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11 - Gli orrori della guerra e i prodigi della carità

Quando il 10 giugno 1940 l'Italia entrò in guerra Madre Speranza era appena tornata dalla Spagna dove aveva riordi­nato i suoi collegi, alcuni dei quali avevano subito lievi danni e, insieme alla signorina Pilar, aveva difeso non tanto se stessa, quanto la Congregazione, dagli attacchi di persone interne ed esterne che pretendevano cambiare lo spirito che l'animava.

Durante la sua permanenza a Roma dovette difendersi dalle macchinazioni dei suoi nemici, ma questo non le impedì di svolgere una prodigiosa opera di assistenza alle vittime dell'or­rendo conflitto che provocò circa 60 milioni di morti, in­calcolabili distruzioni materiali, devastazioni morali e spiri­tuali in tutta l'Europa.

Era stata avvertita che durante la guerra sarebbero successi fatti molto tristi e lei e le sue suore dovevano rimanere lì, in quel quartiere povero di Roma, per aiutare, confortare, curare e dar da mangiare ai tanti poveri che sarebbero venuti a rifu­giarsi in quel vecchio cimitero dove si trovava la loro casa.

I bombardamenti di Roma

Il primo bombardamento di Roma avvenne il 19 luglio del '43.

Abbiamo il racconto vivace e drammatico che la stessa Madre Speranza fa nel suo Diario: "Verso le dieci del mattino ha suonato la sirena di allarme e le nostre bambine con alcune religiose e le novizie sono scese nel rifugio. Passati solo cinque minuti si è sentito l'orribile boato delle bombe che cadevano verso la zona di San Loren­zo.

La gente fuggiva disperata, gridando e piangendo; le suore che erano rimaste in casa con Pilar e con me, correvano insieme a noi, verso la Cappella, ai piedi dell'Amore Miseri­cordioso; gli aerei volavano sui cieli di Roma e passavano sopra la nostra casa sganciando grappoli di bombe intorno ad essa; noi siamo rimaste in ginocchio ai piedi dell'Amore Misericordioso pregando e invocando il Buon Gesù e quando più forte era il rumore dei bombardamenti, tanto più forte si levava la nostra preghiera e quella della povera gente che si era rifugiata con noi nella Cappella. Quando gli aerei si allon­tanavano, Pilar, le figlie e io, uscivamo fuori per soccorrere i feriti, introducendoli in casa e dando ad essi ciò che pote­vamo. Io mi dedicavo a curare e a fasciare quelli che erano maggior­mente feriti. Mentre eravamo intenti a quest'opera siamo do­vute rientrare in Cappella, che era il nostro rifugio e quello della gente, perché gli aerei tornavano improvvisamente con un forte rumore che scuoteva e faceva sobbalzare tutta la casa. I vetri andarono in frantumi e ci fu un momento di agitazione, ma senza scene di panico poiché avevamo tutte fiducia nella protezione dell'Amore Misericordioso.

Non appena finì il bombardamento siamo uscite fuori e ci siamo rese conto che una bomba era caduta a due metri di di­stanza dalla nostra casa... Tutte abbiamo esclamato: 'Miraco­lo! Miracolo! l'Amore Misericordioso ci ha salvato".

Scampate da questo pericolo, Madre Speranza comprese che sarebbero seguiti giorni ancora più pericolosi.

Il 13 agosto seguì, infatti un secondo terribile bombarda­mento.

Anche di questo conviene ascoltare il racconto ricco di particolari che la stessa Madre fa nel suo Diario: "Verso le undici del mattino tornano sul cielo di Roma gli ae­rei e cominciano a bombardare la città con più violenza di prima. Le bombe sembravano tutte dirette verso la nostra porta. Alla prima ondata varie persone rimasero morte o ferite, fuori del rifugio e sulla porta di casa: non ebbero, infatti, il tempo per entrare. Altri entravano chiedendo aiuto ed io li si­stemavo nella Cappella.

