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4 -"Un cuore per amare e un corpo per soffrire

"Grazie, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire".

Queste parole che Madre Speranza ha voluto fossero scritte all'ingresso delle piscine del Santuario di Collevalenza, dove tanta gente sofferente giunge ogni giorno in cerca di sollievo e di pace erano la sua preghiera di gratitudine e l'espressione di un programma nel quale tutta la persona veniva coinvolta in un progetto di vita offerta a Dio come gioioso olocausto.

La vita di Madre Speranza è segnata da grandi sofferenze. Non solo da quelle che la vita riserva, in misura più o meno grande, ad ogni persona, ma da sofferenze straordinarie, spesso inaudite. Sofferenze di ogni genere: fisiche, morali, psicologiche.

È sorprendente che mentre la sofferenza sembra annientare la felicità a cui tutti gli uomini tendono, ci siano persone che, non solo non si oppongono ad essa, ma la accolgono, la deside­rano, la chiedono. E queste persone non sono tristi; al contrario sono le più felici nel profondo del loro essere e sono loro che donano agli altri forza e serenità.

C'è, forse, nella sofferenza un altro genere di felicità? Certamente! È la gioia che esperimenta solo chi la com­prende e la vive alla luce della Croce. I santi, e tra questi Madre Speranza, fanno posto alla sofferenza non per essere tri­sti, ma felici. Essa nasce come esigenza di amore e rende l'a­more ancora più fecondo. Il dolore "è come un aratro che spezza le zolle per consentire al seme di prendere radici e di crescere diventando una forte pianta... Sì, se ami profonda­mente, il terreno del tuo cuore sarà sempre più spezzato, ma ti rallegrerai per l'abbondanza dei frutti che porterà".

Madre Speranza non amava la sofferenza in sé, ma i frutti di amore che essa produce.

Esiste, poi, una sofferenza-vicaria che controbilancia gli egoismi e i peccati degli uomini. Madre Speranza accettò di soffrire, anzi lo chiese ripetutamente al Signore, per espiare i peccati degli altri, specialmente dei Sacerdoti.

Per i sentieri di Dio

Non era stata una difficoltà, ma una gioia e una fortuna per lei ritrovarsi fra le Religiose di Maria Immacolata, fondate dal santo Vescovo Antonio Maria Claret.

Lo zelo intelligente e tempestivo di questo santo si manife­stò soprattutto attraverso un'azione volta a moltiplicare e incoraggiare associazioni religiose e buona stampa per met­terle al servizio del regno di Dio. Madre Speranza era già per­meata dal suo spirito apostolico, poiché la Congregazione delle Figlie del Calvario e le Costituzioni che la reggevano erano state da lui incoraggiate e benedette. Nell'Istituto di Maria Immacolata delle Missionarie Claretiane vi rimarrà nove anni durante i quali il Signore la condurrà per vie davvero straordi­narie.

Il suo cammino ascetico si incrociò con quello mistico e come ali di colomba la trasportarono verso le altezze di Dio. Se tra le Figlie del Calvario il suo cammino era stato prevalente­mente ascetico, fatto, cioè, di estrema povertà, di rinunce, di mortificazioni, di obbedienze umilianti, quello tra le missiona­rie Claretiane sarà soprattutto un periodo contrassegnato, sì, da sofferenze fisiche e prove morali, ma soprattutto da consolanti visioni e interventi straordinari di Dio e da quelli rabbiosi del demonio. Dopo un periodo di contemplazione e di dedizione ai poveri, nel quale lei come creatura è protagonista, mettendo in atto le sue qualità e le sue forze, da ora in poi sarà Dio a pren­dere in mano il timone della sua vita per condurla nei mari aperti della sua carità infinita.

Sarà questo il periodo nel quale inizierà a rivivere nel suo corpo i segni della passione di Cristo.

Il primo documento che parla di questi episodi straordinari è una lettera scritta il 4 aprile 1928 dalla madre Generale, Patrocinio Pérez de Santo Tomàs a P Felipe Maroto cmf, procuratore generale dei Claretiani. In questa lettera si afferma che nel periodo che va dall'agosto del 1926 al dicembre del 1927 Madre Speranza fu tormentata dal demonio e più volte, soprattutto quando era malata ricevette la S. Comunione in maniera non consueta, cioè dalle mani di un angelo.

