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52 – L’AMORE DI DIO DISPREZZATO DAGLI UOMINI


Racconto come nello scorso mese di dicembre 1820, il dì 8, giorno della Immacolata Concezione di Maria santissima, per mezzo di una illustrazione divina, mi manifestò il Signore l’irritato suo sdegno giustissimo contro tutto il genere umano, facendomi conoscere l’empietà, l’indegnazione le enormi ingratitudini che si commettono dagli uomini contro la sua divina legge ed il suo santo Evangelo, da ogni sorta di persone, tanto ecclesiastiche che secolari.

Si degnò il Signore di inoltrarmi fino negli ampli spazi della sua divinità, dove mi diede a vedere ed a conoscere le infinite sue misericordie e l’eterno suo amore. Qual meraviglia e qual rapimento di spirito recasse alla povera anima l’eterna magnificenza del mio eterno Dio, non mi è al certo possibile il poterlo spiegare, mentre era tanta la grandezza della cognizione, che restai rapita nel penetrare tanta magnificenza, che il povero mio intelletto non poteva arrivare a comprenderlo, né poteva penetrare simile grandezza.

Dopo aver goduto questo gran bene inarrabile ed incomprensibile, mi fece Dio conoscere quanto sia disprezzato dagli uomini questo suo grande amore, mi diede a vedere gli oltraggi sacrileghi che si commettono, in una parola, in un tratto vidi tutte le iniquità che inondano la terra, e tutte le abominazioni che si commettono dai libertini e le forti manovre che si fanno dai nemici della nostra santa religione cattolica, che cercano tutte le maniere di poterla del tutto distruggere.

«Mira, o figlia», mi diceva l’eterno Dio, «qual contrapposto di iniquità è mai questo che si fa all’eterno mio amore. La mia giustizia è ormai stanca di sostenere il grave peso di queste grandi enormità. L’eterno mio Padre più non vuole accettare i sacrifici delle anime sue dilette, che quali vittime si offrono con rigide penitenze, per sostenere l’irritato suo sdegno. Queste, unite ai miei meriti, cercano di placare la sua giustizia, ma già più non ascolta né preghiere né vittime. È già determinato il terribile decreto di castigare e punire con tutta severità l’iniquità degli uomini con terribile castigo. Il decreto è stabile, permanente ed irrevocabile. Figlia, non mi pregare, mentre la preghiera su di ciò io sdegno».

Ed intanto, facendomi la dimostrazione della sua inesorabile giustizia, mi levò la libertà e la volontà di pregare per questa grande causa.

Oh quale afflizione mi recasse e qual timore mi rendesse il vedere lo sdegno di Dio non posso con parole esprimerlo, il vedere l’iniquità degli uomini e la loro ingratitudine verso il bene sommo di un Dio amante. A confronto così dissonante fui sopraffatta da un deliquio mortale, che mi ridusse ad agonizzare per molte ore; tornata nei propri sensi, piena di spavento e di terrore, per aver veduto Dio sdegnato giustamente contro di noi, senza poterlo placare, restò la povera anima mia nel pianto e nell’afflizione.

52.1. Vidi la Chiesa tutta in soqquadro


La maggior mia pena fu di vedere la Chiesa di Dio tutta in soqquadro, tutta sbaragliata e dispersa, per l’infedeltà dei sacri ministri, che dovrebbero sostenerla a costo del proprio sangue, ed invece la tradiscono col sostenere le false massime del mondo, col lasciarsi guidare dalla politica mondana. Sdegnato Dio di questa loro infedeltà, aveva decretato di traslare altronde la cattedra infallibile della verità di Chiesa santa. Sdegnato mi si fece vedere il grande apostolo san Pietro, zelatore dell’onore di Dio, e Paolo santo quale guerriero unito alle milizie angeliche traslatar voleva dalla inefanda città di Roma la cattedra di san Pietro.

