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46 – LA VISITA DI UN DIO AMANTE


46.1. Visitata dall’umanità di Cristo


Dal giorno 2 fino all’8 del suddetto mese di febbraio 1919, giorno che ricorreva la festa di san Giovanni de Matha, gran patriarca e fondatore dell’Ordine trinitario.

Dal giorno 2 fino al giorno 8 il mio spirito fu favorito dal Signore con meravigliosa estasi, che tenne per tutti questi giorni il mio spirito assorto in Dio e alienato affatto dai sensi, senza più capire cosa alcuna sensibile, ma come un corpo morto ero affatto incapace di ogni operazione.

Mi dicono che ero divenuta come una stupida, e i miei parenti, dubitando che non potessi sopravvivere, mi davano dei ristori di tempo in tempo a loro discrezione, perché mi dicono che io non ero capace di niente.

Quanti furono i favori, le grazie che il Signore si degnò in questo tempo comunicare alla povera anima mia, non è di mente umana poterlo immaginare. Io mi protesto che per quanto mai dicessi, niente direi di quanto godé il povero mio spirito in queste comunicazioni celesti. Più di una volta fui visitata dall’umanità santissima di Gesù Cristo. Qual gaudio recò, qual gioia, qual dolcezza di spirito, qual contento di paradiso recò al povero mio spirito la visita di un Dio amante di me, sua miserabile e povera creatura, quale umiliazione profondissima mi recava la sua amabilissima presenza, qual dolcezza di spirito nell’udire la sua dolcissima voce, qual gioia di paradiso mi recavano gli amabili suoi accenti, il povero mio cuore tutto si rallegrava per il contento, che mi fece dimenticare in quel dolce momento quanto avevo patito e sofferto.

46.2. Il Bambino Gesù tra le mie braccia


Più volte in questo tempo fui visitata dalla gran Madre di Dio, unitamente al suo sposo san Giuseppe, con il diletto figlioletto Gesù, che teneva nelle sue santissime braccia. Mi è di somma confusione il dirlo, ma pure lo dirò, alla maggior gloria di Dio, la beatissima Vergine si degnò darmi a tenere in braccio il suo santissimo Figliolo Gesù: «Prendi», mi disse la santissima Vergine, «prendi nelle tue braccia il frutto benedetto del mio ventre. Amalo, che è ben degno di essere amato».

A queste parole della beata Vergine il mio cuore restò incendiato di santo amor di Dio. Quali affetti di profonda umiliazione recò al mio spirito favore così grande, che, annientata nel proprio mio nulla, lodavo, benedicevo l’infinito amore di Dio, che mi degnava di favore sì grande, ringraziavo infinitamente la Vergine santissima, e, godendo un paradiso di contento, mi perdevo in mezzo a tanto immenso splendore, lodava la povera anima e incessantemente amava il suo amorosissimo Dio, che con tanta parzialità si degnava favorire la povera anima mia peccatrice.

Mi fermo qui, e non passo più avanti, perché il proseguire mi si rende impossibile, poter manifestare il tutto senza oscurare la gloria immensa del mio Dio, che bramo in tutti i momenti della mia vita glorificare a costo di ogni mia afflizione e pena. Mi conosco affatto insufficiente di manifestare i favori sì segnalati, che mi compartì Dio, dopo la suddetta sanguinosa battaglia. Non solo in quei suddetti giorni della mia infermità, ma proseguì per molto tempo a favorirmi per mezzo delle più distinte sue grazie, come in appresso dirò.

