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2 - II Siscar fiorisce

Il "Siscar" non è altro che un arido campo dove la pianta chiamata "sisca" si riproduce facilmente, seccando il terreno, senza produrre alcun frutto: una pianta completamente inutile.

Proprio in una misera baracca di uno di questi luoghi ino­spitali della Spagna, nacque, il 30 settembre del 1893, da José Antonio e María del Carmen, la piccola Josefa Alhama Valera, colei che diventerà Madre Speranza di Gesù, Fondatrice della famiglia religiosa dell'Amore Misericordioso.

Era un periodo storicamente segnato dalla decadenza, socialmente depresso, religiosamente influenzato dall'eresia giansenista.

Nacque da una famiglia molto povera, prima di nove figli. Nulla di più umile e insignificante dal punto di vista umano. Ma la Vergine degli Angeli, a cui era dedicata la chiesetta del Siscar, iniziò da quel giorno a vegliare con particolare amore su quella creatura prediletta. Quando nacque era il tempo della semina, non della fioritura.

I limoni e gli aranci della "huerta murciana" non emana­vano la fragranza del loro profumo inebriante. Le prime piogge, tanto attese, mitigavano l'arsura del terreno di quell'angolo soleggiato del Sud-Est della Spagna, in provincia di Murcia, nella cittadina di Santomera.

Quel giorno, mentre le sementi marcivano nel terreno, sboc­ciò un fiore che doveva spargere nel mondo il profumo di una santità segnata dall'ardore dell'amore e dalla soavità della misericordia.

L'acqua e il pane

L'ambiente geografico nel quale Madre Speranza nacque e visse i primi anni della sua vita è quello caratteristico del le­vante spagnolo. Il clima subdesertico le conferisce una propria originalità.

Le piogge sono rare e riservate solo a brevi periodi del­l'anno.

Il cielo quasi sempre limpido indusse gli Arabi a chiamare questa regione "Il regno serenissimo dell'Azzurro"; infatti, nonostante la "calina", l'atmosfera è limpida, il vento è dolce come in poche altre parti della Spagna.

Il pane, quando nacque Madre Speranza, scarseggiava.

Le condizioni della Spagna, alla fine del secolo XIX, erano molto precarie. Dopo le guerre dinastiche e una serie di colpi militari, aveva perso anche gli ultimi possedimenti coloniali in America e nel Pacifico per cui venne a determinarsi una situa­zione di arretratezza nelle strutture sociali ed economiche.

È impressionante la miseria e l'abbandono in cui vivevano le persone specialmente della campagna.

Tra l'acqua e il pane, tra l'ambiente geografico e sociale c'è una grande interdipendenza.

L’acqua ...questa creatura così umile e così preziosa, così bella e così spaventosa, è stata ed è la grande ricchezza e la grande sventura di molti paesi: anche di quello dove è nata e ha trascorso i primi anni di vita Madre Speranza.

L'acqua dà la vita e dà la morte; dà il pane e porta la care­stia. La sua forza a volte straripante deve essere controllata, addomesticata perché diventi energia e fonte di vita.

Essa ha avuto una grande importanza nella vita di Madre Speranza. Da un paese povero d'acqua del Levante di Murcia giungerà un giorno ad un altro paese della verde Umbria, ma anch'esso povero d'acqua, dove però scaturirà, nel punto da lei indicato, una fonte misteriosa, che lungo il corso dei secoli ser­virà a dissetare i pellegrini e a guarire malattie dell'anima e del corpo.

Il fiume Segura è la grande risorsa di questa regione. I campi che si trovano al di sotto del fiume costituiscono la fa­mosa "huerta". Abbondantemente irrigati producono una grande quantità di limoni, cotone, ortaggi. Soprattutto limoni, fino al punto che Santomera è stata chiamata "El limonar de Europa".