Guardando il cielo da una finestra

È impensabile dove è capace di portare la gelosia.

Unita sempre alla menzogna e alla calunnia è un "venticello" che non risparmia neppure i conventi, specialmente fem­minili.

Il 12 maggio 1925 Madre Speranza fu trasferita da Vicàl­varo (Madrid) a Vélez Rubio (Almería).

C'era in quel Convento - racconta la signorina Pilar de Arra­tia - una religiosa che si occupava delle bambine ed era da esse benvoluta. A Madre Speranza fu dato l'incarico che aveva que­sta religiosa. La rettitudine morale e il grande amore che nutri­va per quelle bambine la portavano a non permettere il minimo disordine, ma lo faceva con tanta delicatezza e carità che le bambine non solo la seguivano, ma rimanevano affascinate e piene di gratitudine nei suoi confronti. In breve cambiò la fi­sionomia del collegio e le bambine erano tutte piene di fervore e desiderose di farsi sante.

Questo fatto suscitò la gelosia della suora sostituita e nel convento cominciarono a succedere cose strane, come spari­zione di oggetti. Di tutto ciò era regolarmente accusata Madre Speranza: era essa che sottraeva le cose del convento per darle alle bambine e così comprarsi la loro simpatia. Un po' alla volta l'intera Comunità si convinse che era lei la colpevole di tutte le malefatte che succedevano e si decise di rinchiuderla in una cella dove rimase per sette mesi, nella più completa solitu­dine, mangiando poco e dormendo per terra. "In quella solitudine - afferma la stessa Madre Speranza - passavo le notti guardando il cielo. Lì ho imparato ad amare". Perché Madre Speranza non si difese? Perché non cercò di dimostrare la sua innocenza? Non lo aveva fatto Gesù, ingiustamente vilipeso e condannato a morte, perché doveva farlo lei che tanto desiderava rassomigliare al suo Maestro? "Ho sofferto molto - scriverà riferendosi a questo episodio vedendo che mi si accusava di cose che non avevo né fatto né pensato.

La natura ribelle mi spingeva a scusarmi, però, tenendo fisso lo sguardo su Gesù Crocifisso trovavo il coraggio di fare il contrario. Mi vedevo disprezzata da tutti, sola e senza alcun affetto, privata anche del necessario, ma mi sentivo felice, molto felice, perché non ho mai distolto il mio sguardo dal Crocifisso".

Un corpo per soffrire...

Più volte e in maniera molto violenta la malattia tormentò il corpo di Madre Speranza, specialmente nei primi anni della sua vita di Claretiana. Un interessante documento è l'attestato rilasciato il 22 dicembre 1925 dal Dr. Rafael Nevado Requena.

"Ho conosciuto Madre Speranza di Santiago Alhama Valera che risiede in questo convento di Maria Immacolata a Vélez Rubio; di statura regolare, fisico forte, colore pallido, intelli­genza chiara, forte nel dolore, premurosa ed attenta con tutti, rispettosa verso i Superiori, affettuosa e discreta con le bambi­ne nella scuola e nella formazione. I suoi genitori e i suoi fra­telli sono viventi e nessuno di essi ha sofferto malattie infettive e contagiose. Nella sua infanzia non ha avuto particolari malat­tie. Ha sempre mangiato indistintamente di tutto, come si fa in famiglia: carne, grassi, pesce, vegetali. Dopo il suo ingresso in religione, essendo un giorno dovuta restare a lungo bagnata ebbe necessità che il medico le prescrivesse molti medicamen­ti; comunque in questo spazio di tempo ha avuto continui di­sturbi, finché in Madrid ha dovuto subire un intervento opera­torio per cisti ovarica…

Questa operazione, fatta nel gennaio de 1922 nell'ospedale di S. Carlos di Madrid, eseguita dal Dottor Recasens ebbe delle conseguenze dolorose, con prolungati ricoveri in ospedale.

La ferita rimase aperta per quindici giorni; le misero allora di nuovo i punti e, apparentemente guarita tornò a casa, ma dopo un mese cadde e si ruppe la sutura interna.

Nuovo intervento con il risultato di una brutta ernia della quale dovette operarsi nel luglio dello stesso anno per ben due volte.

Sembrava tutto risolto, quando nel mese di agosto cadde scendendo le scale mentre portava una cassa.