46.3. Pio VII permette di celebrare la messa nella mia cappella


Si era un poco ristabilito dalla grave malattia il mio padre spirituale, subito, per sua bontà, mi favorì di una sua visita, che fu da me sommamente gradita. Il lodato padre mi ottenne dal Santo Padre la licenza di celebrare nella mia cappella la santa Messa, con la licenza di potermi comunicare, e questo seguì il primo sabato di carnevale, il 13 febbraio 1819. Il Santo Padre, Padre Pio VII, mi concesse la grazia per sette Messe, da potersi celebrare nella mia cappella e fare tutte e sette le volte la santa Comunione, come di fatti si fece due volte la settimana. Con quale rispetto e riverenza, con quale affetto e amore ricevetti questo divino sacramento non è veramente spiegabile. Tutta la notte precedente la passavo con atti ferventi di amore e con ardente desiderio di ricevere il mio bene sacramento, con molte lacrime di dolore di averlo offeso, e con i più vivi atti di fede, di speranza, di carità. Molte grazie, molti favori ricevevo dal mio amorosissimo Signore nella santa Comunione. Ero tutta contenta, e ringraziavo infinitamente il Signore per la vittoria riportata contro i miei spietati, diabolici nemici.

Il giorno delle Ceneri, 24 febbraio 1819, nella mia cappella si celebrò la santa Messa, e io feci la santa Comunione. Ero fuori di modo contenta per vedermi tanto favorita e tanto beneficata dal mio Dio, che mi struggevo in lacrime di gratitudine e di tenerezza, confondendomi in me stessa non sapevo comprendere come Dio fosse tanto liberale verso di me, e mi compartisse tante sue misericordie.

A questa cognizione, mi umiliavo profondamente, riconoscendomi affatto indegna di simili favori. Fatta la santa Comunione, ricevetti ancora le sacre ceneri, essendo il primo giorno di Quaresima, ma siccome le consolazioni spirituali non sono mai disgiunte dalle tribolazioni, permise il Signore che una mia cara amica e sorella in Gesù Cristo mi desse un grandissimo disgusto. Questo mi servì da gran pena, motivo per cui mi venne la febbre con un dolore convulsivo allo stomaco, tanto cattivo che mi faceva spasimare giorno e notte.

46.4. Guarita per mezzo di san Francesco Saverio


Questo male durò vari giorni, ma per mezzo di san Francesco Saverio restai libera, facendo ricorso al santo, esposi la sua santa reliquia, le feci ardere quattro candele, e invocai con tutto il cuore il valevole suo patrocinio. Fui liberata da questo male per grazia di questo santo glorioso, mio particolare avvocato. Per mezzo della stessa amica, permise Dio che molto io patissi, mentre il suo disgusto ha portato a me ed alla mia famiglia delle funeste conseguenze, sì spirituali che temporali. Questo mi costò molte lacrime e molti sospiri, ma con le lacrime e i sospiri accompagnavo fervorose preghiere notte e giorno, altro non facevo che ricorrere a Dio, perché mi avesse dato tanta prudenza per potermi regolare in questa sì ardua tribolazione.

Il Signore, per sua infinita bontà, si degnò esaudirmi, sicché mi riuscì di portarmi con somma prudenza, procurai che tutte le cose si aggiustassero e niente seguisse di sinistro, né di inconveniente.

46.5. Nuovo permesso di celebrare nella mia cappella


Era già scorsa la seconda domenica di Quaresima, quando erano terminate le facoltà di celebrare le sette Messe nella mia cappella, e ancora non ero abile a sortire di casa, per la grandissima debolezza che mi aveva cagionato il surriferito male di stomaco. Si tornò a pregare il Santo Padre che volesse concedermi la grazia di farmi celebrare per altre sei volte la santa Messa e per ancora fare tutte e sette le volte la santa Comunione.

Il Santo Padre, per sua bontà, mi accordò la licenza; questa licenza mi servì di somma consolazione, benché soffrivo molti incomodi di salute e mi vedevo così debole che più o meno dovevo guardare il letto, ciò nonostante ero così rassegnata alla divina volontà, che sarei stata contenta di passare tutta la mia vita così infermiccia, tanto era grande il contento di vedere che per amor mio si degnava Dio, per sua infinita bontà, scendere dal cielo in terra e venire a visitare la povera anima mia, per mezzo della santa Comunione. Ero veramente il più delle volte fuori di me stessa, al grande riflesso che Dio si degnava, per mezzo delle parole della consacrazione, scendere dal cielo e venire nella mia cappella, per essere da me ricevuto nella santissima Eucaristia.

