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60 – FELICI LE ANIME CHE SEGUIRANNO I TUOI ESEMPI


60.1. Riceve la comunione dall’apostolo Pietro


Il giorno 20 aprile 1821, venerdì Santo, dopo aver sofferto molti patimenti interni ed esterni, in memoria della passione e morte di Gesù Cristo, il benedetto Signore si degnò darmi un vivo desiderio di riceverlo spiritualmente nella divina Eucaristia.

Dopo aver fatto molti atti di fede, speranza e carità, sentivo un vivo desiderio e un’ardente brama di ricevere il pane di vita eterna.

Il Signore si degnò esaudire i poveri miei desideri, che per mezzo della sua santa grazia erano ardentissimi, e disfacendomi in lacrime con umile sentimento gli mostrai l’ardente mio desiderio. Si degnò il mio amorosissimo Signore di inviarmi il glorioso principe degli apostoli san Pietro, corteggiato da molte schiere angeliche, e mi fu somministrato dal suddetto santo apostolo il santissimo sacramento dell’Eucaristia.

Quali affetti di santa umiltà, di gratitudine, d’amore, di rispetto e di venerazione provò il povero mio cuore non è possibile poterlo manifestare. Fui sopraffatta da lacrime abbondantissime e da una dolcezza di spirito soprannaturale, godevo nell’intimo del mio cuore un gaudio di paradiso. Il santo Apostolo, a me rivolto, così mi parlò: «Rallegrati, o figlia diletta di Dio, e ringrazia l’infinito suo amore, gli eccelsi favori che l’alta sua bontà ti comparte. Mostragli in tutte le tue operazioni la tua fedeltà, fatti coraggio di patire per amore suo. Compiaciti nella sua volontà divina, prosegui con energia a sostenere l’impegno intrapreso, di sostenere la Chiesa di Dio a costo di ogni fatica e pena, anche con il proprio tuo sangue», soggiungeva il santo Apostolo: «Io ti prometto di proteggerti e di aiutarti in tutte le tue intraprese».

Alle parole di questo benedetto santo, la povera anima mia si annientò in se stessa, per vedersi tanto beneficata da un Dio di infinita maestà, e di bontà infinita, riconoscendosi affatto indegna ed immeritevole di tante grazie. Proruppi in accenti umili e amorosi verso il mio amorosissimo Dio, lodando e benedicendo il suo santo nome e nuovamente mi offrivo qual vittima d’amore per adempire la sua santissima volontà, fino all’ultimo respiro della mia vita.

60.2. Mi introdusse nel suo amorosissimo cuore


Il giorno 21 aprile 1821, sabato santo, nella santa Comunione si degnò il mio Dio, per confortare il mio povero spirito, introdurmi nel suo amorosissimo cuore. Mi parve veramente di entrare in un vasto oceano di delizia e di contenti, e sopraffatta da luce inaccessibile fui condotta dallo Spirito del Signore in un ameno e delizioso giardino, il quale denotava la sua eccelsa bontà ed amore incomprensibile.

Il giorno della santa Pasqua, 22 aprile 1821, fu il povero mio spirito favorito da particolare favore. Il Signore si degnò di farmi godere una perfetta, intima unione, restando nell’anima i mirabili effetti della sua santa grazia.

60.3. Conoscevo di essere tutta immersa in Dio


Il giorno 25 aprile 1821, si raccolse il mio spirito nelle orazioni, e mi parve di trovarmi nuovamente in quell’amenissimo giardino anzidetto, dove mi parve di vedere la gran Madre di Dio con il suo santissimo figliolo.

Al solo vedere questi divini personaggi, credetti di perdere la vita, per il profondo ed umile rispetto e grande venerazione che sentivo nel mio cuore, che prostrata al suolo con la fronte per terra, annientata in me stessa, piena di lacrime, ricolma di santi affetti, mi mancavano gli accenti di proferir parola; ma la pietosa Madre, conoscendo il mio grande timore, mi fece coraggio e si degnò approssimarsi verso di me, e conducendomi con lei in una parte superiore e molto più amena di quel medesimo giardino, dove la povera anima mia ricevette grazie e favori molto particolari dall’umanità santissima di Gesù Cristo, che quivi era assiso, vicino ad una bellissima e chiarissima fonte, il chiarissimo splendore che tramandava dall’ombra del suo santissimo corpo, rendeva piacevole questo ameno soggiorno, che rapì il mio spirito in guisa tale che io non ero più in me stessa, ma tutta assorta in Dio.

