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42 – CROCIFISSA DA GESÙ STESSO
Il
dì 17 luglio 1817, dopo la santa Comunione, fui sopraffatta da interno
riposo, dove mi parve vedere l’amabilissimo mio Gesù, che tutto amore
si degnava mirarmi. Mi additò una croce e mi fece intendere che
l’infinito amor suo a quella croce voleva crocifiggermi. A questa
cognizione la povera anima mia sollecitamente aprì le braccia, e
incessantemente pregava il santo amore di Dio, acciò la crocifiggesse
come più gli piaceva. Deliberata la mia volontà da forza superiore, fui
collocata sopra quella croce suddetta, mi pareva che Gesù Cristo
medesimo mi inchiodasse le mani e i piedi. Era tanta la dolcezza e la
soavità che il mio spirito esultava in quel patibolo, invece di
affliggermi e conturbarmi, lodava e benediceva il mio Signore.
Per
mano degli Angeli così crocifissa penetrai gli ampli spazi
dell’immensità di Dio, i santi Angeli sollevarono la croce e mi
condussero negli amplissimi spazi della divina immensità. Di questo
luogo non ne parlo, perché non ho termini di poterlo paragonare a cosa
alcuna di questa terra. Solo dirò che dalla croce passai sopra un
bellissimo trono. Mi vedevo vestita di ricchissime vesti e adorna di
preziosissime gioie. In questo ricco adornamento veniva significato
essere l’anima ricoperta dei meriti infiniti di Gesù, per mezzo dei
quali l’eterno divin Padre mi rendeva oggetto della sua compiacenza e
intimamente a se mi univa e mi faceva divenire una stessa cosa con lui.
In
quel momento perdetti ogni idea non solo sensibile, ma ancora
intellettuale. Fui sopraffatta da un bene che non so esprimere. Dopo
breve tempo tornai in me stessa, e vedendomi tanto favorita da Dio,
senza alcun merito, si profondò lo spirito nel proprio suo nulla,
riconoscendosi meritevole di mille inferni per tanti peccati commessi.
Piangendo dirottamente con abbondanti lacrime, chiedevo misericordia e
perdono all’amabilissimo mio Signore, e piena di gratitudine e di
amore, lodavo e benedicevo l’infinito suo amore, tanto parziale verso
di me, miserabilissima peccatrice.
Si tratteneva nel proprio suo
nulla e facendo degli atti interni di fede, speranza e carità, restava
la povera anima mia rapita, nel ricordarsi il distinto favore che Dio
si era degnato compartirgli si umiliava profondamente.
42.1. Vittima per la Chiesa insieme a Gesù
In
questo tempo tornò a sopirsi lo spirito, e sopraffatto da interno
riposo ebbi particolari cognizioni dei presenti bisogni della santa
Chiesa. Vidi la cattiva condotta di quelli che governano,
l’ingiustizia, l’oppressione dei poveri, il gran tradimento che si fa
al santo Evangelo, che invece di sostenere le sante sue massime, questi
sono contro di queste, qual lupi rapaci che altro non cercano nel loro
operare che la distruzione dell’ovile di Gesù Cristo, che qual amante
pastore è tutto intento alla custodia delle amate sue pecorelle.
Oh
qual castigo terribile tiene preparato la divina giustizia per questi
ingrati! A questa cognizione fui sopraffatta da molti affetti di
compassione, di zelo, desiderosa per sostenere la nostra santa
religione di dare il sangue e la vita, di sommo timore per il terribile
castigo, ero fuori di me stessa per lo spavento, quando ad un tratto mi
si fece vedere Gesù Cristo, tutto piacevole ed amoroso, che cercava di
placare lo sdegno dell’eterno suo Padre, ed invitava la povera anima
mia ad offrirsi insieme con lui all’eterno suo Padre qual vittima di
riconciliazione. Immediatamente mi offrii a patire qualunque pena per
vantaggio della santa Chiesa, e per adempiere la volontà di Dio, per
sostenere il Sommo Pontefice e tutto il cristianesimo, per sostenere
tutta la religione cristiana.
L’eterno divin Padre per mezzo di
Gesù Cristo accettò la mia offerta e mi ricevette qual vittima
volontaria, e pieno di gradimento mi strinse al paterno suo divin seno,
facendomi provare un gaudio di paradiso.
Il dì 30 luglio fu
sollevato il mio povero spirito dalla grazia del Signore, e illuminato
fu il mio intelletto da particolare illustrazione. Fu il mio spirito
introdotto per mezzo di tre angeli in un luogo quanto mai bello.
Custode di questo luogo era san Giovanni evangelista. Introdotta che
fui in questo luogo, crebbe in me la propria cognizione, e, profondata
nel proprio mio nulla, mi riconoscevo per la più vile creatura della
terra.
