[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A A A A A

70 – L’AIUTO DEL SANTO RIFORMATORE TRINITARIO


70.1. La via che conduce al santo monte


Il dì 5 febbraio 1823, la notte mi trattenevo in orazioni, nel qual tempo tornai a vedere il suddetto monte, il Signore invitava la povera anima mia ad intraprendere il viaggio, ma io mi ritrovavo molto combattuta, perché avrei voluto subito accettare l’invito, per compiacere il mio Dio, ma un santo timore arrestava il mio passo, mi confondevo ancora per non sapere come intraprendere un incognito viaggio, così malagevole e disastroso.

Ero per questo mesta e dolente, piena di lacrime mi rivolsi al mio Dio e così gli dissi: «A me non mi dà l’animo di salire questo altissimo monte, le mie forze sono troppo deboli».Così mi intesi rispondere: «Hai ragione: né con le tue forze, né con la sola grazia ordinaria potresti al certo salire questa altura; ma sappi però che io sono per comunicarti una particolare grazia, perché tu possa intraprendere questo beato cammino, vieni con me ed osserva la via che conduce al santo monte. Questa è una via occulta e nascosta, non è a tutti palese la maniera di salire questo monte, a me solo è riservata io solo posso condurci quelle anime che più mi piacciono, senza far torto ad alcuno, perché io sono padrone dei miei doni, non c’è anima che possa questa grazia meritare, per quanto si adoperi per amor mio. figlia, il dono è gratuito, rifletti bene, quanto mi devi ringraziare!».

A queste divine parole l’anima mia profondamente si umiliò e liquefacendosi di tenerezza, d’amore e di santo timore insieme, tutta in lacrime si disciolse, con tanto affetto e amore, che non ho termini di poterlo spiegare.

In questo tempo il mio Dio mi condusse nell’interno del monte, e mi fece vedere la strada che alla sommità di detto monte conduceva. Allora l’anima mia esclamò con vivo affetto: «Mio Dio, quanto mai siete grande nelle vostre operazioni! Oh quanto è grande la vostra infinita bontà! L’anima mia resta sorpresa fino al grado di timore; per l’eccesso della vostra infinita carità il mio intelletto vien meno, e affatto si perde nell’eccessivo vostro amore». Con queste ed altre simili espressioni andavo sfogando la fiamma della carità che ardeva nel mio cuore.

Per non tediare tanto vostra paternità reverendissima non sto qui a ridire quanto lungo fosse lo sfogo d’amore e gli umili sentimenti con cui l’anima si trattenne con il suo Dio, e la ripulsa che fece prima di intraprendere il suo viaggio al monte santo; solo dirò che si degnò di condiscendere agli umili desideri che mi venivano comunicati dalla sua santa grazia, desideri erano questi di non oscurare la gloria di Dio; riconoscendomi affatto indegna di calcare la strada di quel santo monte, così dicevo piangendo: «Ah mio Dio, mi riconosco troppo indegna di questo favore! Abbiate riguardo alla vostra gloria, non mi conducete in questo monte santo, perché io sono la creatura più vile, più indegna che abita la terra, sono la stessa abominazione. Mio Dio, prima degnatevi di purificarmi nel vostro prezioso sangue, perché non sia tanto disonorata da me la vostra santità».

Si compiacque di esaudire la mia povera preghiera, e mi promise di purificarmi prima di farmi intraprendere il detto cammino, come di fatti seguì.

Tre giorni si trattenne il mio spirito ai piedi del santo monte, preparandosi con ritiro, mortificazioni, orazioni e dolore dei propri peccati, con atti di profonda umiltà e con lacrime abbondantissime, che mi venivano comunicate dalla grazia del Signore, compartendomi una propria cognizione, che mi faceva conoscere la mia propria viltà e miseria, riconoscendomi indegna di tanto favore mi trattenni in questi tre giorni lodando e benedicendo Dio, il quale si degnò di ammaestrarmi nella pratica delle sode e vere virtù, segnatamente della carità verso Dio e verso il prossimo.

70.2. I fondatori trinitari mi condussero verso il monte santo


Il giorno 8 febbraio 1823, festa di san Giovanni de Matha, fondatore dell’ordine trinitario, il mio spirito, con l’aiuto del Signore, intraprese il suddetto viaggio.

