
lasciano talmente sedurre dai piaceri sensibili da mettere talora in
pericolo, non solo la salute del corpo, ma perfino l'eterna salvezza, a
più forte ragione un cuore, penetrato dalla soavità divina, si trova
nell'impossibilità di reprimere le fiamme di un amore che deve
procurargli una felicità senza tramonto».
Ella obbiettò: « Forse gli uomini potrebbero dire che, avendo io fatta
la Professione in un ordine cenobitico, debba moderare l'intensità
della divozione, per poter praticare tutte le austerità della Regola».
Il Signore si degnò d'istruirla con questo paragone «Immaginati, figlia mia, che alla
mensa reale presiedano parecchi ciambellani, pronti a servire con zelo
e riverenza il loro Signore. Supponi che il re, stanco ed indebolito
per l'età, desideri aver vicino uno di quei servitori per appoggiarsi a
lui: non ti sembrerebbe cosa disdicevole, che il ciambellano lasciasse
cadere il re, levandosi di scatto, col pretesto che è stato proposto al
servizio della tavola? Così non è opportuno che un'anima, chiamata
gratuitamente alle delizie della contemplazione, si sottragga sotto
pretesto di seguire più perfettamente la Regola. Io sono il Creatore,
il riformatore dell'universo, e mi compiaccio infinitamente più di
un'anima amante che di altri esercizi, o lavori materiali, che possono
anche compiersi senza amore e retta intenzione ».
Il Signore completò il suo insegnamento con queste parole: « Se però alcuno, non attratto
dallo Spirito Santo al riposo della contemplazione, facesse sforzi
personali per raggiungere tale privilegio, trascurando così la Regola,
assomiglierebbe al servitore invadente che, invece di stare in piedi,
aspettando gli ordini del padrone, si sedesse a fianco del re, senza
esservi invitato: naturalmente si attirerebbe il disprezzo; così colui
che aspirasse alla contemplazione divina, che è un favore che nessuno
può ottenere senza una grazia specialissima, ne avrebbe più detrimento
che profitto pcrchè, da una parte non progredirebbe nella
contemplazione, dall'altra sodisferebbe con tiepidezza alle osservanze
regolari.
Il Religioso poi che
cercasse distrazioni piacevoli, trascurando la Regola senza necessità e
per fare i suoi comodi, si potrebbe paragonare al valletto che,
destinato a servire il suo signore, se ne andasse come un mozzo di
stalla ad insudiciarsi nel riordino delle scuderie ».
CAPITOLO XLV. - DELICATO OMAGGIO RESO AL CROCIFISSO
Un venerdì Geltrude, dopo d'aver passato l'intera notte in preghiera e
in desideri ardenti, si ricordò di aver tolto i chiodi del Crocifisso
per porvi boccioli profumati di garofano. Chiese pertanto a Gesù: « O
mio diletto Signore, che hai tu pensato quando con atto tenerissimo,
tolsi i chiodi dalle dolci ferite dei tuoi piedi e delle tue mani, per
porvi fragranti bocciolini? ». Le rispose Gesù: « Tale prova di amore mi ha così
consolato che ho diffuso sulle piaghe dei tuoi peccati il balsamo della
mia divinità; i santi attingeranno delizie eterne alla vista di quelle
ferite asperse da un liquore di così alto pregio ».
Insistette Geltrude: « Mio Gesù, accorderai lo stesso favore a tutti
coloro che ti onoreranno in questo modo? ». « Non a tutti, - rispose il Signore
- ma solamente a quelli che compiranno questo atto con lo stesso tuo
amore; però grande sarà la ricompensa anche per le anime che non ti
eguaglieranno in fervore e divozione ».
A tali dolci parole, Geltrude prese il Crocifisso, lo coperse di teneri
baci e, stringendolo al cuore, gli prodigò tutto il suo amore; poi,
sentendosi venir meno per la veglia così prolungata, depose il
Crocifisso dicendo: « Ti saluto amatissimo Gesù e ti auguro buona
notte: permettimi di dormire perchè possa riavere le forze che ho
esaurito in questi nostri dolci colloqui ». Dette queste parole, tolse
lo sguardo dal Crocifisso per prendere un po' di riposo.
Ma il Signore, avendo staccato il braccio destro dalla Croce, abbracciò
la sua Sposa con infinito amore; e le sussurrò all'orecchio: « Ascolta mia diletta, voglio farti
sentire il canto della mia divina dilezione » e sulla
melodia dell'inno Itex Christe, factor omnium, cantò, con la dolcissima
sua voce, questa strofa:
Amor meus continuus
Tibi languor assiduus,
Amor tuus suavissimus
Mthi sapor gratissimus.
L'amor mio incessante
Eternizza il tuo languore
L'amor tuo avvampante
M'offre il più dolce
sapore.
Finito che ebbe, disse: « Ora,
invece del Kyrie eleison, che si canta dopo ogni strofa, chiedimi le
grazie che desideri ». Geltrude espose le sue suppliche e
fu esaudita pienamente. In seguito il Signore Gesù cantò la stessa
strofa, invitando la sua Sposa a pregare: dissero così alternativamente
parecchie volte le stesse parole, ma Geltrude, per la prolungata
insonnia, si sentiva mancare le forze, tanto che divenne necessario
ripararle. S'abbandonò un momento al sonno fino all'alba: il Signore
Gesù, che sta sempre con coloro che lo amano, le apparve in sogno e lai
riscaldò dolcemente sul suo Cuore. Sembrò che nella ferita del Costato
preparasse un cibo delizioso, che con le sue mani offrì a Geltrude per
rinvigorirla. Infatti si svegliò completamente ristorata, tanto che,
nel pieno possesso delle sue forze, sciolse un inno di ringraziamento
al suo Signore.
CAPITOLO XLVI. - LE SETTE ORE DELL'UFFICIO IN ONORE DELLA S.
VERGINE MARIA
Una notte Geltrude, avendo meditato a lungo la Passione di Gesù, si
sentì nell'Impossibilità, per l'estrema, debolezza, di recitare il
Mattutino. Si rivolse allora fiduciosa, mente al Salvatore con queste
parole: «Ah, mio Dio, poiché le esigenze della natura reclamano
imperiosamente il riposo, dimmi almeno quale omaggio potrei offrire, in
compenso, alla beatissima tua Madre, per risarcirla dell'Ufficio che
non ho detto». Rispose Gesù: «Lodami
con la dolce armonia del mio Cuore, per l'innocenza della sua perfetta
verginità. Vergine mi concepì, Vergine mi diede alla luce, Vergine
inviolabile continuò ad essere dopo la mia nascita, imitando
l'innocenza con la quale, fino dai primi albori del giorno, io fui per
la salute del genere umano, afferrata, legato, schiaffeggiato, percosso
ed avvilito crudelmente con tanti obbrobri e ignominie».
Mentre ella così pregava, vide Gesù presentare alla S. Vergine il suo
divin Cuore. Ella vi assorbì un nettare più dolce del miele, e parve
come inebbriata per la soavità di quella bevanda. Geltrude disse allora
alla Regina del cielo «Ti lodo e ti saluto, Madre di ogni beatitudine,
sacrario augustissimo dello Spirito Santo e ti lodo mediante il Cuore
dolcissimo di Gesù Cristo, Figliolo di Dio Padre e Figliolo amatissimo,
supplicandoti di soccorrerci in tutti i nostri bisogni e nell'ora della
nostra morte. Così sia!». Geltrude comprese che se alcuno lodasse il
Signore con la suddetta aspirazione per glorificare la Vergine Maria,
offrendole ogni volta il Cuore del suo amato Figlio, la Sovrana celeste
accetterebbe volentieri tale omaggio, ricompensandolo secondo la
generosità della sua materna tenerezza.
Aggiunse il Signore: «All'ora
di Prima lodami, mediante il mio dolcissimo Cuore, per quella sì cara
umiltà con la quale la Vergine tutta pura si rese, di giorno in giorno,
più degna di ricevermi e d'imitare il divino abbassamento col quale Io,
che sono il giudice dei vivi e dei morti, mi degnai alla prima ora del
giorno, di comparire al tribunale di un gentile per operare la
redenzione del genere umano.
All'ora di Terza lodami
per quell'ardente desiderio coi quale la Vergine amabilissima mi
attrasse dal seno del Padre nel suo grembo verginale, e m'imitò
infiammandosi di quei divini ardori che mi facevano sospirare la salute
del mondo, allorché lacerato da crudeli sferze e coronato di spine, mi
degnai di portare con tanta dolcezza e pazienza, sulle spalle stanche
ed insanguinate, la Croce ignominiosa.
«All'ora di Sesta lodami
per quella ferma confidenza, con cui la Vergine celeste, per la sua
buona volontà e sante intenzioni, incessantemente aspirò a vedermi
glorificato: così Essa m'imitò e corrispose a quello zelo che mi
consumava allorchè sospeso sulla Croce, in mezzo alle più crudeli
amarezze, sospiravo con tutte le forze la redenzione del genere umano,
esprimendo il mio desiderio con quelle parole "Ho sete", cioè ho sete
delle anime, ho sete al punto che, se fosse necessario, soffrirei
supplizi ancora più crudeli ed amari, offrendomi ad ogni eccesso di
dolore per riscattare l'uomo.
«All'ora di Nona lodami
per quel mutuo ardente amore che unisce il mio Cuore divino con quello
della Vergine Immacolata, di quella Vergine che nel seno verginale uni
inseparabilmente l'eccellenza della Divinità con la debolezza
dell'Umanità. Amandomi in tale guisa Ella riprodusse l'immagine fedele
di quell'amore che dimostrai allorchè io, Autore della vita,
soccombetti all'ora di nona sulla Croce ad una morte amarissima per la
redenzione del genere umano.
« All'ora di Vespro
lodami per quella costanza con cui, dopo la fuga degli Apostoli, in
mezzo all'universale abbandono, la Vergine restò sola, all'avvicinarsi
della mia morte, immobilmente fedele. Imitò così quella divina fedeltà
con cui, dopo la mia morte e la deposizione dalla Croce, ricercai gli
uomini fino al Limbo per toglierveli con l'onnipotente mio braccio e
condurli alle gioie del cielo.
«All'ora di Compieta,
lodami per quell'ammirabile perseveranza con la quale la mia dolce
Madre continuò fino alla morte in ogni sorta di virtù e di opere buone,
imitando lo zelo con cui io, dopo d'avervi ottenuta, con amarissima
morte la vera libertà, non ricusai alla tomba il mio Corpo
incorruttibile, per mostrare all'uomo che non vi è cosa, per vile che
sia, a cui non mi sottometta per la sua eterna salvezza».
CAPITOLO XLVII. - MANIFESTAZIONE DELL'AMICIZIA DEL SIGNORE
Geltrude sentiva il peso delle relazioni con le creature perchè
un'anima che ama veramente il Signore, trova fuori dì Lui noia e
sofferenza.
Così le capitava molto spesso di togliersi di scatto da ogni commercio
umano per correre dal suo Gesù, dicendo: « Eccomi qui, o mio Maestro:
la conversazione delle creature annoia l'anima mia, che si diletta solo
in Te; dò quindi un addio a tutti e me ne vengo a Te, o mio sommo Bene,
unica gioia del mio cuore».
Baciando allora le cinque Piaghe del Crocifisso, Geltrude diceva ad
ognuna: « Io ti saluto, Gesù, Sposo adorno delle tue cinque Piaghe come
di altrettanti fiori; ti saluto e ti abbraccio con un amore che
vorrebbe riunire tutti gli amori, con la compiacenza della tua stessa
Divinità, deponendo il mio ardente bacio sulle ferite dell'amor tuo ».
A tali parole Gesù pareva consolato e Geltrude gustava la soavità della
vera divozione. Ella chiese un giorno al Signore se tale esercizio gli
fosse assai gradito, quantunque v'impiegasse solo qualche minuto.
Rispose il Salvatore « Ogni volta che tu fai quest'azione, appari agli
occhi miei come un amico che offre per un giorno ospitalità all'amico,
sforzandosi di dimostrargli, con ogni sorta di attenzioni e di
delicatezze, l'amor suo. Quell'ospite, così bene accolto, penserebbe in
cuor suo il modo di ricambiare tanta cortesia quando l'amico verrebbe,
a sua volta, a visitarlo; così il Cuor mio va amorosamente meditando
quale ricompensa ti accorderà nell'eterna vita, per tutte le tenerezze
che mi hai prodigato sulla terra. Ti renderò il centuplo, secondo la
regale munificenza della mia potenza, sapienza e bontà ».
CAPITOLO XLVIII. - EFFETTI DELLA COMPUNZIONE
Il Monastero di Geltrude si trovava in forti preoccupazioni per
l'avvicinarsi di un nemico che si diceva fortemente armato. In tale
frangente le Monache decisero di recitare il Salterio, dicendo alla
fine di ciascun versetto « O Lux beatissima », con l'antifona « Veni
Sancte Spiritus ». Geltrude pregava con grande dívozione insieme alle
sue Consorelle e comprese che, con quella preghiera fatta sotto l'egida
dello Spirito Santo, il Signore convertiva parecchie anime. Egli voleva
che dopo d'avere riconosciuto le loro negligenze, ne concepissero vera
contrizione, col fermo proposito d'emendarsi; e di evitare, per quanto
possibile, di peccare in avvenire.
Mentre alcune Consorelle provavano tali sentimenti, Geltrude vide
elevarsi dal loro cuore, mosso dallo Spirito Santo, una specie di
vapore che si diffondeva in tutto il Monastero, cacciando i nemici; più
un cuore era contrito e volonteroso di bene, più il vapore che da esso
sfuggiva, aveva la forza di cacciare le potenze ostili.
Ella comprese allora che il Signore, con quella preoccupazione per la
minaccia degli assalitori, voleva attrarre più intimamente i cuori di
quel privilegiato Monastero, affinchè, spezzati dal dolore e purificati
da ogni colpa, si rifugiassero sotto la sua paterna protezione, per
attingervi il concorso delle divine consolazioni.
Dopo l'aver ricevuto questa luce ella disse a Gesù: « Perché mai,
amatissimo Maestro, le rivelazioni di cui la tua bontà mi favorisce
sono così differenti da quelle che accordi ad altre? Perché permetti
che vengano conosciute mentre preferirei tenerle nascoste? ».
Rispose Gesù: « Se uno
scienziato, interrogato da personaggi di diverse nazioni, rispondesse a
tutti in una sola lingua, ben pochi lo capirebbero. Ma se parla ad
ognuno il suo linguaggio, cioè il latino al latino, il greco al greco,
la sua alta sapienza si manifesterà appunto perchè sa farsi comprendere
da tutti. Così avviene anche di me; più è grande la diversità con cui
comunico i miei doni, e maggiormente risplende la profondità
inesauribile della mia sapienza. -
« Tale sapienza tratta
ciascuno secondo la sua propria capacità e secondo le tendenze di
ciascun'anima; parlo ai semplici con immagini e paragoni sensibili e
propongo a coloro che hanno l'intelligenza più vigorosa, immagini più
complicate e simboli più oscuri ».
CAPITOLO XLIX. - PREGHIERA GRADITISSIMA AL SIGNORE
In altra consimile occasione la Comunità recitò il salmo: « Benedic
anima mea, Domino», aggiungendo a ciascuno dei versetti orazioni adatte
alla circostanza. Geltrude prese parte divotamente a tali suppliche.
Allora il Signore le apparve pieno di grazia e di bellezza. Ad ogni
versetto, recitato dalle Monache, prostrate per domandare pietà, Egli
si avvicinava a Geltrude per invitarla a baciare la Piaga sacratissima
dei Costato. Ella lo baciò un gran numero di volte e Nostro Signore le
fece capire che quell'omaggio gli tornava assai gradito.
