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Capitolo trentunesimo

DISTACCARSI DA OGNI CREATURA PER POTER TROVARE IL CREATORE

PAROLE DEL DISCEPOLO Signore, sento davvero bisogno, ora, d'una grazia più grande, se devo giungere là dove nessuno e nessuna cosa creata mi potranno essere d'ostacolo. lnfatti, finché qualche cosa mi trattiene, non posso volare liberamente a Te. A liberi voli verso di Te aspirava colui che diceva: "Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo?" (Sal 54,7). Quale pace è più grande di quella di chi contempla il mondo con occhio semplice? E chi è più libero di chi non brama nulla di terreno? È, pertanto, necessario innalzarsi sopra ogni cosa creata, abbandonare completamente se stesso, stare fisso nel rapimento dello spirito e comprendere che Tu, Creatore di tutto, non hai nulla di comune con le tue creature. Quindi, se uno non si sarà distaccato completamente da tutte le creature, non potrà liberamente attendere alle cose divine. Proprio per questa ragione sono poche le anime contemplative: poche sanno separarsi del tutto dalle cose create e destinate a perire. Per giungere a ciò, si richiede una grazia così grande, che elevi e rapisca l'anima sopra se stessa. E se l'uomo non si sarà elevato così nello spirito, liberandosi da tutte le creature ed unendosi tutto a Dio, ogni suo sapere ed ogni suo avere valgono ben poco. Rimarrà sempre un piccolo uomo e giacerà ripiegato al suolo chi stima grande qualche cosa che non sia il solo, unico, immenso ed eterno Bene. Ed ogni cosa che non è Dio, è nulla, e come un nulla va considerata. Grande è la differenza tra la sapienza dell'uomo illuminato dall'alto e devoto, e la scienza del chierico colto e studioso. La sapienza che emana dall'alto per divina infusione è di molto più sublime di quella che s'acquisisce faticosamente con l'umano ingegno. Non pochi aspirano alla divina contemplazione, ma non si curano d'esercitarsi con i mezzi che si richiedono per raggiungerla. È un grande ostacolo fermarsi alle pratiche esteriori ed alle cose che cadono sotto i sensi, dando poca importanza alla propria perfetta mortificazione. Non so come avvenga né quale spirito ci guidi né che cosa pretendiamo noi, che sembriamo aver fama di maestri di vita spirituale, quando tanto ci affatichiamo e tanto più ci affanniamo per cose caduche e di nessun valore, mentre, a stento e raramente, pensiamo con pieno raccoglimento al nostro essere interiore. Ahimè! Subito dopo un breve raccoglimento, ci buttiamo alle cose esteriori e non sottoponiamo più ad un vaglio rigoroso le nostre azioni. Non ci diamo pensiero di quanto giacciano in basso i nostri affetti e non sappiamo deplorare quanto in noi sia tutto corrotto. "Ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra" (On 6,12) e ne seguiva, perciò, il grande diluvio. Dunque, essendo il nostro interno affetto profondamente corrotto, è inevitabile che si corrompa anche l'azione che ne consegue, segno della mancanza dell'interna vitalità. Il frutto d'una buona vita nasce da un cuore puro. Si è soliti chiedere quanto uno abbia fatto, ma non si osserva, con la stessa diligenza, con quanta virtù abbia operato. Si ricerca se uno sia stato forte, ricco, bello, abile o valente scrittore, cantante eccellente, bravo lavoratore; ma, da parte di molti, si tace quanto egli sia stato povero di spirito, quanto paziente e mite, quanto pio e quanto spiritualmente raccolto. La natura guarda l'esteriorità dell'uomo; la grazia si rivolge al suo interno. La prima frequentemente s'inganna; la seconda spera in Dio così da non venire ingannata.