I punti interni si ruppero, ma invece di un altro intervento chirurgico il Dottor Pérez del Yerro consigliò un tipo di fascia­tura che produsse, dopo una quindicina di giorni, uno sfogo su tutto il corpo. La Madre Priora della Comunità pensò, a questo punto di fare una Novena al Cuore Immacolato di Maria per l'intercessione del venerabile Padre Claret onde ottenere la guarigione di Madre Speranza. Nella notte tra il sei e il sette settembre Madre Speranza si ritrovò prodigiosamente guarita della sua ernia.

Ma non cessarono le sofferenze: come conseguenza dei narcotici che le furono somministrati nei tre interventi fu colta da una terribile forma di gastrite cloroformica e da una conse­guente stomatite ulcerosa. Tutto ciò la condusse alle soglie della morte.

Nell'agosto del 1924 dovette ricorrere al medico perché non poteva più mangiare e aveva continui vomiti di sangue.

La situazione peggiorò nel febbraio dell'anno successivo con perdita di coscienza. Il parroco di Santa Maria la Antigua la confessò ma non poté amministrarle il Viatico perché rimet­teva tutto. Le fu amministrato il Sacramento degli infermi e si fecero le preghiere di raccomandazione dell'anima.

Il 16 febbraio 1925, alle due e mezza della notte non aveva più polso, ma alle sette, inaspettatamente, chiese la Santa Comunione e subito si ritrovò completamente guarita.

Così racconta Madre Speranza questa sua definitiva guarigione: "La Madre Superiora mi chiese se mi sentivo in grado di ricevere la Comunione. Io dissi di sì ed allora essa si recò ad avvisare perché me la portassero.

Nel frattempo io tornai a raccomandarmi al mio Santo Padre Claret con una confidenza tale che è difficile spiegare. Poco dopo ho ricevuto la Comunione e insieme con essa il beneficio della salute sentendomi immediatamente guarita, tanto da sentirmi come se prima non avessi avuto niente"

...e un cuore per amare

La partecipazione ai misteri della vita di Cristo è la strada maestra per giungere alla piena conformità della propria volontà a quella di Dio, per giungere ad amare come lui ama.

Madre Speranza si era proposta con piena consapevolezza e determinazione questa meta ed era quindi disposta ad accet­tare, oltre alle pene fisiche, quella lacerazione intima del cuore che consiste nel tormento del dubbio e dell'abbandono, nella continua lotta contro ogni parvenza di peccato, nell'oscurità e aridità della fede. Chi si mette su questa strada esperimenta insieme alla fedeltà di Dio tutto il peso di una umanità della quale condivide i destini, le angosce, le speranze. È attraverso questo martirio del cuore, attraverso questa dolorosa Via Cru­cis che il cuore ritrova la sua unità, si spoglia di ogni attacca­mento umano e diventa capace di amare tutti senza misura.

Ecco un passo del suo "Diario" che rivela questo suo tormento interiore: "Collevalenza 1 giugno 1952. - Non so cosa mi succede, Pa­dre mio, mi sento, infatti, senza forze e con una specie di ripu­gnanza e noia nei confronti di tutto ciò che mi circonda. Mi sento spinta a rimanere nella mia stanzetta, sola con il mio Dio e devo fare uno sforzo per essere in mezzo ai figli e alle figlie poiché sento un fastidio e un abbattimento morale che non mi permette di trovare alcuna consolazione nelle cose che mi circondano, ma nonostante questo, io credo, Padre, che amo il buon Gesù tanto, tanto, al punto che molte volte il mio debole cuore non riesce a sopportare questo fuoco ardente dell'amore e sono costretta a dire: "Basta, Gesù mio, attenua questa fiamma perché non posso più resistere".

Una comunità fatta per santificarsi

Da Vélez Rubio, dove aveva passato sedici mesi, sette dei quali chiusa in una cella, Madre Speranza, nel settembre del 1926, fu trasferita a Madrid nella comunità di Calle Toledo.

Qui rimarrà per poco più di due anni, fino al 31 dicembre 1928, con l'incarico di economa e vicaria della casa.