«Mio amatissimo Gesù - gli disse - poiché questa divozione ti è così
cara, ti supplico d'insegnarmi una preghierina in questa senso, e tale
che Tu possa gradirla con la stessa bontà da parte di tutti coloro che
la reciteranno». L'ispirazione divina le fece capire che Gesù
gradirebbe assai la breve supplica seguente, e che tale omaggio sarebbe
a lui molto più caro di lunghe preghiere, purchè gli fosse offerto per
mezzo del suo dolcissimo Cuore, organo sublime della SS. Trinità.
1. Jesu, Salvator mundi, exaudi nos, cui nihil est impossibile, nasi
tantummodo non posse, misexis misereri.
2. Qui per Crucem tuam mundum redimisti, Christe, nudi nos.
3. Ave, Jesu, Spense floride, cum delectamento divinitatis tuae, ex
affetto totius universitatis salutans amplector Te, et sic in vulnus
amoits deosculor Te.
1. Gesù, Salvatore del mondo, esaudiscimi Tu, a cui nulla è
impossibile, fuori che non avere compassione dei miserabili.
2. Tu che, con la Tua Croce hai riscattato il mondo, o Cristo,
ascoltami.
3. Ti saluto, o Gesù, mio amabile Sposo, nel gaudio ineffabile della
Tua divinità, ti abbraccio con l'affetto di tutto l'universo, e
parimenti ti bacio nella Piaga amorosa del Tuo Costato.
In altra occasione, mentre si ripeteva lo stesso Salmo, il Signore Gesù
apparve a Geltrude in forma di Crocifisso, lasciando sfuggire dalle sue
Piaghe fiamme ardenti che salivano verso il Padre, propiziandone la
misericordia a vantaggio del Monastero. Questa visione era la conferma
delle predilezioni di Gesù per quella diletta Comunità.
CAPITOLO L. - DELIZIE DI GESU' NEL CUORE DI GELTRUDE
Un giorno, mentre stava apparecchiandosi alla S. Comunione, Geltrude fu
presa da un malore che le tolse ogni forza, gettandola in un'estrema
prostrandone. Nel timore che la sua divozione ne subisse detrimento
disse a Gesù: «O dolcezza dell'anima mia! Ben so che sono indegna di
riceverti, e mi asterrei oggi dalla SS. Comunione, se potessi trovare
in qualche altra creatura, ristoro e consolazione. Ma dall'Oriente
all'Occidente, da Settentrione a Mezzogiorno, non c'è proprio nulla
che, all'infuori di Te, possa dare gioia e refrigerio all'anima mia e
al mio corpo. Eccomi dunque piena di amore ed anelante per l'ardente
desiderio, correre a Colui che è la sorgente di vita! ». Il Signore
accettò quella tenera effusione con la solita bontà, e si degnò di
rispondere: « Poichè
affermi di non trovare piacere in alcuna creatura fuori di me, così io
giuro" per la mia divina virtù, che non voglio prendere piacere in
alcuna creatura senza di te ». Mentre raccoglieva questa
parola così piena di accondiscendente bontà, Geltrude pensava in cuor
suo che forse tale benigna disposizione avrebbe potuto cambiare, ma
Gesù, entrando nel suo pensiero, le disse « Per me, volere e potere
sono un'unica cosa, perciò non posso che ciò che voglio ». Rispose
ella: « O amabilissimo Gesù, quali delizie puoi provare in me, che sono
il rifiuto di tutte le creature? ». E il Salvatore: « L'occhio della mia Divinità
prova estrema dolcezza a mirare colei che ha creata così gradevole al
Cuor mio e che ho ricolma di tante grazie. Il mio orecchio è deliziato
come da soave musica, ascoltando le parole dolcissime che escono dalla
tua bocca, sia che tu preghi con amore per i peccatori, o per le anime
purganti, sia che tu riprenda, o istruisca gli altri, sia che corregga
alcuno, a mia lode, anche con una sola parola. Quand'anche tali tuoi
accenti non avessero per gli uomini alcuna utilità, pure, a motivo del
tuo buon volere e della retta intenzione, essi producono al mio
orecchio suoni deliziosi che commuovono le intime profondità del Cuor
mio. La speranza con la quale tu aspiri senza posa verso di me, esala
un profumo squisito che gusto con gioia. I tuoi gemiti e i tuoi
desideri sono più accetti al mio palato di cibi prelibati. Nel tuo
amore infine trovo i gaudi dei tuoi soavi amplessi ».
Geltrude un giorno sentì un'ardente brama di riacquistare la salute,
per poter seguire con fervore e puntualità la Regola del suo Ordine. Il
Signore le rispose con bontà: « Perché
mai la mia Sposa vorrebbe spiacermi, contrariando i miei voleri? ».
Rispose ella: « Potrebbe mai contrariarti una preghiera che è ispirata
solo dal desiderio della tua gloria? ». « Le tue osservazioni a questo
riguardo - rispose il Salvatore - le considero benignamente, quali
semplici fanciullaggini, ma se tu v'insistessi, io non lo vedrei di
buon occhio ». Queste parole fecero capire alla Santa che se è bene
desiderare la sanità unicamente per servire meglio Iddio, è però molto
più perfetto abbandonarsi interamente alla sua Volontà, persuasi che
Dio dispone tutto a nostro vantaggio, sia che ci consoli, sia che ci
provi con le tribolazioni. »
CAPITOLO LI. - I BATTITI DEL CUORE DI GESU'
Un giorno Geltrude vedeva le Consorelle affrettarsi ad andare in Chiesa
per assistere alla predica, mentre essa era ritenuta in cella
dall'infermità: « Ah! mio carissimo Signore - dissella gemendo - quanto
volentieri andrei alla predica se non fossi ammalata! ». « Vuoi tu, mia diletta, che ti
predichi Io stesso? ».
« Assai volentieri » riprese Geltrude. Allora il Signore attrasse la
Santa in modo tale, che il suo cuore riposava sui divin Costato. Dopo
un momento di ineffabile riposo, ella poté discernere due palpiti
dolcissimi ed ammirabili. Le disse Gesù: « Ciascuno di questi palpiti
procura la salvezza degli uomini in diverse maniere: il primo quella
dei peccatori, il secondo la santificazione dei giusti.
«Col primo palpito
d'amore invoco continuamente Dio Padre, lo placo e propizio la sua
divina misericordia. Con questo stesso palpito parlo a tutti i Santi,
scusando presso di loro i peccatori, con l'indulgenza e lo zelo di un
buon fratello, invitandoli ad intercedere per essi. Questo medesimo
palpito è il richiamo incessante che dirigo misericordiosamente
all'anima colpevole, con un indicibile desiderio di vederla tornare a
me, che non mi stanco di aspettarla, « Col secondo palpito ripeto
continuamente al padre quanto io sia felice d'avere dato il mio Sangue.
per redimere tanti giusti, nel cuore dei quali godo delizie ineffabili.
Invito poi la Corte celeste ad ammirare con me la vita di queste anime
perfette, a ringraziare Dio per tutti i beni loro accordati e che loro
sto preparando. Infine questo palpito del mio Cuore è il trattenimento
abituale e familiare che tengo coi giusti, sia per attestare loro
deliziosamente il mio amore, sia per riprenderli delle loro
imperfezioni e farli, di giorno in giorno, di ora in ora, progredirei
sempre.
Come nessuna occupazione
esterna, nessuna distrazione della vista, o dell'udito, interrompono i
battiti del cuore dell'uomo, così il governo provvidenziale
dell'universo non potrebbe mai arrestare, interrompere, rallentare,
nemmeno per un istante, fino alla fine dei secoli, questi dolci battiti
del mio divin Cuore ».
CAPITOLO LII. - COME OFFRIRE L'INSONNIA AL SIGNORE
Qualche tempo dopo Geltrude passò una notte quasi interamente insonne,
rimanendone stanca, e svigorita. Come d'abitudine offrì a Gesù la sua
pena in eterna lode, per la salvezza misericordiosa del mondo intero.
Il Signore, compatendo con bontà alla sua sofferenza, le insegnò
d'invocarlo, in casi consimili, con questa preghiera: « O Gesù, per la
tranquillissima dolcezza con la quale hai riposato da tutta l'eternità
nel seno del Padre, per il gradito tuo soggiorno di nove mesi nel seno
della Vergine, per le gioie che hai gustate nel cuore di anime
particolarmente amate, ti prego, o Dio misericordioso, di degnarti, non
per mia soddisfazione, ma per la tua eterna gloria, di accordarmi un
po' di riposo, affinchè le mie membra affaticate possano rinvigorirsi ».
Mentre pronunciava questa preghiera, Geltrude vedeva le parole
trasformarsi in gradini per aiutarla ad elevarsi fino a Dio. Il Signore
le mostrò allora, preparato alla sua destra, un magnifico seggio,
dicendole: « Vieni, o mia eletta, reclinati sul mio Cuore e vedi se
l'amor mio, sempre vigilante, ti permetta di gustare un po' di riposo».
Quand'ella si fu alquanto ristorata sul Cuore del Signore,
raccogliendone i palpiti dolcissimi, disse: « O amor mio, che
significano questi tuoi palpiti? ». « Significano - rispose - che
quando una persona si trova sfinita e priva di forze per l'insonnia,
può rivolgermi tale preghiera per rinvigorirsi e cantare le mie lodi.
Se poi non l'esaudisco, ed essa sopporta la sua debolezza con umile
pazienza, allora sarà accolta dalla mia divina Bontà con gioia tutta
speciale. Un amico non è forse riconoscente se vede l'amico suo più
intimo, levarsi subito al suo richiamo, quantunque sia assonnato ed
imporsi quel sacrificio per avere la consolazione d'intrattenersi con
lui? Tale atto di cortese compiacenza gli è più gradito che se un altro
amico, che passa solitamente le notti insonni, si levasse volentieri,
ma più per abitudine che per amore. Così colui che mi offre
pazientemente la sua infermità, quantunque la malattia e le veglie
abbiano esaurito le sue forze, mi è assai più cara di colui che, avendo
buona salute, passa l'intera notte in orazione, senza risentire disagio».
CAPITOLO LIII. - AMOROSO ABBANDONO ALLA DIVINA VOLONTA'
Nelle frequenti malattie Geltrude subiva forti traspirazioni con rialzi
improvvisi di febbre.
Una notte, sofferente più del consueto, si crucciava per indovinare se
il male si sarebbe aggravato o meno.
Le apparve Gesù con l'amabile grazia di un fiore appena sbocciato;
nelle palme aperte e stese verso di lei, aveva la malattia e la salute:
questa nella destra, quella nella sinistra.
Voleva ch'ella scegliesse. A quest'atto così soave, Geltrude, come di
scatto, scostò da sè le due Mani del Salvatore e, reclinando con
infantile abbandono il capo sul suo Cuore dolcissimo, nel quale sapeva
risiedere la pienezza d'ogni bene: «Signore, - esclamò - io distolgo lo
sguardo da Te, per dimostrarti come sinceramente desidero che Tu non
tenga conto della mia volontà, ma in tutto quello che mi riguarda Tu
abbia a compiere sempre e unicamente il tuo Volere».
Qual tratto sublime! Ella ci insegna che l'anima fedele deve confidare
nella divina Provvidenza a tal punto, che le torni dolce d'ignorare i
disegni di Dio a suo riguardo, per compiere più perfettamente il suo
beneplacito. Gesù fece allora scaturire dal suo Cuore due getti di
acqua, che sembravano traboccare come da una coppa troppo piena, per
riversarli nell'anima di Geltrude « Poichè
rinunci alla tua volontà - le disse - per abbandonarti interamente alla
mia, e ti sottrai perfino al mio sguardo per compierla con maggiore
perfezione, sappi che io trasfondo in te tutta la dolcezza e la gioia
del mio Cuore divino ».
Rispose la santa: « O amorosissimo Salvatore, Tu mi hai dato così
spesso il tuo sacratissimo Cuore che vorrei sapere quale altro frutto
potrò ritrarre da questa tuo nuovo dono, che mi viene così
generosamente offerto ». Egli rispose: « La fede cattolica non insegna
forse che chi si comunica una sola volta mi riceve per vantaggio della
sua salvezza eterna, e accoglie pure tutti i beni racchiusi nei tesori
della mia Divinità, e della mia Umanità? Pure più il cristiano si
comunica spesso, e maggiormente arricchisce di gloria il grado che gli
è riservato ».
CAPITOLO LIV. - DILETTO DELL'ANIMA IN DIO
Molti pensavano che la continua applicazione di Geltrude all'orazione,
fosse la causa del suo stato di languore, o almeno ne impedisse la
perfetta guarigione. Fu perciò consigliata d'interrompere i
trattenimenti prolungati con Dio, ed ella vi si prestò docilmente,
abituata com'era a tener in gran conto l'opinione altrui che preferiva
sempre alla sua.
Invece adunque d'attendere alla contemplazione, ella cercava lo svago
nel decorare in varie maniere le immagini del Crocifisso, per mantenere
sempre vivo in cuore il ricordo dell'unico suo Amico.
Una notte, non potendo dormire, andava architettando nella mente il
disegno d'un sepolcro sontuoso, ornato di dipinti, dove potesse,
durante la prossima settimana Santa, esporre agli sguardi, Gesù
sepolto. Il Dio di bontà, che si delizia nell'osservare e nel notare
anche le minime azioni di coloro che lo amano, si chinò verso Geltrude
e le disse: « Delectare in Domino, charissima et dabit tibi petitiones
cordis tui ». « Rallegrati nel Signore, mia diletta, ed Egli esaudirà
le suppliche del cuor tuo». (Sal. XXXVI, 4).
Con tali parole le fece capire che, quando un'anima trova le sue
delizie in Dio, sia facendo lietamente le opere di dovere, sia cercando
un po' di contento sensibile nelle cose che lo riguardano, Egli prova
delizie ineffabili come un padre di famiglia gode della gioia dei
figli, ascoltando le canzoni di un menestrello che rallegra i
convitati. E' proprio questa la « domanda del cuore » esaudita in
favore dell'anima che, avendo Dio di mira., si diverte innocentemente
nelle cose esteriori. L'uomo si sente appagato, perché desidera
naturalmente che Dio trovi in lui le sue delizie.
Geltrude chiese poi a Gesù: « Qual gloria puoi ritrarre, dolcissimo
Signore, da una gioia che è più dei sensi che non dello spirito? », Le
rispose Gesù: « Un
usuraio avaro non approfitta forse di ogni minima occasione per
aumentare il proprio capitale? Ebbene, io ho stabilito di porre in te
la mia delizia; vigilo, con delicata premura, affinchè nulla si perda
di quanto mi offri per rallegrarmi, nulla, neppure la sfumatura d'un
pensiero, neppure il lieve movimento del tuo dito mignolo. Tutto, tutto
farò servire per la mia gloria e per la tua eterna salute
».
Riprese la Santa: « Se queste piccole cose ti fanno tanto piacere, di
qual valore non sarà al tuo divino sguardo quel piccolo carme che ho
composto da poco e nel quale ho descritto le scene della Passione,
celebrando il tuo amore con parole tolte dagli scritti dei Santi? ».
E Gesù: « Gustai la
gioia piena e perfetta di un amico che, a braccio di un suo vero amico,
passeggiasse in un delizioso giardino per respirarne l'aria piena di
olezzi, per ricrearsi fra il variopinto sorriso dei fiori e il canto
degli uccelli, per godere il rinfresco di squisiti frutti. Tì renderò
gioia per gioia, piacere per piacere, consolazione per consolazione, e
per di più queste stesse cose io farò anche con quelli che leggeranno
il tuo carme, con lo stesso. cuore con cui l'hai composto
».