E come potrò mai ridire quale pena, e quale afflizione mai recasse al povero mio spirito determinazione così tragica e sì luttuosa per il cristianesimo? Piena di mestizia e di dolore, appena potevo sostenere l’afflitto mio corpo e l’abbattuto mio spirito per l’accaduto fatto, che mi portai dal mio padre spirituale, e piena di lacrime gli comunicai quanto nelle orazioni mi era accaduto. Sentendo il notato padre tutto il racconto per estensum, fattomi varie interrogazioni, mi fece coraggio e mi disse che stessi quieta, mentre credeva che questa fosse una illustrazione del Signore alla quale io dovevo corrispondere con fedeltà, perciò mi comandò di pregare caldamente e con tutto il fervore l’altissimo Dio, acciò si degnasse, per mezzo della umanità santissima di Gesù Cristo, di lasciarmi la libertà di pregare per la santa Chiesa, acciò non fosse dispersa così, e che non avesse permesso di traslatarla, ma che avesse dato luogo alla sua misericordia, e non avesse privato questa povera città di Roma, benché immeritevole, di possedere tesoro sì santo, qual è la cattedra di san Pietro.

Avvalorata la povera anima mia dall’obbedienza del mio padre spirituale, mi presentai all’orazione, con sommo rispetto e riverenza mi misi alla presenza di Dio, umiliandomi profondamente e annientandomi in me stessa, così presi a parlare con l’eterno mio Dio: «Amorosissimo mio Signore, padrone assoluto del cielo e della terra, ecco prostrata ai vostri piedi santissimi la creatura più vile che abita la terra, riconoscendomi affatto indegna delle eterne vostre misericordie, mi conosco meritevole di mille inferni, per i miei gravi peccati ed enormi ingratitudini che ho commesso contro di voi, sommo mio bene, ciò nonostante questa grande verità, che io confesso di avervi offeso e strapazzato, mio amorosissimo Dio, supplichevole mi presento al vostro augusto trono, e col cuore tremante e con la bocca sulla polvere mi prostro d’innanzi alla vostra divina maestà, e benché conosca che sono terribili i vostri eterni giudizi, ciò nonostante mi fo coraggio di pregarvi, benché voi, mio Dio, mi abbiate manifestato di sdegnare questa preghiera. Perdonate dunque il mio ardire, e per gli infiniti meriti nel vostro santissimo Figliolo, permettetemi di pregarvi, mentre voi sapete l’obbedienza che mi ha imposto il vostro ministro, mio padre spirituale. Per l’amore che voi portate a questa santa virtù, degnatevi di esaudirmi, mio Dio, non sdegnate di esaudire la povera mia preghiera mentre intendo di unirla alla preghiera del vostro santissimo Figliolo, quando dall’albero della croce vi pregò per i suoi crocifissori: Pater, dimitte illis non enim sciunt quid faciunt, parola degna dell’infinita carità del vostro eterno amore. Affidata dunque a queste parole dell’eterna Sapienza, io mi rivolgo a voi, eterno mio Dio, e piena di fiducia, mi faccio ardita di pregarvi per i bisogni di santa Chiesa e per tutti i poveri peccatori, ed in discolpa di questi miserabili, che non sanno quello che si fanno, offendendo la vostra divina maestà. Io, da miserabile peccatrice qual sono, vi presento la povera mia preghiera in unione di quella preghiera che vi fece il vostro santissimo Figliolo. Sì, eterno mio Dio, non sdegnate di esaudirmi, ché io, qual vittima di espiazione e di riconciliazione, mi offro di patire ogni sorta di patimenti, unitamente agli affanni gravosissimi che ha sofferto il vostro santissimo Figliolo».Con molte lacrime, gemiti e sospiri, ripetevo con fervore eccessivo e con ardente amore la medesima preghiera.

52.2. «Prosegui a pregare con fiducia»


In questo stato di cose, mi si fece vedere l’umanità santissima di Gesù Cristo, che con voce piacevole così mi parlò: «Figlia benedetta dal mio Padre, è molto piacevole a me la tua preghiera, non ti stancare, prosegui con fiducia a pregare: la tua preghiera ed il tuo sacrificio, unito ai miei meriti, placheranno il suo giustissimo sdegno. Fatti coraggio! l’eterno mio Padre non è sdegnato con te. Prosegui con fervore a pregare, che otterrai quanto brami e desideri. Ma prepàrati, o mia figlia, a patire grandi cose per amor mio. Dovrai sostenere una forte battaglia con la potestà delle tenebre, questi faranno grande forza per sopraffarti, servendosi dei supplizi più barbari per affliggere il tuo corpo, i tuoi sensi saranno abbattuti e tormentati dai più forti patimenti, il tuo spirito dovrà soffrire una desolazione ed agonia in qualche maniera simile a quella che io patii nella mia passione e morte. Ma Dio ti prometto la mia particolare assistenza e ti sovverrò con i miei più particolari favori».