Ampie estensioni del territorio di Santomera, dove non arrivava l'acqua per irrigare, erano un tempo aride e incolte. Attualmente un grande lago artificiale, costruito nell'anno 1950, regola il flusso dell'acqua.

"Riadas" e "rambladas" erano i due nemici più temibili. Bastava uno straripamento del fiume Segura, non lontano, per­ché tutto venisse miseramente travolto. Erano queste le temute "riadas". Oppure bastava una pioggia abbondante e improvvisa, quando la terra riarsa non ne assorbiva abbastanza, per trascinare via tutto ciò che incontrava. Erano queste le cosiddette "rambladas". Il 26 Settembre del 1906 una catastrofica "riada" provocò trentuno morti e la distruzione di quasi metà delle case.

Fu in questa occasione che insieme alla baracca nella quale abitava la famiglia Alhama anche un fratellino della Madre, Je­sús Marta, di pochi mesi, venne portato via dalla violenza delle acque. E la famiglia si ritrovò improvvisamente senza un luogo di rifugio e senza uno dei suoi membri.

La Casa e la Famiglia

La casa è una delle esigenze più sentite e uno dei diritti più inalienabili dell'uomo.

Ma José Antonio non aveva neppure una casa propria. Quella dove abitava con la sua famiglia gli era stata donata da un altro povero, Antonio, "El Morga", che era riuscito a costruirsi una sua casetta più decente e aveva ceduto volentieri al suo amico quella dove era vissuto fino a quel momento, nel terreno che lavorava per il Signor Campillo.

Queste baracche erano fatte con blocchi di terra impastati con paglia; avevano perciò una consistenza molto precaria.

I genitori di Madre Speranza erano molto poveri, ma possedevano molti valori umani e cristiani, come la semplicità, la laboriosità, lo spirito di adattamento; erano pieni di fiducia nella Provvidenza divina e umana, che non mancava di venir loro incontro.

Il padre, José Antonio Alhama Palma, nato il 15 gennaio 1862 e battezzato il giorno seguente, soprannominato "El Marta", era operaio avventizio. Aveva un carattere deciso e vivace. Lavorava tutto il giorno, dove era possibile, senza dimenticare i suoi doveri religiosi e familiari.

La madre, María del Carmen Valera Buitrago, nata a Matanza, frazione di Santomera, e battezzata il 9 ottobre 1873, discendeva probabilmente da una nobile famiglia decaduta.

Era una bella donna, alta, di poche parole, tutta dedita alla famiglia, un po' timida, riservata, ma molto concreta, svelta e soprattutto buona e caritatevole. Visitava i malati e nonostante la povertà faceva l'elemosina ai poveri. Era solita togliere di mezzo ai sentieri di campagna i sassi e le pietre che intralcia­vano il cammino perché - diceva - potevano costituire un peri­colo per qualche passante durante la notte.

Un giorno che un povero bussò alla porta per chiedere un pezzo di pane, poiché la nipote esitava nel darglielo, trattan­dosi dell'unico pezzo che rimaneva, si sentì dire con tono di rimprovero: "Prendilo e daglielo!". Nonna e nipote quella sera rimasero senza cena... volentieri la nonna; un po' meno la nipote.

La sorella della Madre, María del Carmen, parlando della sua famiglia afferma che i genitori andavano a Messa tutte le Domeniche e feste comandate; riferisce che erano, sì, poveri, ma si volevano tutti bene.

In paese c'era solo una scuola materna, che pochi avevano la possibilità e l'interesse di frequentare. Parlando della sorella ricorda che dava prova di speciale pietà e devozione alla Ver­gine, era molto occupata nelle cose di chiesa, lavando purifica­toi e tovaglie per l'altare. Aveva delle buone amiche con le quali i rapporti erano ottimi, ma non andava a balli o feste. Era molto allegra, servizievole e piena di carità. Nelle serate estive, quando la piccola chiesetta del Siscar veniva aperta, non man­cava di recarvisi, per recitare il Rosario. Forse fu proprio intorno a questa chiesetta di campagna che i genitori della Madre, Antonio e María del Carmen si conobbero e decisero di scegliersi come compagni per tutta la vita. Si sposarono il 28 luglio 1892, quando lei aveva 19 anni e lui 30. La prima, dei nove figli che nacquero dalla loro unione, fu María Josefa. Gli altri otto figli, quattro dei quali morirono in tenera età, si succedettero, sempre bene accolti, nonostante le misere condizioni economiche.