Si presentò una donna trafelata, fuori di sé, scalza e spettinata portando in braccio una bambina di tre o quattro anni, mezza morta, o forse addirittura morta: era infatti fredda e violacea. La seguiva un uomo che si trascinava un bambino anch'esso ferito. Piangendo si inginocchiano tutti, insieme a noi, ai piedi dell'Amore Misericordioso pregando con gran fervore. Proprio nel momento più critico, quando gli aerei volteggiava­no rumorosamente sopra di noi, presi la figlia di quella povera donna e con decisione la presentai all'Amore Misericordioso dicendo: 'E’ mai possibile, Signore, che il tuo cuore di padre possa ancora resistere al dolore di questa povera madre? Muo­viti a compassione e ridona la vita a questa creatura perché la possa mettere sana e salva tra le braccia della sua addolorata madre'. Fu grande la mia emozione quando mi resi conto che la bambina apriva occhi e cominciava a muoversi e a recupe­rare la vita. La madre vedendo la figlia muoversi e rendendosi conto che era viva gridava più forte ancora di quando la cre­deva morta.

A questo punto, in mezzo all'entusiasmo e al fervore, si presentò sulla porta della Cappella un uomo che, furioso e pieno d'ira voleva imporci di tacere: ‘Silenzio! State facendo più rumore voi che tutte le bombe’.

Chi era quel tale che non fu capace di entrare in Cappella? Noi, quando più ci diceva di fare silenzio tanto più pregavamo con entusiasmo e forza; ma siccome la furia di quel personag­gio aumentava, invocando l'aiuto dell'Amore Misericordioso, piena di energia gli andai vicino e con un tono forte e deciso gli dissi: ‘Vattene, disgraziato! Allontanati da qui cane legato’. E lui guardandomi minaccioso scomparve".

Questo secondo bombardamento fu molto più violento del primo. Si ritrovarono senza luce, senz'acqua, senza vetri alle finestre e senza porte. Il giardino era pieno di uomini feriti e di una ventina di morti. Oltre venticinque bombe erano cadute intorno alla casa lasciandola miracolosamente illesa.

Il medico divino

In poco tempo la casa fu piena di gente che chiedeva aiuto e conforto. Madre Speranza si improvvisa infermiera e chirurga, vede in quei poveri fratelli disperati Cristo sofferente e mette in atto tutta la sua fede e il suo coraggio per soccorrerli. Come assistente c'è la signorina Pilar che le porge i pochi e rudimen­tali strumenti di cui dispongono: un po' di iodio, strisce di tela militare avanzata dalla confezione delle camicie, aghi e filo per cucire le ferite. È tanto grande la sua fede nell'aiuto del Medico Divino che nulla la ferma nel suo lavoro, sicura che tutti guariranno.

Si presenta un uomo con il ventre squarciato e gli intestini fuori; Madre Speranza non si spaventa: pulisce accuratamente le viscere del malcapitato, le sistema al loro posto e... forza a cucire e a disinfettare con le poche gocce di iodio di cui dispo­ne. Alcuni uomini collocano i feriti al suolo; P. Misani, suo confessore, e un altro sacerdote sono lì pronti per le confessio­ni. Finito di curare i feriti - ce ne sono ottantatre distesi al suolo - si presentano due medici del Servizio Sanitario e della Croce Rossa. Inorriditi e indignati per il modo rudimentale con cui i feriti vengono curati tentano di spaventare Madre Spe­ranza scaricando su di lei ogni responsabilità per ciò che potrebbe succedere a quei poveretti. "Sono pronta ad assu­mermi ogni responsabilità - risponde loro Madre Speranza - purché nessuno di voi ci metta le mani e li lasciate come io li ho lasciati".