Incoraggiata l’anima mia dalle parole del mio divino Redentore, che con tanta piacevolezza ed amore mi parlava: «Sì», gli dissi con veracità di spirito e con amore ardente, «eccomi pronta, Gesù mio, per amor vostro a soffrire qualunque patimento. Io mi sacrifico ben volentieri; ma chi mi darà coraggio di sostenere la forte battaglia contro i miei nemici? Mentre voi mi avete detto che dovrò in qualche maniera rassomigliarmi a voi in questo patimento, e che dovrò sostenere una desolazione di spirito ed un’agonia mortale, e in questo stato di cose dovrò sostenere la forte battaglia con la potestà delle tenebre, io che sono la creatura più vile della terra, tanto abominevole per tanti peccati commessi? Io che altro non merito che l’inferno, per essere peggiore dei demoni medesimi, avendo oltraggiato con tanti peccati la vostra divina maestà. E come potrò io sostenere con le deboli mie forze una simile battaglia? Mio Dio, dubito di me stessa e temo di arrendermi alle voglie del nemico tentatore».

E con dirotto pianto e con affannosi sospiri esclamavo ed imploravo il divino aiuto, con queste parole: «Quid retribuam Domino, pro omnibus qui retribuant mihi? Calicem salutaris accipiam et nomen Domini invocabo».

Con queste ed altre simili espressioni andava la povera anima mia implorando il divino aiuto: «Mio Dio», dicevo, «degnatevi di non abbandonarmi in questo doloroso conflitto, mentre dubito di essere pervertita dai miei nemici e di mancarvi di fedeltà». Piangevo e sospiravo per il timore di essere infedele al mio Dio.

Trovandomi in questa forte derilizione di spirito, mi apparve nuovamente l’amorosissimo mio Signore, riempiendomi di consolazione con la sua amabilissima presenza, così nuovamente prese a parlarmi: «Figlia diletta mia, allontana da te il soverchio timore. Io ti prometto la particolare assistenza della mia grazia. Io sarò sempre con te, e se io sono con te, chi sarà contro di te? chi ti potrà nuocere? e chi mai ti potrà sovrastare? Dunque, fatti coraggio e non dubitare, fìdati di me. Io ti prometto, da quel Dio che sono, di farti riportare la compiuta vittoria dei tuoi nemici».

Quale consolazione recasse alla povera anima mia una tale promessa, e qual forza e coraggio prendessi contro i miei nemici non è possibile poterlo spiegare. Affidata alle parole immancabili della divina Sapienza, si degnò Dio in quell’istante di comunicarmi il dono della fortezza e della scienza, per poter vincere e superare i miei nemici. Si degnò darmi un lume straordinario di propria cognizione e di basso concetto di me stessa, perché il nemico infernale non potesse né abbattermi, né vincermi con dettami della sua superbia.

52.3. Battaglia contro spietati nemici


Non passarono molti giorni che dovetti attaccare la grande battaglia con i miei spietati nemici. Il surriferito fatto mi seguì il dì 8 dicembre 1820, come già dissi, e il combattimento seguì il 18 gennaio 1821.

Mi si fece dunque vedere la potestà delle tenebre, che armata mano erano quelli spiriti infernali tutti congiurati contro di me, e con baldanza e superbia su burlavano di me, schernendomi ed insultandomi, mostrandomi i più crudeli supplizi infernali, facevano prova di spaventarmi, perché mi fossi arresa alle loro voglie, con farmi negare la fede di Gesù Cristo, e rendermi loro seguace.