Ecco il fatto come seguì: fino dal giorno 7, vigilia del detto santo, il mio spirito sperimentò in se stesso un grande raccoglimento, unito ad una profonda umiltà. La mattina dell’8, nella santa Comunione viepiù si accrebbero in me questi umili sentimenti, riconoscendomi affatto indegna di intraprendere il suddetto santo viaggio, a questo oggetto mi portai dal mio padre spirituale, e dopo aver fatto una dolente confessione dei miei peccati, piangendo gli dissi: «Padre, come ministro del Signore lei deve zelare l’onore di Dio, dunque non permetta all’anima mia di salire il monte santo, perché Dio resterà da me disonorato. Padre questa è una grande pena per me».

Il mio padre spirituale così mi rispose: «Io voglio che siate umile, ma non vile, dovete confidare in Dio, lui vi invita, voi dovete accettare l’invito, confidate in Dio e non abbiate paura, ché lui vi darà la grazia di corrispondere con fedeltà a quanto vuole da voi, vi dico che non solo ve lo consiglio, che intraprendiate questo santo viaggio, ma ve lo comando. Non voglio assolutamente che rinunciate ai favori di Dio. Andate, andate», mi disse, «che siete una sciocca! Qualunque grazia vi possa fare Dio non sarà mai tanto grande in paragone di quella che vi ha creata e redenta con il suo prezioso sangue».

Alle parole del mio padre, mi umiliai profondamente, conoscendo che diceva benissimo, che io sono una sciocca col ricusare i favori di Dio.

Persuasa di questa verità, chiesi perdono al mio Dio, feci la rinnovazione dei voti, come mi aveva imposto il mio padre, ed accettai l’invito.

Nel tempo che si celebrava la messa cantata, nella chiesa dei trinitari, ecco cosa seguì nel mio spirito. Mi parve di ritrovarmi ai piedi di detto monte santo, Dio per sua bontà mandò un raggio di luce sopra di me, tanto forte e potente, che non solo purificò il mio spirito, ma gli comunicò una chiarezza indicibile, che mi rese tanto bella che non si può immaginare, nonostante che mi vedessi così bella, in luogo di compiacermi, mi sprofondavo umilmente, confessando la mia viltà, rendevo onore e gloria al mio Dio che si era degnato di ammantarmi con il suo divino splendore; vedevo dunque il mio spirito così risplendente e bello, vestito dell’abito trinitario. Il mio spirito si era prostrato sul suolo con la fronte per terra, umiliandosi fino al profondo del suo nulla, ammirando solo l’infinita bontà di Dio, che si degnava comunicarmi la sua divina grazia.

In questo tempo mi parve di vedere uno stuolo immenso di padri trinitari già trapassati all’altra vita, queste sante anime di già gloriose in cielo, venivano a schiere a schiere, uniti a molti santi angeli, venivano a rallegrarsi con la povera anima, per l’ottenuto favore. Dio, per la sua infinita bontà, faceva pompa della sua carità usata verso di me, si compiaceva mostrarmi a tutti quei beati cittadini del cielo. Oh come veniva glorificato Dio da tutti quei beati comprensori! oh come tutti si rallegravano con la sua infinita bontà!

Dio allora manifestò a tutti quei cittadini celesti l’opera che era per fare con questa sua creatura, manifestò ancora per qual fine tanto mi benefica. Così disse Dio: «Oggi sia manifesto in cielo. Verrà il giorno che sarà manifesto agli uomini: tutti dovranno confessare che questa è opera mia!». Tutto questo fu detto con voce sonante e sonora.

In questo tempo il mio spirito se ne stava, per umiltà e per il timore, annientato in se stesso, con la fronte sul suolo, per il grande timore, nonostante che il mio spirito fosse tutto raggiante di luce; si approssimarono i santi fondatori trinitari e mi sollevarono da terra, mi fecero fare tre profondissimi inchini ad onore della santissima Trinità, condussero l’anima mia per la strada del monte santo, assicurandomi di proteggermi e di guidarmi, dandomi la loro santa benedizione da me si partirono, lasciando nel mio cuore un indicibile contento. Piena di coraggio, sperando nella loro valevole intercessione, così l’anima mia diede principio a questo santo viaggio del monte santo, dove al presente si trova; a suo luogo dirò quanto mi andrà seguendo.