Vi era in Calle Toledo il collegio di Nostra Signora del Carmine, una fondazione sostenuta da una associazione di signore. In esso si accoglievano bambine esterne alle quali si dava una conveniente istruzione e formazione. Insieme a Madre Speranza si erano trasferite in questa comunità alcune suore di Vélez Rubio le quali conservavano ancora riserve e pregiudizi nei suoi confronti. Questo le procurò non poche sof­ferenze. La comunità, infatti, era molto prevenuta nei suoi con­fronti. Se si perdeva qualcosa era sempre lei che veniva incolpata e veniva costretta a ricercare ciò che mancava per intere giornate. Ma Dio permise che la Superiora, Madre Anna Rué, religiosa esemplare, dopo alcuni fatti, si rendesse conto del­l'innocenza di Madre Speranza.

"Che vorrà il Buon Gesù da me?"

Era la domanda che Madre Speranza si poneva ogni giorno. Per avere una risposta pregava, si metteva in ascolto di Dio, soprattutto chiedeva aiuto al suo Padre Spirituale.

Nel suo Diario aveva scritto: "Il Buon Gesù mi ha detto che Lui desidera servirsi di me per compiere grandi cose".

Ma di quali cose si tratta? E in che modo? E... proprio di me che non valgo nulla vuole servirsi?

Sa soltanto che dovrà portare a termine un'opera per la cui realizzazione si sarebbe ritrovata sola, abbandonata da tutti. Intravede anche che questa opera, per l'immediato, consiste nella creazione di qualcosa a favore non delle giovani che po­tevano pagare, ma della gioventù più povera e più bisognosa. Ne parlò, oltre che con il Padre Spirituale, anche con i suoi Superiori e con il Vescovo perché si trattava di modificare le Costituzioni. Esse, infatti, secondo Madre Speranza, consen­tivano, sì, una intensa vita di contemplazione, ma non garanti­vano una piena attenzione e condivisione con i poveri. E lei sentiva, nelle profondità del suo cuore, proprio questo: un forte desiderio di unire alla vita contemplativa la cura dei più biso­gnosi. Sembrava anzi che quanto più cresceva la sua unione con Dio tanto più aumentava il suo desiderio di avvicinarsi come buon samaritano ai fratelli più bisognosi.

Tra le suore che componevano il consiglio generale, alcune le erano favorevoli, altre no. Il Vescovo da parte sua accolse con entusiasmo la proposta e chiese di fare un tentativo nel col­legio di Calle Toledo. Lì si aprì un internato e vennero accolte bambine povere. Madre Speranza, oltre ad essere economa e vicaria, si incaricava personalmente di esse.

L'esperienza fu positiva e le prospettive di sviluppo erano buone.

Ma nel Natale del 1927 avvenne un episodio straordinario e determinante che la stessa Madre Speranza racconta con ric­chezza di particolari e con il suo solito buon umore.

Un mese prima della grande festa di Natale cominciò a pen­sare che per quella circostanza non poteva esserci niente di più bello che dar da mangiare a molti poveri. Si rivolse alla Madre Superiora dicendo: "Madre io credo che sarebbe bene, durante le feste di Natale dare da mangiare a tutti i poveri che vorranno venire a questa nostra casa". Quando mancavano soltanto tre o quattro giorni tornò di nuovo dalla Superiora per chiederle la stessa cosa. "Di quanto denaro disponi per comprare ciò che è necessario per dar da mangiare a questi poveri?"- chiese la Superiora. "Ho solo 300 pesetas". "Va bene. Con questo dena­ro compri quello che può, lo metta in disparte e non prenda nulla dalla dispensa". Con 300 pesetas cosa si poteva compra­re? Non più del necessario per due o tre persone! Era già qual­cosa... un po' di carne, di olio, di frutta: ecco tutto quello che lei poteva mettere, ma a Gesù cosa sarebbe costato aggiungere il resto?

Il giorno di Natale vide arrivare fin dal mattino, come fioc­chi di neve, una quantità incredibile di poveri. La Superiora, spaventata, chiama Madre Speranza e le dice: "Venga a vedere: ... Crede che tutti questi siano veramente poveri?". "Penso di sì". "E chi li ha chiamati?'. "Io no, Madre; sarà stato il Signore!".

"Cosa pensa di fare a questo punto, Madre Speranza?"

Con una fede immensa e con una fiducia illimitata andò in cappella e così pregò: "Signore non hai forse detto: ‘Chiedete e vi sarà dato...? Non sei stato tu a mandare questi poveri?’.