CAPITOLO LV. - PROVE D'AMORE
Geltrude si era riavuta da diverse malattie; dopo la settima recidiva,
una notte si occupava del Signore, il Quale si degnò chinarsi sul suo
giaciglio e dirle con tenerezza infinita: « O figlia mia, fammi annunciare il
dolce messaggio che langui d'amore per me». «Mio diletto -
rispose la Santa - come oserei dire io, indegnissima, che languo
d'amore per Te?» Ed il Signore «Ricordati
che colui che si offre volentieri a soffrire per amor mio, può
glorificarsi e proclamare che langue d'amore per me, purchè durante la
prova si mantenga paziente e diriga verso di me lo sguardo dell'anima
sua».
Ella aggiunse: « Amatissimo Signore, quale gloria ti procurerebbe tale
messaggio? » Egli rispose: « Questo
messaggio fa le delizie della mia Divinità e onora la mia Umanità; è
una gioia per il mio sguardo, una lode gradita per il mio orecchio
». E aggiunse: « Colui
che mi recherà questo messaggio riceverà consolazioni grandi, e la
tenerezza commossa del mio Cuore mi porterà a guarire coloro che
desiderano la grazia del perdono; a predicare agli schiavi, cioè ad
annunciare la misericordia ai peccatori; infine a liberare i
prigionieri, cioè le anime del purgatorio».
« O Padre delle misericordie - aggiunse ella ancora - ti degnerai, dopo
questa crisi, di rendermi la salute? » « La mia patema provvidenza, -
rispose Gesù - te lo
lascia ignorare. Se ti avessi annunciato fin da principio che dovevi
subire sette malattie di seguito, la tua pazienza non avrebbe potuto
sopportare il peso; se poi ti dicessi ora che questa malattia è
l'ultima, o che presto sarà finita, questa assicurazione diminuirebbe
molto il merito de' tuoi petimenti. Perciò la mia provvidenza paterna,
congiunta alla mia infinita sapienza, ti hanno lasciato ignorare luna e
l'altra cosa per il tuo maggior bene, e per obbligarti a rivolgerti a
me con tutto il cuore. Lasciami disporre tutto a mio piacimento; veglio
su di te con fedeltà, conosco la debolezza della tua virtù; misurerò la
prova a seconda delle tue forze. In grazia di queste industrie del mio
amore, dopo la settima malattia, la tua volontà è più ferma che non lo
fosse dopo la prima. Così la mia divina onnipotenza compie ciò che
sembrerebbe impossibile all'umana ragione ».
CAPITOLO LVI. - SANTA INDIFFERENZA DI GELTRUDE
Una notte, mentre Geltrude prodigava al Signore le sue tenerezze, Gli
chiese: « Come mai da molto: tempo i miei malori più non mi preoccupano
e mi riesce indifferente di guarire, o di restarmene inferma, di vivere
o di morire? ». Rispose Gesù: « Quando
lo sposo conduce in un giardino la sposa per cogliervi delle rose ed
intrecciarne una ghirlanda, la sposa, rapita dalla conversazione dello
sposo, non pensa neppure di chiedergli quali rose preferisce. Giunti
poi che siano nel giardino, ella prende indistintamente e con gioia,
dalla mano del suo diletto, le rose che egli le presenta per comporne
un vago serto. Tale è la condotta dell'anima fedele che si è
abbandonata al mio beneplacito. La mia volontà è per lei un giardino
ricco di rose; col medesimo sembiante ella accoglie, la malattia, o la
morte, perché ha piena confidenza nella mia paterna bontà ».
CAPITOLO LVII. - ODIO DEL DEMONIO A PROPOSITO DI UN GRAPPOLO
D'UVA
L'esercizio di tante meditazioni e le delizie che le causava la
frequente visita di Gesù, avevano fatto perdere a Geltrude il sonno,
riducendola a uno stato di debolezza estrema. Accasciata e stanca,
sentendosi venir meno, ella mangiò, durante la notte, un grappolo d'uva
con l'intenzione di ristorare Gesù Cristo stesso. Egli accettò tale
offerta con riconoscenza e le disse: «In questo momento attingo al tuo
cuore una deliziosa bevanda, la quale compensa con la sua dolcezza,
l'amarezza del fiele e dell'aceto che, per amor tuo, lasciai appressare
alle mie labbra sul Calvario. Più tu, prendendo qualche ristoro utile
al tuo corpo, considererai puramente la mia gloria, più dolce sarà la
refezioni che gusterò nell'anima tua».
Avendo Geltrude gettato sul pavimento della cella i resti dell'uva,
vide il demonio intento a raccoglierli, come per accusarla e
convincerla davanti al tribunale di Dio, di avere, contro la Regola,
mangiato prima di Mattutino. Ma tosto che ebbe egli toccato quegli
avanzi, si scottò le dita tanto che, emettendo grida orribili, prese la
fuga. Geltrude si accorse che nel correre via a precipizio, il demonio
si guardava bene dal toccare coi piedi le bucce roventi, il cui
contatto gli causava un supplizio intollerabile.
CAPITOLO LVIII. - A COSA POSSONO SERVIRE I NOSTRI DIFETTI
Geltrude, scrutando durante una notte insonne l'anima sua, si
rimproverava amaramente come di una colpa, dell'abitudine da essa
contratta di dire, senza riflettere e senza necessità « Deus scii! -
Dio lo sa! ». Ella scongiurò il Signore dì perdonarle il passato e di
accordarle in avvenire la grazia di non pronunciare invano l'adorabile
suo Nome.
Il Signore le disse con tenerezza: « E che! Perchè vuoi privare me
della gioia che sento e te della ricompensa che meriti, quando,
ricadendo in questo fallo, ti umilii e proponi di non commetterlo più?
Un re non è forse sodisfatto, quando vede uno dei suoi soldati
impegnato a lottare eroicamente contro i suoi nemici? Tale è la mia
soddisfazione e tu d'altronde aumenti il tesoro dei tuoi meriti,
rendendo più bella la tua corona eterna »,
Gesù la fece allora riposare dolcemente sul suo petto, dandole un
sentimento profondo della sua indegnità: « Ecco, o mio Signore » gli
disse « che ti offro il mio miserabile cuore, perché tu vi prenda le
tue delizie, secondo l'amabile tuo volere ». « Provo più gioia a ricevere il
debole cuor tuo, - rispose il Signore, - offerto con tanto amore, che
se ricevessi un cuore pieno di energia e di fortezza; così appunto
avviene quando, sulla tavola imbandita di un grande signore, si serve
non un animale domestico, ma selvaggina a lungo inseguita dal
cacciatore, perchè le sue carni sono più tenere e hanno gusto più
delicato ».
CAPITOLO LIX. - DISCREZIONE DI GESU' NEL DOMANDARE SOLO
QUELLO CHE E' PROPORZIONATO ALLE NOSTRE FORZE
Le infermità impedivano a Geltrude di cantare in coro. Ella vi si
portava tuttavia e prestava orecchio alla salmodia delle Consorelle,
per spendere le sue poche forze al servizio di Dio. Non era però senza
fatica che vi applicava lo spirito, e tale impotenza era per lei
oggetto di tristezza e di scoraggiamento. Spesso se ne doleva con Gesù,
dicendo: « O mio amabilissimo Maestro, quale vita inutile è mai la mia!
Quale onore posso renderti mentre me ne sto qui seduta, negligente ed
inutile, afferrando solo a stento il suono di qualche parola? ». Gesù
faceva sembianza di non udirla, ma alfine un giorno rispose: « E tu non saresti riconoscente ad
un amico che venisse talvolta a offrirti una dolce e corroborante
bevanda da te bramata? Sappi bene: le poche parole che tu proferisci,
canti, o mediti mi sono ancora più gradite e consolanti ».
Al S. Vangelo della Messa, ella durava fatica ad alzarsi, tanto era la
stanchezza che l'abbatteva; ma poi si rimproverava quell'esitazione
come una viltà. A che - pensava ella - risparmiarmi così, mentre non ho
più speranza di ricuperare la salute? Un giorno tuttavia ella interrogò
il Signore per sapere quello che tornava alla sua maggiore gloria, e ne
ricevette questa risposta: « Quando per mio amore fai cosa che supera
le tue forze, te ne sono riconoscente come se il tuo sacrificio fosso
indispensabile al mio cuore. Quando, al contrario, con retta
intenzione, risparmi le forze e curi il corpo, te ne sono grato come se
tu donassi un necessario sollievo alle mie membra inferme: tanto
nell'uno come nell'altro caso, ti ricompenserò secondo l'ampiezza della
mia divina magnificenza ».
CAPITOLO LX. - RINNOVAZIONE MISTICA DEI SACRAMENTI
Un giorno, esaminando accuratamente la coscienza, Geltrude trovò una
colpa che avrebbe voluto confessare: ma non avendo opportunità di
ricevere quel Sacramento, si rifugiò, com'era solita, presso l'unico
Consolatore dell'anima sua e Gli confidò la sua pena.
Le rispose Gesù: « Perchè
turbarti, o mia diletta? Ogni volta che tu lo desidererai, Io, che sono
il sommo Sacerdote ed il vero Pontefice, mi metterò a tua disposizione
per rinnovare in te la grazia dei sette Sacramenti: lo farò con un
semplice atto della mia volontà, e con maggior efficacia degli altri
Sacerdoti, che li amministrano uno dopo l'altro. Ti battezzerò nelle
onda del mio Sangue prezioso; ti cresimerò con la potenza della mia
vittoria; ti sposerò nella fede del mio amore; ti consacrerò nella
perfezione della mia santissima vita; scioglierò i lacci delle tue
colpe, con la bontà della mia misericordia; nell'eccessiva mia carità
ti nutrirò di me stesso, cibandomi, a mia volta, delle delizie che il
tuo amore. mi procura. Infine nella soavità del mio spirito, ti
penetrerò interiormente di un'unzione così efficace, da imbeverne i
tuoi sensi e le tue opere: saraì così sempre più santa e meglio adatta
a ricevere le pure delizie dell'eterna vita ».
CAPITOLO LXI. - MERITO DI UN'ACCONDISCENDENZA CARITATEVOLE
Geltrude malgrado le sue sofferenze, erasi alzata per recitare il
Mattutino e già ne aveva terminato un notturno, quando una sorella
ammalata giunse anch'essa presso di lei. L'amabile Santa si offerse di
ricominciare il Mattutino e lo fece con maggior divozione.
Durante la S. Messa, che venne in seguito celebrata, mentre era intenta
a lodare il Signore, vide l'anima sua adorna di splendidi diamanti che
avevano fulgori meravigliosi. Era stato Gesù a ricompensarla della
carità verso la Consorella inferma; la tunica aveva tante gemme quante
parole contava il Notturno, da essa ripetuto per compiacenza.
La vista di quel magnifico ornamento, ravvivò in Geltrude il sentimento
della sua indegnità. Ella si ricordò di varie mancanze che non aveva
potuto scoprire al confessore, (allora lungi dal Monastero),
affliggendosi di non poterle accusare prima di comunicarsi. Le confidò
allora a Nostro Signore, il quale le rispose : « Perchè ti occupi di queste
negligenze, mentre ti vedi avvolta nel ricco paludamento della carità?
Non sai tu che questa virtù cancella la moltitudine dei peccati?
(I Pietro IV, 8). Riprese ella: « Come posso essere confortata pensando
che la carità dissimula le mie colpe, poichè so che di esse la mia
anima è tuttora offuscata? ». Ma il Signore affermò: « Sappi, o figlia, che la carità
non solo copre i peccati, ma li distrugge e li annienta; come il sole
penetra il cristallo, così essa fa risplendere l'anima e l'arricchisce
di nuovi tesori ».
CAPITOLO LXII. - ZELO PER L'OSSERVANZA DELLA REGOLA.
Geltrude si accorse un giorno che una Consorella trascurava alcune
osservanze della Regola; ne ebbe pena e temette di offendere Dio se non
avesse corretto la compagna di quelle colpe, di cui era stata
testimonio. D'altra parte, per un senso di umana fragilità, temeva il
giudizio di Consorelle meno severe, che l'avrebbero giudicata troppo
esigente, trattandosi di osservanze minime.
Ella allora offerse, come faceva di solito, alla maggior gloria di Dio,
la pena che avrebbe provato a causa di quella probabile contraddizione.
Gesù ne fu lieto e le disse: « Ogni volta che tu, per mio amore,
incorrerai in rimproveri e dispiaceri, io ti fortificherò, ti sosterrò,
ti circonderò da ogni parte, così come una città validamente difesa da
mura e fossati, affinchè nessuna occupazione possa mai distoglierti, o
allontanarti da me. Aggiungerò poi a' tuoi meriti quelli che la tua
Consorella avrebbe acquistati se si fosse sottomessa umilmente e per
mia gloria alle tue correzioni».
CAPITOLO LXIII. - FEDELTA' DEL SIGNORE VERSO LE ANIME
E' un fatto innegabile che generalmente siamo più sensibili alle
ingiurie di un amico, che a quelle di un nemico, secondo il detto dei
salmi: « Se un nemico mi maledicesse, lo avrei sopportato, ecc. Quoniam
si inimicus mens maledixisset mihi, sustinuissem utique, etc. » (Sal.
LIV, 13). Geltrude si era turbata vedendo che una persona, per la
salvezza della quale si era spesa con tanto zelo, non corrispondeva
alle sue sollecitudini, anzi pareva che si studiasse di mostrarle astio
e disprezzo.
Il Signore, al quale ella aveva confidato il suo cruccio, la consolò
dicendole: « Non rattristarti, figlia mia, io ho permesso questa cosa
per la tua santificazione. Trovo grandi delizie a conversare teco, e
così ho voluto godere più a lungo di questa gioia. La madre di un
fanciulletto teneramente amato, lo vuole sempre a sè vicino, e quando
lo vede allontanarsi per andare a divertirsi co' suoi compagni, pone
nelle vicinanze qualche spauracchio per incutergli timore. E questi
impaurito, corre tosto a rifugiarsi nel suo grembo. Io, che sempre ti
desidero a me vicino, permetto che le creature ti rechino pena;
constatando la loro infedeltà corri allora con maggior ardore verso di
me, sicura di trovare nel mio Cuore fedeltà perfetta».
Il Signore la raccolse allora, come una pargoletta, nelle sue braccia e
divinamente accarezzandola, le sussurrò all'orecchio queste parole: «
Una tenera madre sa bene addoicire co' suoi baci, ì crucci del suo
bambino; così io voglio calmare le tue pene ed i tuoi dolori con soavi
parole d'amore ». Dopo d'averle fatto gustare sul suo Costato le
infinite dolcezze delle divine consolazioni, Gesù le presentò il suo
Cuore, dicendole: «
Considera, o mia diletta figlia, le profondità del mio Cuore; guarda
con quanta diligenza vi ho deposto tutte le azioni che hai compiuto per
piacermi, e considera a quale punto le ho arricchite, per il maggior
profitto dell'anima tua. Dimmi se puoi rimproverarmi di averti mancato
di fedeltà, anche con una sola parola ». Dopo ciò ella
vide il Signore intesserle una corona di fiori dorati, di splendore
ineffabile, premio della pena testé sofferta.
Geltrude, ricordandosi allora di alcune persone, oppresse da gravi
dolori, disse a Gesù: « O Padre misericordioso, chissà quale premio e
quale magnifico ornamento preparerai a quelle anime che soffrono
immensamente più di me, senza essere ristorate da quelle consolazioni
che Tu prodighi all'indegnissimo cuor mio! Eppure neanche con tale
soccorso, so soffrire pazientemente le varie contrarietà che m'accadono
in giornata! ». Le rispose l'amabile Maestro: « In questa, come in ogni altra
circostanza, ti mostro la tenerezza della mia predilezione. Una madre,
nell'immenso amor suo, vorrebbe pure rivestire il suo bambino di stoffe
d'oro e d'argento; ma, considerando che non potrebbe sopportarne il
peso, gli prepara una guarnizione di vaghi fiori che danno risalto alla
sua infantile leggiadria, senza opprimerlo soverchiamente. Così io,
addolcendo le tue pene perchè non abbia a soccombere, non ti privo del
merito della pazienza ».