Estatica restai senza avvedermi qual grazia mi comunicasse Dio, perché fui sopraffatta da amoroso deliquio; ma conoscevo di essere tutta immersa in Dio, e godevo nell’anima un immenso gaudio di paradiso. Sentivo nell’intimo del cuore dolce voce, che mi parlava così: «Inoltrati viepiù, o diletta mia figlia, non ti arrestare alla chiarezza del mio splendore. Sono un Dio grande ed incomprensibile è vero, ma sono amante delle mie creature. Il santo timore ti arresta, ma l’eccesso dell’amor mio a me ti avvicina. Vieni, vieni senza timore, mentre, per via di trasformazione, io mi compiaccio di intimamente unirti alla mia immensità, così diverrai una stessa con me, partecipando del mio infinito essere».

Qual nube candida, percossa dai benefici influssi del sole di giustizia, ad un tratto mi vidi tutta raggiante di luce e medesimata mi vidi, in un istante, in quella grandissima luce inaccessibile. Quale stupore e qual meraviglia recasse al mio spirito, qual profonda umiltà, qual gaudio di paradiso, qual scienza si degnò Dio di infondere nell’anima, affinché potesse contemplare le sue divine perfezioni.

Queste divine cognizioni destarono nell’anima una semplicità, una purità proprio angelica, una pazienza ed una mansuetudine tanto perfette, che io non so neppure spiegarlo. Un aborrimento poi tanto grande a tutte le cose del mondo, un desiderio grandissimo di piacere solo al mio amorosissimo Dio, a costo di ogni mio grave patimento, non solo, ma una brama di patire per amor suo ogni sorta di avvilimento e travaglio.

Oh come si faceva sentire la viva fiamma della santa carità nel povero mio cuore. Oh come ne prendeva il possesso. Oh come si impadroniva di tutta l’anima mia, di tutte le mie potenze, di tutti i miei affetti, in una parola di tutta me stessa, in certa maniera che non so spiegare; ma come io non fossi più padrona di me, ma solo lo Spirito del Signore arbitro fosse in tutto e per tutto, senza più potermi né negare né oppormi all’amabilissima volontà del mio Dio. Questa cognizione mi era di sommo contento e di grande consolazione.

60.4. A un tratto vedo l’amato Pastore


Il giorno 12 maggio 1821, stando in orazioni fui sopraffatta da interno raccoglimento e da una quiete di spirito molto particolare.

In questo tempo mi parve di trovarmi in una amena campagna, dove vedevo un prato deliziosissimo di verdeggianti erbe e tutto smaltato di bellissimi fiori.

Vedevo nel suddetto prato molte anime sotto il simbolo di pecorelle, le quali erano tutte intente a pascolare quelle preziose erbe. Non mancavano queste di invitarmi, e replicando più volte i loro inviti, affinché andassi con loro a gustare e a godere l’amenità di questo smaltato prato; ma la povera anima mia, che sotto l’immagine di pecorella la vedevo, questa ricusando con dolcezza i loro inviti, se ne andava verso il bosco, e salendo un erto monte, sterile affatto di ogni pascolo, solo ripieno di triboli e spine, non altro cercando che l’amato pastore, ricusando ogni altro sollazzo, per trattenersi con lui da appresso, e per non gustare altro cibo che quello del pane di vita eterna, che somministrato gli è stato per ben altre volte dal divino pastore. Solinga dunque me ne stavo nel deserto, sfogando gli amorosi affetti del mio povero cuore. Mi protestavo veracemente di non volere altro che stare al fianco del mio caro ed amato pastore. Rinunciavo a questo oggetto ogni consolazione, ogni soddisfazione, ogni sorta di onori e di piaceri, benché leciti e santi, solo cercando di soddisfare l’oggetto amato, protestandomi di essere questo l’unico scopo dei miei desideri, di stare a lui vicino per divenire una stessa con lui e per potere copiare in me le sue divine virtù; per essere, per mezzo della sua divina grazia, un perfetto modello del tutto simile al mio amato pastore.

Gli dimostravo l’affetto più grande, più vivo che ardeva nel mio cuore. In questa guisa ero tutta intenta a rintracciare le sue pedate.

Ecco ad un tratto vedo l’amato pastore che seduto se ne stava sopra un greppo.

A questa vista quanti fossero i santi affetti che assaltarono il mio cuore non è possibile il poterlo esprimere.