Questo pensiero mi teneva tutta occupata la mente, che me la passavo notte e giorno in continue orazioni, e, piena di ammirazione per questo gran favore che mi compartiva il mio amorosissimo Dio, mi dedicavo tutta al suo divino beneplacito, quante lacrime versavo di amore, di gratitudine, di dolore per averlo offeso; mi offrivo di patire ogni qualunque pena, in soddisfazione dei miei gravi peccati, e per soddisfare, per compiacere la bella volontà di Dio.

Tanto era grande il desiderio di ricevere Gesù Cristo, che non era terminata la terza settimana di Quaresima che mi ero goduta le sei licenze delle sei Messe. Mi raccomandai caldamente al Signore che, se gli piaceva di tenermi così infermiccia senza poter sortire, io ero contenta, ma lo pregai incessantemente che non mi privasse del contento grande che era di riceverlo frequentemente nella santa Comunione. Ma era finita ogni mia speranza, mentre mi mancava il coraggio di supplicare nuovamente il Papa ad accordarmi altre licenze di celebrare nella mia cappella delle altre Messe, perché mi pareva di abusare troppo della bontà del Santo Padre.

Ero dunque molto afflitta per questo, conoscendo benissimo che molto tempo ci sarebbe voluto prima di potere sortire da casa, ma quello che pareva a me tanto difficile, non fu difficile all’amoroso mio Dio. La vigilia di san Giuseppe fu una persona a visitarmi, alla quale raccontai la mia grande afflizione, questa persona mi rispose che mi fossi raccomandata al Signore, come già facevo, che sperava ottenermi dal Santo Padre la grazia di farmi celebrare qualche altra Messa nella mia cappella; sicché questa persona ne fece subito parlare al Papa, e il Santo Padre mi accordò la licenza che, durante i miei incomodi, si potessero celebrare nella mia cappella tre Messe la settimana.

Questa grazia mi fu concessa dal Santo Padre la vigilia di san Giuseppe, il giorno 18 marzo 1819. Quanto grande fosse il mio contento per questa grazia non mi è possibile poterlo manifestare. Quanto grandi furono i miei ringraziamenti, che tutti i giorni porgevo all’Altissimo, per aver ricevuto la suddetta grazia!

46.6. Grandi strapazzi dei maligni spiriti


Dal 19 marzo fino all’11 di giugno del suddetto anno 1819 fui impossibilitata di potere sortire di casa, atteso il surriferito male che mi aveva tanto debilitato e tanto privato di forze, che non potevo camminare, tanto era stato lo strazio interno ed esterno, cagionatomi dai grandissimi strapazzi di quei maligni spiriti, che mi avevano tanto battuta e flagellata e martirizzata in tutti i sentimenti del corpo, che il sopravvivere che io faccio si deve ripetere a un puro miracolo dell’infinita onnipotenza di Dio, mentre tutte le mie ossa erano infrante dalle grandi percosse e battiture, avevo perduto la vista, ero divenuta cieca per i grandissimi tormenti che quei crudeli ministri di Satana mi davano a patire negli occhi, questo era piombo bollente unito con pece ed altro bitume infernale, e, versandolo di tratto in tratto nei miei occhi, mi facevano provare un tormento così grande, un dolore tanto eccessivo che non posso paragonarlo a nessun dolore. Dal grandissimo dolore mi pareva che mi si staccasse l’anima dal corpo.

Non meno di questo erano dolorose e crudeli le due pietre infuocate che mi comprimevano sopra le guance, con tanta crudeltà, quando desideravo ricevere il santissimo sacramento dell’altare, la santa Comunione. Questi spiriti infernali tanto si adiravano contro di me, che mi davano a patire tanti tormenti, perché non volevano che io mi comunicassi spiritualmente.

