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57 – LA MIA MISERICORDIA NELLE TUE MANI


57.1. Volevo consultare un altro maestro di spirito


Riprendo il racconto. Risposi, dunque, al mio direttore che più non lo conoscevo per mio confessore, ma che solo lo riconoscevo per un religioso, e come tale lo stimavo e lo rispettavo, e non altrimenti, e che non credevo di essere obbligata di obbedirlo a quanto mi aveva comandato, cioè di obbedire ai miei parenti.

Mi ero veramente prefissa di sentire il parere di un altro maestro di spirito, per mia quiete e per assicurarmi se il povero mio spirito andava ingannato da falso spirito, sebbene nella mia coscienza non sentivo per questo la minima pena, perché non trovavo che mai avessi né finto, né alterato, né falsificato alcuna cosa; ma trovavo nella mia coscienza il buon testimonio di aver sempre palesato, con tutta ingenuità e schiettezza, quanto passava nel mio spirito ai rispettivi miei direttori. Successivamente uno agli altri, segnatamente a questo lodato padre, che sono anni quattordici che dirige il mio spirito, non trovavo di averlo mai e poi mai ingannato, ma solo di avergli sempre manifestato il mio spirito con semplicità e purità, e senza altro fine che per glorificare Dio e per assoggettarmi, con tutta umiltà e sommissione, al suo savio parere e consiglio. Trovavo ancora di averlo sempre obbedito in tutto quello che mi aveva comandato, e di non aver mai fatta cosa alcuna, riguardante il mio spirito, senza il suo permesso.

Queste riflessioni mi rendevano quieto e tranquillo lo spirito, ma quello che mi affliggeva era che mi pareva di conoscere che il mio padre spirituale dimostrasse della dubbiezza circa il mio spirito, dubitando che in me ci fosse della falsità. E questo lo rilevavo dal suo portamento e da varie proposizioni da lui dette in tempo del grave mio male, che venivano a disapprovare il mio spirito.

Questa fu una cosa che mi cagionò molta afflizione, perché la sua dubbiezza mi faceva credere che io fossi ingannata dal demonio. A questo solo oggetto avevo deciso di sentire, per mia quiete, il parere di un altro direttore. Dicevo: «Se in me c’è sbaglio, se in me c’è errore, voglio assolutamente che si corregga, a costo di ogni mia grave pena, perché io altro non desidero che di salvare questa povera anima mia, a gloria del medesimo Dio. E se mai per mia disgrazia vi fosse nel mio spirito errore o sbaglio sono contenta di farne la più aspra e severa penitenza».

Questi erano i miei sentimenti, che poi non si misero in pratica, mentre il mio direttore prudentemente si oppose a questa mia determinazione, questo mio risoluto parlare mise un grande giudizio ai miei parenti, i quali impallidirono e si ammutolirono, e non ebbero più ardire di parlare, mentre credevano di arrivare al loro intento, supponendo che io mi soggettassi ad una erronea obbedienza.

In simile guisa avevano subornato il medico, dicendogli che era ordine del mio confessore che mi soggettassi alla loro volontà, perciò il loro sentimento era di legarmi e dissanguarmi.

Il buon medico, per non contraddirli, essendo anch’esso tentato contro di me, mi ordinò subito due copiose sanguigne; ma la mia dichiarazione fatta al mio confessore mandò all’aria in un momento il loro piano, restando tutti confusi, non sapendo più che fare. Intanto, il suddetto padre se ne andò al suo convento.

57.2. Il signor Giovanni mi liberò dai parenti


In questo tempo, per mia buona sorte e per pura misericordia di Dio, giunse in casa mia una persona di molto riguardo e di molta stima, molto a me bene affetto, il quale, sentendo la barbara risoluzione e la crudeltà che volevano praticare contro di me, pianse amaramente e molto se ne afflisse, e non avendo neppure coraggio di trovarsi presente a questo mio strazio, se ne voleva partire senza neppure entrare nella mia camera, ma si contentò di solo affacciarsi con la testa sulla porta per quanto vedermi, pensando che io non lo vedessi. Ma il Signore, che voleva per suo mezzo liberarmi da questa grande sevizia, permise che, appena mise la testa nella mia camera, io lo chiamassi per nome: «Signor Giovanni», così gli dissi, «signor Giovanni, fratello mio in Gesù Cristo, favorisca pure, la prego. Prego per carità di liberarmi dalle mani di questi tentati parenti, che vogliono fare da padroni in casa mia. Prego lei di assumere in mia vece questa padronanza, per metter freno agli sconcerti che sono per fare, con grave pregiudizio della mia salute, e forse ancora della mia vita».