Il Vicegerente di Roma, Mons. Traglia, passato il bombardamento, volle fare visita alla zona di Villa Certosa, duramente colpita. Quando vide che il grembiule bianco di Madre Speranza aveva cambiato colore si spaventò: il sangue dei feriti l'aveva tutto macchiato di rosso. "Le mancava solo questo", le disse il Monsignore. "Si vede proprio di sì", fu la risposta immediata di Madre Speranza. Mons.Traglia, che diventerà poi Cardinale e rimarrà sempre un suo grande ammi­ratore le diede il permesso, in caso di necessità, di portare il Santissimo dalla Cappella al rifugio, dove la gente e le suore si radunavano, per avere il conforto della presenza eucaristica di Gesù.

Anche l'Ambasciatore Spagnolo volle far visita al "Con­vento", che, come scrivevano i giornali e annunciava la radio, era stato violentemente bombardato. Tutti rimanevano conimossi e stupiti vedendo la serenità delle suore e si meravi­gliavano nel costatare che la casa era ancora in piedi nono­stante le bombe che le erano cadute. Più volte in quei giorni tornò a suonare la sirena che avvertiva di un imminente peri­colo e Madre Speranza prendeva la Pisside con le Ostie consa­crate per portarla nelle gallerie dove era stato preparato un altare e dove la gente si rifugiava. Erano lunghe e fervorose le preghiere, i rosari, le giaculatorie che da quei rifugi sotterranei si levavano verso il cielo per scongiurare il flagello della guerra.

Per Madre Speranza era un'emozione incontenibile ogni volta che aveva la fortuna di stringere al petto la Pisside dove si trovava Colui che era "il suo Dio e tutte le sue cose".

Ci furono altri bombardamenti nei dintorni di Villa Certosa e Madre Speranza era sempre lì a curare con coraggio e solle­citudine materna i feriti i quali, come lei stessa afferma, non solo non sentivano alcun dolore, ma guarivano presto e com­pletamente. A curarli, infatti, non era lei, ma il Medico Divino, capace di rimediare ai suoi limiti e ai suoi errori. Molti di que­sti feriti tornavano per ringraziare e per dire la loro meraviglia per ciò che avevano esperimentato.

La fantasia della carità

La carità di Madre Speranza non si limitava a curare i feriti, ma abbracciava tutte le esigenze della persona. Era una carità a 360 gradi. Curando il corpo voleva arrivare a portare un aiuto morale e spirituale. Dopo anni di guerra il cibo scarseggiava. Il lavoro delle camicie, che costituiva quasi l'unica fonte di guadagno, era venuto meno, ma " il Buon Gesù - afferma la Madre - supplisce con generosità a quello che avremmo potuto guadagnare lavorando e così, grazie a Lui, ci è possibile soc­correre, in questa casa, tutti coloro che vi accorrono, senza guardare la provenienza, l'origine o l'importanza. Tutti man­giano e dormono senza alcuna preoccupazione". La Provvi­denza interveniva prodigiosamente moltiplicando gli alimenti in modo che, suore, ragazze, Padri della Parrocchia, e tutti i poveri che lo chiedevano potessero avere un buon pasto.

Quando le truppe americane arrivarono a Roma i tedeschi scelsero come punto di resistenza all'avanzata del nemico, pro­prio la zona di Via Casilina. Villa Certosa era stata occupata per istallarvi il comando generale. Le suore e le bambine si sistemarono nei sotterranei della casa e non subirono alcun oltraggio da parte dei soldati. Intorno alla casa furono disposti carri armati, cannoni e mitragliatrici. Ci fu qualche sparatoria, ma senza gravi conseguenze. All'arrivo degli alleati i tedeschi si ritirarono senza alcuna resistenza e i soldati americani che subentrarono non diedero nessun problema alla Comunità.

Ma i poveri che bussavano alla porta erano sempre più numerosi. La guerra, insieme ai lutti e alle distruzioni, aveva lasciato uno strascico di miseria e di fame.

In una delle sue solite "distrazioni" il Signore la invitò a darsi totalmente a soccorrere tutti i bisognosi, senza più pen­sare al lavoro delle camicie o alla collaborazione della signo­rina Pilar.

