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43 – SI PORTANO IN TRIONFO I VIZI CAPITALI


43.1. Lo sdegno di Dio


Il dì 15 novembre 1818 fu il mio povero spirito nelle orazioni favorito dal Signore con particolare grazia. Fui sopraffatta da interno riposo, la povera anima mia godeva nel riposo la dolce presenza del suo diletto Signore, che, per mezzo di intellettuali illustrazioni, mi dava particolari cognizioni riguardanti i suoi giustissimi giudizi.

Se ne stava la povera anima mia tutta profondata in se stessa, e, piena di santo timore, andava piena di ammirazione penetrando i divini giudizi di Dio, imperscrutabili. Ero tutta penetrata da profondo rispetto e da interna venerazione; era sopraffatto il mio cuore da santo timore, e, piena di riverenza, adoravo profondamente gli eterni divini giudizi di Dio, che per pura sua bontà mi faceva comprendere con somma chiarezza.

L’anima, a questa cognizione, si compiaceva nel suo amorosissimo Dio, trovando i suoi divini giudizi tutti santi, tutti retti, tutti giusti.

Oh come l’anima si liquefaceva di compiacenza, di gaudio, di amore, nella cognizione delle perfezioni dell’unico suo diletto; ma quando mi deliziavo in questo sommo bene, che io non so e non posso esprimere, fui sopraffatta da nuova illustrazione, e tutto ad un tratto mi fu mostrato il mondo; questo lo vedevo tutto in rivolta, senza ordine, senza giustizia, i sette vizi capitali si portavano in trionfo, e per tutto vedevo che regnava l’ingiustizia, la frode, il libertinaggio e ogni sorta di iniquità.

Il popolo mal costumato, senza fede, senza carità, ma tutti immersi nelle crapule e nelle perverse massime della moderna filosofia.

Mio Dio! qual pena provava il povero mio spirito nel vedere che tutti quei popoli avevano la fisionomia più da bestie che uomini.

Oh che orrore il mio spirito ne aveva di tutti questi uomini così sformati per il vizio!

Io mi vedevo in una grande altura, come separata da questo luogo tanto miserabile, e per mezzo di una luce, che rifletteva in quel cupo basso del mondo, vedevo tutte le sopraddette iniquità e per mezzo della grazia infusami, conoscevo di questi miseri la loro profonda malizia.

Oh quanto si affliggeva il mio povero cuore, quante lacrime versavo nel vedere tante iniquità!

Ma ecco che in un momento il mondo cambiava scena. Ecco lo sdegno di Dio, che ad un tratto circondava tutto il mondo, facendo provare a quei mal costumati popoli il rigore della sua giustissima e rettissima giustizia.

Il povero mio spirito, nel vedere lo sdegno di Dio sopra quei miseri, pieno di terrore e di spavento gemeva, e con abbondanti lacrime deplorava la loro misera sorte, e, riconcentrata tutta in me stessa, mi umiliavo profondamente, e incessantemente lodavo e benedicevo l’infinita bontà di Dio in avermi sottratta da sì tremenda rovina, riconoscendomi per i miei peccati meritevole di ogni castigo.

Ma di nuovo tornai a riabbassare lo sguardo nel mondo, e vedo i grandi travagli che da ogni lato lo circondavano. Tutte le cose sensibili che appaiono sopra la terra le vedevo senza ordine, senza armonia, ma tutto era in rivolta, tutto era confuso. L’ordine della natura era tutto sconvolto. Il solo mirare la terra dimostrava lo sdegno di Dio. In un momento tutto il mondo era in una grandissima desolazione.

Oh quante grida, quante lacrime e quanti sospiri da flebili voci si sentivano risuonare in quel teatro di mestizia. Vedevo poi in mezzo a tanta iniqua gente, un demonio tanto brutto che scorreva il mondo con tanta superbia e alterigia. Costui teneva gli uomini in una penosa schiavitù, con orgoglioso impero voleva che tutti gli uomini fossero a lui soggetti, rinunziando la fede di Gesù Cristo, con l’inosservanza dei suoi santi comandamenti, dandosi in preda al libertinaggio e alle perverse massime del mondo, adottando la vana e falsa filosofia dei nostri moderni e falsi cristiani.

Oh, miseria grande, veramente da deplorarsi con infinite lacrime!

Vedere che dietro a queste false massime correvano pazzamente ogni sorta di persone, di ogni ceto, di ogni età, non solo secolari, ma ancora ecclesiastici di ogni dignità, tanto secolare che regolare.

In questo stato così deplorevole il mio povero spirito amaramente piangeva, e tutto si conturbava nel vedere tanto oltraggiato un Dio che è la stessa bontà, che merita di essere amato, vederlo tradito e oltraggiato, era tanto grande la pena mia che credevo veramente di morire in quel momento di un colpo mortale, tanto era grande l’afflizione del mio povero spirito, nel vedere tanto offeso il mio amorosissimo Dio.

Oh cosa non avrei fatto, cosa non avrei patito per compensare le gravi ingiurie che questi finti cristiani facevano all’eterno Dio. In questo stato di cose, la povera anima mia si offrì a patire ogni qualunque pena, ogni qualunque travaglio, ogni qualunque strapazzo diabolico. Unii questa povera mia offerta all’eterno divin Padre, unendo il mio sacrificio a quello del suo santissimo Figliolo, e lo pregai che, per gli infiniti meriti di Gesù Cristo, si degnasse ricevere il povero mio sacrificio, promettendo di darmi ad esercitare con più rigore ed asprezza la penitenza, il digiuno, l’orazione, le vigilie, come, con la grazia di Dio, puntualmente eseguii, con il permesso del mio lodato padre spirituale.