Certo che il solo vedere quei mostri infernali cotanto arrabbiati e così brutti e spaventosi, tanto sdegnati contro di me, il veder poi quei barbari supplizi infernali, dico al certo che mi spaventarono, ma la promessa che mi aveva fatto il mio Dio di aiutarmi, per mezzo della sua divina grazia, questa mi dava un grande coraggio, non solo di vedere quei supplizi, ma eziandio di provarli. Mi raccomandavo intanto al mio buon Dio, acciò mi aiutasse in questo penoso conflitto, ed intanto quei maligni spiriti, arrabbiati, perché non mi arrendevo alle loro voglie, mi furono addosso, e con verghe di ferro mi dettero molte percosse. Quali e quanti fossero i supplizi che mi fecero provare quei maligni spiriti non è di mente umana poterlo comprendere.

Oltre i gravi patimenti che pativa il mio corpo, per mezzo dei barbari supplizi che la loro voglia mi davano, che in appresso manifesterò alla meglio che mi sarà possibile, mentre a gloria di Dio devo dire, e a maggior mia confusione, che nessuno di questi supplizi si possono rassomigliare ai più barbari e crudi supplizi che usarono i persecutori di Chiesa santa contro i santi martiri, perché mi pare, a mio poco talento, che non abbiano che fare, né abbiano paragone a questi supplizi infernali, inventati a bella posta dalla rabbia di quei maligni spiriti, ma in qualunque modo sia, non intendo sostenere la mia sciocca proposizione, ma per dire solo per verità il mio sentimento, e perché possa risultare l’infinita misericordia dell’onnipotente Dio, senza la quale devo confessare con tutta la veracità del mio spirito, che al solo vedere la spaventevole bruttezza di quei maligni spiriti e i supplizi infernali che tenevano nelle loro mani, solo bastava per farmi arrendere alle loro voglie; ma buon per me, che, assistita dalla divina grazia, potei con prontezza e fortezza di spirito ridermi della loro barbarie, perché la povera anima mia, umiliandosi profondamente fino all’abisso del proprio suo nulla, diceva con grande fiducia e santa libertà di spirito: «Omnia possum in eo qui me confortat, ad maiorem Dei gloriam», così dicendo si diede principio alla sanguinosa pugna. Fui assalita dalle più fiere tentazioni e desolazioni di spirito, il corpo era abbattuto nei sensi con i più spietati tormenti.

52.4. Sopraffatta da un male mortale


In questo stato di cose, fui sopraffatta da un male mortale, che mi privò affatto dei sensi; stetti sempre combattendo dal giorno 18 gennaio 1821 fino al giorno 25 febbraio del medesimo anno. Sicché 17 giorni stetti sempre combattendo e soffrendo i più spietati tormenti.

I professori medici mi avevano spedita affatto, mentre la mia vita, per i gravi patimenti, era ridotta agli ultimi estremi. Per otto giorni continui non potei prendere cibo di sorta alcuna, neppure una stilla d’acqua, nonostante che fosse così abbattuto e derelitto il mio corpo, si vedeva dalle persone assistenti che il mio corpo tutte le ore era così malmenato e strapazzato che muoveva, a chi lo vedeva, grandissima compassione. Permetteva Dio, per accrescimento dei miei patimenti, di non riconoscere neppure il mio padre spirituale, che ad ogni istante si trovava presente, per darmi, con l’autorevole suo comando qualche conforto, mentre era ben noto al suddetto mio padre, la causa di questo mio grave patimento. Non mancò il lodato padre di aiutarmi in questo tempo con le preghiere e ferventi orazioni e comandi precettivi allo spirito delle tenebre, giacché io ero incapace di conoscere la sua voce, mentre per i gravi patimenti avevo perduto l’umana sensazione. Non mancò il suddetto mio padre di avvisare il medico curante che non avesse adoperato l’umana medicina, mentre ad altro non servirebbe che per aggravare il mio patimento.

A questo avviso il prudente dottore non mise in pratica che quei rimedi che credette opportuno, per sollevare in qualche maniera la mia umanità.

Non sto qui a dire quello che in questi giorni seguì nella mia casa, che per essere tutta circondata dai maligni spiriti, questi altro non facevano che mettere in somma confusione tutti i miei parenti, che erano tutti accorsi, per riparare alla mia grave malattia. Tra questi nasceva molta disparità di pareri, e così facevano una grande confusione. E questo tutto era per istigazione dei maligni spiriti. Io chiaramente distinguevo la causa della loro confusione, ma non la potevo riparare, servendomi questo ancora di sommo patimento.