Queste parole mostrarono a Geltrude la grandezza della divina bontà.
Ella ne fu profondamente commossa e cercò di mostrare la sua
riconoscenza con fervide lodi. Man mano che ringraziava Gesù delle
sofferenze che le aveva inviate, si accorse che i vaghi fiori della sua
corona si trasformavano in oro massiccio. Il Signore infatti le fece
capire che il ringraziamento per le pene, anche leggere, che l'amore
suo ci manda, supplisce a quello che manca in peso a tali sofferenze,
dando loro un valore tutto speciale, così come un vaso di puro oro
sorpassa in valore un vaso d'argento, semplicemente dorato all'esterno.
CAPITOLO LXIV. - FRUTTO DELLA BUONA VOLONTA'
Gli ambasciatori di un grande signore erano venuti domandare qualche
Religiosa della Comunità, per fondare un nuovo Monastero. Geltrude, di
nulla più desiderosa che di compiere il beneplacito divino, quantunque
si sentisse mancare le forze, andò a prostarsi davanti al Crocifisso,
offrendosi pronta per quella fondazione, con l'ardente desiderio di
sacrificarsi per la sua gloria. Il Signore, commosso a quell'atto
grande, staccò la Mano dalla Croce per abbracciare teneramente la sua
Sposa. Egli provò la gioia vivissima di un malato che, sul punto di
soccombere, si vedesse offrire un rimedio sicuro per riacquistare la
salute.
Stringendola amorosamente al suo Cuore le disse: « Sii la benvenuta, mia cara Sposa!
Benvenuta te che sei il balsamo consolatore delle mie Piaghe e il dolce
conforto di tutti i miei dolori! ». Geltrude, come rapita
in cielo, comprese che quando si offre tutta la propria volontà al
santo beneplacito divino, pure prevedendo probabili e dure avversità,
tale offerta Gesù la gradisce come se nei giorni della sua Passione, si
fosse versato un balsamo di refrigerio sulle sue ferite atroci.
In seguito, pur facendo orazione, ella andava meditando il modo di
promuovere e di mantenere l'osservanza regolare, qualora avesse potuto
prendere parte a quella fondazione. Ben presto però, rientrando in se
stessa, si rimproverò di sciupare inutilmente il tempo, giacchè la sua
debole salute era così scossa da mostrarle ben vicina la tomba,
piuttosto che.incoraggíarla a speranze di apostolato. In ogni caso se
per grazia speciale, avesse potuto unirsi al gruppo partente; non le
sarebbe mancato il tempo, in seguito, di fare i preparativi del caso.
Il Signore Gesù le apparve allora in mezzo alla sua anima, raggiante di
gloria e adorno di rosee di gigli: « Guarda - le disse - come sono
glorificato dalle disposizioni della tua buona volontà. Essa mi pone in
mezza a fulgide stelle, a candelabri d'oro, com'è scritto
nell'Apocalisse, quando S. Giovanni vide l'immagine dei Figliuolo
dell'uomo circondata da aurei candelabri, e tenendo in mano sette
stelle. Gli altri pensieri che ti sono venuti in seguito, mi procurano
piacere e gaudi simili a quelli che proverei in mezzo a rose ed a
freschissimi gigli ».
Geltrude aggiunse: « O Dio del mio amore, perchè mai mi riempi lo
spirito di volontà così diverse che rimarranno sempre senza effetto?
Qualche giorno fa mi hai fatto desiderare l'Estrema Unzione e la morte.
ma mentre mi stavo preparando, mi hai ricolmata di gioia e di
consolazione. Adesso, invece, dirigi le mie brame verso una nuova
fondazione, benchè non abbia neppure le forze sufficienti per compire
qui i miei doveri ».
Il Signore le rispose: « Già
te lo dissi al principio di questo libro: Ti ho prescelta per servire
di luce nelle nazioni, cioè per illuminare un grande numero di anime:
tutti devono trovare in questo libro quanto è necessario per la loro
istruzione e per il loro conforto. A volte gli amici godono di trattare
fra loro di alcune possibilità, che però non hanno nulla di concreto.
Spesso una persona cara propone ad anime dilette cose alquanto ardue,
per provare la loro fedeltà e gioisce alla testimonianza del loro buon
volere. Così io pure mi compiaccio di proporre a' miei eletti alcune
gravi difficoltà, che però non accadranno mai, per mettere alla prova
la loro generosità e il loro amore. Li ricompenso allora con meriti
innumerevoli che diversamente non avrebbero potuto acquistare
».
Gesù proseguì: « Qualche
tempo fa ti misi in cuore il presentimento della morte vicina; la tua
volontà si dispose ad accettarla. Tu volesti che si affrettassero a
darti l'Estrema Unzione e ti preparasti con diligenza a ricevere quel
Sacramento. Ma tu non dovevi morire; sappi che tutto ciò ché allora
facesti, io lo tenga in serbo nell'intima del mio Cuore, come un tesoro
che ti appartiene e che servirà per l'eterna tua beatitudine. Così si
dice nei libri santi: « Justus si morte prcaeoccupatus fuerit, in
refrigerio erit - Il giusto, quando anche fosse colpito da morte
improvvisa, troverà riposo » (Sap. IV, 7).
Se la morte un giorno dovesse sorprenderti senza lasciarti tempo, come
spesso avviene alle anime più sante, di ricevere gli ultimi Sacramenti,
la tua anima non perderà nulla e le tue antecedenti preparazioni ti
varranno la grazia di un transito sereno. Nulla nel mio Cuore
appassisce: esso è un suolo dove la zolla sempre verdeggia, dove fiori
e frutti si mantengono ognora freschi, nell'inalterabile primavera
della mia eternità ».
CAPITOLO LXV. - COME POSSONO SERVIRE LE PREGHIERE FATTE PER
IL PROSSIMO
Geltrude offerse un giorno a Dio, per una persona che l'aveva pregata,
tutto ciò che la divina bontà aveva operato gratuitamente nella sua
anima, perchè le servisse di vantaggio e di spirituale aiuto.
Ben tosto quella persona apparve in piedi davantt al Signore, assiso
sopra un trono di gloria: Egli teneva in mano un abito di meravigliosa
ricchezza e lo spiegava davanti a quell'anima, senza tuttavia
rivestirla di quel magnifico paludamento.
Geltrude, alquanto sorpresa, chiese al Signore: « Qualche giorno fa,
quando ti feci una preghiera consimile per una creatura bisognosa, ti
sei degnato d'inalzarla alle gioie più sublimi del Paradiso. Perchè mai
ora, o Dio di bontà, per i meriti delle grazie che mi hai accordate,
non rivesti quella persona con l'abito sontuoso che le vai mostrando, e
ch'ella desidera tanto ardentemente?».
Rispose il Signore: « Quando
mi si fanno in spirito di carità offerte per le anime purganti, io le
applico in soddisfazione delle loro colpe, per il refrigerio delle loro
pene e per l'aumento della loro beatitudine, secondo lo stato e il
merito di ciascuna. Ho compassione della povertà di tali anime e,
sapendo che non possono aiutarsi da sole, la mia bontà mi inchina
sempre verso la misericordia, la pietà, il perdono. Quando invece mi si
fanno simili offerte per i vivi, le custodisco per la loro salvezza
eterna, ma siccome possono loro stessi aumentare, con opere buone, i
loro meriti, pretendo che li guadagnino con sforzi personali e che non
si cullino nel desiderio di tutto ottenere per merito altrui. Perciò se
la persona per la quale tu preghi desidera adornarsi dei benefici che
ti ho conferito, deve applicarsi spiritualmente a tre cose: 1) con
sentimento d'umiltà e di riconoscenza, deve inchinarsi per ricevere
questo abito ricchissimo, cioè confessare d'aver bisogno dei meriti
altrui e ringraziarmi col cuore colmo di tenerezza, d'aver supplito
alla sua indigenza con l'altrui abbondanza. 2) Deve indossare questo
abito con la sicura speranza di ricevere, con questo mezzo, grandi
vantaggi per il bene dell'anima sua. 3) Infine deve rivestirsene,
esercitandosi nella pratica della carità e delle altre virtù. Chi vuol
partecipare ai beni del prossimo deve seguir queste norme per ritrarne
grande profitto ».
CAPITOLO LXVI. - PREGHIERA COMPOSTA DA GELTRUDE E APPROVATA
DA NOSTRO SIGNORE
In un certo periodo, avanti la Quaresima, Geltrude si era abituata a
ripetere queste parole, rivolte a Nostro Signore: « O eccellentissimo
Re dei re, illustrissimo Principe» ed altre simili. Una mattina, mentre
si trovava raccolta nell'oratorio, ella chiese al Signore: « O mio
amatissimo Gesù, che ne farai di queste espressioni che mi ritornano
così spesso alle mente e sulle labbra?». Egli le mostrò una collana
d'oro composta di quattro parti. Mentre stava riflettendo cosa
significassero, comprese per ispirazione divina, che la prima indicava
la Divinità di Gesù Cristo; la seconda, la Sua Santissima Anima; la
terza, l'anima fedele riscattata col suo preziosissimo Sangue; infine
la quarta, rappresentava il Corpo immacolato del Salvatore. Geltrude
notò che l'anima fedele si trovava fra l'Anima e il Corpo di Cristo,
per significare il vincolo d'amore indissolubile, col quale il Signore
a sè avrebbe unito la sua diletta Sposa. Ad un tratto la Santa fu
rapita in estasii e nel momento in cui la grazia inondava con dolce
violenza il suo cuore, disse questa ispirata preghiera: « O Vita
dell'anima mia! Che gli affetti del cuor mio, assorbiti dal fuoco del
tuo amore, mi uniscano intimamente a Te! Che il mio cuore rimanga privo
di vita, qualora amasse alcuna cosa senza di Te!
« Non sei Tu che dài ai colori la leggiadria, ai sapori delizia, agli
odori profumo, ai suoni armonia, alle più care affezioni le loro
attrattive e dolcezze? Sì, in Te si trovano i più deliziosi godimenti,
da Te zampillano le acque abbondanti della vita, verso di Te un incanto
irresistibile attrae, per Te l'anima è inondata di santi affetti,
poichè Tu sei l'abisso illimitato della Divinità!
« O degnissimo Re dei re, o Sovrano supremo, Principe di gloria,
Maestro dolcissimo, Protettore onnipotente, Tu sei la perla vivificante
della dignità umana, creatore delle meraviglie, consigliere di sapienza
infinita, aiuto generoso, Amico fedelissimo!
« Colui che si unisce a Te, gusta le più caste delizie, riceve le più
tenere carezze da Te che sei il più dolce degli Amici, il più tenero
dei cuori, il più affettuoso degli sposi, il più casto degli zelatori!
« I fiori di primavera non più sorridono se si paragonano a Te, fiore
raggiante dello splendore di Dio: o amabilissimo Fratello, o
adolescente pieno di grazia e di forza, o Compagno infinitamente caro,
ospite generoso, albergatore munifico che servi i tuoi amici come se
fossero tanti re; io rinuncio a tutte le creature per scegliere Te solo!
« Per te respingo ogni piacere, per Te supero ogni contrarietà e dopo
d'aver fatto tutto per Te, non voglio essere apprezzata da alcuno, ma
solo da Te.
« Riconosco, col cuore e con la bocca che sei l'autore e il
conservatore d'ogni bene. Struggendo il mio povero cuore nel fuoco che
infiamma il tuo Cuore divino, unisco i miei desideri e la mia divozione
alla forza irresistibile delle tue preghiere, affinchè per questa
intera, divina unione, io sia condotta alla vetta della più alta
perfezione dopo di avere estinto in me tutti i movimenti della natura
ribelle ». Geltrude vide che ciascuna di queste aspirazioni brillava
come perla incastonata in monile d'oro. La seguente domenica,
assistendo alla S. Messa, durante la quale doveva comuiiicarsi,
recitava con grande divozione questa preghiera, e le sembrava che
Nostro Signore ne provasse gioia immensa. Allora gli disse: « O
amantissimo Gesù, poichè questa supplica ti è tanto gradita, voglio
diffonderla, così molte persone potranno offrirtela a guisa di un aureo
gioiello». Il Salvatore rispose: « Nessuno può darmi ciò che è mio;
sappi però che se alcuno recita divotamente questa preghiera, otterrà
la grazia di conoscermi meglio e, per l'efficacia delle parole che
contiene, attirerà sopra di sè e riceverà nell'anima sua lo splendore
della Divinità, come colui che, girando verso il sole una piastra di
puro oro, vede riflettere in essa il fulgore dei raggi, di luce».
Geltrude provò subito l'efficacia di tale promessa, perchè, avendo
terminata la suddetta preghiera, vide l'anima sua investita dalla
divina luce e provò, come non mai, la dolcezza della conoscenza di Dio.
CAPITOLO LXVII. - COME IL SIGNORE PER MEZZO DI GELTRUDE
DIFFUSE SU TANTE ANIME IL TORRENTE DELLA DIVINA GRAZIA
Nostro Signore apparve un giorno a Geltrude e le chiese il cuore,
dicendo: « Figlia mia, dammi il tuo cuore ». Ella glielo diede con
gioia e le parve che Gesù l'applicasse al Cuor suo, trasformandolo in
un acquedotto che scendeva fino a terra, per spargere abbondantemente
sugli uomini i torrenti della bontà divina.
Il Signore aggiunse: « Sarà mia gioia servirmi del tuo cuore; esso sarà
il canale che, attingendo tesori alla sorgente riboccante del mio
Cuore, diffonderà i divini favori su tutti coloro che si disporranno a
riceverli, cioè che ricorreranno a te con fiducia ed umiltà.
CAPITOLO LXVIII. - COME SIA NECESSARIO UMILIARSI SOTTO LA
MANO DI DIO
Pregava un giorno Geltrude per alcuni miserabili che, dopo d'avere
ingiustamente lesi i diritti del Monastero, minacciavano di fare
maggior danno alla Comunità.
Il Signore, buono e misericordioso, le apparve con un braccio
dolorosamente ripiegato e contorto, di guisa che i nervi sembravano
dilacerati. Ora Egli disse alla sua Sposa: « Considera quali sofferenze mi
cagionerebbero coloro che venissero adesso a picchiare colpi replicati
su questo mio braccio indolenzito; eppure sono stato così trattato da
coloro che odo parlare, senza pietà, della gente che vi perseguita.
Dimenticano purtroppo, che quei miserabili perdono l'anima e che sono
le mie membra. Coloro invece che mossi da compassione, implorano la mia
clemenza, perché tolga misericordiosamente tali povere anime dai loro
disordini, e le guidi a miglior vita, applicano al mio braccio un
unguento dolcissimo. Quanto poi a coloro che, con avvisi, consigli,
ammonizioni li conducono caritatevolmente all'emenda e alla
conversione, sono altrettanti medici esperti che fasciano il mio
braccio malato e con mano delicata, rimettono a poco a poco i muscoli
nella loro posizione naturale».
Geltrude sorpresa per questo eccesso di begninità divina, aggiunse: «
Dolcissimo Gesù, come puoi chiamare tuo braccio siffatta gente tanto
indegna di quest'onore? ». Rispose il Signore: « Li chiamo così perchè sono membra
del corpo della Chiesa, della quale mi onoro di essere Capo ».
