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55 – VERA SEGUACE DI GESÙ NAZARENO
Avverto
che a questo cartolaro deve aggiungersi un altro cartolaro, dove si
riportano altri fatti e si dà termine a tutto l’accaduto di questa
diabolica battaglia, sostenuta a maggior gloria di Dio contro la
potestà delle tenebre. (vedi pagina 692)
Per mezzo di
illustrazioni divine io conoscevo chiarissimamente tutte queste trame,
e non altro facevo dal mio letto, semiviva dai grandi strapazzi
sofferti, che poi terminerò di raccontare; altro dunque non facevo dal
mio letto, di raccomandare al Signore la santa Chiesa e il sommo
Pontefice, perché Dio gli avesse dato lume di non partire da Roma.
Dissi
al mio confessore che vedesse di far sapere al Santo Padre che non si
facesse sopraffare dalle persuasive di quelli che lo consigliavano e
sollecitavano alla partenza, ma che fosse restato in Roma, che la
misericordia di Dio avrebbe trionfato sopra i nostri nemici.
Prudentemente
mi rispose il mio padre spirituale che questo avvertimento non si
poteva fare al Santo Padre senza andare incontro a grandi ciarle,
mentre era sentimento comune dei politici di mettere in sicuro il Santo
Padre col farlo partire da Roma, e che tanto non si sarebbe ottenuto
l’intento e che si sarebbe dovuto manifestare quello che molto premeva
di tenere occulto.
Io mi persuasi di questa giusta ragione, mi
disse però che avessi fatto fervide preghiere al Signore, affinché gli
avesse dato lume di conoscere l’inganno, per disprezzare tutti gli
umani consigli, e così potesse deliberare di sua propria libertà e
volontà di non partire da Roma.
A questo saggio consiglio del
mio direttore, mi misi con tutto l’impegno a pregare il mio
amorosissimo Dio, che non avendo io mezzi umani di avvisare il Santo
Padre, avesse pensato con la sua infinita sapienza il modo di avvisarlo.
Ben
presto si degnò il mio Dio di esaudire la mia povera preghiera. Ecco
che ad un tratto diede Dio tanto di agilità al mio spirito che poté
penetrare il Palazzo del Quirinale, e poté il mio spirito parlare
spiritualmente con il Santo Padre e dargli tutti quei documenti che
credeva necessari per la sua permanenza in Roma. E difatti puntualmente
mise in pratica quanto il povero mio spirito gli aveva detto,
nonostante tutti i consigli e le grandi persuasive, e la carrozza che
era di già attaccata per farlo partire, lasciò tutti i consiglieri e
disse che invece di partire voleva andare a riposare, e che non voleva
partire a nessun costo.
Questa improvvisa ed inaspettata
deliberazione del Santo Padre guastò ad un tratto tutti i piani già
fatti e stabiliti dai maligni settari, e nacque in loro una grande
confusione, sicché le truppe napoletane invece di avanzare si
riempirono di timore e si ritirarono, e lasciarono le fortezze senza
sparare un cannone. Le truppe austriache senza combattere si
impadronirono delle loro fortezze e poterono andare in Napoli senza
sparare un cannone, mentre i Napoletani, benché fossero nel numero di
cinquantamila, si dettero alla fuga.
Così la misericordia di Dio
risparmiò la vita a molte migliaia di persone, e così la povera città
di Roma restò libera da questa invasione. Certamente questo non si può
altro che attribuirlo ad una grande misericordia di Dio. Eppur, chi lo
crederebbe, da pochi si conosce e si confessa questa verità.