"Il Signore - conclude Madre Speranza - fu così generoso che dopo aver dato con abbondanza da mangiare a tutti quei poveri, che tra uomini e donne erano più di quattrocento, avanzò carne, olio e frutta per due o tre mesi".

Il problema nacque quando si trattò di sistemare tutte quelle persone. Si decise per un loggiato che era nella casa.

Era bello, il giorno di Natale, vedere tutti quei poveri man­giare serenamente, pieni di gratitudine verso Dio e verso le suore che erano state la mano provvidente di Dio. Ma all'im­provviso arrivò una signora tutta risentita. Era una delle padrone della casa, una delle.... "Signore Cattoliche" che reg­gevano la casa. Apostrofò Madre Speranza, la colpevole di tutto, dicendo: "Chi le ha dato il permesso di far entrare tutta questa gente a sporcare la casa?". E Madre Speranza candida­mente: "No, signora, non sono venuti a sporcare la casa, ma a mangiare, perché oggi è Natale anche per loro". Si guardi bene - replicò la signora - dal portare un'altra volta tutta questa gente in casa; questo potrà farlo quando la casa sarà sua". A Madre Speranza non restò altro da fare che andare in cappella, come una povera sfrattata e mettersi in ascolto del Buon Gesù che le disse: "Speranza, dove non possono entrare i poveri, non devi entrare neanche tu. Parti subito da questa casa". "D'ac­cordo, Signore, ma dove vado?" - fu la pronta risposta di Madre Speranza. E si mise alla ricerca di un luogo per i suoi poveri.

Non fu questo l'unico contrasto con la Giunta delle "Signore Cattoliche". Altri ne seguirono e si giunse alla deci­sione di abbandonare la casa. Essa si chiuse il 29 dicembre 1928.

Il giorno stesso la Madre Generale accompagnò alcune suore in un'altra casa, trovata subito, provvidenzialmente, in Calle del Pinar.

La breve esperienza di "Calle del Pinar"

I rapporti tra le suore e la Giunta delle "Donne Cattoliche" erano molto tesi. A far traboccare il vaso fu il rifiuto delle si­gnore alla richiesta di aprire una porta, necessaria perché le suore potessero andare nella sala delle ragazze senza dover uscir fuori.

"Se donna Angelita non vuole aprire una porta, non ti preoccupare, Speranza, Io - disse Gesù alla Madre - ti aprirò una casa". E di fatto, quasi miracolosamente, in pochissimi giorni la casa fu trovata in Calle del Pinar.

Quello stesso giorno si presentarono delle persone scono­sciute che offrirono il denaro necessario per acquistarla. Non si hanno molte notizie sulla vita e sui particolari delle attività della casa. Sappiamo che fu eletta Superiora Madre Pilar Antin, mentre Madre Speranza fu nominata "Procuradora" con l'incarico di assistere le bambine, insieme a suor Inés Riesco.

Alcuni passi di una lettera, scritta dalla Superiora Generale delle Claretiane, Madre Patrocinio Pérez al P Felipe Maroto, il 13 dicembre 1928 gettano un po' di luce sulla vita della casa e sulla figura di Madre Speranza nella sua prima esperienza con coloro che sono "i tesori più cari a Gesù, cioè i poveri".

"La ringrazio per aver designato il Molto Reverendo Padre Antonio Naval direttore spirituale di Madre Speranza, perché da questo ne verrà un grande vantaggio tanto in favore di essa, come di tutto l'Istituto. Non so se avrà già ricevuto la lettera che mi disse le avrebbe mandato personalmente, per raccon­tarle tutto quanto è successo con una casa che due o tre bene­fattori intendono comprare e cedere alla nostra Congregazione con la sola condizione di accogliere in essa un internato di bambine povere; per questo alcune signore hanno già destinato una somma a favore della casa e della comunità. Per tutto que­sto Dio si è servito della nostra Madre Speranza, la quale con il consiglio e il benestare del Molto Reverendo P. Antonio Naval, in soli tre giorni ha trasformato in realtà quello che, come lei afferma, era il desiderio di Gesù...

Le ripeto che per me è stato un vero miracolo il fatto che in soli due tre giorni si sia potuto risolvere e aggiustare tutto...