Ella rispose: «Ma non ne sono staccati dalla scomunica lanciata
solennemente contro di loro, a causa delle vessazioni esercitate contro
il nostro Monastero?». E Gesù: «
E' vero che sono scomunicati; ma possono ancora venire dalla Chiesa
prosciolti; io li considero a me congiunti con questo legame, e l'amore
che nutro per essi mi tiene in una inesprimibile angoscia. Non si può
dire a parole l'ardore con cui desidero la conversione di questi
infelici ».
Geltrude, avendo in seguito pregato il Signore di difendere il
Monastero dai loro assalti e di prenderlo sotto la sua divina
protezione, ricevette questa risposta: « Lo farò se voi, nell'umiltà
del cuore, riconoscerete dì meritare questo castigo per le vostre
negligenze nel mio servizio; ma se per orgoglio, v'irriterete contro
questi infelici, allora lascerò giustamente che prevalgano contro di
voi e vi molestino ancora ».
CAPITOLO LXIX. - COME IL LAVORO PUO' ESSERE SORGENTE DI MERITO
Il Monastero era gravato da un debito ingente e Geltrude pregava
insistentemente il Signore affinchè, nella sua divina bontà, desse ai
procuratori il modo di pagarlo. Rispose Gesù, con tenerezza: « Cosa mi darete in ricambio di
questa grazia?».
E Geltrude pronta: « Se ci fai tale immenso favore noi potremo servirti
con minore inquietudine e con maggiore divozione ». Ma il Signore
replicò: « A me non
interessa che mi serviate così giacchè non ho affatto bisogno dei
vostri beni, e mi è indifferente vedervi applicate agli esercizi
spirituali, oppure ai lavori esterni; è l'intenzione che dà la misura
del merito. Se avessi preferito d'essere servito nella pace della
contemplazione, avrei riformato la natura umana, dopo la caduta di
Adamo; in modo da non avere essa bisogno nè di cibo, nè di vesti, né
d'altra cosa necessaria alla vita; ma dai travagli dei miei amici,
ritraggo profitto maggiore. Un potente imperatore non si contenta di
avere nel suo palazzo damigelle d'onore avvenenti e ben vestite, ma
anche principi, capitani, ufficiali, impiegati adatti ai vari servizi e
sempre disposti a seguire i suoi ordini. Così io non trovo soltanto le
mie delizie negli esercizi della pietà contemplativa, ma mi compiaccio
pure di altre occupazioni utili e variate che hanno per fine l'onor
mio, e che mi invitano a dimorare con gioia fra ì figli degli, uomini.
Sono appunto questi lavori manuali che danno occasione agli uomini di
praticare maggiormente la carità, la pazienza, l'umiltà e le altre
virtù ».
Più tardi ella vide il principale amministratore del Monastero alla
presenza di Dio; era curvo dal lato destro e si rialzava a stento, di
tempo in tempo, per offrire al Signore, una moneta d'oro, nel cui
centro splendeva un magnifico diamante. Il Signore spiegò: « Se addolcissi la pena di colui per
il quale tu preghi sarei privato di questa splendida gemma che mi è
così cara. L'amministratore stesso poi perderebbe la ricompensa
preparatagli, perchè mi offrirebbe una semplice moneta d'oro, senza
diamante. Fare la mia volontà nella consolazione è darmi dell'oro; ma
compirla nella tribolazione è aggiungere all'oro, lo splendore d'una
perla d'alto pregio ». Geltrude però non si dava per vinta
ed insisteva, con maggiori suppliche presso il Signore, perchè
sollevasse l'amministratore. Gesù le disse: « Perchè mai trovi così duro che
si sopporti qualche cosa per amor mio, poichè sono quel vero Amico, la
cui fedeltà resiste alle vicende del tempo? Le creature quando vedono
una persona cara ridotta alla miseria, provano grande amarezza,
trovandosi impotenti a sollevarla. Ma io che sono ìl solo e vero Amico,
corro verso l'anima desolata, recandole i fiori freschissimi delle
buone opere compiute in pensieri, parole ed azioni. Tali fiori sono
seminati sulle mie vesti come rose e gigli di gradito olezzo. Al
contatto vivificante della mia presenza divina, rinasce in questa
creatura sofferente la speranza della vita eterna, dove riceverà la
ricompensa del bene fatto. La gioia ch'ella concepisce a tale vista, la
prepara a gustare il gaudio dell'eterna felicità, quando verranno
spezzati i legami del corpo. Allora nell'entusiasmo della completa
letizia, ella canterà le divine lodi, ripetendo: « L'odore del mio
Diletto è come la fragranza di un campo fertile». (Gen. XXVII, 27).
Infatti come il corpo è formato da diverse membra unite fra loro, così
nell'anima vi sono parecchi sentimenti: il timore, la sofferenza, la
gioia, l'amore, la speranza, l'odio e la modesta verecondia. Più l'uomo
si sarà servito di queste passioni per la mia gloria, maggiormente
troverà in me quegli ineffabili godimenti e delizie di pace che
dispongono l'anima a gustare l'eterna beatitudine. Nel giorno della
risurrezione, quando il corpo diventerà incorruttibile, ogni membro
riceverà una speciale ricompensa per le opere compiute e per i lavori
che avrà, eseguiti in nome mio, per mio amore. L'anima poi avrà un
premio particolare più sublime, per la compunzione e l'amore che avrà
sentito, o anche solo semplicemente per la vita data al corpo ».
Siccome poi Geltrude, piena di compassione per il fedele amministratore
del Monastero, ricominciava a pregare con fervore il Signore perchè
ricompensasse le sue fatiche e le sue pene, ebbe dal Salvatore questa
risposta: « Ricorda, o
figlia, che il suo corpo sfinito nel lavoro, è per me un tesoro nel
quale depongo ad ogni passo, tante diamme d'argento quanti sono i
sacrifici della sua carica. Il suo cuore poi è come un forziere ove
depongo con gioia una dramma d'oro ogni volta che, per mia gloria,
cerca di provvedere ai bisogni della Comunità ».
Geltrude, ammirata, obbiettò: « Ma Signore quest'uomo non mi pare così
perfetto, da poter supporre che compia tutte le sue azioni, solo per la
tua gloria; credo che talora sarà spinto da motivi umani, cioè dal
desiderio del guadagno e dal benessere che ne sarà il risultato. Come
mai allora, mio Dio, Tu che sei la verità senza ombra, puoi dire di
trovare in lui le tue delizie?.».
Il Signore si degnò di rispondere: « La sua volontà è talmente
subordinata alla mia che sono sempre il motivo principale de' suoi
atti; perciò egli ritrae inestimabili ricompense da tutti i suoi
pensieri, da tutte le sue parole ed opere. Ciò non toglie che, se si
applicasse a compiere ogni atto con intenzione esplicita accrescerebbe
la sua ricompensa, così come l'oro supera in valore l'argento; se poi
s'impegnasse a dirigere verso di me tutti i suoi progetti e le sue
sollecitudini con la stessa retta intenzione, tutto riuscirebbe
nobilitato, appunto come l'oro puro senza lega è più prezioso di un oro
oscurato ».
CAPITOLO LXX. - MERITO DELLA PAZIENZA
Una persona conosciuta da Geltrude, si era gravemente ferita e soffriva
assai. La santa, commossa, pregò Dio di guarirle quel membro che era
stato colpito durante un lavoro legittimo, sul campo del dovere. Le
rispose Gesù: «Io le
renderò l'uso della parte malata ed ella otterrà un premio grande per
il dolore sofferto. Di più tutti gli altri membri che si sforzarono di
sollevare la parte ammalata, otterranno pure un premio eterno. Se si
tuffa una stoffa in un bagno colorato, tutta prende la medesima tinta;
così, te lo ripeto, quando un membro soffre, anche gli altri, che si
sforzano di sollevarlo, saranno con esso ricompensati».
E Geltrude: « Ma Signore, come mai le membra che si aiutano
reciprocamente potranno ottenere un premio così grande, poichè non
agiscono con un fine soprannaturale, ma soltanto per recare un po' di
refrigerio al dolore? ». Il Signore le diede questa consolante
risposta: « Sappi, o
figlia, che la parte di sofferenza che l'uomo, dopo di aver cercato
tutti gli alleviamenti, sopporta per mio amore, gli procura una gloria
incomparabile, perchè venne santificata dalla parola che ho detto al
Padre mio, nel momento supremo dell'agonia: "Pater, si fieri potest,
transeat a me calix iste - Padre, se è possibile, passi da me questo
calice". (Matt. XXVI, 39). Ripetendo questa parola l'uomo acquista
molti meriti, e un'ineffabile ricompensa».
La Santa insistette: « Non preferisci Tu, o mio Dio, che invece di
rassegnarsi amorosamente alla parte di dolore che non si può
alleggerire, si soffra coscientemente tutto il male, senza accettare
ristoro di sorta?». Rispose il Salvatore: « Questo è un segreto della mia
divina giustizia. Per esprimermi secondo il vostro modo umano di
comprendere la verità, ti dirò che questi due diversi sentimenti sono
come due ben distinti colori, ma belli così che sarebbe difficile
stabilire quale sia il migliore». Signore, - aggiunse
Geltrude - infino a tanto che riferirò alla persona ammalata quanto a
suo riguardo mi hai detto, abbi la bontà di darle un vivo sentimento di
gioia».
« No, - rispose Gesù, -
ma sappi che con segreta disposizione della mia infinita Sapienza, le
rifiuto tale dolcezza, perchè la sua anima sia più pronta e si
distingua in tre virtù: la pazienza, la fede, l'umiltà. Se la
consolassi, la sua pazienza scemerebbe di valore, perchè la gioia
gustata le farebbe dimenticare il dolore; la fede pure non avrebbe più
merito, perchè questi vivi sentimenti le renderebbero chiari i
misteriosi disegni della Provvidenza, avendo S. Gregorio detto: « La
fede non ha più merito, quando la ragione umana le porta la sua
esperienza » (Omelia XXVI sul Vangelo): da ultimo la sua umiltà ne
sarebbe scossa, mentre, continuando nel suo stato di sofferenza, le
sarà facile pensare che Dio non la giudica degna di comunicarle
direttamente le sue grazie, ma solo per tramite di anime più
privilegiate».
CAPITOLO LXXI. - CONFESSIONE DEI DIVINI BENEFICI
Geltrude, piena di compassione, pregava un giorno per una persona che
aveva proferito parole impazienti, e che si era azzardata di chiedere
al Signore perchè le mandasse sofferenze superiori alle sue forze!
Il Signore le disse: «Chiedile
quali pene le occorrono, perchè per guadagnarsi il cielo, non può farne
a meno; quando poi le avrà, dille di sopportarle pazientemente».
Questi accenti della voce di Gesù fecero comprendere a Geltrude, essere
molto pericoloso desiderare altre prove da quelle che Dio ha preparate
per noi. L'anima, al contrario, deve accogliere con fiducia grande le
sofferenze che l'amore di Dio crede conveniente mandarle, sempre
misurate dal suo amore infinito.
Ad un tratto Gesù, mutando aria ed aspetto, le disse con immensa
tenerezza: « E tu che
pensi della tua sorte? Ti ho forse addossato croci troppo pesanti? I
patimenti che ti mando ti sembrano scelti male a proposito?
». « Oh no! - rispose Geltrude - ma confesso e confesserò per tutta la
vita che Tu hai disposto meravigliosamente ogni cosa per il bene della
mia anima e del mio corpo, sanità e malattia, gioie e dolori. L'hai
fatto così bene che nessuna sapienza umana, dal principio alla fine dei
secoli, avrebbe potuto uguagliarti, o Dio dolcissimo, che tutto operi
con ineffabile soavità! ». Allora il Figlio di Dio la guidò verso il
Padre, affinchè rendesse omaggio alla sua Provvidenza e Geltrude disse:
« Ti ringrazio, Padre
santo, che con tutte le forze dell'anima mia, per mezzo del divin
Mediatore che siede alla tua destra, dei magnifici doni che mi hai
prodigato con tanta generosità; riconosco altamente che nessuna
potenza, se non la tua, che dà la vita a tutte le creature, avrebbe
potuto arricchirmi di questi favori».
In seguito Gesù la condusse dallo Spirito Santo perché rendesse omaggio
anche alla sua bontà. La Santa disse: « Ti ringrazio, o adorabile
Spirito Santo, dolce Paracleto, mediante Colui che, con la tua
cooperazione si è incarnato nel seno della Vergine, perchè, malgrado la
mia indegnità, mi hai prevenuto con le benedizioni gratuite della tua
dolcezza, come nessun'altra bontà avrebbe potuto fare, se non la tua,
dove si celano, da dove procedono e da cui si ricevono tutti i beni
».
Il Figlio di Dio allora, dandole prove di speciale tenerezza, le disse:
« Ora che hai fatto
questo solenne omaggio alle Persone divine, ti prendo a preferenza di
ogni altra creatura, sotto la mia speciale custodia e la farò in modo
superiore a quello che dovrei per diritto di creazione, di redenzione e
anche di predilezione ».
Da ciò ella dedusse che il Signore prenderebbe in modo speciale, sotto
la sua protezione l'anima che, lodando la divina bontà, si confida con
completo abbandono alla sua Provvidenza, così come un Priore monastico
si sente in obbligo di provvedere ai bisogni di colui che ha tutto
rinunciato nelle sue mani per la religiosa Professione.
CAPITOLO LXXII. - EFFETTI DELLA PREGHIERA
Geltrude, pregando per parecchie persone che le erano state
raccomandate, si ricordò in particolare di un'anima che aveva cara. «
Dolcissimo Signore, - diss'ella - esaudisci la preghiera che dirigo
alla benignità del tuo paterno Cuore per essa ». Rispose Gesù: « Io ti esaudisco frequentemente
quando preghi per lei». «Donde avviene dunque - obbiettò
Geltrude - ch'ella continua a parlarmi della sua indegnità ed a
reclamare il mio soccorso come se Tu non la consolassi giammai?».
Il Salvatore rispose: «
L'umile sentimento che questa anima ha di se stessa mi rapisce il
cuore, ed è un ricco abbigliamento che l'adorna in modo stupendo; ella
mi piace ognora più a misura che spiace a se stessa, e questa grazia
s'accresce quanto maggiormente tu preghi per lei ». Geltrude supplicava
sempre il Signore per quell'anima e per altre ancora; Egli le disse: «
Ha attratte le tue raccomandate sempre più vicine a me; perciò devono
aspettarsi maggiori tribolazioni. Quando una bimba, seguendo lo slancio
del suo tenero amore, vuole ad ogni costo, avvicinarsi alla mamma e
sedersi sulla stessa sua sedia, si trova in posizione assai incomoda a
confronto degli altri fratelli, i quali prendono liberamente posto
intorno alla loro genitrice. La mamma poi non potrà guardare in volto
la sua bambina che le si stringe al fianco, cosa che invece può
comodamente fare con gli altri figli che la circondano».
CAPITOLO LXXIII. - VANTAGGI DELLA PREGHIERA
I. La mancanza di fede ne sospende gli effetti.
Geltrude viveva di preghiera; ella era instancabile nel raccomandare le
persone e le intenzioni che le venivano affidate. Un giorno, dopo di
avere baciato fervorosamente il Crocifisso, ella gli confidò i suoi
desideri. Vide allora una sorgente zampillare dal Cuore divino e
diffondersi all'intorno, come segno che le sue preghiere erano esaudite.
Ma poi pensò: « A che vale che io abbia pregato per quelle persone,
poichè esse non ne risentono effetto alcuno, e perciò non hanno nè
fiducia, nè conforto?».
Il Signore le rispose con questo paragone: «Quando un re, dopo lunga guerra,
conclude la pace, coloro che sono lontani non sanno questa felice nuova
fino al momento in cui è possibile renderla loro nota; così coloro che
restano lungi da me per la diffidenza ed altri difetti, non possono
sentire la dolce unzione delle preghiere che si fanno per essi ».