55.1. Guarisce Pio VII
Racconto
un fatto che sempre ho taciuto, e adesso per obbedienza lo riporto in
questi fogli, per averlo trascurato a suo luogo. In occasione che il
nostro Santo Padre, papa Pio Settimo, si era portato in villeggiatura a
Castel Gandolfo, ebbe la disgrazia di cadere nella sua camera, ed
attesa la percossa stette molto male. Questo fu dell’anno 1816 o
dell’anno 1817, salvo il vero, perché adesso precisamente non mi
ricordo. Si stava in timore che perdesse la vita, non si mancava di
pregare il Signore per la sua conservazione e guarigione. Avendo io
amicizia con una donna, che era in casa di un prelato molto familiare
al Santo Padre, per il suo impiego, pregando dunque caldamente il
Signore per la sua guarigione, mi intesi ispirata di inviare a questa
medesima donna una piccola bottiglietta di acqua di Gesù Nazareno,
unita ad una mia lettera, dove la pregavo di vedere di far prendere
quell’acqua benedetta al Santo Padre.
Questo buon prelato non
credette conveniente di darla, per il timore che si fosse formato
qualche sospetto da quelli che lo assistevano, per essere molto gelosa
la vita del sovrano.
Stando in orazione, conobbi tutte queste
difficoltà, sicché mi raccomandai caldamente al Signore che avesse
provveduto, con tratto della sua divina sapienza, alla guarigione del
Santo Padre.
Fatta la preghiera mi alienai dai sensi, e il mio
spirito ad un tratto si trovò a Castel Gandolfo, nella stanza dove era
il Santo Padre malato, dove vidi un bello splendore di chiarissima
luce, nel mezzo della quale vedevo i santi Re magi che, presa la
bottiglietta dell’acqua benedetta, che io avevo mandato alla suddetta
mia amica, questi santi Re si degnarono con le proprie mani di dare a
bere di quell’acqua al Santo Padre. Ed infatti in pochi giorni si sentì
la sua guarigione.
55.2. «Lo vuoi salvo? Salvo l’avrai»
Racconto
per obbedienza del mio padre spirituale un altro fatto che ho
trascurato di scrivere, che mi seguì l’anno scorso 1820. Nel mese di
luglio si ammalò un padre di famiglia, persona molto benestante di un
paese vicino a Roma, mio conoscente, e molto bene affetta mi era tutta
la sua famiglia, dai quali avevo ricevuto molte carità. Mi scrissero
dunque la loro grande afflizione per la malattia del loro genitore. Mi
dispiacque veramente la loro afflizione e da miserabile peccatrice lo
raccomandai caldamente al Signore.
Si degnò Dio, per sua
infinita bontà, di darmi una interna illustrazione, dove mi fece
conoscere la sua giusta determinazione, che era per questo uomo giunto
il termine della sua vita e che doveva morire. A questo interno
sentimento non potei replicare, ma dovetti umilmente adorare i
giustissimi decreti di Dio, padrone assoluto di tutte le sue creature,
le quali senza replica devono obbedire al loro Creatore.
Non
potendo pregare per la salute del corpo di questo infermo, pregai
caldamente per la sua salute eterna, ed in questa orazione mi avvidi
del bisogno che aveva questa povera anima. Ed intanto ricevevo lettere
di molta premura tanto dai parenti dell’infermo, quanto da una loro e
mia amica dello stesso paese. Questa mi scriveva con grande impegno e
mi informava delle grandi orazioni che si facevano per ottenere la
salute di questo infermo. Mi credetti in dovere di scrivere a questa
mia buona amica e le dissi che tutte le orazioni che facevano fare, le
avessero rivolte all’eterna salute di questo infermo, che io da
miserabile peccatrice mi sarei unita alle loro fervide preghiere, le
quale puntualmente eseguii.
Conosciuto dunque il bisogno di
quest’anima, mi misi di proposito a pregare. Stetti tre ore in
orazioni, dalle ore venti fino alle ore ventitré del giorno di venerdì,
nel qual giorno il suddetto infermo rese la sua anima a Dio. Stando in
orazioni Dio, per sua infinita bontà, si degnò sollevare il mio
spirito, dove mi fece vedere la discussione della causa di quest’anima
ed il terribile giudizio che era di perdizione. A questa funesta nuova,
non so spiegare qual fosse l’impegno che intese il povero mio spirito
per ottenere a questo infelice la grazia. Piansi amaramente, pregai con
tutto il fervore, mi offersi a patire, perorai di tutto cuore per la
sua gran causa, per ottenergli la vita eterna per mezzo degli infiniti
meriti di Gesù Cristo.