70.3. Accetta con umiltà la sua grazia


Il dì 14 febbraio 1823, festa del beato Giovanni Battista, riformatore dell’ordine trinitario, la mattina nella santa Comunione si sopì il mio spirito in Dio in modo molto particolare, restai astratta dai sensi, il Signore mi comunicò un lume molto particolare di propria cognizione; in questa umile situazione mi portai a San Carlo alle Quattro Fontane per ivi assistere alla Messa cantata, mi prostrai in ginocchioni, e così immobile restai per due ore circa, senza più distinguere la mia sensibilità; questo tempo lo passai in umili preghiere e abbondanti lacrime, che dagli occhi versavo in gran copia raccomandandomi al santo riformatore ad ottenermi la remissione dei miei gravissimi peccati, e la grazia di salvare questa povera anima mia. Lo pregavo ancora incessantemente a farmi conoscere se io andavo ingannata dallo spirito delle tenebre; sfogavo ancora, con questo benedetto santo, i miei sentimenti, le mie afflizioni, il mio aggravio nell’avere acconsentito al surriferito favore di Dio, così gli dicevo: «Come volete, santo mio benedetto, che io possa di buona voglia acconsentire di essere trinitaria, se sono la creatura più vile che abita la terra, come? io che sono una stracciona, un’ignorante, come potrò sostenere un simile incarico? Ah, santo mio benedetto, pensateci voi di pregare l’Altissimo, acciò si degni assentarmi da questo forte incarico, mio Dio, io rinunzio a questa grazia, a questo favore».

Piangevo intanto dirottamente: «Mio amorosissimo Dio, rinunzio, sì rinunzio a questo vostro favore, per non disonorare la vostra divina maestà! Mio Dio, voi pure lo sapete che io sono una povera spergiura, santo mio benedetto pensateci voi, che non venga da me disonorato Dio, che tanto cara mi è la sua gloria, il suo onore. Ah, non sia mai vero che per innalzare un verme vilissimo della terra, quale io sono, abbia da oscurarsi la gloria di un Dio di infinita maestà! Santo mio glorioso, zelate voi l’onore di Dio».

Speravo che le mie ragioni avessero convinto il santo zelo del beato Giovanni, mi pareva che i miei sentimenti fossero giusti e prudenti, e che il santo avrebbe preso a difendere l’onore di Dio con l’escludere a me da questo incarico ma fu tutto al contrario di quello che pensavo. Così mi rispose il santo, non facendosi però da me vedere: «Figlia mia», mi disse, «non ti negare ai favori dell’altissimo Dio, adora i suoi divini giudizi, accetta con umiltà la sua grazia».

A queste parole del santo, intesi tutta commuovermi, conoscendo il suo giusto parlare, e la mia stoltezza nel rifiutare le divine misericordie.

Ravveduta, dunque, volevo accettare di buon grado, ma non potevo, perché un forte timore me lo impediva, perché ponevo lo sguardo sopra la mia viltà, non mi reggeva il cuore di attendere a questa grande opera; tornai nuovamente a dire al santo: «Ah, che io mi trovo insufficiente, sono affatto incapace di regolare un’opera sì grande; voi, santo glorioso, sapete quanta fatica vi è costata, quanto avete patito e sofferto».

«Sì», mi rispose il santo: «è vero, mi costò grande fatica, ma tu non devi tanto faticare! altro non devi fare che venire appresso alle mie norme, questo ti basta per compiacere la divina maestà. Mira», mi disse, «o figlia, quanto facile ti sarà il regolare questa opera! Dio con la sua grazia ti faciliterà l’impresa».

Allora mi fece vedere una macchina quanto mai bella, stabile, ma nello stesso tempo movibile, ma io non la so descrivere. Dopo avermi fatto vedere questa bella macchina, soggiunse: «Ti pare adesso tanto ardua l’impresa, tu altro non devi fare che stare al registro di essa. Non temere, che Dio medesimo è l’autore e il regolatore di questa grande opera».