Prima di farmi patire questi tormenti, mi mostravano gli strumenti crudeli con cui mi volevano tormentare, e procuravano di persuadermi, perché avessi rinunziato la fede di Gesù Cristo. Mi persuadevano di rinunziare, di bestemmiare questo divinissimo sacramento, minacciandomi tutte le sorte di tormenti; ma la povera anima mia, senza acconsentire alle loro voglie, confortata dalla grazia del Signore, con santo ardire rispondeva: «Voglio essere fedele al mio Dio fino all’ultimo respiro della mia vita. Rinunzio a Satana e a tutte le sue insidie, rinunzio al mondo, al demonio e alla carne, e mi professo avanti al cielo e alla terra di essere vera seguace di Gesù crocifisso, di osservare la sua santa legge con fedeltà, fino all’ultimo respiro della mia vita. Mi protesto ancora di adempire perfettamente la sua santissima volontà, e mi compiaccio di patire ogni qualunque gravissima pena per adempire, per compiacere l’amabilissima volontà del mio amorosissimo Dio».

A questa mia protesta, questi maligni spiriti incrudelivano contro di me con tanta rabbia, che facevano prova, a forza di patimenti, di farmi rinunziare la fede di Gesù Cristo. Quando ero così tormentata e soffrivo dolori tanto eccessivi, mi dicevano quei maligni spiriti: «Arrenditi, arrenditi, stolta che sei, alle nostre voglie. Abbi compassione di te stessa. Vedi che noi ti faremo finire la vita per mezzo di tormenti. Arrenditi pure una volta, che noi finiremo di tormentarti».

46.7. Con l’Eucaristia riportai la vittoria


Mio Dio, quanto vi devo ringraziare! La vittoria non io, ma voi, mio Dio, la riportaste per me, vostra fu la grazia, vostro fu il trionfo, vostra sarà la gloria per tutta l’interminabile eternità. A voi, mio Dio, si deve la vittoria da me riportata contro i miei spietati nemici, posso dire mediante il vostro divino aiuto e la vostra santa grazia di aver trionfato e di aver confuso l’inferno tutto, mentre l’infernale malizia restò vinta dalla fortezza che voi, mio amorosissimo Dio, vi degnaste comunicare alla povera anima mia, per sostenere la fiera e cruda battaglia che mi aveva mosso l’inferno tutto. Ma voi, pietosissimo mio sommo amore, per darmi coraggio nella pugna, perché io restassi vincitora dei miei spietati nemici, mi facevate vedere come la vostra infinita potenza mi sosteneva e difendeva e mi dava tanta fortezza per sostenere i diabolici tormenti, confessando nel mezzo di essi la fede di Gesù mio crocifisso e insultando quei barbari a più tormentarmi, mi fidavo nel braccio onnipotente che mi sosteneva.

A questa fortezza così eroica, che mi comunicava il mio Dio, mancava a quei barbari la loro crudeltà, e pieni di rabbia e di confusione si mettevano in fuga.

Il mio Dio, per ristorarmi, mi dava a godere tanto bene, facendomi godere i suoi divini splendori, mi dava a vedere la sacrosanta ostia circondata da luminosi splendori, e per mano di Angeli ricevevo la sacra particola.

Quali effetti producesse in me questo pane di vita eterna non è veramente possibile poterlo spiegare. Mi ristorava, mi confortava, mi fortificava, mi sanava, mi faceva dimenticare quanto avevo patito nel sostenere la cruda battaglia, mi dava vigore per soffrire quanto bisognava per adempire la volontà dell’eterno divin Padre, e per soddisfare alla sua divina giustizia, mentre volontariamente mi ero offerta a patire per sostenere la santa Chiesa cattolica e tutti i poveri peccatori.

Ogni giorno ricevevo questo pane celeste, questo pane di vita eterna, quando Gesù Cristo m’invitò ad offrirmi al suo divin Padre, per placare il suo giustissimo sdegno, unitamente ai suoi infiniti meriti, mi diede chiara cognizione di quanto avevo da patire, e come avevo da patire e da chi avevo da patire; mi fece conoscere ancora che il mio patire aveva da essere puro e nudo patire, senza alcun conforto, ma abbandonata da tutti non avrei neppure l’aiuto del mio confessore. A vista di questo quadro sì lacrimevole e mesto, la povera anima mia inorridì, e piena di affanno e di timore caddi in un mortale deliquio.