Fu in questa casetta che nel 1932 morì, assistito dalla moglie e circondato dai figli che erano presenti, il signor Anto­nio. Madre Speranza si trovava a Madrid dove aveva appena aperto il primo collegio e non poté essere vicina alla mamma e ai fratelli. Offrì al Signore questo sacrificio e pregò intensa­mente per l'anima di colui che Dio aveva scelto per donarle la vita.

Man mano che i figli lasciavano la casa si dovette pensare ad una sistemazione della signora María del Carmen, che era rimasta vedova e non poteva contare sulle scarse risorse dei figli.

La Provvidenza le venne incontro per mezzo di una singo­lare istituzione la cui storia merita di essere raccontata.

Un tal Manuel Campillo Gonzàlez, quando nel 1931 perse la moglie, donna María, volle alla sua memoria, mettere a disposizione dei poveri le abbondanti ricchezze che questa possedeva e fece costruire per essi, nella cittadina di Santo­mera, dodici mini appartamenti, chiamati "cuarticos".

Erano costruiti a schiera, composti da una piccola entrata, una stanza che serviva da cucina e una camera da letto. Un fazzoletto di terreno sul retro fungeva da orto, giardino e pol­laio.

Le famiglie che abitavano di fronte ai vari "cuarticos" si prendevano caritatevolmente cura degli anziani quando ne avessero avuto bisogno. Al centro vi era una cappellina dove ogni sera si riunivano per recitare il rosario. In uno di questi "cuarticos", al numero sette, fu accolta e visse fino al 1954, anno della sua morte, la signora María del Carmen. Un fatto straordinario avvenne in quell'occasione.

Una delle figlie, di nome Carmen, sposata a Santomera, andava abitualmente a visitarla e a prestarle le cure necessarie. Quel giorno si era recata al fiume per lavare. In casa era rimasta la figlia Lola la quale, all'improvviso, vide in casa una suora che le chiese dove erano i vestiti della nonna. Indicatogli il posto la suora li prese ed uscì. Quando Carmen tornò dal fiume, Lola le disse quanto era accaduto. Come faceva ogni giorno, Carmen si recò dalla mamma che trovò, morta, vestita e custodita, sul suo letto. Tutto fa pensare che il Buon Gesù ab­bia concesso a Madre Speranza, che si trovava a Collevalenza, di assistere, in maniera straordinaria la propria mamma nel momento estremo della morte.

L'ambiente religioso

Il periodo storico nel quale Madre Speranza visse i primi anni della sua vita era, dal punto di vista religioso, fortemente contrassegnato dell'eresia giansenista, che presentava Dio come un giudice severo, più pronto al castigo che al perdono.

Ma vi erano già segni di reazione da parte della Chiesa.

Pio IX aveva dato impulso ad una pietà più indulgente, più umana e popolare, approvando la devozione al S. Cuore; aveva proclamato il dogma dell'Immacolata Concezione. La vita reli­giosa stava superando la crisi dovuta anche alle dispersioni avvenute ai tempi di Napoleone: ritornava a fiorire la vita comune nei vari Ordini e Congregazioni, si usava più ocula­tezza nella selezione dei religiosi e si dava un appoggio più rilevante alle fondazioni che maggiormente rispondevano ai bisogni del tempo. Con Leone XIII la Chiesa prende coscienza della questione sociale intervenendo autorevolmente con l'Enciclica "Rerum Novarum", accolta con riserve e preoccupazione dagli ambienti conservatori e favorevolmente dalle persone impe­gnate in opere assistenziali. Si svilupparono in campo cattolico gli studi sociali tesi a superare la concezione di una economia caritativa.