Il divino pastore amorosamente mi invitò a riposare con lui ed a gustare di quel pane che famelica mi dimostravo di volere. Andava dunque anelante la pecorella al suo pastore, e piena di gaudio e di contento si protestava di tenere per bene impiegate le fatiche che le costava di averlo ritrovato. Con molte sante espressioni, e più con gli affetti del cuore, che somministrati mi venivano dalla carità, ebbra di santo amore accettava l’invito dell’amato pastore.

Oh carità grande dell’amorosissimo Dio! Riposar mi faceva nel suo castissimo seno, e mi dava a mangiare di un pane bianchissimo che teneva nelle sue santissime mani. Era tanta la gioia ed il contento che godevo nell’anima, che dubitavo di perdere questo gran bene che avevo ritrovato per pura misericordia di Dio. Riconoscendomi affatto indegna di favore sì segnalato, pregavo il divino pastore che permesso non avesse di mai e poi mai potermi allontanare da lui, nonché diffidassi del suo amore infinito; ma, bilanciando la mia grande viltà e miseria, dubitavo di allontanarmi dall’amor suo.

Con sentimento il più verace e con l’affetto il più vivo d’amore, gli dicevo: «Mio caro ed amato pastore, vi prego di togliere alla vostra pecorella quella libertà che gli donaste, e renderla impossibilitata affatto di potersi da voi allontanare. Rinuncio alla mia libertà, alla mia volontà, per compiacere la vostra amabilissima e per me sempre gratissima volontà». E, sopraffatta da un profluvio di lacrime, dicevo: «Chi mi assicurerà di stare sempre con te, tu solo puoi rendermi sicura con un solo atto della tua volontà». Ma chi lo crederebbe che l’amore suo passasse tanto oltre? Per vedere contenta e sicura la povera anima mia, il buon pastore pose la sua mano destra sopra il mio dorso, e con accenti amorosi così mi parlò: «Vivi sicura, da me non ti allontanerai mentre la libertà di partir da me tu più non hai».

Assicurata di poter fare con il mio amabilissimo Signore la permanenza, dolce sonno mi rapì, ed in braccio al mio amato pastore dolcemente e soavemente riposai e nel sonno desideravo di non svegliarmi mai più.

Non sto qui a raccontare i buoni e santi effetti che nel mio povero spirito cagionò questo favore, per non essere tanto molesta a vostra paternità reverendissima con tanto tedio, mentre a me manca la maniera di spiegarmi, per la mia ignoranza e a vostra reverenza non manca intelligenza per conoscere gli effetti mirabili della grazia.

Dal 12 maggio fino al giorno 30 detto 1821, il mio spirito, assistito dalla grazia divina, ha sempre procurato di mantenere le buone e sante impressioni che aveva ricevuto negli anzidetti favori e grazie che il Signore, per sua infinita bontà, si è degnato compartirmi con l’esercizio delle sante virtù e con il raccoglimento interiore e con la retta intenzione di piacere solo al mio Dio, in tutte le cose, non curando cosa alcuna della terra, e se permesso mi fosse vorrei dire neppure del cielo, ma solo il mio impegno era ed è essere perduta amante dell’eterno suo amore, in questo solo si diffonde il povero mio spirito di compiacere la sua santissima volontà, senza cercare il mio proprio interesse, ma la sola sua gloria.

60.5. Una croce piantata sopra un altissimo monte


Il giorno 21 aprile 1821, giorno della Risurrezione del Signore, stando in orazioni, tutto ad un tratto mi parve di trovarmi con lo spirito in un delizioso ed ameno giardino. Era il mio spirito tutto raccolto in Dio, contemplando la bellezza e l’amenità dei preziosi fiori di quell’amenissimo soggiorno, che tutto spirava odore di santa soavità. Tutto quello che vedevo mi rammentava l’amor grande che mi porta il mio Dio. Queste cognizioni mi umiliavano profondamente e mi facevano riconoscere per la creatura più vile della terra.

Restavo stupefatta, considerando l’infinita bontà di Dio, nel vedermi tanto beneficata dopo averlo tanto offeso ed oltraggiato, riconoscendomi affatto immeritevole di ogni bene, prorompevo in lacrime di eccessivo dolore, ricordandomi di averlo offeso, mi umiliavo fino al profondo del proprio mio nulla. Lodavo e benedicevo l’infinita misericordia del mio amorosissimo Dio, e sopraffatta da veemente amore lo pregavo incessantemente a prendere sopra di me qualunque soddisfazione, purché degnato si fosse di perdonarmi tutti i miei peccati, e mi avesse permesso di poterlo incessantemente amare.