A questa vista restai altamente confusa e convinta, perché conobbi ad evidenza la mia ingratitudine di non voler fare tanto poco per compiacere il mio Dio, gli chiesi per questo umilmente perdono, poi tornai a pregare il santo così: «Mio carissimo padre, deh, per pietà, non mi abbandonate come meriterei, deh vi prego di proteggermi, vi dono la mia volontà, voi presentatela al mio Dio, acciò disponga di me come più gli aggrada».

Rivolta poi a Dio dissi: «Deh, mio amorosissimo Signore, degnatevi di ricevere la mia volontà per le mani di questo vostro fedelissimo servo, io ve la dono, ve la consacro, io ve la offro interamente, fate di me ciò che vi aggrada».

Fatta questa offerta Dio mi fece provare una consolazione di spirito tanto grande, che non lo posso spiegare, un abbandono totale della mia volontà nella divina volontà di Dio, tanto perfetta che può chiamarsi un’intima unione.

Dopo aver goduto questo grande bene, il mio Dio si degnò darmi a vedere il suo fedelissimo servo, il beato Giovanni Battista della santissima Concezione; cosa mai dirò della sua bellezza, della sua gloria? al certo non mi è possibile il poterlo manifestare; ma pure dirò qualche cosa, per non mancare alla santa obbedienza.

Io lo vedevo in atto estatico, tutto assorto in Dio, con tre raggi di splendida luce sopra il suo capo, che lo rendeva tanto bello, che non si poteva mirare il suo volto, per lo splendore.

Dalla croce del suo scapolare scintillava tanto splendore, che non si poteva fissare in lui lo sguardo, questa vista destò in me molta stima e venerazione, ed insieme un indicibile contento, che non posso esprimere, ma questo contento era unito ad un profondo di umiltà, che mi annientava in me stessa e mi faceva solo ammirare l’infinita bontà di Dio.

In questo tempo vidi apparire il glorioso stendardo trinitario, con grande numero di anime dei santi religiosi che militano sotto questo glorioso stendardo, accompagnati da molti santi angeli, che festosi facevano coro cantando inni di gloria all’Altissimo, con somma gioia fu annoverata la povera anima sotto questo glorioso stendardo della santissima.

70.4. Dio solo sa quanto mi costano questi scritti


Per ordine del mio padre spirituale riporto le gravi molestie che ho dovuto soffrire dal nemico tentatore, che voleva a tutto suo costo impedire che io scrivessi quanto passa nel mio spirito nel tempo delle orazioni, con le sue diaboliche suggestioni mi ha sempre perseguitata, acciò non scrivessi; solo Dio sa quanto mi costano questi scritti, quante fatiche e pene ho dovuto soffrire dalla diabolica suggestione, che si trova sempre pronta, quando scrivo per confondermi e farmi credere che quello che passa nel mio spirito nel tempo delle orazioni altro non è che un gioco della mia fantasia alterata, che mi fa vedere tutte quelle rappresentanze fantastiche.

La suggestione mi dice: «Non curare, né raccontare al confessore quello che ti salta per il capo nel tempo dell’orazione, disprezza tutte queste cose, se no andrai ad intisichire, vedi quanto aggravio ti porta il vivere così tediata e concentrata, sciocca che sei, potresti fare una vita allegra e contenta senza tanti pensieri; lascia lo scrivere, non far caso a quanto segue nel tuo spirito, allora potrai divertirti e stare allegra, non dare ascolto al confessore che non sei obbligata di obbedirlo quando ti comanda imprudentemente».

Non solo queste, ma tante altre cose mi suggeriva per persuadermi di lasciare affatto la vita interiore, era tanto forte la tentazione che mi dava gravissima angustia e molte volte sono stata sul punto di stracciare i miei scritti in minutissimi pezzi.

Il nemico mi voleva persuadere dicendomi che andavo formando il mio processo, che questi scritti sarebbero stati l’eterna mia condanna, a queste forti suggestioni io sentivo una pena grandissima, perché mi si ottenebrava la mente e non potevo discernere il vero dal falso, tanto più che mi diceva la verità. «Non vedi», diceva, «che sei una sciocca senza senno, non sei capace al certo di penetrare tanto alto, sei una miserabile, sei un’indegna, in te altro non c’è che sogni e vaniloqui».

