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Due becchini con una bara

Al termine delle vacanze dell’anno scolastico 1872-73 Don Bosco sognò d’incontrarsi con un allievo che stava rientrando nell’Oratorio. Lo salutò cordialmente:
— Ebbene, mio caro, come hai passato le vacanze?
— Bene — rispose.
— Ma dimmi: i proponimenti che avevi fatto li hai osservati? — No! Erano troppo difficili; ecco, i suoi ricordi e i miei propositi li ho messi in questa cassetta.
Così dicendo gli mostrava una cassettina che aveva sotto il braccio.
— Povero infelice! Almeno cerca di aggiustare subito le cose dell’anima tua.
— Ma che anima! C’è tempo... E poi... e poi... E intanto si allontanava.
— Ma perché fai così? Ascoltami e ti troverai contento.
— Uff! esclamò scrollando le spalle, e se ne andò.
Don Bosco, seguendolo con uno sguardo pieno di mestizia, esclamò:
— Povero ragazzo! Sei stato rovinato e non vedi la buca che ti sei scavata.
Così dicendo si svegliò e fantasticò a lungo sull’incontro con quel giovane che ben conosceva, e non poteva darsi pace. Finalmente, ripreso sonno, continuò il sogno interrotto.
«Mi parve — racconta Don Bosco — di trovarmi solo nel cortile, diretto verso la portineria, e di incontrarmi con due becchini. Fuori di me per la sorpresa, mi avvicino e domando loro:
— Chi cercate?
— Il morto — rispondono.
— Qui non c’è alcun morto; avete sbagliato porta.
— Non è questa la casa di Don Bosco?
— Per’l’appunto — risposi.
— Ebbene, siamo stati avvisati che un giovane di Don Bosco era morto e che si doveva farne la sepoltura.
— Ma come va — fantasticavo — che io non so niente?
Seguii i becchini verso i portici e lì trovammo una cassa da morto, sulla quale da una parte era scritto il nome del giovane morto, con la cifra dell’anno 1872; dall’altra parte erano scritte queste terribili parole: « Vitia eius cum pulvere dormient» (Porterà nella tomba i suoi vizi).
I becchini volevano portarlo via, ma io mi opposi dicendo:
— Non lascerà mai che un mio figlio mi venga tolto senza che io gli parli ancora una volta.
E mi posi attorno alla cassa cercando di romperla, ma non mi fu possibile. E poiché le cose andavano per le lunghe, i becchini si impazientirono, si misero a protestare e uno, nella furia, diede un gran colpo sulla cassa, che mi svegliò. Per il restante della notte rimasi triste e malinconico. Giunto il mattino, per prima cosa chiesi notizia di quel tale e seppi che si divertiva in ricreazione. Allora fu alquanto mitigato il mio dolore».
Senza dubbio Don Bosco fece il possibile per preparano al gran passo, ma poi dovette assentarsi dall’Oratorio. E proprio in quei giorni il giovane si ammalò gravemente. Accorse Don Cagliero, che con le maniere più soavi lo invitò a pensare alla sua anima, ma il giovane disse che lo lasciasse tranquillo. Don Cagliero tornò e prese a discorrere di questo e di quello, ma appena gli fece qual che domanda sulla vita privata, il poveretto, accortosi dove il sa cerdote sarebbe andato a finire, tacque e si voltò dall’altra parte. Don Cagliero andò egli pure dall’altra, e il giovane tornò a voltarsi silenziosamente. Così fece più volte e morì senza Sacramenti il giorno in cui Don Bosco rientrava all’Oratorio.
L’impressione che fece questa morte fu enorme e durò molto tempo.
Tra i giovani dell’Oratorio c’era la persuasione che era bello morire assistiti da Don Bosco. E in realtà avvenivano morti invidiabili per la serenità che le accompagnava. Questo quindi è un caso raro e forse unico di una morte poco desiderabile. Don Bosco l’aveva prevista nel sogno citato e non aveva risparmiato sollecitudini per portare il giovane quindicenne sulla buona strada. Ma la grazia di Dio esige sempre la collaborazione della volontà umana, che in questo caso purtroppo mancò, causando a Don Bosco un grave dolore.