Prometteva di incaricarsi Lui stesso perché mai venisse a mancare quanto era necessario per sfamare i poveri che si presentavano. Fiduciosa come sempre nella Divina Provvi­denza, ma mettendo in atto nello stesso tempo quanto era nelle sue possibilità, mobilitò le sue figlie per organizzare un servizio ai poveri all'insegna della fantasia della carità e dell'effica­cia.

Con questo servizio tempestivo e non basato sui mezzi umani, il Signore voleva far vedere che queste opere non si fanno con i soldi, ma con l'aiuto della Provvidenza e la gene­rosa collaborazione delle sue figlie. Non mancarono certo le ragionevoli e confidenziali rimostranze di Madre Speranza che, un po' spaventata, si rivolgeva al Signore con queste sim­patiche espressioni: 'Tu, Gesù mio, è vero che fai sempre bene tutte le cose, ma scusami se ti dico che non misuri bene i sacrifici e le difficoltà che si devono affrontare per eseguire i tuoi ordini e i tuoi de­sideri... Perdonami Gesù mio di questo sfogo, ma se mi avessi lasciato un po' più di tempo Pilar, questo lavoro che oggi mi chiedi, aiutata da lei, l'avrei svolto molto meglio, mentre così, sola e priva dei mezzi più indispensabili: piatti, posate, pen­tole, e con questo giocattolo di cucina, non so come me la caverò; le figlie, poi, sono giovani e si spaventano facilmente.

Il Signore mi ha risposto - continua Madre Speranza - 'Vicino a te non credo che lo spavento duri molto. Ti prometto che con questo duro lavoro aumenterà la fede delle tue figlie e l'amore verso di me e si sentiranno felici come si sentirono felici i miei Apostoli quando si trattò di dar da mangiare a quella moltitudine di gente che mi seguiva".

Queste parole diedero a Madre Speranza sicurezza e forza. Con lo slancio e l'ingenuità di una bambina rispose: "Bene, Gesù mio, ti farò vedere quello che sono capace di fare con il tuo aiuto. Tu mi darai il necessario per saziare la fame di tutti quelli che verranno qui e io non avendo i recipienti e una cucina capace per tanta gente preparerò la pentola più grande, prenderò un bidone di quelli che le truppe hanno lasciato al loro passaggio, taglierò il coperchio e lì verserò le pentole di cibo che mi sarà possibile preparare.

A Te, Signore, il compito di far crescere e moltiplicare il cibo di questa povera gente, delle suore e delle bambine.

Mi raccomando, dà tu a questo cibo un buon sapore perché al­trimenti non si riuscirà a mangiarlo per quanta fame si possa avere, perché non avrà altro sapore che quello di fumo e di vecchi arnesi. Posate non ne ho, ma le comprerò di alluminio poiché risultano più economiche; non ho neppure piatti, ma darò ordine di adattare i barattoli di latte in polvere perché ser­vano da piatti. Vedrai che bella sala da pranzo e che bella cu­cina verrà fuori!".

Pur essendo l'iniziativa urgente e necessaria trovò chi si oppose. Le proprietarie della casa, infatti, temevano che la moltitudine dei poveri, entrando, avesse danneggiato l'erba del prato! Per questo cercarono tenacemente di impedire l'inizia­tiva

Un pasto abbondante per tutti

Con queste premesse, il 1 ° novembre 1944, si inaugura in collegamento con il Circolo S. Pietro, la cucina economica, aperta indistintamente a tutti. Il pranzo consisteva in un abbon­dante piatto di pastasciutta o di minestra, un panino con carne, salame o mortadella, tranne il venerdì, quando veniva servita una buona frittata di uova. C'era anche il contorno, costituito da patate fritte o verdura. Chi poteva lasciava un simbolico contributo di 20 lire, chi non poteva, non lasciava nulla e veniva ugualmente servito con abbondanza. La gente accorreva sempre più numerosa; alcuni consumavano lì il pasto e socializzavano con le altre persone e con le suore, altri lo portavano a casa anche per quelli che non potevano venire. Si arrivò, in alcune occasioni a servire fino a 2000 pasti, quasi tutti per operai, famiglie povere o numerose e gente di passag­gio.