Queste ragioni mi pareva che mi quadrassero, perché è vero, verissimo che io sono una scellerata, una sciocca, una insensata, perché ho offeso tante volte gravemente il mio Dio tanto buono; a questo riflesso mi mettevo a piangere e facevo forte ricorso al mio Signore Gesù Cristo, il quale, per sua infinita bontà, immantinente mi dava soccorso con l’illustrare la mia mente; così conoscevo il vero dal falso spirito, che mi voleva subornare con le sue menzogne, così tornava la calma al mio cuore e godevo una pace di paradiso, e una semplicità molto particolare mi campartiva Dio, allora raccontavo tutto al mio Dio quanto mi era seguito come se Dio niente ne sapesse di quanto avevo io patito e questo lo facevo con tanta puerilità, tutta propria dei fanciulli, quando raccontano ai loro genitori le loro angustie, così si convertiva la mia luttuosa scena, in un paradiso di contento, e potevo scrivere tranquillamente per molti giorni, ma poi si tornava da capo a combattere con la medesima suggestione e prosegue a molestarmi tuttora quando scrivo i noti fogli.

Ma non tutte le volte mi era permesso né potevo fare questo ricorso al mio Dio, perché permetteva il Signore che la diabolica suggestione mi inviluppasse di più la mente, e così dovevo patire e soffrire pene molto grandi, perfino a sospendermi le potenze dell’anima; in mezzo alla confusione delle suggestioni, che io non capivo più, tenevo le carte avanti ma non potevo fare neppure una parola, sentivo uno stringimento interno che mi pareva di morire, non ricordarmi più le lettere che compongono le parole, scrivevo una lettera per un’altra, scrivevo affatto fuori di senso.

Nel vedere questi cattivi effetti, ero ancora tentata di impazienza contro me stessa e contro ancora il mio direttore, per avermi imposto questa obbedienza, per quanto mai io possa dire, mai dirò quanto mi costino questi scritti, torno a dire che solo Dio lo sa, che mi ha dato la forza, la grazia di superare questi forti ostacoli.

Per ordine del mio padre spirituale prendo a raccontare un’altra sevizia sofferta dalla diabolica suggestione.

Nell’anno 1823, in cui ci troviamo, per la grazia di Dio, nel mese di febbraio, giorno 17, la sera stavo nel mio oratorio trascrivendo dal giornale vari fatti accadutimi negli scorsi mesi di ottobre, novembre e dicembre, per darne il dovuto discarico al mio padre spirituale. In questo tempo mi assalì improvvisamente la suggestione diabolica, che provò a fare crudo scempio di me, cosa non disse, cosa non fece per sovvertirmi, poco mancò che io non facessi in minutissimi pezzi i miei scritti, tanto fu la diabolica oppressione e l’angustia che mi dava, dicendomi: «Strappa quei fogli, che queste non sono cose da darsi alla luce, è un grande sciocco quell’uomo del tuo confessore, che ti fa scrivere queste baggianate, tu sei una pazza e non ti avvedi che dici cose che sono affatto non solo credibili, ma del tutto impossibili; queste sono cose tutte da riprovarsi e non da approvarsi. Non ti fidare, ché il tuo confessore ti inganna, bella figura fai tu di sollevarti tanto alto! non vedi che sei una miserabile, che sei piena di miserie e peccati?».

A queste verità io viepiù mi inviluppavo, perché conoscevo essere questa verità, che sono la creatura più miserabile, più peccatrice che abita la terra.

In questo caso così funesto mi rivolsi al mio Dio, piangendo dirottamente, confessando questa verità che sono una miserabile, una peccatrice. Mi posi in ginocchioni, con la fronte per terra, ed in questa positura mi trattenni più di mezz’ora, invocando il nome santissimo di Gesù, facendo fervide preghiere, ottenni la liberazione di questa diabolica molestia, ad un tratto tornò la calma al mio cuore, così potei tornare a scrivere con somma pace e tranquillità, godendo una quiete di paradiso.