« Ma, Signore, - aggiunge Geltrude - fra le persone che ti ho
raccomandato, ve ne sono di quelle che, secondo la stessa tua conferma,
vivono assai vicino a Te», « E'
vero - confermò Gesù - pure colui a cui il re vuole trasmettere i suoi
ordini di presenza deve aspettare che sia giunto il momento opportuno;
così mi propongo di trasmettere a queste anime l'effetto delle tue
preghiere quando lo crederò conveniente ».
Ella inalzò in seguito suppliche speciali per una persona che l'aveva
afflitta e si ebbe questa risposta: « Come quando un piede è ferito,
anche il cuore lo compatisce, così è impossibile alla mia paterna
tenerezza non guardare con occhio misericordioso colui che, spinto da
vera carità, mi supplica per il prossimo quantunque senta egli medesimo
il peso delle proprie colpe e senta estremo bisogno della divina pietà
».
II. Quello che bisogna chiedere per i malati.
Grande dovere di solidarietà umana e cristiana è pregare per gli
ammalati. Geltrude compiva con slancio tale obbligo ed un giorno
supplicò Gesù di dirle ciò che doveva chiedere per un certo infermo: « Bastano - rispose Gesù - due
brevi preghiere che tu mi rivolga, ma queste con divozione. Prima mi
dirai « Signore, conservagli la pazienza»; indi aggiungerai: «Fa, o
Signore, che secondo gli eterni desideri del tuo Cuore paterno, ogni
istante di patimento che Tu riservi a quest'infermo procuri la Tua
gloria ed accresca i suoi meriti per il cielo », Gesù concluse,
dicendo: « Ogni qualvolta ripeterai questa preghiera i tuoi meriti
aumenteranno con quelli del malato, come quando si passa una vernice
fresca sopra una tela, affinchè il dipinto brilli di nuovo splendore ».
III. Cosa bisogna chiedere per i Superiori.
Geltrude pregava spesso per i prelati che hanno nella Chiesa cariche
elevate. Nostro Signore le fece conoscere ciò che preferiva in questi
alti dignitari e le disse che dovevano occupare il loro posto come se
non l'avessero, cioè che esercitassero le loro mansioni come se
dovessero farlo per un giorno e per una sola ora, sempre pronti ad
abbandonarle, eppure molto solleciti di lavorare alacremente per la
divina gloria. Essi dovrebbero spesso dire col cuore « Andiamo, affrettati a lavorare
per Dio, verrà giorno in cui, deponendo la carica, sarai contento
d'essertí consumato per il trionfo di Dio e per il bene delle anime
».
IV. Effetti di una domanda di preghiere.
Geltrude supplicò il Signore per una persona che aveva domandato con
tanta umiltà l'aiuto delle sue preghiere. Vide il Signore inchinarsi
con bontà verso quell'anima, investirla di celesti splendori e in
quella luce smagliante, comunicarle la sua grazia con quanto
desiderava. Nel medesimo istante sentì Gesù dirle queste parole: « Tutte le volte che una persona si
raccomanda alle preghiera di un'altra, con fiducia di ottenere grazie,
il Signore la ricompensa secondo il suo desiderio, quand'anche colei a
cui si è raccomandata dimenticasse, per negligenza, il sua impegno
». -
CAPITOLO LXXIV. - DIVERSE PERSONE DI ORDINI DIFFERENTI
I. L'anima paragonata all'aquila.
Geltrude interessava, Nostro Signore alle sorti di un'anima ardente di
grandi desideri. Il buon Maestro le rispose: « Dille da parte mia che, s'ella
desidera di essere unita pienamente a me, deve costruirsi ai miei piedi
un nido formato dalle foglie della sua bassezza e dalle palme della mia
dignità; là ella dovrà sempre ricordare che, senza la grazia di Dio,
l'uomo è pronto bensì a fare il male, ma lento a compiere il bene.
« Ella penserà
frequentemente alla mia misericordia, ricordando che sono un buon
Padre, sempre pronto ad accoglierla anche quando, dopo le sue colpe, si
pente e torna a me.
« La confidenza le darà
le ali per uscire dal nido, ed ella potrà elevarsi fino al mio Cuore,
per magnificare con cantici di ringraziamento i molteplici favori
ricevuti dalla divina bontà.
« S'ella poi brama
spiccare più alto il volo e spiegare ampiamente le ali dei desideri,
s'innalzi con slancio rapido come quello dell'aquila al di sopra di se
stessa, con la contemplazione delle celesti cose, e sostenga il suo
volo davanti al mio Volto. Sollevata sulle ali dei Serafini,
coll'audace anelito dell'amore, contempli ella il Re divino nella sua
bellezza, con lo sguardo purificato dello spirito.
« Ma poichè la vita
presente non è fatta per rimanere a lungo sulle alture della
contemplazione, ch'ella potrà raggiungere solo per brevi momenti e rare
ore, come dice S. Bernardo, dovrà ben tosto ripiegare le ali col
ricordo della sua miseria, e ridiscendere fino al nido primiero per
riposarsi nell'umiltà, aspettando che la confidenza la elevi di nuovo
fino al mio Cuore, e che la contemplazione la esalti fino alla mia
divina presenza; allora ella troverà nuovamente le sue delizie a
solcare i campi fioriti dell'amore mediante lo spirito di
ringraziamento, per raggiungere nell'estasi le vette della vita
mistica. Con questi diversi atteggiamenti, sia che ella entri in se
stessa con la considerazione della sua miseria, sia che ne esca per
ricevere i miei benefici, sia che si elevi alla visione delle celesti
cose, sempre gusterà gioie di Paradiso».
II. Di una persona la cui vita era raffigurata nelle tre dita
del Salvatore.
Geltrude si ricordò di un'altra persona che le era stata divotamente
raccomandata. Questa aveva passato nel mondo gli anni giovanili, ed era
entrata in Monastero già anziana. Geltrude si rivolse dunque verso il
Signore per presentargli il suo cuore e ricordargli la promessa
fattale, cioè ch'esso doveva servirgli di canale per diffondere i
benefici celesti sulle anime che li avrebbero sollecitati umilmente,
per sua intercessione.
Subito il Figlio di Dio le comparve su di un trono reale, tenendo in
mano il cuore che gli aveva presentato; vide pure la persona
raccomandata avanzarsi verso il trono del Signore e inginocchiarsi
rispettosamente.
Il Signore stese verso di lei la mano sinistra dicendo « Io la riceverò
nella mia incomprensibile Onnipotenza, nella mia imperscrutabile
Sapienza e nella mia infinita Bontà ». Pronunciando tali parole,
presentava a quella persona tre dita della mano sinistra: l'indice, il
medio, l'anulare. Da parte sua essa toccava, con il dito corrispondente
quello del Signore; con un movimento rapido, il buon Gesù voltò la sua
Mano benedetta, in modo che si trovò al di sopra di quella suddetta
persona. Voleva con quelle tre dita e con quel gesto, mostrare tre
maniere speciali, adatte per regolare la vita di quell'anima.
I. Desiderava ch'essa, per spirito di umiltà, si sottomettesse in ogni
azione, alla Onnipotenza divina, considerandosi come serva inutile, che
ha consumato il vigore della giovinezza nella vanità, senza pensare a
Dio, suo Creatore, chiedendo la forza per agire rettamente.
II. Desiderava che si confessasse indegna, in presenza della Sapienza
imperscrutabile di Dio, di ricevere le dolci effusioni della divina
luce, per non avere, dall'epoca della sua infanzia, applicato le
facoltà allo studio delle cose divine, ma di essersene servita per
pascerne la vanità. Doveva perciò inabissarsi nell'umiltà, sforzandosi
poi, in tempi e luoghi adatti, di comunicare al prossimo le ricchezze
diffuse dalla divina bontà nell'anima sua.
III. Infine doveva ricevere con fervidi ringraziamenti il dono della
buona volontà, dono gratuito accordatole perchè potesse praticare i
consigli precedenti.
Il Signore portava all'anulare della mano sinistra un anello di vile
materia, che aveva incastonata una gemma preziosa, di colore rosso
fiammante.
Geltrude comprese che l'anello figurava la distratta vita secolare di
quella persona e che la gemma indicava la divina misericordia che le
aveva fatto dono della buona volontà, la quale rende tutte le opere
perfette allo sguardo di Dio. Perciò la sua voce, cioè la sua
intenzione, doveva ringraziare continuamente Dio per un benefico così
segnalato.
Geltrude capì un'altra cosa. Tutte le volte che quella persona,
coll'aiuto di Dio, compirebbe un'opera buona, il Signore metterebbe
quell'azione nella Sua Mano destra come anello prezioso e lo
mostrerebbe a tutta la Corte celeste, quasi per gloriarsi del dono
della sua Sposa; con giubilo ineffabile tutti gli abitanti del cielo,
stimolati dall'alto, la inchinerebbero, mostrandole amore e riverenza,
quale Sposa del gran Re. Di più i beati della chiesa trionfante, che
soccorrono coloro che militano in terra, renderebbero a quella persona,
secondo il beneplacito divino, i loro servigi, ogni volta che il
Signore li inviterebbe a farlo. InfIne tutto il tesoro di beni che la
Chiesa trionfante piove sulla militante, verrebbe concesso a quella
persona, ogni volta che il Signore, con un cenno d'invito, si
compiacesse di permetterlo.
III. Invito a stabilire il nido nel Sacro Costato di Cristo.
Mentre Geltrude raccomandava a Dio una persona, ricevette per la
medesima questo regolamento di vita. Stabilito ch'ella abbia il nido
nel cavo della roccia, cioè nel Sacro Cuore di Gesù, bisogna che si
riposi nella profondità di tale caverna, assaporando il miele della
pietra, cioè la benevolenza delle aspirazioni di quel Cuore deificato.
Dovrà poi meditare attentamente nelle Scritture la vita ammirabile del
Cristo, sforzandosi d'imitarlo specialmente sotto tre aspetti:
I. - Il Signore passava le notti in preghiera: dovrà ella, in ogni
tribolazione, ricorrere all'orazione.
II. - Gesù predicava nelle città e nelle campagne: ella cercherà di
dare a tutti buon esempio, non solamente con parole, ma con le azioni,
il contegno, il tratto.
III. - Il Cristo prodigava i suoi benefici su tutti coloro che a Lui
ricorrevano: ella pure compirà, il bene, in questo modo: quando si
disporrà ad agire, o a parlare raccomanderà tale azione al Signore,
unendola alle opere perfette del Figlio di Dio, affinchè sia regolata,
seconda la sua adorabile Volontà, per la salute dell'umano genere.
Terminata l'azione, l'offrirà di nuovo al Signore perché la perfezioni
e la presenti al Padre come omaggio di eterna lode.
In seguito Geltrude ricevette pure questo insegnamento. Quando quella
persona dovrà uscire dal nido, dovrà servirsi di tre appoggi: sul primo
camminerà, sul secondo s'appoggerà a destra, sul terzo s'appoggerà a
sinistra.
Il primo appoggio sarà l'ardente carità mediante la quale si sforzerà
di condurre a Dio tutti gli uomini e di essere loro utile per la gloria
del Padre, in unione all'amore con cui Gesù Cristo ha operato la salute
del mondo.
Il secondo appoggio, che la sosterrà dalla parte destra, sarà l'umile
soggezione con cui si sottometterà, per amor di Dio ad ogni autorità,
vigilando attentamente perchè le sue azioni non scandalizzino nè
superiori, nè inferiori.
Il terzo appoggio, a sinistra, sarà l'esatta vigilanza e il continuo
controllo per preservare pensieri, parole, opere da ogni ombra di
peccato.
IV. Di un'anima che costruisce il trono davanti a quello di
Dio.
A Geltrude venne pure rivelato lo stato di un'altra anima, oggetto
delle sue preoccupazioni e suppliche spirituali. Ella le apparve
davanti al trono di Dio, ove andava costruendosi un magnifico seggio
formato di pietre preziose, legate da un cemento di purissimo oro.
Talora quella persona si riposava sul trono, tale altra si rialzava per
continuare alacremente il suo lavoro. Geltrude comprese che le pietre
preziose rappresentavano le pene destinate a conservare ed a nobilitare
in quell'anima i doni di Dio, giacchè il Signore prepara in questa vita
un cammino duro e aspro per i suoi eletti, nel timore che le dolcezze
della via loro facciano dimenticare le gioie della patria. L'oro, che
ricongiungeva bellamente le gemme, figurava la grazia spirituale di cui
doveva servirsi in piena fiducia, e negli interessi della sua salvezza,
per saldare insieme, come si fa col cemento, le sue pene interne ed
esterne.
Ella si riposava ogni tanto sul trono, per dimostrare che gustava ivi
consolazioni ineffabili; ma riprendeva tosto il lavoro intorno ai trono
per simboleggiare l'esercizio perseverante delle buone opere, che fa
progredire l'anima nel cammino della perfezione.
V. Di un'altra anima che stava potando un albero.
Geltrude vide, davanti al trono della Maestà divina, un magnifico
albero, dal tronco vigoroso, dai rami fronzuti, dalle foglie splendenti
quasi oro.
La persona per cui ella pregava, saliva sull'albero e, con un utensile
adatto, staccava alcuni rami che cominciavano ad essicarsi. Man mano
che li tagliava, le venivano offerti altri rami verdeggianti che
dovevano prendere il posto di quelli tolti; appena innestato, il nuovo
ramoscello produceva un frutto di colore rosso e l'anima lo coglieva
per offrirlo al Signore, il quale ne provava delizie incomparabili.
L'albero rappresentava lo stato religioso, ove quella persona era
entrata per servire Dio: le foglie d'oro significavano le buone opere
compiute nell'Ordine. Per i meriti dei parenti, che l'avevano condotta
al Monastero e raccomandata a Dio, le sue opere avevano un valore
superiore ad ogni altro, come l'oro vince in pregio gli altri metalli.
L'utensile che le serviva per potare i rami simboleggiava la
considerazione attenta dei propri difetti, dapprima scoperti, poi
estirpati con salutare penitenza. La novella fronda che doveva prendere
il posto di quelle tagliate, era la figura della vita perfettissima di
Gesù Cristo, la quale, in virtù dei meriti dei parenti, più sopra
accennati, era sempre messa in opera per riparare i falli. Infine il
frutto, colto ed offerto al Signore, era simbolo della buona volontà di
quell'anima per correggersi, assai cara a Dio, perché sincera.
E' noto che il Signore preferisce questa disposizione interna a grandi
opere compiute senza retta intenzione.
VI. Istruzioni per una persona colta, la cui vita è figurata
dai tre Apostoli sul Tabor.
Geltrude un giorno pregava il Signore per due persone, che le erano
state raccomandate, ma delle quali ignorava le disposizioni. Ella
fiduciosamente, chiese a Gesù: « O Amico dolcissimo, che conosci ogni
cuore, degnati svelarmi, a riguardo di queste anime, quello che può
tornare gradito alla tua Volontà ed utile per la loro salvezza».
Il Salvatore le ricordò benignamente le rivelazioni che aveva avuto in
passato, riguardanti due altre persone, la prima colta, la seconda
ignorante, che avevano entrambe rinunciato al secolo. Egli le consigliò
di partecipare tali rivelazioni alle persone di cui s'interessava
attualmente, ed aggiunse: «
Le cinque rivelazioni che precedono e le due che seguono, sono un
insegnamento di cui tutti possono approfittare, qualunque sia il loro
stato e la loro professione».