In Madre Speranza diventano sempre più frequenti i fatti straordinari; io credo che di alcuni già ne sarà informato anche lei poiché ormai sono diversi i padri che li hanno visti. Io non so che cosa vorrà il Signore da questa creatura, ma adesso sto veramente e completamente tranquilla e mi dà sicurezza il fatto che sia affidata al Molto Reverendo Padre Naval il quale è di­sponibile non solo una volta al mese, come avevamo concor­dato, ma ogni settimana e ogni volta che lo crede neces­sario".

P Antonio Naval, era, come sappiamo, confessore, padre spirituale e consigliere di Madre Speranza.

Era nato in provincia di Huesca, il 16 gennaio 1857. Reli­gioso della Congregazione dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, aveva ricoperto varie e importanti cari­che nel suo Istituto. Colto e intelligente era considerato un maestro nella direzione spirituale. Morì in concetto di santità a Madrid nel 1939.

Tutta per i più poveri

A fare la storia sono gli uomini e le donne che non si accon­tentano del presente. Madre Speranza era insoddisfatta del bene, ed era molto, che si faceva nell'Istituto delle Suore Mis­sionarie dell'Immacolata.

Pur trovandosi completamente a suo agio come religiosa, sentiva il bisogno di fare qualcosa di più. Desiderava favorire maggiormente i veri poveri e voleva che si facesse con vero spirito di povertà, con sensibilità misericordiosa verso tutte le povertà. L'esperienza di Calle Toledo le servì per maturare l'i­dea di dedicarsi non tanto alle giovani che potevano pagare, ma "ai più bisognosi". "Il mio più grande desiderio - scrive - è sempre stato quello di amare i poveri".

La profonda convinzione che era il Signore a mettere nella sua mente tali progetti la portò, dopo tanto silenzio, sofferenze e umiliazioni accettate con fede, a parlare e ad assumere atteg­giamenti decisi una volta ricevuta l'approvazione del suo Padre Spirituale. Il Signore l'andava preparando a compiere grandi cose, ma lei non pensava minimamente a fondare una nuova Congregazione e neppure pensava alle tante e incomprensibili difficoltà che avrebbe incontrato.

Ma chi erano "i più bisognosi" per i quali sentiva una pre­mura più che materna?

In quel particolare momento, per Madre Speranza i più bisognosi erano i bambini di famiglie povere perché esposti più degli altri alle manipolazioni dei nemici della chiesa. Que­sti avrebbero fatto di essi, molto facilmente, data la loro man­canza di cultura, degli strumenti per una sanguinosa rivolu­zione che si andava avvicinando

" In Spagna l'educazione dei poveri - osservava - è molto trascurata e per questo motivo si avvicina una terribile rivolu­zione.

I poveri a causa della loro scarsa cultura tanto religiosa che in­tellettuale, si trovano in uno stato di totale abbandono".

I persecutori della Chiesa avrebbero potuto iniettare facil­mente in essi la menzogna e l'odio, istigandoli contro i ricchi e, con il miraggio di raggiungere un'uguaglianza sociale e un facile benessere senza lavorare, li avrebbero spinti ad azioni inumane di sopruso e di violenza. Madre Speranza percepisce l'imminenza di questi tragici fatti. Si sente corresponsabile del male che i poveri possono fare se non mette in atto tutto ciò che l'amore le suggerisce. Vuole per questo affrettare la sua fondazione, convinta che non potrà più farlo una volta che la rivoluzione sarà iniziata. Comunicò al Padre Antonio Naval questi suoi progetti e la risposta ponderata e chiara fu che in essi effettivamente si vedeva la volontà di Dio ed era quindi conveniente affrettarsi. Lui stesso pose al corrente i Superiori e la Comunità della casa di Madrid incoraggiando quelle che lo desideravano a seguire Madre Speranza nel suo progetto di riforma. Ma di quest'ultima proposta Madre Speranza non fu contenta perché alcune suore che intendevano seguirla lascia­vano molto a desiderare e temeva che nella nuova fondazione pretendessero vivere come prima. Il Padre Spirituale la rassi­curò dicendole che vicino a lei non avrebbero avuto l'ardire di comportarsi come avevano fatto fino a quel momento. Quando il Padre Naval volle dare ulteriori spiegazioni Madre Speranza le disse: "Basta, Padre; a me non è necessario che dia spiega­zioni. Mi è sufficiente saper che, nonostante ciò che le ho espo­sto, lei lo voglia perché anche io lo voglia e lo faccia con gioia".

