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41 – CHIARA COGNIZIONE DI DIO


41.1. Un particolarissimo riposo


Il dì 25 dicembre 1816 fino al dì 9 marzo 1817 poco e niente posso dire, per aver trascurato lo scrivere; ma per non mancare all’obbedienza né all’interno sentimento che mi dà Dio, il quale mi obbliga a manifestare quanto per pura sua bontà e misericordia opera nel mio spirito, per mezzo della sua divina grazia, dunque alla maggior gloria di Dio e del mio Dio, mi accingo a manifestare, alla meglio che so e posso, gli effetti mirabili dell’infinito suo amore verso di me, povera e miserabile sua creatura.

Dopo il distinto favore del dì 25 dicembre 1816, come si è già detto negli altri fogli, il Signore mi compartì un particolarissimo riposo. Questo era tanto intimo e profondo che non mi permetteva di applicare la mente in nessuna cosa sensibile, ma sopraffatta l’anima da perfetto riposo si rendeva affatto incapace di agire. Sicché le orazioni, dal dì 25 dicembre 1816 fino al dì 9 marzo 1817 fu un perfetto e continuo riposo, che era prodotto da una particolare presenza di Dio, unita ad una intelligenza di spirito intima, che mi dava chiara cognizione di Dio presente a me, sicché non dovevo faticare per trovarlo, bastava che l’anima potesse alquanto riconcentrarsi in se stessa, che immediatamente trovava il suo amorosissimo Dio, che la tratteneva con lui a parlare in una maniera tutta nuova, senza strepito di parole, ma con dolce silenzio mi faceva intendere le divine sue perfezioni; ma in una maniera ammaestrava la povera anima mia in quelle, che io non so spiegare.

Era tanta l’effusione della grazia, che mi aveva tolto ogni idea sensibile, tanto forte erano chiamate le potenze dell’anima all’attenzione di quanto seguiva nell’intimo dell’anima mia. Ero sollevata sopra me stessa, ora contemplando l’infinita bontà di Dio, ora profondata nel proprio nulla mi umiliavo profondamente e amaramente piangevo le mie colpe, e tutto questo si faceva da me con pace e tranquillità di spirito.

41.2. L’ira del demonio per il mio digiuno


In questi tre mesi di gennaio, febbraio e marzo, come dissi di sopra, più volte si degnò il Signore Dio di favorirmi con distinti favori, ma per avere trascurato lo scrivere, come già dissi, non posso manifestarlo; solo mi ricordo che il primo di marzo del 1817, dopo che Dio si degnò favorirmi con particolare favore, mi manifestò essere sua volontà che intraprendessi il digiuno quaresimale fin dal primo giorno di carnevale, cibandomi di una sola cioccolata ogni ventiquattr’ore e un poco di pane, secondo il mio bisogno. Sicché dal dì 4 febbraio 1817 fino al sabato santo, che fu il dì 6 aprile 1817, e con la grazia di Dio, il venerdì me la passavo con la sola Comunione.

Molto dispiacque al demonio il vedermi praticare il suddetto esercizio, che armata mano fece di tutto per farmi deviare da questa mortificazione. Si servì costui delle più forti tentazioni.

In questo tempo dovetti sostenere il suddetto digiuno a fronte di una fame canina, che mi sarei attaccata a mangiare il ferro infuocato, tanta era la fame che mi cruciava.

Il venerdì rintuzzava la tentazione in maniera che, col ricorso continuo che facevo a Dio, potei sostenere la cruda battaglia con riportare la compiuta vittoria. In mezzo a tante suggestioni del nemico, quello che mi mostrava con sicurezza essere questa la volontà di Dio era il non provare alcun nocumento alla mia delicata complessione, dove che per il tempo passato avevo bisogno di cibarmi tre volte il giorno, dopo il comando di Dio mi bastava mangiare ogni ventiquattr’ore.