Ecco la rivelazione concernente la persona colta. Il Signore disse a
Geltrude: «L'ho presa co'
miei apostoli per condurla sul monte della novella luce. Procuri di
regolare la sua vita, impostandola sul significato del nome degli
apostoli, che mi accompagnarono sul Tabor: « Pietro, secondo
gl'interpreti, significa agnoscens colui che sa. Nelle letture e
meditazioni deve quindi, con l'aiuto della riflessione, giungere a
conoscere se stessa. Se il libro, ad esempio, tratta di vizi e di
virtù, deve esaminarsi come ha combattuto quelli, ed acquistato queste.
« Quando poi sarà giunta
ad una più perfetta conoscenza del suo interno, si sforzerà, secondo il
significato del nome Giacomo - supplantator - colui che vince di
correggersi de' suoi difetti con una lotta tenace e d'acquistare le
virtù che le mancano.
« Siccome poi il nome
Giovanni è interpretato: in quo est gratia, sarà bene che, a tempo
opportuno; e specialmente al mattino ed alla sera, si sforzi di
allontanare le vane, dissipazioni per raccogliersi in se medesima, per
occuparsi di Me e per scrutare la mia Volontà. Allora, sia che le
ispiri di lodarmi, o di ringraziarmi, o di pregare per i peccatori e
per le anime del Purgatorio, avrà cura d'obbedirmi, e di praticare
divotamente l'esercizio da me richiesto ».
VII. Istruzione per una persona ignorante che aveva l'ufficio
di cuciniera.
Ecco la rivelazione riguardante una persona indotta. Geltrude, avendo
pregato per la medesima, che si rattristava di non poter fare lunga
orazione per l'impegno faticoso del suo ufficio, ricevette questa
risposta: « Ella vorrebbe servirmi per un'ora, ma io esigo da lei molto
di più. Voglio che ella stia con me tutto il giorno, che compia tutte
le sue azioni per la mia gloria e con lo stesso fervore come se stesse
pregando. Di più bramo che, lavorando per il benessere materiale delle
Consorelle, ella abbia l'intenzione, non solo di preparare il cibo per
il beneficio del loro corpo, ma perché progrediscano nel mio amore e
siano confermate nel bene.
Se farà così il suo lavoro sarà per me un delizioso banchetto
accuratamente servito, con cibi scelti e con condimenti assai gustosi ».
CAPITOLO LXXV. - LA CHIESA E' RAFFIGURATA NELLE MEMBRA DI
CRISTO
Mentre Geltrude pregava per un'anima cara, Gesù, Re di gloria, le
apparve, mostrandole, con la forma stessa della sua Umanità, la Chiesa
che è il suo Corpo mistico, poichè è chiamato, e lo è in realtà, suo
Sposo e suo Capo.
Il Salvatore aveva la parte destra adorna di magnifici ornamenti
regali, mentre la sinistra era nuda ed impiagata. La Santa comprese
subito che il lato destro rappresentava le anime elette, prevenute
dalle benedizioni divine, per un dono speciale della grazia, e anche in
premio delle loro virtù personali. Il lato sinistro invece figurava
gl'imperfetti, carichi di vizi e di peccati.
Pregare per le anime già avanzate nella virtù, è fregiare il Salvatore
di splendidi ornamenti; censurare le anime imperfette, rimproverarle
duramente per i loro falli, è percuotere e riaprire le ulcere di Gesù;
tali censori con le loro amare invettive fanno zampillare il sangue dei
fratelli perfino sul volto, che ne resta macchiato e sfigurato.
Con tutto ciò il benigno Signore, vinto dalla bontà considera più le
delicatezze ricevute dagli amici, che hanno adornato la parte destra,
che gli oltraggi dei nemici e, coi meriti degli eletti, toglie le
macchie che deturpano i malvagi.
Disse Gesù: « Piacesse a
Dio che si volesse fasciare e guarire le piaghe della mia Chiesa che
sono Piaghe mie, risanando le miserie delle anime imperfette! L'ulcera
vuol essere prima toccata con precauzione: bisogna trattare da
principio con dolcezza l'anima che si vuole correggere dai difetti,
riprendendola amichevolmente e non ricorrendo al rigore, se non quando
si ha la certezza che le dolci maniere rimarrebbero infruttuose. Quanti
non hanno compassione alcuna delle mie Piaghe! Essi vedono i difetti
del prossimo e tosto ne approfittano per vilipenderlo, non curandosi di
dirigergli una parola di correzione.
« Ciò sarebbe, secondo
loro, esporsi, o prendersi troppa briga, perciò vanno scusandosi come
Caino: « Numquid custos fratris mei sum ego? - Sono forse il custode di
mio fratello?» (Gen. IV, 9). Costoro mettono sulle mie Piaghe un
preparato che le avvelena, facendovi brulicare i vermi. Una buona
parola avrebbe forse guarito il fratello; col non proferirla ne
lasciano aumentare i difetti.
« Altri fanno conoscere
ai Superiori le mancanze dei fratelli, ma si sdegnano se la correzione
si fa aspettare, e risolvono di non fare più nessun accenno in
proposito, giacchè non si è dato importanza al loro avviso. Inoltre si
permettono di giudicare senza misericordia gl'infelici, dei quali
pretendono volere la guarigione, e non volgono loro neppure un accento
che li riduca verso il bene. Anche costoro mettono esteriormente un
preparato sulle mie Piaghe, mentre introducono nell'interna un ferro
infuocato che le brucia e le dilacera.
« Altri, che potrebbero
correggere il prossimo, trascurano di farlo, non per malizia, ma per
noncuranza. Questi mi contristano come chi, passandomi vicino, mi
schiacciasse un piede. Ve ne sono altri che pensano solo ai loro comodi
e a soddisfarli in tutto, senza curarsi dello scandalo che danno a chi
li vede; essi torturano le mie Mani con lesine infuocate. Alcuni amano
sinceramente e rispettano i prelati santi, ma giudicano con rigore e
disprezzano, senza riguardo alcuno, quelli che sono meno perfetti,
« In questo caso ornano
la parte destra del mio Capo di perle preziose; quanto alla sinistra,
che è assai indolenzita, e che desidero posare sui loro cuore per
trovare un po' di sollievo, è da essi spietatamente colpita con pugni,
furibondi. Vi sono poi persone poco sincere, che applaudiscono e lodano
le cattive azioni dei Superiori per propiziarseli e poter poi fare più
facilmente quello che loro aggrada. Costoro rivoltano con violenza
indietro il mio Capo, facendomi provare una tortura inesprimibile: di
più, insultando alle mie sofferenze, sembrano beffarsi delle Piaghe che
sfigurano il mio Volto ».
Giacchè Nostro Signore, con questa meravigliosa rivelazione, ha
proclamato d'identificarsi con la sua Chiesa, fino al punto di
considerare i buoni come parte destra del suo Corpo ed i cattivi come
la sinistra, i cristiani devon riflettere seriamente in qual modo
potranno servire i membri sani, e quelli ammalati del Cristo.
Sarebbe cosa troppo abbominevole vedere un uomo straziare le piaghe di
un suo amico, cospargerle di veleno e respingerlo quando chiedesse di
essere sostenuto per un po' di sollievo. Se un cristiano avesse usato
tale durezza, offendendo nel prossimo il suo Creatore e Redentore, si
sforzi di emendarsi e di rendersi utile ai fratelli.
Prodighi tutto il bene possibile ai perfetti per eccitarli a fare
continui progressi: circondi di tenerissime cure gli imperfetti per
correggerli. Obbedisca con amore i Superiori quando comandano il bene,
e sopporti i loro difetti con silenziosa riverenza. Eviti però di
adularli, se agiscono male, e, se non potrà correggerli con discorsi,
si sforzi almeno di farlo con pii desideri e ferventi suppliche offerte
al Signore.
CAPITOLO LXXVI. - COMUNICAZIONE SPIRITUALE DEI MERITI
Geltrude con senso d'ineffabile carità, aveva chiesto al Signore,
entrando in Chiesa, che partecipasse ad un'anima cara, che si era
raccomandata alle sue preghiere, i meriti delle sue opere buone;
digiuni, preghiere, penitenze ecc. Rispose Nostro Signore: «Io comunicherò a quest'anima
tutti i favori che la mia divina liberalità ti accorda gratuitamente, e
che ti accorderà fino alla morte». Riprese Geltrude: «
Poichè, per la Comunione dei Santi, l'intera Chiesa partecipa a quanto
faccio di bene e anche a quanto fanno gli eletti, vorrei sapere se
questa persona riceve dalla tua bontà, o mio dolce Gesù, qualche cosa;
di più quando, in virtù del bene che le voglio, ti chiedo di renderla
partecipe di tutti i favori che mi accordi ». Il Salvatore rispose con
un paragone: « Una nobile
damigella, che sa preparare collane di perle per farne gioielli a uso
suo e di sua sorella, aggiunge lustro al decoro de' suoi genitori e a
tutta la famiglia, quantunque le lodi del pubblico si rivolgano
soprattutto a colei che ha confezionato tali collane: pure anche, la
sorella, che ha ricevuto quei gioielli, benchè forse meno eleganti,
sarà ammirata plù delle altre sorelle, che non hanno ricevuto ornamento
alcuno. Così, benchè la Chiesa partecipi ai favori accordati a ciascuno
dei suoi membri, l'anima però che li riceve, ne ritrae maggior
vantaggio, e coloro ai quali essa desidera parteciparli ne fruiscono
beneficio più grande dell'insieme degli altri fedeli ».
Geltrude allora fece notare a Nostro Signore che quella persona aveva
portato spesso dei ristori materiali per sollevare Matilde, la cantrice
del Monastero, recentemente defunta; aggiunse che quella persona si
rammaricava assai di non essersi intrattenuta a lungo con la cara
malata per consolarla, nel timore di affaticarla troppo. Rispose Gesù:
« La generosa carità con
cui quest'anima ha ristorato la mia eletta, ed il rimpianto che serba
in cuore per non aver potuto sollevarla ancora di più, mi riescono cosi
graditi come se mi servisse a mensa cibi squisiti, al pari di un
illustre principe che facesse lo stesso ufficio al banchetto del suo
imperatore. Io mi sono assai compiaciuto negli esercizi coi quali
Matilde mi ha onorato, servendosi delle forze che le avevano procurato
i regali avuti da quella persona; intendo parlare non solo di soccorsi
materiali, ma altresì dei pensieri, degli atti, dei consigli che, in
ogni occasione, sostennero la mia diletta Matilde. Riguardo poi al
rincrescimento di non avere potuto intrattenersi più a lungo con essa,
supplirò io stesso a tale deficienza. Uno sposo che ama teneramente la
sua sposa e che la vede, per una estrema delicatezza, troppo timida nel
chieder ciò che pure desidera, questo sposo, dico, commosso dal saggio
riserbo della sua diletta, lo accorda il doppio di quanto brama. Così
le darò generosamente quanto le manca.
« Per la gioia poi
ch'essa prova nel vedere i benefici di cui ho colmato la mia eletta,
riceverà in cielo delizie ineffabili e l'irradiazione delle grazie che
ho concesse a Matilde. Tale riverbero che sfuggirà dall'anima della mia
Sposa, è lo splendore infinito della divina chiarezza che l'illumina.
Come i raggi del sole, dardeggiando sulla superficie delle acque, si
riflettono sulla muraglia, così il fulgore de' miei benefici brillerà
nelle anime che furono prevenute sulla terra dalla dolcezza delle mie
benedizioni; avrà poi speciali bagliori su quelle che provarono in
terra una gioia speciale, al pensiero di tali benefici. Tuttavia vi
sarà una differenza, e cioè brilleranno, non come sulla superfice opaca
di una muraglia, ma a guisa di un lucidissimo specchio, che riflette
distintamente le immagini che gli sono poste davanti ».
CAPITOLO LXXVII. - UITILITA' DELLA TENTAZIONE
Geltrude, avendo un giorno pregato per una persona afflitta dalla
tentazione, ricevette questa risposta: « Permetto tale prova per farle
conoscere e deplorare un difetto che si sforzerà di correggere, senza
però riuscirvi: l'umiliazione provata per tale impotenza, cancellerà
quasi intieramente ai miei occhi altri difetti ch'essa non conosce.
L'uomo che scorge d'avere una macchia sulla mano, si lava purificando
le due mani da ogni bruttura, cosa che non avrebbe fatto se quella
macchia, non gliene avesse dato l'occasione».
CAPITOLO LXXVIII. - LA FREQUENTE COMUNIONE PIACE A DIO
Fra coloro che dirigevano il Monastero si trovava una persona i cui
sentimenti, a proposito della S Comunione, erano ispirati più dallo
zelo della giustizia che dallo spirito della misericordia. A sentir lui
non poche Religiose mancavano della divozione necessaria per
comunicarsi spesso, o non si preparavano al divino incontro con la
dovuta diligenza. Egli esprimeva questi pensieri nelle pubbliche
istruzioni, di modo che, ben presto, riuscì a rendere le Monache
sfiduciate e timorose di comunicarsi. Geltrude se ne afiìiggeva e,
pregando un giorno per l'austero direttore, chiese a Gesù se approvasse
quel metodo. Rispose il Salvatore: «Le
mie delizie sono di stare coi figli degli uomini. Per contentare il mio
amore ho istituito questa Sacramento: mi sono obbligato a dimorarvi
fino alla consumazione dei secoli, e ho voluto che si ricevesse di
frequente. Se dunque alcuno, sia con pubbliche istruzioni, sia con
privato consiglio, allontana dalla S. Comunione un'anima che non è in
peccato mortale, impedisce e interrompe le delizie del mio Cuore. Se un
principino si compiacesse grandemente di conversare, di giocare con
fanciulli poveri, di bassa condizione, non si sentirebbe forse
contrariato se il suo precettore duramente ve lo riprendesse, e
cacciasse i poveri contadinelli sotto il pretesto che la dignità di un
giovane principe non permette simili giochi, in compagnia di gente
plebea? ».
« Signore - aggiunse la Santa - se la persona, a riguardo della quale
ti ho interrogato, mutasse opinione e condotta, non le perdoneresti le
sue esagerazioni? ». E Gesù: « Non
solo le perdonerei tosto, ma le sarei grato di tale mutamento, come il
principino al precettore che, cambiando parere, riconducesse egli
stesso al suo discepolo i compagni di gioco, invitandoli graziosamente
a divertirsi col suo giovane signore ».
CAPITOLO LXXIX. - VANTAGGI DELLO ZELO
Geltrude pregava per una persona che era alquanto contristata per
timore di aver offeso Dio, correggendo con asprezza certe negligenze di
Regola, che avrebbero potuto essere dannose per l'osservanza comune.
Ella ricevette dal migliore dei Maestri questa dilucidazione: « Se
qualcuno desidera che il suo zelo sia a me gradito sacrificio di lode e
procuri grande merito per l'anima sua, dovrà soprattutto applicarsi a
tre cose:
« 1) Mostrare sempre volto amabile alla persona che corregge, (cosa del
resto dovuta anche solo alla buona educazione) e, pur esigendo ciò che
è bene, dovrà usare parole dolci e tratto caritatevole.
« 2) Avere somma cura di non propagare i difetti, se non per grave
necessità, e in questo caso, manifestarli solo a persone prudenti ».
« 3) Non tacere mai per rispetto umano, ma, cercare in tutta carità
l'occasione di distruggere il male, avendo di mira la gloria di Dio ed
il bene delle anime.
« Facendo così l'anima sarà ricompensata, non in ragione del successo
ottenuto, ma in proporzione del sacrificio fatto. Se i suoi sforzi non
saranno coronati da risultato consolante, la colpa sarà di coloro che
non hanno corrisposto al buon consiglio, osando resistere alla
caritativa opera fraterna ».
In una certa occasione Geltrude pregava per le due persone che
disputavano fra loro, una per difendere la giustizia, l'altra per
mantenere la carità.