Fu così che per ordine del Padre Spirituale, accompagnata dalla Superiora, Madre Pilar, si recò a Vicàlvaro, dove risie­deva il Governo Generale, per esporre il suo progetto.

L'abbandono più doloroso

"Qui cominciarono le lotte che venivano da persone molto buone come erano le mie sorelle della Congregazione, Sacer­doti, Religiosi e persone rispettabili, ma queste persone furono accecate ad opera dell'inferno intero, per la loro e la mia sofferenza".

Di fronte alla reazione negativa dei Superiori, Padre Anto­nio Naval andò anch'egli a Vicàlvaro per annunciare che anche il Vescovo di Madrid, Mons. Leopoldo Eijo y Garay, era di parere contrario perché l'opera si portasse a compimento, ma incoraggiò la Madre a perseverare nella sua decisione, con­vinto che quella era la volontà di Dio. Madre Speranza, molto addolorata, ritenne allora conveniente riferirgli un suo presen­timento avuto dopo la Comunione, che cioè per portare a com­pimento l'opera si sarebbe ritrovata sola, abbandonata da tutti, momentaneamente perfino dal suo Padre Spirituale. Era soprattutto questo abbandono a farla soffrire, ma confidava che dopo questa dolorosa prova sarebbe tornata a confessarsi da lui e a ricevere i suoi saggi consigli.

Nonostante l'esplicita dichiarazione del Padre Naval di non abbandonarla per nessun motivo, di fatto, dopo alcuni giorni, costui le comunicò per telefono che il Superiore e il Vescovo gli impedivano di appoggiarla nella realizzazione della sua opera e che se si fosse ostinata nel proseguire sarebbe stata scomunicata. Madre Speranza, con rispetto, ma con altrettanta franchezza disse al Padre Antonio Naval: "Non è forse vero, Padre, che nel rivelarle i sentimenti della mia anima con la chiarezza con cui 1'ho fatto, lei ha compreso che era quella la volontà di Dio? Ha creduto o no che era volontà di Dio e che di Dio era la voce che avevo sentito nella mia anima?".

Il Padre le rispose: "Ti ripeto che credo fermamente che tutto viene da Gesù e che lui desidera che si faccia questa fondazione, però nonostante tutto ti dico che tenendo conto dell'atteggiamento del Vescovo, non si può realizzare ed io non posso seguitare ad aiutarti, né a dirigerti se non lasci per il momento tutto".

La Madre proseguì: "Non mi spaventa il fatto che lei mi abbandoni, Padre mio, infatti lei ben sa che provenendo la visione da Gesù, quello che lei fa era già previsto. Neppure la lotta mi spaventa, dato che lei stesso la vedeva arrivare e mi incoraggiava ad affrontar­la".

Poi alzandosi, senza forze e con il cuore a pezzi, ma non­ostante tutto piena di coraggio aggiunse: "Padre mio, le chiedo una sola cosa: essendo ormai arrivato il momento nel quale deve compiersi la volontà del Buon Gesù, quella, cioè, di essere lasciata sola e senza più poter rice­vere i sui saggi consigli, preghi perché non mi perda di corag­gio neppure per un momento e compia sempre la volontà di Gesù e se non avrò la sorte di vederlo ancora in terra, Gesù fac­cia che ci vediamo nel cielo".

"Solo in Te ho riposto la mia speranza"

Di fronte a questa risolutezza il Padre Naval con gli occhi pieni di lacrime le disse: "Quante sofferenze ti aspettano, figlia mia! Gesù ti aiuti". Madre Speranza pensò allora di rivolgersi al Vescovo di Madrid, il quale giudicava, però, una vera pazzia il suo progetto e infatti non volle neppure riceverla. Lei, più che mai decisa a continuare, chiese udienza al Nunzio Aposto­lico, Mons. Federico Tedeschini, per avere un consiglio, ma anche lui si rifiutò. Ricorse allora al Cardinale di Toledo, Pedro Segura y Saénz, Primate di Spagna, il quale le concesse l'u­dienza. In attesa di essere ricevuta, si riunì la comunità e la Superiora lesse la lettera del Padre Antonio Naval dove si par­lava di scomunica, per la Madre Speranza, se persisteva nel suo proposito, e per le suore che erano intenzionate a seguirla. La Madre fece allora presente alle suore come il padre Naval avesse prima detto che potevano seguirla e adesso diceva di­versamente consigliandole di non continuare.