Nel vedermi in questo luogo di preminenza, mi confondevo
altamente, e sopraffatta da santo timore, cercavo a tutto mio costo di
fuggire da questo luogo, per rispetto e riverenza riconoscendomi
affatto indegna. Ma il santo Evangelista mi faceva intendere che avessi
allontanato il soverchio timore, e che ammirar dovevo l’infinito amore
che Dio mi porta.
A questa esortazione del santo Evangelista, il
mio spirito si riempì di santo amor di Dio, e con somma rassegnazione
si compiacque restare in questo luogo, al momento mi vidi vestita…
42.2. Ricevetti una grandissima ingratitudine
Il
dì primo agosto 1818 permise il Signore che il mio spirito patisse
un’afflizione tanto grande che non ho termini di poterlo spiegare.
Questa afflizione mi penetrò nell’intimo del cuore in maniera tale che
credevo di impazzire. Non mi potevo persuadere che nel mondo si
trovasse tanto inganno, tanta ingratitudine. La pena mi rese
cagionevole il corpo, che credetti veramente di morire. Questa
gravissima afflizione mi fu cagionata da una grandissima ingratitudine,
che ricevetti da una persona da me molto beneficata, e siccome in
questo torto che questa persona mi fece veniva offeso anche Dio, questa
era la maggiore mia pena, al riflesso di quanto avevo faticato, perché
quest’anima andasse a Dio; e dopo tante fatiche, stenti, afflizioni,
lacrime e orazioni, vedere quest’anima per un capriccio essere sul
momento di rovinarsi per sempre, con offesa di Dio e con sommo
discapito della propria anima sua.
Questo fatto amareggiò tanto
il mio povero spirito che per molti giorni mi pascevo di lacrime e di
sospiri, piangendo l’offesa di Dio, e tante mie fatiche rese inutili. A
tutto questo brutto apparato non si perse di animo la povera anima mia,
ma corsi a Dio con lacrime, orazioni e penitenze, e il Signore si degnò
di illuminare la suddetta persona e richiamarla ai propri doveri.
Questo per me fu di sommo contento e di somma consolazione.
La
mia maggiore consolazione fu per avere avuto da Dio una particolare
cognizione come quest’anima non lo aveva gravemente offeso, ma il
demonio era stato quello che in questo fatto aveva molto operato per
l’invidia, per la collera che ha contro di me. Questo nemico vorrebbe
vedermi annientata, e cerca e sempre ha cercato la mia distruzione in
tutti i luoghi, in tutti i tempi. Molte sono state le insidie e le
frodi, che ha usato contro di me, ma Dio, per sua bontà, mi ha sempre e
poi sempre resa vittoriosa di questo e degli altri nemici miei, tanto
visibili che invisibili.
42.3. Annoverata tra le vergini
Fu
molto ben compensata al Signore la suddetta mia afflizione, mentre il
dì 15 agosto 1818, giorno dell’Assunzione di Maria santissima, fui
favorita dal Signore di un celeste favore, e fu di annoverarmi nel
numero delle particolari serve di Maria santissima, sua benedetta
Madre, Fui annoverata nel numero di quelle felicissime anime con
particolare distintivo, benché a me non mi convenga per nessun titolo.
Per obbedire vostra paternità, e con somma mia confusione, manifesterò
la maniera che tenne Dio per farmi intendere il suddetto favore.
Ero
in orazione quando si sopì il mio spirito, e per mezzo di una
illustrazione intellettuale, il Signore gli dette una particolare
cognizione di quanto esso si degnava operare nella povera anima mia. Mi
parve dunque in quel momento di essere sollevata fino all’altezza dei
cieli, dove, per mezzo di molte schiere angeliche, fui introdotta negli
amplissimi spazi dell’immensità di Dio. In questo luogo mi si diede a
vedere la gloria di Maria santissima, come Madre e come Vergine
purissima, per soli questi due titoli era tanto grande la gloria di
questa Vergine e Madre, che io non posso non solo ridirlo, ma non potei
neppure comprenderlo, tanto era grande la sua gloria, la sua
magnificenza che io credetti di perdere la vita, per essere cosa tanto
sublime che né l’anima né il corpo la poteva contenere.
Vidi
dunque questa divina sovrana in un trono immenso, circondato da immensa
luce, era corteggiata da molti principi del paradiso, una moltitudine
di schiere angeliche adornavano il glorioso suo trono, molte felici
donzelle erano vicino al suo trono, queste erano di tre classi: le più
immediate al suo trono erano cinte nel capo di prezioso diadema, le
seconde tenevano un prezioso stemma al collo, che le pendeva sopra il
petto, le terze tenevano nella mano destra un mazzo di fiori
bellissimo; tutte dimostravano sommo contento, godendo di quei gloriosi
splendori, che scintillavano dal volto verginale di quella sovrana
regina del cielo e della terra.