Ero fuori di me stessa per il dolore e
per l’afflizione, ciò nonostante pregavo incessantemente con abbondanti
lacrime e con affannosi sospiri. Proseguivo la preghiera, quando ad un
tratto si sopì il mio spirito, e mi parve in quel tempo di trovarmi
davanti al grande tribunale di Dio, dove vedevo quest’anima tutta
tremante e confusa per il grande rendimento di conti che doveva fare a
Dio, sommo giudice e testimone di tutta la sua vita, di passa settanta
anni.
Vedevo dunque il sommo giudice sdegnato, il suo santo
Angelo custode che teneva un piccolo libricciolo nelle sue mani, che
stava tutto mesto e dolente, che non aveva coraggio di aprire. Vedevo
poi un arrogante demonio, che teneva un grandissimo libro nelle sue
mani, e con somma audacia e superbia pretendeva di aprire il grosso
volume davanti a questo infelice che stava pieno di terrore e spavento;
il povero mio spirito se ne stava profondato nel suo nulla, quanto mai
afflitto e pieno di spavento nel vedere questo gran fatto, ma la
compassione e la carità mi diedero coraggio. Piena di lacrime mi
rivolsi a Maria santissima e al suo santissimo Figliolo. «Ah Gesù mio»,
gli dissi, «non condannate quest’anima, ve ne supplico per la vostra
passione e morte e per i dolori della vostra santissima Madre, vi
prego, per la vostra infinita bontà, di volermi ricordare la promessa
che mi avete fatta di salvare tutti quelli che mi avessero fatto del
bene. La vostra parola non può mancare, in voi confido, in voi spero,
Gesù mio, questo è un mio benefattore, salvatelo per carità, ve ne
supplico per il vostro preziosissimo sangue. Io so benissimo che non
merito questa grazia, ma la vostra parola non può mancare. Oggi è
venerdì, giorno nel quale voi avete sparso tutto il vostro prezioso
sangue, e che perdonaste un ladro, salvate adesso quest’anima, Gesù
mio, non la giudicate, nel vostro santo nome salvatela».
Con
queste ed altre simili parole pregava la povera anima mia. Ma chi lo
crederebbe? Oh infinita bontà di Dio, veramente incomprensibile, il mio
buon Gesù si degnò rispondermi: «Figlia, la tua preghiera fa violenza
al mio cuore, lo vuoi salvo? lo avrai».
Nel sentire proferire
queste parole dall’umanità e divinità santissima di Gesù Cristo,
credetti veramente di morire, parte per la grande consolazione, parte
per il profondo rispetto e venerazione. Non sto qui a dire tutti i
santi affetti di cui fu in un momento ricolma la povera anima mia, la
gratitudine grande verso il mio Dio, la profonda umiltà nel vedere
esaudita la povera mia preghiera, una consolazione di spirito che mi
faceva struggere in lacrime di santo amore. Non finirono qui le mie
consolazioni, volle Dio, per sua infinita bontà, farmi vedere il
compimento della grazia, col farmi assistere di presenza all’infinita
sua misericordia.
Ecco dunque che si viene alla finale sentenza,
ecco che vedo Gesù Cristo cinto di gloria e di maestà, seduto sopra
splendide nubi, tutto raggiante di splendida luce, corteggiato da molti
santi e da innumerabili schiere angeliche. Vi era Maria santissima
tutta ammantata di chiarissima luce, corteggiata da molte sante vergini.