Il Signore le disse: « Quando
un buon padre vede i suoi cari figliolini divertirsi davanti a lui,
esercitandosi a lottare fra di loro, sorride compiaciuto, anche se
talvolta si accapigliano: - se però s'accorge che uno dei combattenti
colpisce sul serio il fratello, allora interviene e castiga il
colpevole. Cosi faccio io, che sono il Padre delle misericordie, quando
vedo i miei figli discutere e accalorarsi fra loro, quantunque
preferirei che fossero sempre in pace. Se però alcuno tratta duramente
l'avversario, non potrà evitare la correzione che la verga della mia
giustizia paterna gl'infliggerà ».
CAPITOLO LXXX. - UTILITA' FUTURA DELLA PREGHIERA
Una persona si lamentava spesso di non ritrarre profitto alcuno dalle
preghiere che si facevano per essa. Geltrude ne parlò a Gesù, il Quale
le disse: «Domandale ciò
che sceglierebbe per un suo cuginetto, se alcuna si offrisse di dargli
o un beneficio, a l'equivalente in danaro. Ella, col suo buon senso,
risponderà che val meglio per il fanciullo un beneficio i cui redditi
aumenteranno fino all'età maggiore, mentre il denaro, affidato alle sue
mani inesperte, sarebbe ben presto sciupato in futili cose. Raccomanda
a quella persona d'affidarsi alla mia bontà; io le sono Padre,
Fratello, Amico, e mi preoccupo più de' suoi interessi, ch'ella non
saprebbe farlo per quelli del prossimo e degli stessi suoi parenti.
Deva persuadersi che
metto fedelmente in serbo i frutti di tutte le preghiere, di tutti i
buoni desideri che mi sono offerti per essa, e glieli porrò nelle mani
quando non ci sarà più pericolo che li perda. Tale disposizione le sarà
assai più salutare che se le dessi immediate consolazioni dopo la
preghiera, perchè quella gioia darebbe occasione a sentimenti di
orgoglio e di vana gloria; se poi le dessi prosperità temporali,
l'anima sua forse le trasformerebbe in occasione di colpa ».
CAPITOLO LXXXI. - VANTAGGI DELL'OBBEDIENZA
L'ebdomadaria recitava a memoria il capitolo del Mattutino con
l'intenzione di osservare perfettamente la S. Regola, che ordinava di
recitarlo in quel modo. Geltrude vide che quella Religiosa acquistava,
con tale atto di obbedienza, tanti intercessori in cielo, quante erano
le parole del capitolo. «All'ora della morte - affermava Geltrude a
questo proposito, usando le parole di S. Bernardo, - l'agonizzante
sentirà la voce di tutte le opere sue. Fosti tu che ci eseguisti -
diranno esse - noi siamo cosa tua, nè ti abbandoneremo giammai, ma
verremo teco al tribunale di Dio. Allora tutti gli atti di obbedienza,
prenderanno essi pure una voce per rassicurare il morente: essi avranno
l'autorità di potenti personaggi, ciascuno dei quali basterà a sventare
l'accusa d'una negligenza, o d'un fallo, e l'agonizzante sarà
sommamente consolato nelle sue angosce ».
CAPITOLO LXXXII. - RACCOMANDAZIONE D'UNA EBDOMADARIA CHE
LEGGEVA IL SALTERIO
Una ebdomadaria, che doveva recitare il Salterio prescritto dalla
Regola, si era raccomandata alle preghiere di Geltrude. Questa vide in
ispirito il Figlio di Dio, condurre l'ebdomaria davanti al trono di Dio
Padre. Gesù lo pregò di rendere partecipe quell'anima dell'ardente
amore e della fedeltà, coi quali Egli stesso aveva desiderato la sua
gloria e la salvezza misericordiosa del mondo. Egli bramava che
l'ebdomadaria, aiutata da quel soccorso, ottenesse le grazie desiderate.
Quando il Figlio ebbe invocato ii Padre, la persona, per cui aveva
pregato, apparve ricoperta di abiti simili ai suoi, e giacchè si legge
che il Figlio si tiene in piedi davanti al Padre, ad intercedere per la
Chiesa, così anch'essa, come la regina Ester, stava ritta affine di
pregare in unione a Gesù per il suo popolo, cioè per il suo Ordine.
Ella adempì a tale obbligo sempre nella stessa positura, ed il Padre
accettò le sue parole in due modi: dapprima come un signore che ottiene
da un mallevadore il saldo del debito, di cui si è fatto garante; poi,
come un padrone che riceve dal suo intendente una somma di danaro, per
distribuirla a' suoi cari amici. Geltrude vide che il Signore ascoltava
tutte le preghiere che quell'anima gl'indirizzava per la Comunità, anzi
scorse che l'aveva posta davanti a sè, per distribuire alle sue
Consorelle tutto quello che bramavano.
CAPITOLO LXXXIII. - UTILITA' DELLA SOMMESSIONE AI SUPERIORI
Geltrude aveva pregato Gesù di correggere Lui stesso i difetti di un
Superiore. Ella ricevette questa risposta: «Non sai tu che, non soltanto
quella persona, ma che tutti coloro che stanno a capo di quest'Ordine,
che mi è così caro, hanno qualche difetto? Nessuno quaggiù è
impeccabile. La bontà, la dolcezza, la tenerezza che ho per questa
Congregazione, fanno sì che esercito i suoi membri nella virtù,
permettendo che i Superiori commettano qualche mancanza; i sudditi ne
avranno un immensa accrescimento di gloria, perchè ci vuole maggiore
virtù a sottomettersi ad una persona di cui si conoscono le deficienze,
che a un'altra, le cui azioni sembrano perfettissime ». Ma
Geltrude insistette: « Dolcissimo Gesù, quantunque io provi una gioia
immensa, pensando che gl'inferiori accrescano i loro meriti, pure
gradirei di più che i Superiori fossero irreprensibili, perchè temo che
le loro mancanze siano frutto di fragilità ».
Rispose l'amabile Maestro: «
Io che conosco i loro difetti permetto che negli incalzanti impegni
della loro carica commettano qualche fallo, senza di cui forse non
riuscirebbero mai a diventare veramente umili. Invece nelle loro
deficienze, come anche nelle loro buone opere, i meriti degl'inferiori
si accrescono e gli stessi Superiori guadagnano, tanto per i difetti
che per le virtù dei sudditi, proprio come tutte le membra di un corpo
contribuiscono al suo benessere generale».
Geltrude comprese allora la bontà e la sapienza infinita del Signore,
che prepara con tanta industria il trionfo degli eletti, servendosi
meravigliosamente dei difetti per fare progredire nelle virtù. Se la
stupenda, ineffabile misericordia di Dio, non le si fosse palesata che
in questa sola circostanza, tutte le creature, unite insieme, non
potrebbero mai lodarne sufficientemente il Signore.
CAPITOLO LXXXIV. - LA VERA PURIFICAZIONE DELL'UOMO
Un giorno Geltrude, mentre pregava per una persona afflitta, ricevette
questa risposta: « Non
temere, figlia mia; io non permetto mai che i miei eletti siano
tribolati al di là delle loro forze e mi tengo sempre presso di loro
per moderare, quando occorra, la prova. Una madre che riscalda il suo
pargoletto, tiene la mano fra il fuoco ed il bambino. Tale è la mia
condotta a riguardo dei giusti, perchè non è già per bruciarli, ma per
purificarli e salvarli, che li espongo al fuoco della tribolazione».
Poco appresso Geltrude offrì le sue preghiere al Signore per un'anima,
dalla quale desiderava la conversione e, nell'impazienza delle sue
brame, disse a Gesù: « Io sono è vero l'infima delle tue creature, ma
poichè è per la tua gloria che io voglio la salvezza di quest'anima,
donde avviene che, potendo ogni cosa, Tu non mi esaudisci? » «La mia Onnipotenza - rispose Gesù
- mi permette di fare tutto ciò che voglio; ma la mia Sapienza mi fu
discernere l'ora e il modo più adatto per l'esecuzione de' miei
disegni. Un re desidera che le sue stalle siano ben tenute e potrebbe
ristabilirvi l'ordine e la pulizia, scopandole egli medesimo; però non
lo farà mai, perchè le convenienze non glielo permettono. Così io
desidero la conversione dei peccatori, ma quando un'anima cade
volontariamente nel male, Io non ne la ritraggo, se prima, aiutata
dalla grazia, non fa violenza a se stessa e non stende verso di me la
mano perchè possa decentemente pigliarla».
CAPITOLO LXXXV. - COME IL SIGNORE SUPPLISCE PER LA CREATURA
Un giorno Geltrude vide che una Suora, percorrendo gli stalli del coro,
raccomandava, in nome della Superiora, l'osservanza di una
particolarità, la cui omissione avrebbe turbato l'ordine della
Salmodia. La Santa chiese al Salvatore se gradisse quell'atto di zelo.
Egli rispose: «Quando
un'anima si dà pensiero di prevenire, per la mia gloria, ogni
negligenza durante l'Ufficio, ne la ricompenso, supplendo Io stesso a
ciò che può mancarle nel fervore e nell'attenzione».
CAPITOLO LXXXVI. - OFFERTA A DIO DEI DOLORI E DELLE PERDITE
DI PERSONE CARE
Geltrude stava supplicando il Signore per una persona desolatissima
d'aver perduto un'amica prediletta. Le disse Gesù: « Vi hanno tristezze più amare
delle altre; quelle per esempio che si risentono quando si riceve la
notizia della morte di una persona amata, presso la quale si riceveva,
non solo le consolazioni dell'amicizia, ma anche il buon consiglio per
il progresso spirituale. Ebbene, se in tale frangente, l'anima si
rassegna alla mia Volontà, dicendo: «Accetto il divin beneplacito e, se
mi fosse data la scelta fra il compimento della Volontà di Dio e
l'effettuazione del mio desiderio contrario, sceglierei che la Volontà
di Dio si compisse. Se un cuore afflitto si facesse violenza ed
accettasse il mio Volere per la durata di un'ora potrebbe andar sicuro
che conserverei sempre a quest'atto generoso la primiera sua perfezione
e che, lungi dall'offendermi per le impressioni di abbattimento che ne
potessero seguire, le farei tutte convergere alla sua salvezza eterna
ed alla sua temporale consolazione. Quando quest'anima rifletterà
desolatamente ai vantaggi che ha perduti con la morte della persona
diletta e al vuoto della sua assenza, io conterò tutti questi pensieri
ed altri consìmili derivanti dall'umana fragilità, impegnandomi a
compensarli con gioie e con meriti. La mia bontà mi obbliga ad agire
così. Come l'orefice che prepara in un metallo prezioso il posto per
diverse perle, prende l'impegno di trovarle e d'incastonarvele, così la
mia bontà non lascia incomplete le opere sue. La mia divina
consolazione è qui paragonata alle gemme preziose, perché si suole
attribuire a tali perle proprietà speciali. Infatti quella consolazione
celeste, comprata dall'uomo a prezzo di dolori, possiede tale virtù da
supplire a ogni perdita, con sovrabbondanza di conforti nel tempo e
nelle eternità ».
CAPITOLO LXXXVII. - COME IL SIGNORE RIPARA LE COLPE DI
FRAGILITA'
Geltrude pregava per una persona bramosa di possedere davanti a Dio il
merito della verginità e che temeva, per l'umana debolezza, di avere
contratto qualche colpa in sì delicata materia. Tale persona le apparve
fra le braccia di Gesù; era ricoperta di una tunica candida come neve,
con pieghe disposte artisticamente. Il Signore volle benevolmente
istruirla, dicendole: « Quando,
per umana fragilità, qualche ombra offusca l'anima vergine, se essa
rimpiange il male fatto e compie qualche penitenza, io trasformo le sue
colpe in adatti ornamenti analoghi alle pieghe che danno all'abito
grazia e bellezza. Tuttavia, giacchè rimane sempre vera la parola della
S. Scrittura: Incorruptio proximum facit esse Deo - La perfetta purezza
avvicina l'uomo a Dio (Sap. VI, 20) così, se tali macchie si
moltiplicassero, metterebbero un ostacolo alle effusioni del divino
amore, come la sovrabbondanza degli abiti impedisce nella Sposa gli
abbracci dello Sposo ».
CAPITOLO LXXXVIII. - OSTACOLI FRAPPOSTI ALL'AZIONE DIVINA DAL
GIUDIZIO PROPRIO
Geltrude pregava per un'anima desiderosa delle divine consolazioni; ma
Gesù le disse: «Essa
mette ostacolo all'effusione della grazia. Quando attiro i miei eletti
alla intimità del mio amore, agisco in corrispondenza alle loro
disposizioni; colui che si ostina nell'attacco al suo amor proprio,
assomiglia ad una persona che si turasse le narici per non respirare
l'olezzo dell'atmosfera, imbalsamata di fragranze. Invece colui che per
amor mio rinuncia alle sue personali vedute, acquista tanti meriti
quanto maggior violenza si imposta, praticando l'umiltà e giungendo a
vittoria completa, perciò l'Apostolo ha detto: « Non coronabitur risi
qui legitime certaverit - Nessuno sarà coronato se non avrà
legittimamente combattuto » (II Tim. II, 5).
CAPITOLO LXXXIX. - LA VOLONTA' EQUIVALE ALL'OPERA
Geltrude supplicava Nostro Signore per una persona che trovava grande
difficoltà in un lavoro che le era stato imposto. Gesù volle istruirla
con questo paragone: «Ecco
un uomo che, per amor mio, vuole intraprendere un grande lavoro nel
quale teme difficoltà enormi, tanto che, quasi certamente, la sua vita
interiore ne proverà detrimento. Ebbene sappi che se in questo caso,
preferirà il compimento del mio Volere al bene stesso della sua anima,
io stimerò tanto la sua buona intenzione, d'accettarla come se il
lavoro fosse già compiuto. Quand'anche quest'uomo non iniziasse neppure
l'opera sua, io lo ricompenserei come se l'avesse compiuta a perfezione
».
CAPITOLO XC. - NON BISOGNA PREFERIRE L'ATTIVITA' ESTERIORE
ALLA VITA INTERIORE
Un giorno Geltrude pregava per una persona annoiata da varie
preoccupazioni esterne, che per altro dipendevano dalla sua volontà. Le
disse Gesù: « Tali pene
la purificano dalle macchie che ha contratte, abbandonandosi troppo
agli affari esterni, preferendo i vantaggi umani al profitto spirituale
». Rispose Geltrude: « Poiché non ci è dato vivere senza l'uso dei beni
esterni, come mai questa persona può avere peccato, avendo ella una
carica importante a cui soddisfare? ».
Le rispose Gesù: « Per
una nobile donzella è un onore indossare un mantello foderato di
pelliccia tigrata; ma se ella volesse mettere l'indumento in modo da
lasciare al di fuori la pelliccia, quell'ornamento onorevole
diventerebbe motivo di confusione. La madre sua, non potendo sopportare
quel vestire ridicolo, le getterebbe almeno sulle spalle un indumento,
per nascondere in qualche modo quella bizzarria che la farebbe sembrare
insensata. Ed io che amo teneramente questa persona che mi è figlia,
dissimulo i suoi difetti, coprendoli con quelle noie che risultano
dalle sue occupazioni, senza per altro che vi sia vero colpa. Di più la
rivesto di pazienza, come di un ornamento privilegiato, avendo
raccomandato nel Vangelo di cercare prima di tutto il regno di Dio
(Luc. XVI, 31) cioè il progresso spirituale. Quanto alle cose esterne,
non ho neppure detto di cercarle in secondo luogo, ma ho promesso di
darle in sopra più ».
I religiosi che bramano essere amici di Dio, devono pesare attentamente
la verità di queste parole.