41.3. Un piccolo saggio dell’agonia di Gesù


Il mercoledì santo, che fu il dì 3 aprile 1817, fui sopraffatta da male gravissimo, cagionatomi da un piccolo saggio che il Signore si degnò farmi sperimentare di quelle pene che provò nell’Orto, nella penosa sua agonia, cagionata dalla vista di tutta la serie della sua passione e morte. Questo piccolo saggio mi ridusse in agonia mortale, e mi rese cagionevole il corpo per molti giorni. In questa occasione ebbi ordine dal Signore di sospendere il rigore del digiuno e cibarmi di latticini, dalla Pasqua di risurrezione fino al giorno della sua Ascensione, cibandomi una volta sola al giorno. Il venerdì, invece di passarmela con la sola Comunione, prendevo la cioccolata, astenendomi dal bere. Questo metodo di vitto di latticini, come dissi di sopra, si intraprese il dì 6 aprile 1817 fino al dì 16 maggio, giorno appresso l’Ascensione del Signore, si riprese il solito digiuno, ma invece della cioccolata mi cibavo di pane in zuppa all’acqua con un poco di aceto ed olio, una sola volta al giorno; in questa guisa passai 16 maggio, giugno, luglio, agosto, settembre e tutto ottobre. In questi sei mesi poche sono state le giornate che mi presi di ricreazione, col sospendere il suddetto digiuno, neppure le tre feste di Pentecoste fu sospeso il suddetto digiuno, per motivo della novena della Santissima Trinità.

41.4. Maggior rigore col corpo


Il mese di ottobre 1817 volle Dio che con maggior rigore mortificassi il mio corpo con il digiuno, per compensare le mie e le altrui mancanze, che in questo mese di divertimento si commettono. Sicché, oltre il solito digiuno, come si è detto di sopra, di una sola cioccolata ogni ventiquattr’ore, la domenica e il giovedì me la passavo con la sola Comunione. Molti furono i favori che in questi sei mesi di digiuno il Signore mi compartì, per la sua infinita bontà e misericordia, non solo a mio vantaggio, ma a vantaggio del mio prossimo, particolarmente dei miei benefattori. Molte grazie dispensò loro, come ancora si degnò il Signore, per mezzo delle povere mie preghiere, liberare molte anime dal purgatorio.

41.5. Le anime benedette del Purgatorio


Il dì 4 novembre 1817, festa di san Carlo Borromeo, si trovava il mio spirito, per mezzo della grazia di Dio, in un intimo riposo; stava godendo quanto mai di bene possa godersi da creatura viatrice, tanto era perfetta l’intima unione che godeva del suo Dio la povera anima mia peccatrice, quando in mezzo a questa perfetta quiete, sento molte voci lamentevoli, che a me facevano ricorso. Conobbi essere queste le anime benedette del Purgatorio. Mi rivolgo verso il mio Dio, tutta compassione verso queste anime sante, e lo pregai di accordarmi in grazia di portarmi a quell’orrido carcere, per poterle liberare.

Il mio Dio mi accordò la grazia, mediante i meriti di Gesù e di Maria ed i santi Re magi, ed i meriti di san Carlo Borromeo, i quali mi condussero con loro in quel tenebroso carcere.

Nell’aprirsi quel tenebroso carcere, io volli morire, nel vedere gli atroci tormenti, che quelle benedette anime pativano. Erano tali e tanto gravosi gli atroci tormenti che pativano quelle anime sante, che non mi è possibile manifestarlo. Sentivo di loro tanta compassione che per liberarle mi sarei data a patire i più gravi tormenti. Dimostrai con lacrime di compassione i miei desideri al mio amorosissimo Gesù, che tutto amore si degnava di guardarmi. Lo pregai incessantemente ed ottenni dalla sua infinita liberalità la grazia di liberare molte di quelle benedette anime del Purgatorio.

Qual consolazione fu per me il vedere in un baleno libere affatto da quegli spietati tormenti una moltitudine di anime sante, che piene di gaudio se ne andarono al Cielo a godere Dio per tutta l’interminabile eternità, qual consolazione provò il mio cuore non posso esprimerlo, quante lacrime di tenerezza e di consolazione versarono i miei occhi, rimanendo nel mio cuore un contento di Paradiso, quando vidi le suddette anime di splendida luce a sollevarsi al Cielo. Così disparve la visione.