I santi di questo periodo si distinsero per la loro sensibilità verso i problemi sociali. Basta ricordare S. Giovanni Bosco e S. Giuseppe Benedetto Cottolengo con le loro benefiche ini­ziative a favore dei giovani e delle persone disabili.

Con il pontificato di Pio X, si sviluppa un programma di rinnovamento interno alla Chiesa con una più accurata istru­zione catechistica, con la riforma del Codice di Diritto Cano­nico, favorendo la comunione frequente e ammettendo ad essa anche i bambini. Madre Speranza anticiperà questa conces­sione con un gesto... profetico che racconteremo a suo tempo.

Di questa situazione generale della chiesa risentiva in parte anche la religiosità della provincia di Murcia e di Santomera. In uno stato di estrema miseria la religione era l'unica forza che permetteva di sopravvivere accettando con rassegnata dignità i disagi e le privazioni quotidiane. Santomera divenne parrocchia solo nel 1785.

Erano varie le Confraternite e numerose le processioni lungo il corso dell'anno. Particolarmente importante quella del Venerdì Santo quando si portava in processione la croce, il Cristo morto, la Madonna Addolorata con l'abito nero e S. Gio­vanni Evangelista.

Quante volte la piccola Josefa si sarà chiesta chi fosse real­mente Dio. Se bisognava amarlo o temerlo come facevano molti. Se erano del tutto veri quei discorsi di predicatori, che a volte gli capitava di sentire, minacciosi verso i peccatori e annunciatori di giudizi spietati da parte di Dio. Doveva essere la paura del castigo a tenere gli uomini lontano dal peccato o piuttosto la considerazione dell'amore con cui Cristo li amava, accettando per essi la sofferenza e la morte?

Alcuni fatti della sua infanzia che racconteremo ci fanno pensare che la piccola Josefa ebbe il dono di vedere Dio come Padre e non come Giudice fin dai primi anni della sua esi­stenza.

Con molta frequenza ripeterà nel corso della sua vita questa frase "Dio non è un Padre offeso per le ingratitudini dei suoi figli, ma un padre pieno di amore e di misericordia, che perdo­na dimentica e non tiene in conto le offese ricevute".

Dio era dunque un Padre, buono come tutti i papà, anzi più buono del più buono di essi. Un padre si prende a cuore la sorte dei suoi figli; se sbagliano può anche rimproverarli e minac­ciarli, ma lo fa con amore e solo per il loro bene. A volte arriva anche a castigare, ma quello che vuole è sempre il bene dei suoi figli. Aspetta il loro ritorno per stringerli di nuovo e con maggiore affetto al suo cuore.

Dovevano essere questi i ragionamenti che già frullavano nella mente della piccola Josefa, quando si raccoglieva silen­ziosa in casa o nella piccola chiesa del Siscar, oppure ai piedi della Vergine della Fuensanta, il Santuario dove si recava fin da piccola con il padre o con il fratello Juan.

"Una bimba molto birichina...

...e da tenere a bada perché capace di combinarne di ogni genere". Vivacissima, simpatica e intelligente fuori del comune, la piccola Josefa sembrava - era opinione della gente - che avesse preso lei tutte le buone qualità. Trascorse i primi anni della sua vita come tutti i bambini, giocando tra la baracca dei genitori e la presa d'acqua del "Merancho", vicino al mulino di grano e cereali, nella località chiamata "Parafe de la Acequia de Zaraiche".

Non sono molte le notizie che abbiamo di questo periodo della sua vita, ma sono sufficienti alcuni piccoli episodi per convincersi della sua vivacità.