Questo santo desiderio si accrebbe nel mio spirito in guisa tale che mi faceva languire d’amore. Dopo di essermi trattenuta per qualche tempo in questo amoroso languore, che mi alienò dai sensi, mi parve di trovarmi con lo spirito sopra un altissimo monte, dove vedevo una croce ben grande, già piantata e stabilita sopra del suddetto monte.

A questa vista la povera anima mia si riempì di timore, perché conosceva che quella croce a me apparteneva. Ciò nonostante, genuflessa avanti a questa croce, adoravo le divine disposizioni di Dio e lo pregavo di darmi la grazia di adempire la sua santissima volontà.

Fatta la preghiera, mi parve di vedere l’amabilissimo mio Gesù con la sua santissima Madre, i quali, pieni di piacevolezza e amore, a me si avvicinarono, facendomi coraggio a patire per amore e per onore dell’eterno divin Padre.

Gesù Cristo mi fece intendere che di nuovo mi fossi offerta, qual vittima d’amore, a patire in unione dei suoi patimenti. Si degnò l’amorosissimo Signore di confortarmi e consolarmi con le più dolci ed amabili sue parole: «Figlia», mi disse, «confida pure negli eccessi incomprensibili della mia infinita misericordia. Fatti coraggio di patire per amor mio. Io sarò sempre con te, per aiutarti e per renderti vittoriosa di te stessa. Io ti lascio la mia cara Madre per tuo conforto. Figlia, il mio amore è quello che ti crocifiggerà sopra questa croce. Io sarò il sacerdote e tu la vittima. L’amor mio ti pone in questa situazione, affinché tutti conoscano ed ammirino l’eccesso incomprensibile della mia carità verso di te, da me praticata, e perché molte anime imparino ad amarmi con semplicità di spirito, con purità di mente, con retta intenzione di solo a me piacere, e che l’amor mio le guidi all’adempimento perfetto della mia volontà. Felici saranno quelle anime che seguiranno i tuoi esempi, e in spirito e verità si daranno alla tua sequela, e non altro cercheranno che l’amor mio, il mio onore, la mia gloria. Oh come da queste anime mi farò trovare prodigo delle mie grazie e dei miei favori!».

Con queste, ed altre simili espressioni di carità, andava il benedetto Signore confortando la povera anima mia, e con interne illustrazioni le dava a conoscere la nobiltà di questo patire. Mi dava a conoscere ancora quanto grato gli fosse il povero mio sacrificio, per mezzo del quale si sarebbe degnato di far grazie a tutti quelli che con fiducia per mio mezzo alla sua infinita misericordia ricorressero.

60.6. Per la Chiesa e la conversione dei peccatori


Così di nuovo prese a parlare il benedetto Signore: «Ti pongo sopra questo alto monte, affinché tutti possano vederti ed ammirarti. Figlia, abbi in memoria i bisogni della mia Chiesa. La conversione dei peccatori sia lo scopo di tutte le tue operazioni».

Dette le suddette parole, disparve il Signore, e la sua divina Madre io più non vidi, e il mio povero spirito restò in quel solitario monte sotto quella croce, pieno di consolazione celeste, aspettando, con somma rassegnazione e pazienza ed ansietà, il momento di essere dall’amore di Dio crocifissa, come mi era stato promesso.

Questo martirio doloroso ed amoroso insieme, per quanto è a mia notizia, mi pare, se non erro, di averlo sofferto un anno dopo all’incirca. Mentre il giorno 28 marzo 1822, giovedì di Passione, fino al 7 di aprile, in questi dieci giorni sostenne il mio spirito certe afflizioni e mentali dolori che ben possono chiamarsi una vera e dolorosa crocifissione, come riporto nei fogli scritti nel medesimo anno 1821. Nel mese di marzo, giorno 28, tanto di questo ne posso dare riscontro, mentre adesso che lo copio dal mio straccio foglio giornale è il mese di maggio 1822, avendo per un anno intero trascurato di copiare, il suddetto fatto, né lo volevo copiare, ma lo volevo bruciare. Ma il mio Direttore mi ha obbligato di metterlo in pulito in questi fogli, sotto pena di non accostarmi a fare la santa Comunione per molti giorni, se non avessi obbedito di scrivere il suddetto fatto arretrato per mia negligenza.