Vidi
poi presentare la suddetta anima per essere giudicata. Il sommo giudice
Gesù Cristo ordinò che si presentasse il suo processo. Un santo Angelo
prese il gran libro dalle mani del suddetto demonio e lo presentò al
sovrano giudice, il quale prese un sigillo e lo pose sopra la cicatrice
del suo divino costato, il sigillo restò tinto del suo preziosissimo
sangue e sopra quel gran libro impresse tre sigilli. Con questo venne a
significare che per grazia non voleva giudicare questa anima, ma la
voleva salvare per mezzo della sua infinita misericordia, senza
giudicare la sua causa.
Impressi i tre sigilli, ordinò ad un
altro santo Angelo che lo avesse annegato nel mare immenso della sua
divina misericordia. Annegato che fu il libro, quest’anima ricevette
l’eterna benedizione, e come potrò io ridire di qual gaudio di paradiso
fu ricolmo il povero mio spirito, quanto mai mi consolai nel Signore,
quali e quanti mai furono i miei ringraziamenti non mi è possibile il
poterlo esprimere. Restai fuori di me stessa, per il grande stupore nel
considerare l’infinita bontà di Dio. Non mi pareva di credere a me
stessa, mi struggevo in lacrime d’amore e di tenerezza, lodavo e
benedicevo il mio Dio.
Volle il Signore darmi un altro attestato
di sicurezza dell’eterna salute di questo defunto: circa le ore
ventitré i parenti fecero benedire da un religioso francescano
l’infermo agonizzante con la reliquia di san Francesco. Il figlio si
tratteneva in ginocchioni ai piedi del letto del padre, raccomandandosi
al Signore. Aveva l’infermo attaccato sopra il suo inginocchiatoio,
accanto al letto, un piccolo quadruccio con l’immagine del mio Gesù
Nazareno. Il suddetto giovane, guardando questa santa immagine, la
quale pregavo incessantemente in questo tempo, vide con sommo suo
stupore che la sacra immagine, sciolta la mano, rivolta verso il padre
moribondo, si degnò dargli la santa benedizione. Il giovane restò
estatico, e fuori di se stesso, nel vedere un simile prodigio.
Venendo
in Roma, di sua propria bocca mi fece questo racconto, e mi disse di
non poter fare questo racconto senza sentirsi tutto commuovere da santi
affetti. Mi disse ancora che questo fatto fu tanto chiaro che non
avrebbe avuto difficoltà di contestarlo. Questo giovane credo certo che
non sia capace di dire una menzogna, essendo persona di buona vita e
molto dedito alla pietà, avendo ancora la matura età di anni 35,
essendo già padre di cinque figli. Io lo pregai di non manifestare
questo fatto, ma tenerlo occulto, per quanto gli fosse possibile, che
le grazie del Signore ci devono rallegrare e consolare in Dio medesimo.
55.3. Il motivo della persecuzione demoniaca
Prendo
nuovamente a raccontare gli altri patimenti sofferti nella suddetta
sanguinosa battaglia, e pongo fine a questo afflittivo fatto senza più
stancare la sofferenza di chi legge, come ancora liberarmi dal tedio
che mi reca questo racconto.
Venne dunque in mente ad uno di
quei maligni spiriti, che a gran folla si trattenevano burlandomi,
offendendomi e con scherni insultavano la mia pazienza, compiacendosi
di avermi inchiodata sopra una croce con tanta crudeltà, si
rallegravano di avermi ridotto in quel deplorabile stato. Costui disse
ad alta voce: «Gli manca il titolo per cui l’abbiamo così ridotta»,
tutti gli altri con grida di consolazione a viva voce gridavano: «Ha
ragione, ha ragione, gli manca il titolo, gli manca il titolo», e così
dicendo viepiù m’insultavano dicendomi: «Un’altra pena ti aspetta,
presto si affretti, presto si affretti». Ed intanto presero una
tavoletta dove era scritto a lettere maiuscole: Questa è vera seguace
di Gesù Nazareno. Tutti quei maligni spiriti rispondevano ad alta voce:
«Questo è il motivo per cui la perseguitiamo». Ed intanto, presa una
pesante mazza di ferro ad uso di martello, con grosso chiodo dalla
punta acutissima, nei miei piedi, già trafitti, con spasimo crudele lo
affissero. A quegli spietati colpi credetti propriamente di finire la
vita, per l’acerbità del dolore; fui, per l’eccessivo dolore,
sopraffatta da un deliquio mortale.