Questo buonissimo mio amico e fratello in Gesù Cristo, a questo mio parlare, tanto s’impietosì che non poteva contenere le lacrime, ma, piangendo dirottamente, mi disse: «Io mi faccio carico di tutto, e da questo momento in poi nessuno avrà più ardire di molestarla. Io ne assumo il comando, e le prometto che non si farà né più né meno di quello che lei vuole. Dica pure a me i suoi sentimenti e si assicuri certo che saranno tutti eseguiti».

Questa promessa tranquillizzò il mio spirito e mi misi in una perfetta calma. Questo pio galante uomo parlava per puro impulso di Dio, che in quel momento si degnò di illustrare la sua mente per farmi questo gran bene, per così porre fine a tante mie sciagure, come difatti seguì. Questo non si può negare che fosse un tratto benefico della grazia di Dio, come il suddetto mi ha più volte assicurato, che per mezzo di lume interno si accinse ad operare, sentendosi spronato da forte impulso di condiscendere a quanto io volevo, trovando che le mie domande erano giuste e rette.

Questo lodato signore, vedendomi in piedi che molto pativo e soffrivo, parte per la grave angustia di essermi fino allora veduta bersagliare dai parenti, parte per la debolezza per il grave male sofferto, mi disse che credeva bene che andassi a letto, chiedendolo per carità e per non vedermi tanto patire. Io risposi che avrei subito obbedito. Si partirono tutti dalla mia camera, ed io, assistita dalle mie due figlie, me ne andai a letto.

Tornarono tutti nella mia camera, ma nessuno dei miei parenti ebbe più ardire di molestarmi, e neppure di proferir parola contro di me. Il buonissimo mio amico e fratello in Gesù Cristo mi disse che il medico mi aveva ordinato il sangue, se credevo bene di cavarlo. Io gli risposi ridendo che non avevo bisogno di levarmi sangue, che le sanguigne mi avrebbero precipitata.

Il suddetto si fidò della mia parola, e così andarono all’aria ancora le sanguigne. Mi disse ancora che il medico aveva detto che mi aveva trovato nel polso una gran febbre, io gli risposi che il medico fosse tornato a visitarmi la mattina, che mi avrebbe trovato perfettamente bene di polso. Mentre nel mio polso altro non vi era che la grande agitazione e la pena che fino allora avevo sofferto. Si persuase alle mie parole, e così fu soprasseduto ogni sorta di rimedio, ogni sorta di medicamento, mentre io lo assicurai di non aver bisogno di rimedi umani.

La mattina venne il medico e mi trovò come io avevo detto la sera, mi trovò di polso perfettamente bene e del tutto guarita. Con sommo suo stupore pareva che non se ne potesse persuadere di vedermi tanto pacifica e tranquilla, per avermi veduta negli scorsi giorni oppressa da tanti mali che gli facevano paura. Non restò in me che la pura debolezza, senza alcun altro male di quelli che avevo negli scorsi giorni sofferto, ma mi trovai in quel medesimo momento perfettamente guarita. Per vari altri giorni guardai il letto, per la sola debolezza e prostrazione di forze.

57.3. Ho scusato i parenti


I miei parenti, dunque, quella medesima sera se ne tornarono alle loro case pieni di stupore, confessando l’opera prodigiosa del Signore, che in un momento aveva cambiato aspetto alla cosa da loro male interpretata, perché credevano il mio male irrimediabile e disperato affatto, quando lo videro del tutto svanito in un momento, con loro meraviglia e stupore. Veramente sono compatibili. Loro credevano un male naturale, volevano ripararlo, sicché non operavano con cattivo animo contro di me, ma erano troppo assai frastornati dalla forte tentazione del demonio, che neppure loro sapevano quello che facevano.

Io li ho scusati, non lagnandomi di alcuno, non avendo altra mira che di raccontare il fatto dal principio sino alla fine, alla maggior gloria di Dio e per obbedienza del mio padre spirituale, che mi ordinò di scrivere. E, per non lasciare interrotto il suddetto racconto, aggiungo ancora che la donna di servizio, lei ancora altamente confusa, forse per le false ciarle riportate, si licenziò dal mio servizio, e di questo ne fui pienamente contenta, per giusti miei fini riguardanti la gloria di Dio.