A tanta magnificenza qual mi
restassi, io non so ridirlo, ma sopraffatta da santo timore mi
confondevo in me stessa e mi umiliavo profondamente, e rapita da tanta
magnificenza non capivo più in me stessa, solo sentivo un’ardente
carità, che mi liquefaceva il cuore e mi faceva spargere lacrime di
santi affetti; di propria cognizione avevo ripieno il cuore, questa
cognizione mi faceva bramare di allontanarmi da questo santo luogo, per
il rispetto che si doveva a tanta magnificenza.
Ecco che in quel
momento che mi volevo allontanare la Vergine santissima, per mezzo di
san Michele arcangelo, mi comandò di approssimarmi all’augusto suo
trono, e si degnò di propria sua mano adornare il mio capo del prezioso
diadema, e così annoverarmi nel numero di quelle felicissime donzelle,
che erano vicine al suo trono, come già dissi di sopra. Con molto
applauso di tutte quelle sacre vergini, fui nel numero di loro
compresa. La Vergine santissima si degnò presentarmi all’eterno Dio, il
quale si degnò, per la sua infinita bontà, unirmi a sé intimamente.
Oh
qual bene provò il mio spirito non so ridirlo! di santi affetti restò
ripieno il mio cuore, molte grazie mi compartì il Signore per me e per
i miei benefattori, e per i poveri peccatori, fratelli miei, e per la
santa madre Chiesa, e per le benedette anime del purgatorio, alle quali
sono rivolte le mie gran paure, e le povere mie preghiere sono sempre
avanti al trono di Dio per loro suffragio.
42.4. Un digiuno che mi costava molta pena
Dal
25 agosto 1818 tutto il mese di settembre 1818 il mio spirito la passò
in somma quiete e gran raccoglimento. In questo tempo fui favorita dal
Signore più volte, ma per aver trascurato lo scrivere non posso
manifestarlo, perché non mi ricordo.
Il primo di ottobre 1818
per mortificare con maggiore rigore il mio corpo, benché fin dal 5
giugno 1818, come già dissi nei passati fogli, per ordine di Dio
intrapresi il solito digiuno di un poco di pane con acqua, aceto e
olio. Questo cibo usavo prenderlo ogni ventiquattr’ore, senza prendere
nella giornata neppure una stilla d’acqua, né una mollica di pane.
Questa sorta di digiuno mi costava molta pena, perché la fame e la sete
molto mi molestava; ma per amore di Gesù Cristo mi compiacevo che il
mio corpo patisse. Univo la mia fame e la mia sete a quella fame e sete
che patì nostro amoroso Gesù in questa vita mortale. Il demonio
invidioso non lasciava di assalirmi, e a tutto suo costo provava di
rendermi impossibile il proseguire il suddetto digiuno, che con la
licenza del mio padre spirituale avevo intrapreso fin dall’anno 1815,
il mese di ottobre, le domeniche e i giovedì me li passavo con la sola
Comunione. Questa astinenza si praticava da me per così compensare i
disordini che si commettevano in questo mese, particolarmente nel
giovedì e nella domenica, per mezzo di tanti divertimenti illeciti.
La
novena di Gesù Nazareno un giorno sì e l’altro no, me la passavo con la
sola Comunione, non prendendo alcun cibo per lo spazio di quarant’otto
ore, e nel giorno che mangiavo non usavo che la cioccolata con un poco
di burro, per così correggere il fuoco degli aromi della cioccolata, e
alle volte ancora per obbedienza del mio padre spirituale ci mescolavo
un poco di latte.
In questa guisa dal dì 24 ottobre 1818 fino
all’8 dicembre si sono fatte da me tre novene, con la grazia del
Signore, senza alcun danno della mia salute e senza pregiudizio degli
affari domestici della famiglia, trovandomi sempre in forza di poter
agire come se avessi mangiato pollastri e piccioni. Cosa invero tutta
di Dio, perché la mia complessione molto delicata non avrebbe potuto
reggere a questa sorta di digiuno, unitamente ad altre penitenze penali
che praticavo quotidianamente.
42.5. Mi pareva di penetrare i cieli
Il
dì 2 ottobre giorno dei santi Angeli custodi, il mio spirito nelle
orazioni fu sollevato dal Signore ad un’altissima contemplazione, dove
Dio per sua bontà mi fece intendere quanto ama la povera anima
peccatrice. Mi pareva in questo tempo di penetrare i cieli, e
trasportato il mio spirito dalla fede viva e dalla carità ardente era
introdotto negli amabilissimi amplissimi spazi dell’infinita immensità
di Dio, dove vedevo cose inarrabili, che non so manifestare, e provai
nel mio cuore un contento, una dolcezza, un gaudio incomprensibile,
l’umiltà, la propria cognizione mi aumentava in me stessa e in questa
guisa si perdeva la povera anima tutta in Dio.