In quel tempo fui visitata
dal mio Dio, e la celeste consolazione mi restituì la vita, perché mi
pareva veramente di essere propriamente morta affatto. Ma quando tornai
in me stessa non mi potevo dare a credere che il mio corpo fosse sano e
senza alcuna lesione. Mi guardavo le mani, mi guardavo i piedi, che
trovai tutti sani e senza alcun dolore. Un torrente di consolazione
celeste inondava la povera anima mia, un gaudio di paradiso scorreva
nel mio cuore e ne partecipava ancora il mio corpo, in maniera che mi
sentivo rinvigorita e tanto contenta che mi mettevo a cantare le
canzoncine più belle riguardanti l’amore di Dio.
La grande
carità che sentivo nello spirito mi necessitava di parlare del santo
amore di Dio, questo lo facevo con tanto affetto e fervore che ben
tosto chi mi ascoltava piangeva di tenerezza, segnatamente la mia
figliola minore che sempre si tratteneva perennemente accanto al mio
letto. Questa, più delle altre persone assistenti, si avvedeva del
tutto e ne provava in sé i buoni effetti, la quale mi ha confidato che
la mia malattia le è stata più fruttuosa per il suo spirito che gli
esercizi spirituali. Mentre io non mancavo, in questo tempo, di darle i
più chiari sentimenti dell’amore grande che ci porta Dio. Specialmente
parlavo della passione e morte di Gesù Cristo con tanto amore, tanta
dolcezza, tanta scienza, e ci trovavo tutto il pascolo spirituale che
mai dire si possa.
In queste sette parole trovavo i sette doni
dello Spirito Santo, che mi dava grazia di interpretare l’altezza di
queste divine parole, che contengono tutta la vita cristiana e la vera
perfezione. Oh quale e quanto impegno sentiva il mio cuore di potere
insegnare a tutti queste celesti dottrine, così persuader tutti a
lasciare i vizi e le basse cose della terra, e così fare che tutti
fossero veri seguaci di Gesù crocifisso.
Non terminarono qui i
miei patimenti, sebbene questo fosse l’ultimo supplizio che mi dettero
quegli infernali nemici; ma, non potendo più molestare il mio corpo,
perché il mio Dio per sua bontà più non glielo permise, inventarono
un’altra malizia del tutto diabolica per affliggere barbaramente il
povero mio spirito. Questa trama me la ordirono fino dai primi giorni
di questo funesto mio combattimento. Funesto per loro, ma non per me,
perché mediante la divina grazia restai di loro vittoriosa, gloriosa,
senza mai arrendermi alle loro voglie e superando con fortezza e
costanza la loro barbara crudeltà, confessando, in mezzo a quei barbari
patimenti, la fede di Gesù Cristo, compiacendomi altamente di essere
così straziata per mantenermi fedele seguace di Gesù crocifisso, nel
quale ho posto tutta la mia speranza e fiducia.
Nella sua
onnipotenza sono certa e sicura di riportare la compiuta vittoria. Così
dicevo, con grande coraggio, insultando la potestà delle tenebre: «A
te, o Satanasso», dicevo, «mancheranno tormenti per affliggermi, verrà
meno la tua crudeltà, ma a me non mancherà fortezza di superare e
disprezzare la tua tirannia. Non potrai alterare neppure un momento la
mia volontà, non potrai al certo cancellare Dio dal mio cuore. A questo
onnipotente Dio ho giurato e giuro la mia fedeltà, e mediante la sua
divina grazia spero di essere fedele fino all’ultimo respiro della mia
vita».
Con queste ed altre simili parole confondevo la baldanza di questi infernali nemici.