Lei stessa ha raccontato che un giorno la minestra che la mamma le aveva preparato con tanta premura non le andava proprio giù. Pensò allora di metterla dentro le scarpe senza farsi vedere, ma poi si dimenticò e l'indomani tornò tranquilla­mente a calzarle come erano, prima di uscire.

Neppure le fave, piacevano alla piccola Josefa e quando a primavera spuntavano i fiori li tagliava uno ad uno perché non portassero frutto.

Un giorno, mentre giocava con le sue amiche, si rese conto che la groppa del giumento era troppo dura: per ammorbidirla e anche per ripararlo dal freddo, le venne in mente di ricoprirlo adattando la coperta matrimoniale dei suoi genitori alle dimen­sioni e all'anatomia dell'animale ritagliando due fori al posto delle orecchie. Ancora una birichinata raccontata da lei stessa.

Le era stato affidato dalla mamma il fratellino più piccolo e per un po' si diverti con lui trastullandolo teneramente, ma poi si stancò e credette conveniente, per poter continuare tranquillamente i suoi giochi, collocarlo in un buco situato nel tronco di un vecchio ulivo. Lei avrebbe potuto così giocare e correre mentre il fratellino si trovava al sicuro in quel soffice letto di foglie. Quando alla fine dei suoi giochi andò a ri­prenderlo si rese conto che era sprofondato fino alle radici.

Ci volle tutta la perizia di un bravo legnaiolo per tagliare il tronco e recuperare il bambino senza fargli del male, tra le la­crime e le preghiere della mamma.

In Casa del Parroco

Quando Maria Josefa giunse all'età di sei anni un vicino di casa, di nome Pepe Ireno, favorevolmente impressionato dalle buone qualità della piccola, propose ai suoi genitori di affidarla al Parroco, Don Manuel Aliaga. Pensava, il buon uomo, che l'avrebbe così sottratta ad una condizione di estrema miseria e le avrebbe garantito una formazione scolastica attraverso le due sorelle del Parroco, Agnese e Maria. A queste improvvi­sate maestre si uni la Signora Maria de Las Maravillas e sua sorella Suor Carmen. Fu così che nello stesso tempo che apprendeva a leggere e a scrivere, si abituò a disbrigare le pic­cole faccende di casa, a rendersi utile nei piccoli servizi che le venivano richiesti. Tutto ciò fu una vera fortuna in qui tempi di diffuso analfabetismo.

Nella casa del Parroco rimase fino al 15 ottobre 1914 quando partì per la località di Villena per farsi suora tra le Figlie del Calvario. Faceva periodicamente visita ai genitori e aiutava la mamma nelle faccende di casa e nella cura dei fratel­lini. In casa di Don Manuel ebbe modo di conoscere, almeno in parte, l'ambiente clericale nelle sue virtù e nei suoi difetti.

D. Manuel era un bravo sacerdote, fervoroso e zelante, ma aveva un debole per la corrida, cosa poco conveniente per un sacerdote in quei tempi. E questo alla piccola Josefa non andava giù, soprattutto perché si doveva vestire da civile e uscire di nascosto dalla porta dell'orto.

Un bel giorno, aveva solo dieci anni, lo precedette e aspettandolo sulla porta gli si mise dinanzi dicendo: "Dove vai? Guarda che lo dico al Vescovo!". D. Manuel da quel giorno non andò più alla corrida, ma quando il Vescovo venne per le Cresime, caso mai ce ne fosse stato bisogno, la piccola Josefa glielo disse ugualmente.

Un altro giorno le sorelle del Parroco avevano pensato di uscire a sera quando Josefa, che dormiva nello stesso letto di una di esse, si fosse ormai addormentata. Lei, però aveva fiu­tato ciò che intendevano fare e pensò di cucire, senza farsi accorgere, la sua camicia a quella della sua compagna di letto in modo che alzandosi l'avrebbe trascinata con sé. Come, infatti, avvenne!

L'esperienza in casa di D. Manuel fu molto importante per l'educazione della futura Madre Speranza ed è all'origine della sua sensibilità per i problemi dell'ambiente sacerdotale.