Bisogna premettere, prima del surriferito racconto seguito la sera, come poc’anzi ho detto, e premettere quello che seguì la mattina. Eccone dunque il racconto. Fin dalla mattina il Signore mi aveva promesso che in quella giornata sarei restata vittoriosa di tutti i miei nemici, visibili ed invisibili, grazie al suo divino aiuto. Come difatti seguì, come già ho detto nel passato racconto, questo fu il giorno 15 febbraio 1821. La mattina dunque mi volli alzare dal letto per andare in cappella, che era contigua alla mia camera. Questo molto mi fu contrastato dai miei parenti, che appena giorno si portavano a bella posta in casa mia per far da padroni e contrariarmi tutto quello che volevo e dicevo. Si opposero severamente a questa mia richiesta, ma io tanto pregai, tanto mi raccomandai che mi dettero il permesso di alzarmi. Questa richiesta la feci, perché Dio me ne aveva fatto un assoluto comando. Mi alzai e andai nella mia cappella, dove feci fervide preghiere, raccomandandomi caldamente al Signore. Stetti molto tempo in orazione.

Dio per sua bontà mi manifestò quello che dovevo fare per fugare tutti i demoni, che erano nella mia casa, e tutto il regolamento che dovevo tenere in quella giornata, assicurandomi il mio Dio che in quel medesimo giorno, per mezzo del suo divino aiuto, avrei trionfato sopra i miei nemici. Come difatti seguì, ed ho già detto nei passati fogli.

57.4. La Chiesa non sarà perseguitata


Per mezzo dunque di interna illustrazione, mi diede a conoscere Dio che se nei passati giorni, per amor suo e per sostenere la santa cattolica Chiesa e per il bene di tutto il Cattolicesimo, mi ero contentata per compiacere la sua divina carità di spontaneamente scendere all’inferno, per mezzo di tanti patimenti, sarei prima della notte risorta gloriosamente a nuova vita, vale a dire che avrei riacquistato quello che avevo perduto per mezzo di tanti patimenti, che avrei riacquistato la giusta sensazione e non sarei stata più oppressa da quei travagli ed angustie fino allora sofferte. Avrei riacquistato ogni diritto, ogni ragione sopra me stessa e sopra la mia casa, e che la mia vita sarebbe regolata dalla sua divina sapienza, che mi avrebbe fatto partecipe dei suoi santissimi doni, e che la sua divina grazia sarebbe scesa sopra di me in grande copia, e che l’anima mia avrebbe sempre abbondato e partecipato di favori celesti. E che tenessi per certo e sicuro che si sarebbe avverata la promessa che mi aveva fatta di liberare la nostra città di Roma dall’invasione eminente dei Napoletani, che la sovrastava ora per ora. E, così avrebbe compiaciuto le mie brame e il grande mio desiderio di non vedere perseguita e dispersa la romana Chiesa cattolica da questi barbari persecutori, che con dettami di una apostatica costituzione pretendono di levarla dai suoi propri cardini, perseguitandola dai propri suoi fondamenti con una massima del tutto opposta al santo Vangelo.

Così si degnò Dio di parlarmi intimamente, senza strepito di parole sensibili, ma solo per via di intelligenza intellettuale, per mezzo di alta cognizione, dettata dalla sua divina sapienza all’anima mia ed ammaestrata dalla divina sua scienza, per così conoscere la nuova maniera di trattare intimamente con lui, e per conoscere con maggior chiarezza di prima le sue divine perfezioni, e per sempre più accrescere nel mio spirito il fuoco della divina carità.

Fu illustrata la mia mente per mezzo dei sette doni dello Spirito Santo, di cui il mio Dio mi aveva fatto partecipe di questi sette doni per innalzare la povera anima mia a trattare familiarmente con la sua divina e sovrana maestà. E così trattenermi intimamente con lui, per farmi conoscere con maggiore chiarezza il suo infinito essere sovrano e divino.