"Lei, Madre, adesso che fa? - chiesero le suore.

"Io, con l'aiuto del Buon Gesù - rispose decisa la Madre - continuerò a compiere la volontà di Dio". Le suore all'unani­mità dissero: "Anche noi la seguiremo".

Madre Speranza, però, ritenne opportuno consigliarle di aspettare in attesa di ottenere il sospirato permesso. Fece pre­sente il rischio che se l'opera non avesse avuto seguito, si sarebbero trovate fuori della Congregazione e per di più sco­municate.

"Dio prima di tutto" - fu la risposta delle suore, tranne due delle più anziane. Il giorno seguente, accompagnata dalla Superiora, andò dal Cardinale che la consolò e le disse che non c'era motivo per una scomunica e per astenersi dalla Comunione e che lui avrebbe fatto quanto poteva in loro favore.

A sera venne il padre Francesco Naval, fratello di Antonio, che in un primo momento insistette perché abbandonassero l'opera, ma una volta ascoltata Madre Speranza, la incoraggiò a continuare e disse che la scomunica era solo un tentativo del Vescovo per dissuaderla dal suo proposito. Uscito Padre Fran­cesco Naval si presentò il Vescovo che rimase fino alle dieci di sera. Provò a convincerla che era una pazzia continuare e che la scomunica non era stato lui a comminarla. Le consigliò di fare una riforma delle Costituzioni piuttosto che una nuova fondazione.

Fu l'ultimo incontro personale con Madre Speranza; da quel momento infatti per comunicare con essa si servì del Padre Juan Postius che le aveva dato come direttore spirituale, ma con la condizione che gli incontri avvenissero sempre fuori del confessionale perché potesse liberamente riferire al Vescovo quello che Madre Speranza pensava e faceva.

Tornate di nuovo dal Cardinale per informarlo dell'incontro con il Vescovo, Madre Speranza e le suore che la seguivano furono accolte e consolate con cuore paterno e rassicurate del suo aiuto. Il Cardinale chiese alla Madre di scrivere tutto ciò che aveva compreso riguardo alla fondazione da realizzare e tutto ciò che era passato per la sua mente. Ma ci fu una sor­presa: mentre parlavano con il Cardinale arrivò il Vescovo. Le suore furono invitate a passare di nascosto in un'altra stanza. Pensando di aver incontrato nel Cardinale un appoggio sicuro e qualificato, Madre Speranza fu, finalmente piena di gioia. Ma aveva dimenticato la predizione di Gesù, che, cioè, tutti l'a­vrebbero abbandonata. Aveva per un momento riposto la sua fiducia nell'uomo e non soltanto in Dio. Quando andò a por­tare il manoscritto trovò il Cardinale non più favorevole e disponibile come prima, ma dispiaciuto di doverle negare il suo appoggio per riguardo al Vescovo.

Come l'Apostolo Paolo che in un momento difficile della sua vita aveva esclamato: "Tutti mi hanno abbandonato!... il Signore, però mi è stato vicino", Madre Speranza si sentì umanamente sola e sfiduciata, ma esperimentò anch'essa la vicinanza del Signore e imparò a riporre solamente in lui tutta la sua fiducia.

Un momentaneo conforto le venne dall'incontro con il Vescovo di Barcellona, Mons. José Miralles, che la Madre sti­mava per le sue virtù e la sua santità e che in quei giorni si tro­vava a Madrid.

Il presule la consigliò di continuare senza scoraggiarsi dinanzi alle sofferenze e manifestò la sua convinzione che il Signore, a suo modo, l'avrebbe aiutata. Non doveva però illu­dersi perché le lotte e le sofferenze l'avrebbero accompagnata fino a quanto non fosse giunta in Paradiso. Poi aggiunse: "Figlia, non sia mai che il tuo nome sia scritto nel libro dei codardi. Se vuoi venire a Barcellona io ti ricevo nella mia Dio­cesi e ti aiuterò per quanto mi sarà possibile perché si porti a compimento la fondazione".

Era troppo facile e troppo bello accogliere questo invito. Consultatasi con il Padre Postíus, che le ispirava fiducia per la sua prudenza e riservatezza, decise di scegliere la cosa più difficile, quella di rimanere a Madrid a lottare tenacemente per portare avanti non una sua idea, ma quello che fermamente cre­deva essere il desiderio di Dio.