Un'altra figura che influenzò la sua spiritualità fu il "Cura Valera", un Sacerdote, suo parente per parte di madre, ritenuto un santo.

Intelligente, buona e simpatica come era, non le mancarono certo le occasioni per sposarsi, ma non risulta con certezza che abbia mai avuto un fidanzato. Il suo cuore era già affascinato totalmente da Colui che sarebbe stato l'unico amore della sua vita.

Rubare ... Gesù

Trovandosi in casa di Don Manuel aveva concepito l'ardito proposito di rubare Gesù, di fare cioè la Comunione prima del tempo. Perché Gesù doveva starsene chiuso in un freddo taber­nacolo, quando nel suo cuore avrebbe trovato tanto amore e tanto calore? Nonostante i suoi otto anni, era profondamente convinta della reale presenza di Gesù nell'Eucaristia e ogni giorno si confessava perché la sua anima rimanesse limpida e pronta ad accoglierlo quando si fosse presentata l'occasione propizia.

Ma come fare? D. Manuel era inflessibile: doveva raggiun­gere i dodici anni come tutti gli altri bambini per poter fare la Prima Comunione. L'occasione si presentò un bel giorno quando, assente il parroco, era venuto a sostituirlo un sacer­dote che non la conosceva. Partecipò alla S. Messa e al momento della Comunione si presentò alla balaustra per rice­vere finalmente il suo Gesù. Aveva fatto poco prima colazione con una tazza di caffè e latte con cioccolato. Ma questo, cosa importava? Gesù si era alloggiato nel suo cuore, non nello sto­maco. Se ne stava tutta raccolta in preghiera nella cappella della Vergine dialogando amabilmente con Gesù quando alcu­ne zelanti signore si resero conto e l'affrontarono per rimpro­verarla del grande misfatto. Lei rimase tranquilla, preoccupata solo di supplicare Gesù perché rimanesse per sempre nel suo cuore. Temeva infatti che non le avrebbero permesso di rice­verlo fino ai dodici anni. E i furti non si possono fare, mica, tutti i giorni! Iniziò da quel momento un rapporto costante e vitale con il suo Gesù.

Aveva già compreso quello che scriverà più tardi: "La presenza del Buon Gesù è la base della santità, il fondamento della perfezione e la radice di tutte le virtù"

Anche esternamente la sua vita cambiò: non giocava più alla corda perché temeva che saltando avesse disturbato Gesù; si fece più riflessiva, più raccolta, preoccupandosi solo di far compagnia al suo amico divino. Non sappiamo nulla della sua Cresima, neppure la data, perché i registri andarono distrutti durante la guerra civile.

Un'esperienza negativa

Per saggiare la vocazione alla vita consacrata, che incominciava a prendere consistenza nei suoi desideri, volle fare un'esperienza presso una comunità di suore dedita all'as­sistenza dei malati. Di questa esperienza sappiamo quanto la Madre stessa racconta: 'Passando con la suora incaricata per una corsia, avevo notato un pover'uomo in fin di vita, ormai quasi con il rantolo e che soffriva molto. Lo indicai alla suora pensando che non se ne fosse accorta. La suora si avvicinò al letto del moribondo e con il lenzuolo gli coprì la faccia e partì. Io ne restai tanto sconvolta e provavo tanta pena per quell'uomo che soffriva; la suora se ne accorse e mi disse: “Vedrai che anche a te con il tempo ti si farà il cuore duro! Maria Josefa disse tra sé: "Mi basta questo: prima che il cuore mi si faccia duro, io me ne vado".

E lasciò quell'Istituto. Non voleva proprio che il cuore le di­ventasse duro, insensibile ai bisogni dei fratelli nei quali vede­va con luminosa trasparenza l'immagine stessa di Dio e ai quali desiderava portare la tenerezza della sua misericordia infinita.