Racconta la Signora Agnese Riscino, una delle prime ragazze accolte dalla Madre nella casa di Roma: "Anche alla mia famiglia e a tante altre famiglie povere la Madre mandava da mangiare. Da casa mia veniva ogni giorno uno dei miei fra­telli e la Madre gli dava una pentola di primo e undici panini imbottiti con salame, mortadella; formaggio, carne ecc. Mia madre ha custodito religiosamente quella pentola come un ricordo di Madre Speranza e si è molto dispiaciuta quando mia sorella, dopo molti anni, la buttò via".

Padre Fortunato Dellandrea, un padre pavoniano della parrocchia di S. Barnaba ha lasciato un vivace quadretto di quei tempi. Racconta: "Terminata la scuola, da Via Acqua Bulicante, conducevo i bambini a Villa Certosa. Erano 200-300 bambini divisi per squadre, con una bandierina per i capisqua­dra e si accomodavano sotto i pini... Tutto era improvvisato. Oltre a qualche pentola, le suore si servivano per cucinare di bidoni rimediati alla meglio. Per mangiare i bambini usavano dei barattoli i cui orli erano stati ribattuti. Dopo il pasto gli stessi barattoli servivano per fare un po' di musica. Durante i pasti la Madre Speranza veniva dai bambini, si preoccupava che mangiassero a sufficienza ed ordinava di ripetere le razioni a chi lo desiderasse. Oltre ai bambini le suore assistevano tante famiglie povere che venivano con i loro recipienti a ricevere le razioni corrispondenti a ciascuna persona. Anche noi sacerdoti eravamo in difficoltà, sicché la Madre stessa ci disse di venire anche noi nella cucina delle suore a prendere le nostre razioni.

La Madre si preoccupava che le nostre razioni fossero abbon­danti, perché diceva che dovevamo lavorare molto".

Risulta interessante la testimonianza della signora Vanda Coccoloni, segretaria della Conferenza di S. Vincenzo De Pao­li: "Non potrò mai dimenticare ciò che avvenne nel Natale del 1944. Il Parroco, P Vincenzo Clerici mi disse che Madre Spe­ranza intendeva offrire un pranzo ai poveri e che pertanto avessi distribuito circa 150 biglietti a coloro che dovevano intervenire.

Il giorno di Natale, verso le 11, andai dalle suore e vidi una fila interminabile di persone. Tutta gente lacera, infreddolita e affamata. Entrai e vidi che Madre Speranza, mentre io e qual­che suora eravamo preoccupate, era invece molto tranquilla e serena. Nella stanza, presso la porta di ingresso, c'era la Madre con una grande pentola di pasta, un'altra pentola di sugo e un recipiente di formaggio grattugiato e pietanza. Non ricordo se ci fosse altro. Io prendevo i recipienti che mi davano i poveri e li presentavo a Madre Speranza che li riempiva abbondante­mente. La distribuzione, iniziata verso mezzogiorno, durò fino alle tre del pomeriggio, quando erano andati via tutti, giacché non mangiavano lì, ma portavano il pranzo a casa per tutta la famiglia. Prima di andarmene il parroco mi disse se mi ero accorta di niente. Io dissi di no, perché ero intenta solamente a servire.

Ma il parroco che era in piedi, accanto alla porta, mi disse che era rimasto sbalordito perché vedeva che i recipienti rimanevano sempre allo stesso livello, nonostante che la Madre attingesse continuamente ad essi".

Una carità intelligente

La preoccupazione di Madre Speranza non era solo quella di saziare la fame del corpo. A lei stava a cuore il bene di tutta la persona: quello fisico, quello morale e quello spirituale. Par­tendo dai bisogni più immediati si proponeva di dare una rispo­sta alle esigenze più profonde della persona umana.

