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48 – QUATTRO MESI AD ALBANO


Quando otterrò la suddetta grazia, sempre che piaccia al Signore, e che mi venga accordato dal mio padre spirituale e dal Padre Generale, ne riporterò al suo luogo la notizia. Intanto, per non perdere il filo dell’accaduto, dirò che una persona di molta carità e molto pia vedendomi, dopo la surriferita infermità, che poco mi ristabilivo nelle forze, ma che erano scorsi cinque mesi dopo la suddetta malattia, e io non ero mai sortita di casa, perché mi mancavano le forze, questo pio galantuomo, mio grande benefattore, mi esibì a sue spese di farmi cambiare un poco di aria, di andare in Albano.

Fu da tutti i miei parenti, amici e padre spirituale approvata e molto gradita la caritatevole esibizione, che con l’approvazione di tutti si eseguì; sicché il dì 21 giugno, festa di san Luigi Gonzaga, partii da Roma e unitamente alle mie due figlie ci portammo in Albano, alla foresteria delle monache di Gesù e Maria, e ci trattenemmo per lo spazio di mesi quattro e giorni 18: cioè dal 21 giugno 1819 fino all’8 di novembre, giorno dell’ottava di tutti i santi.

48.1. Molte guarigioni ad Albano


Come al Signore piacque tornai in Roma sana e salva, unitamente alle mie due figlie. In succinto dirò quale fosse il mio regolamento, che tenni tutto il tempo che stetti in Albano.

La mattina mi levavo circa alle ore nove italiane, mi trattenevo circa due ore in orazione, poi mi portavo alla chiesa delle suddette monache ad ascoltare la santa Messa e fare la santa Comunione. Mi trattenevo in chiesa altre buone due ore, poi tornavo alla foresteria, mi chiudevo nella mia camera e mi trattenevo a scrivere o in orazione fino al mezzogiorno. Mangiavo ogni ventiquattr’ore. Il mio cibo era di latticini e consisteva in una minestra e due uova. La novena dell’Assunzione di Maria Santissima la feci tutta di magro, come ancora la novena di Gesù Nazareno. La quotidiana disciplina, l’uso della catenella dalla mattina alla sera, non mi presi in tutto questo tempo alcun divertimento, la solitudine della mia camera era tutto il mio spasso, tutto il mio divertimento, la mortificazione, il raccoglimento era il mio contento, trovando in questo sempre la dolce e amabile compagnia del mio amorosissimo Dio, trovandosi il mio povero spirito sempre alla divina presenza del suo sovrano Signore.

Questo gran bene che godevo nella solitudine mi faceva disprezzare ogni divertimento terreno, in maniera che niente curavo, niente desideravo, fuorché la solitudine, in maniera che, dopo di essermi trattenuta per lo spazio di quattro mesi e giorni diciotto, come già dissi, posso dire di non aver veduto Albano.

Con l’aiuto del Signore, molto fu il bene che feci ai poveri infermi, per mezzo di un certo cerotto e unguento di scottato che portai presso di me, andando ad Albano. Guarii più di dodici persone che in questo tempo si scottarono di scottature veramente irrimediabili, che dovevano, per bene andargli, restare storpi, e con l’aiuto del Signore sono restati sani e liberi, mediante la prodigiosa acqua di Gesù Nazareno, che mescolavo nei suddetti rimedi. Più di sessanta persone sono guarite di cattivi tumori, cagionati dall’aria cattiva, molte, con piaghe incurabili e affatto cancherenate, sono restate guarite perfettamente.

48.2. Il restauro della chiesa di san Pietro


Non voglio trascurare di raccontare un fatto, seguitomi in questa città di Albano, per così far sempre più risaltare la gloria del medesimo Dio.

La vigilia della gloriosa Assunzione di Maria santissima al cielo, io mi trattenevo in orazione nella chiesa di san Pietro, che resta poco distante dalla foresteria delle monache, dove io abitavo. Feci in questa chiesa la novena. Il nono giorno fui sopraffatta da maggior raccoglimento, quando ad un tratto fu sopito il mio spirito da una profonda estasi che mi privò affatto dei sensi. Mi apparve in questo tempo il glorioso apostolo san Pietro, che mi comandava d’impegnarmi per il risarcimento di questa sua chiesa, che non più chiesa, ma fienile poteva chiamarsi. Mi disse ancora che avrei fatto cosa molto cara al Signore Dio di far risarcire la suddetta chiesa, e che avessi avuto a cuore la gloria di Dio e il suo culto.

Io mi rivolsi al santo apostolo con sommo rispetto e con somma umiltà: «E come volete, o santo glorioso, che io mi impegni di fare questa opera? Da chi devo andare? Io non conosco nessuno che possa fare quanto voi mi comandate». Piena di smarrimento tornavo a ripetere: «Mi si rende impossibile poter eseguire quanto mi comandate. Dispensatemi, per carità!».

E dando in un dirotto pianto, mi conoscevo affatto inabile a fare questa opera; ma il santo apostolo mi confortò e animò, assicurandomi che appena avessi accennato questo sentimento di restaurare la suddetta chiesa, subito avrei trovato persona che si sarebbe esibita di sborsare il denaro che occorreva per risarcire la suddetta chiesa. E difatti così seguì. Io dunque presi coraggio, e m’impegnai a questa grande opera, per la gloria di Dio e per onorare e obbedire il glorioso san Pietro, che me lo aveva comandato.

Questa opera fu molto applaudita ed insieme gradita da tutti gli Albanesi, mentre con loro somma pena si vedevano obbligati dalla sacra visita a sospendere, di demolire la suddetta chiesa, per non essere più decente luogo di fare le sacre funzioni, perché del tutto era diroccata e quasi rovinata. Aveva dunque la sacra visita determinato di sospenderla.

Dio si compiacque, per mio mezzo fare questo bene: che questa chiesa non fosse demolita, ma invece risarcita, come fu fatto. Una persona molto pia, sentendo i miei desideri di risarcire la suddetta chiesa, mi somministrò subito il denaro, come il santo apostolo mi aveva promesso. Mandai subito a chiamare monsignor vicario ed un canonico, gli comunicai i miei sentimenti e li pregai a darmi mano a fare quest’opera.

I suddetti, pieni di contento, esultavano nel Signore, ammirando l’infinita provvidenza di Dio, come per un mezzo tanto debole, come sono io, Dio volesse fare questa grande opera. Con tutta premura e sollecitudine furono chiamati gli artisti, e si mise mano all’opera con somma consolazione di tutti, segnatamente delle donne albanesi, per essere una chiesa di loro molta devozione e molto comoda, e per conseguenza molto frequentata, di maniera che non si poté neppure chiuderla quando si riattava; benché ci lavoravano gli artisti, in una cappella facevano le loro solite novene, concorrendo secondo il solito a folla il popolo al solo tocco della campana di detta chiesa di san Pietro. L’opera si compì il dì 6 novembre 1819, come risulta dalle ricevute dei medesimi artisti, che sono presso di me.

Per non mancare all’obbedienza, in succinto dirò diverse grazie che in questo tempo ottenni dal Signore, cioè dal giorno 8 novembre 1819 fino al 24 gennaio 1820.