43.2. Dio mi diede il permesso di legare il demonio


L’eterno Dio si degnò, per sua infinita bontà, di accettare la povera mia offerta. Mi diedi dunque a mortificare il mio corpo con rigoroso digiuno, non prendendo cibo che ogni quarantotto ore, e questo era un poco di pane con olio e aceto, oppure una chicchera di cioccolata. In questa guisa passai il mese di novembre e dicembre, come già dissi di sopra, del 1818.

Mi pareva dunque che, attesa la mia povera offerta, che unito avevo agli infiniti meriti di Gesù Cristo, l’eterno Dio mi dava il permesso, mediante la sua onnipotenza, di legare di propria mano quel demonio pervertitore di tante anime, che aveva sedotto con la sua profonda malizia, facendogli adottare le perverse massime del mondo libertino, macchiandoli, contaminandoli con la falsa filosofia. Sì, aiutata dal braccio onnipotente di Dio, mi pareva di propria mano di ricondurlo nel cupo abisso dell’inferno. Nella grande impresa di rincatenare il suddetto mostro del cupo abisso dell’inferno, erano in mio aiuto due padri trinitari, questi mi davano di mano e mi aiutavano a rilegare questo terribile demonio, questo spietato mostro, e ricondurlo con somma fatica nel cupo abisso dell’inferno.

Fatta la suddetta operazione, per mezzo dell’onnipotenza di Dio, che mi dava tanta forza e autorità di tutto operare per la maggior gloria sua, mentre i miei pensieri, le mie operazioni, le mie fatiche, le mie premure non ad altro fine erano dirette che alla maggior gloria dell’immenso, dell’eterno, dell’incomprensibile mio Dio, sommo mio bene, che mi protesto di amare infinitamente, con tutto il mio povero cuore, e per l’amore che gli porto sono pronta ogni momento a dare il sangue e la vita in mano dei più spietati tormenti, e se milioni di vite avessi, tutte tutte le sacrificherei per la sua gloria.

Fatta dunque la suddetta operazione, mi parve che tutto il mondo respirasse in pace, e per mezzo di uomini dotti e santi si ristabilisse il giusto ordine sopra la terra, con somma gloria di Dio, ed onore della nostra santa Chiesa cattolica. Mi pareva che cessassero i peccati e si faceva vera penitenza dappertutto, mi pareva che regnasse la pace, la giustizia, la fede di Gesù Cristo trionfava dappertutto e rendeva gli uomini seguaci del santo Evangelo.

43.3. Le mie mortificazioni


Il mese di ottobre del 1818...

Il mio letto era un piccolo strapuntino sopra la terra, il mio sonno era molto leggero e scarso, e per essere tanto assidua nelle orazioni, il mio riposo si poteva chiamare un sopimento di spirito mentre che si riposavano le mie membra, il mio spirito lo trovavo sempre alla presenza di Dio. Mi pareva il più delle volte di riposare nelle braccia del mio Dio. Più volte nel prendere sonno, mi vedevo tutta circondata da uno splendore e la mia mente veniva sollevata da pensieri santi, che mi dimostravano l’infinito amor di Dio.

In questa guisa passai ottobre, novembre e dicembre. Il mio corpo era alquanto afflitto, non tanto per la suddetta penitenza, quanto per il freddo eccessivo della stagione. Usando una simile astinenza, il freddo mi era molto più sensibile; passavano le intere settimane che di giorno e di notte ero tanto gelata che parevo un marmo effettivo. Non usavo il gran beneficio del fuoco, mi contentavo di patire per amore di Gesù Cristo; e alla considerazione dei suoi patimenti, prendevo ogni giorno più lena di patire per amor suo ogni qualunque patimento.

Fin dal 1804 che presi a mortificare il mio corpo, una delle mortificazioni che intrapresi, con somma mia pena e gran patimento, fu l’astenermi nell’inverno di riscaldarmi con fuoco. Questa penitenza fu per me molto dolorosa per avere il temperamento molto delicato, ma con la grazia di Dio ho potuto sostenere questa mortificazione per quindici anni, mentre adesso che scrivo siamo del 1819, mese di luglio, primo giorno del suddetto mese. Scrivo in Albano trovandomi in questo paese per prendere un poco d’aria, per potermi rimettere in salute da una lunga infermità, che in appresso ne darò ragguaglio.

Molto gradì il Signore per sua bontà e misericordia la mia intrapresa penitenza, che si degnava nelle orazioni di favorirmi con i suoi distinti favori. Con molta frequenza sollevava il mio povero spirito, e si degnava manifestargli cose molto grandi, riguardanti il suo infinito amore. Varie volte mi ha mostrato la sua divina giustizia, sdegnata contro di noi, poveri peccatori, e il tremendo castigo che voleva mandare sulla terra, per i gravi peccati che si commettono. Io dallo spavento mi pareva di morire, e incessantemente mi raccomandavo e, offrendo i meriti infiniti di Gesù Cristo all’eterno divin Padre, mi pareva di ottenere la grazia di dilazionare il tempo, per non vedere tante anime piombare all’inferno.

Io, benché la più miserabile di tutti le creature che abitano la terra, per essere la più indegna peccatrice, come è ben noto a vostra paternità reverendissima, mi offrii di patire ogni travaglio per la gloria di Dio e per il vantaggio del mio prossimo, sentendo nel mio cuore un’ardente fiamma di carità, che tutta tutta mi consumava di santo amore, unendomi ai meriti infiniti di Gesù Cristo, mi offrivo qual vittima di riconciliazione.