La sua non era una semplice assistenza sociale che mira a raggiungere uno scopo, ma amore cristiano che guarda la per­sona.

Cercava sinceramente e innanzitutto il bene: quello della loro anima, la loro salvezza. Così si esprimeva presentando una delle finalità che si proponeva nell'aprire la cucina econo­mica: "Il fine per il quale si apre questa cucina è quello di evitare che molte anime si perdano visto che i comunisti, secondo quanto mi ha detto il Buon Gesù, stanno preparando anch'essi una cucina per dar da mangiare ai poveri con il fine di guada­gnarli alle loro idee e così allontanarli dalla religione".

Tanta carità esercitata con discrezione e disinteresse non poteva non far breccia nel cuore della gente, che si sentiva libera di aprire con fiducia il proprio animo confidando a Madre Speranza sofferenze e preoccupazioni, con la sicurezza di essere accolta e di ricevere da lei il conforto e i consigli più opportuni.

Significativo è l'episodio di Edoardo, avvenuto verso la fine del 1945. Rispondendo ad una richiesta del Console spagnolo, Madre Speranza aveva accolto 25 giovani spagnoli in attesa di tornare nella loro patria. Vi era tra essi Edoardo che non aveva ancora fatto la Prima Comunione. Madre Speranza prese a cuore questo caso. Parlò con lui e lo convinse del valore e della bellezza dell'Eucaristia. Gli diede un libretto di catechismo perché lo studiasse con cura e, trovando il tempo nonostante le moltissime occupazioni, si intratteneva con lui per impartirgli personalmente alcune lezioni di cultura religiosa. D'accordo con il rettore, conseguì che i 25 giovani facessero, presso il Collegio Spagnolo, alcuni giorni di ritiro. Alla conclusione di essi Edoardo avrebbe fatto la Prima Comunione, con il vestito nuovo che Madre Speranza e le suore gli avevano preparato. Alla vigilia del grande giorno Edoardo mandò un messaggio a Madre Speranza: voleva assolutamente che fosse accanto a lui al momento di ricevere Gesù. Ben volentieri la Madre accondi­scese recandovisi in compagnia di una suora. Nel suo diario scriverà che il Signore aveva elargito molte grazie a questi gio­vani e tutti erano decisi a vivere da ferventi cristiani. Volle che scrivessero in un foglietto i loro buoni propositi che deposero nelle sue mani e lei in quelle di Gesù. Edoardo lasciò scritte queste belle parole: "Roma 22 ottobre 1945. Un ricordo incan­cellabile dei miei Esercizi Spirituali. Fino ad oggi sono vissuto in un terribile inganno; mai, infatti, avevo sentito parlare della bellezza di vivere per Dio. Ho vergogna di me stesso per il fatto di non essere ricorso ad un sacerdote per esporgli la mia situazione come cristiano. Ho 24 anni e non ho ancora fatto la prima Comunione, ma grazie a Dio tra due giorni la farò e sarò molto felice, è meglio tardi che mai. Come è bello ascoltare i Comandamenti di Dio! ... Come è buono il Signore, fino al punto che lo misero in croce!... Ma Dio non fu crocifisso: non ci sono armi nel mondo che possano fare in modo che Dio cessi di esserci, perché è immortale e onnipotente.

Che bello è conoscere la Dottrina Sacra! E io sono vissuto lontano da tutto ciò nella più completa ignoranza, sia a causa delle mie cattive compagnie, sia della guerra che è la maggiore responsabile, infatti è stato uno dei peggiori veleni; ma Dio mi perdona tutto ciò che è successo e io da oggi in avanti seguirò il cammino retto e una parte della mia vita la consacrerò sola­mente a Dio. Eduardo".