Si tratteneva, dunque, la povera anima con la sua divina maestà, con sommo rispetto, riverenza e sommissione, ma insieme con una santa confidenza proprio filiale, che non si opponeva a quella umile soggezione e sommissione dovuta alla sua infinita grandezza. Con umile sentimento e ossequioso rispetto, pregavo a liberarci dall’imminente invasione dei Napoletani e dal tirannico giogo della loro costituzione, che a momenti ci sovrastava. Pregavo incessantemente per la santa Chiesa cattolica, perché in questa occasione non fosse tiranneggiata ed oppressa. Raccomandavo il sommo Pontefice, tutto il clero regolare e secolare, tutto il Cristianesimo. Finalmente tornavo a pregare per la città di Roma, affinché non perdesse il dominio della cattedra infallibile della verità di santa Chiesa.

Così dunque si degnò Dio di parlarmi intimamente: «Mia diletta figlia, tu riporti il trionfo della mia Chiesa. Tu facesti violenza al mio cuore col sostenere virilmente un diluvio di patimenti per amor mio, così ti facesti mediatrice e in luogo della giustizia che volevo in questi momenti far trionfare per mezzo di severo castigo, ecco invece nelle tue mani la mia misericordia. Non più disperso e ramingo sarà il gregge di Gesù Cristo, né la tua Roma perderà il dominio della cattedra infallibile della verità di santa Chiesa. Vedi, o mia amatissima figlia, fin dove giunge l’amor mio per condiscendere la tua volontà, le tue brame. Sei paga? Brami altra prova dell’infinito amore che ti porto?».

57.5. Non capisco perché mi amate tanto


A queste amorose espressioni, così rispose la povera anima mia al suo Dio: «Ah mio amorosissimo Dio, basta, non più. Il vostro amore altamente mi confonde e profondamente mi umilia. Io non capisco perché tanto mi amate, e cosa mai voi troviate in me, che tanto vi piace, che vi degnate di esaudire le povere mie preghiere e di condiscendere le mie voglie? Ah mio Dio, per carità, perdonate il mio ardire, e si adempia in tutto e per tutto la vostra santissima volontà. Mi protesto che altro non voglio se non che la mia volontà, sia assolutamente la vostra volontà, e se mi sono offerta e sacrificata a patire, mio Dio, voi lo sapete, altro non volli, altra mira non ebbi che di compiacere la vostra santissima volontà».

Nuovamente tornò a parlare il mio Dio: «I santi tuoi desideri dettati dalla mia fede, dalla mia speranza, dalla mia carità, che fino dal Battesimo io ti infusi con particolare amore nel tuo cuore, queste virtù unite alle altre, che mi sono compiaciuto donarti, ti formano oggetto delle più alte mie compiacenze. Figlia, hai vinto la mia giustizia. Rallegrati, che la grazia è nelle tue mani. Sospendo il flagello e do luogo per ora alla mia misericordia».

Torna l’anima a parlare con il suo Dio: «Ah mio amorosissimo Dio, le vostre parole sono degne veramente del vostro infinito amore, ma a dismisura altamente mi confondono. Non posso negare a me stessa gli alti favori che ho sempre ricevuti dall’infinita vostra maestà. Io tutti li ricordo, ma qual confusione è per me di conoscere ancora la mia cattiva corrispondenza e il grande abuso che ho fatto delle vostre divine misericordie. Mio Dio, tengo vivamente presenti alla mente i grandi oltraggi che vi ho fatto, i grandi peccati che ho commesso. Mio Dio, mio Signore, l’enorme mia ingratitudine mi umilia profondamente, mi annienta, mi inabissa nel proprio mio nulla. Mi confondo nella stessa mia cattività avanti alla vostra tremenda maestà infinita. Mio Dio, mio sommo amore, vi domando milioni di volte perdono, vi domando milioni di volte pietà, ve ne domando misericordia, ne sono pentita e pentita di vero cuore, voi lo vedete, voi lo sapete. Mio Dio, propongo con la vostra santa grazia, prima morire, che mai più darvi il minimo disgusto, di farvi la minima offesa. Mi protesto di vivere e di morire tutta abbandonata nel vostro divino beneplacito e nell’adempimento perfetto della vostra santissima volontà. E di amarvi e servirvi fedelmente per quanto varranno le mie forze, fino all’ultimo respiro della mia vita, per mezzo della vostra divina grazia, che imploro dalla vostra infinita bontà».

In questa guisa terminò la mia orazione.