Ugualmente interessante per capire in che cosa veramente consisteva la carità di Madre Speranza è quanto avvenne il giorno di Natale del 1944. Il suo racconto esprime la gioia di chi vive la dedizione ai fratelli come servizio reso a Dio, amato sopra ogni cosa: "Oggi, 25 dicembre 1944, la mia gioia è stata veramente grande quando mi sono vista circondata da 127 uomini che sono venuti a cercarmi perché li accompagnassi alla parroc­chia, cosa che ho fatto insieme ad un'altra religiosa, poiché nella nostra cappella non era possibile essendo troppo piccola. Tutti hanno ricevuto la Santa Comunione ed io con essi.

Già da molti giorni il mio più vivo desiderio era quello di po­ter dare in quell'occasione, a tutti i poveri, un buon pasto gra­tuitamente. Ho chiesto al Parroco di avvisare in Chiesa che tutte le famiglie povere potevano venire nella nostra casa per prendere il cibo gratuitamente, portarlo alle proprie case e così mangiare tutti riuniti in famiglia per festeggiare il Natale. Il Buon Gesù mi ha ascoltato ed è stato molto generoso, tanto è vero che si è potuto dare ad ogni persona un buon piatto di pasta, formaggio, pane, carne e un bel pezzo di torrone.

È una cosa veramente degna di essere ricordata, più con il cuore che sulla carta l'emozione che suscitava vedere con quale abbondanza Gesù dispensava la sua Provvidenza su questo cibo. Dopo averlo distribuito a più di mille persone, avanzò una buona quantità per altri due o tre giorni e mi fu possibile mandare un quintale e 28 chili di torrone nelle dieci case di Spagna, per le mie figlie e i bambini. In questa casa suore e bambine ne mangiarono per tutto il mese di gennaio e febbraio. Nella distribuzione di questo cibo, il giorno 25, la generosità del Buon Gesù e l'entusiasmo del nostro Parroco, del P. Misani e degli altri sacerdoti della nostra Parrocchia riempirono di fervore molte signore di San Vincenzo de Paul che erano venute ad aiutare. Qui non si trattava di dire al Buon Gesù come nelle nozze di Cana che mancava il vino, ma che mancava tutto per celebrare la festa, gli invitati, infatti, erano molti e le provviste molto poche. Ma il Buon Gesù sempre generoso e paterno ha fatto in modo che tutti ritornassero alle loro case con le porzioni che avevano chiesto".

Le armi di Madre Speranza

Madre Speranza aveva le sue armi per combattere e vincere la guerra: erano la preghiera, la carità, il sacrificio e soprattutto la devozione all'Amore Misericordioso di Dio.

Aveva ricevuto l'ordine di non muoversi dalla casa di Villa Certosa durante il conflitto. 'E’ qui, le aveva detto il Signore che con il buon esempio, con la carità, l'abnegazione e il sa­crificio, dimentiche di voi stesse, dovrete propagandare la de­vozione al mio Amore Misericordioso".

Con il coraggio e la franchezza dei santi, Madre Speranza scrisse una lettera al Generale Badoglio perché si fosse adope­rato a far cessare la guerra. Suggeriva per questo l'immediata richiesta di un armistizio e un atto pubblico di affidamento al Signore da parte dello Stato Italiano con l'impegno di una No­vena in preparazione alla festa di Cristo Re.

Ma la sua richiesta non fu accolta e di ciò se ne lamentava scrivendo a Mons. Ottaviani: "Le dico con dolore che le preghiere non si fanno come è stato chiesto. Privatamente certo che si prega, ma non pubblicamente".

Lei e le suore intensificarono la preghiera: per le anime dei caduti, per la pace, per il trionfo dell'Amore Misericordioso. Stabilì che si recitasse senza interruzione, giorno e notte, il Santo Rosario, durante tutto il mese di ottobre.

Il Vicariato diede il permesso perché all'immagine dell'A­more Misericordioso fosse reso culto pubblicamente. Così alle preghiere delle suore e delle ragazze si univano con frequenza quelle di molte persone della zona. La tragedia della guerra diventava così l'occasione per diffondere, insieme alla devo­zione all'Amore Misericordioso, la cultura della pace che nasce dal riconoscimento della comune paternità di Dio.