Il dì primo novembre 1817…

41.6. L’abito religioso di terziaria trinitaria


Digressione: Riporto un fatto seguitomi il giorno di san Michele arcangelo il dì 29 settembre 1817. Fui favorita dal Signore con grazia molto particolare. Il gran principe san Michele mi condusse al trono di Dio e mi presentò all’Altissimo, supplicandolo per me, acciò mi degnasse della sua divina grazia. Alla preghiera del gran principe san Michele, l’eterno Dio tutto piacevole a me rivolto ricolmò la povera anima mia di grazia soprannaturale, e in quell’istante divenne tanto bella che divenne oggetto della compiacenza di Dio, e qual padre amoroso mi strinse al suo seno, e qual sposo amante mi degnò dei suoi castissimi abbracciamenti, facendomi provare gli effetti più mirabili della sua divina grazia. In un momento le potenze dell’anima mia furono sollevate sopra se stesse e, illuminate dalla fede, penetrai l’immensità di Dio, dove Dio mi diede particolare cognizione di sé e dell’infinito suo essere; mi promise di abbreviare il tempo delle sue misericordie, mi fece intendere che per mezzo di una forza imponente sarei arrivata ad ottenere l’abito religioso di terziaria della Santissima Trinità più presto di quel tempo che era determinato, dispensandomi da quelle ardue prove che da principio mi erano state determinate, per arrivare ad ottenere l’abito religioso di terziaria dell’Ordine della Santissima Trinità.

Qual bene ricevette il mio spirito in questa comunicazione non so manifestarlo, mentre per parte dell’infinita potenza di Dio fui introdotta negli amplissimi spazi della divinità, e intimamente unita a Dio, che più non mi distinguevo, ma tutta ero immersa, tutta ero penetrata da Dio in guisa che ero una stessa con lui, io più non mi distinguevo, ero penetrata dall’infinito suo amore, che mi faceva ardere di carità. Qual dolcezza di spirito, qual consolazione, qual gaudio sperimentò il mio cuore non mi è possibile manifestarlo. La sopraddetta comunicazione mi tenne per giorni sopra sopita, rapita in Dio, senza poter applicare sensibilmente le potenze dell’anima, ma come stolida affatto incapace di ogni idea sensibile.

Il dì 24 ottobre 1817, giorno della festa di Gesù Nazareno, ricevetti dal Signore in questo giorno un favore molto grande, ma per avere trascurato lo scrivere non posso manifestarlo, avendo di questo favore perduto l’idea.

In questi fogli si riportano diversi favori ricevuti dal Signore in vari tempi, che per dimenticanza ho tralasciato di scrivere negli altri fogli.

41.7. Tre gradi di maggior perfezione


Il dì 20 giugno 1817 fu sollevato il mio spirito per mezzo di veemente rapimento. Fui intimamente unita a Dio, dopo aver goduto un bene inenarrabile, mi fece intendere il Signore che mi fossi preparata, che il giorno di san Giovanni Battista voleva di nuovo favorirmi con la sua santa grazia, e compartirmi tre gradi di maggior perfezione.

Si andò dunque preparando il mio spirito mediante la suddetta grazia, con la pratica della santa virtù, con le orazioni e digiuno, che fin dal 25 maggio 1817 si era di nuovo intrapreso, di cibarmi di una sola cioccolata ogni ventiquattr’ore, come a suo luogo già dissi, per mezzo del suddetto favore mi compartì Dio una particolare cognizione di me stessa, e una profonda umiltà, sicché i tre giorni precedenti la festa del mio gran protettore san Giovanni Battista altro non feci che piangere i miei gravi peccati, chiedendone umilmente perdono al Signore, riconoscendomi per la creatura più scellerata, nonostante questa cognizione che mi faceva piangere notte e giorno, sentivo nel mio cuore una viva speranza che mi consolava, e una carità tanto perfetta che mi sollevava a Dio, in maniera che dalla veemente contrizione passai ad un veemente amore, che mi rendeva dolce e soave il pianto e la grave afflizione, di maniera che il mio spirito restava sopito dalla dolcezza e dalla soavità del Signore, che mi degnava dei suoi abbracciamenti.

Quanto ero in questa situazione godevo un profondo riposo, senza più cercare né desiderare alcuna notizia di Dio, né alcuna cognizione, ma contenta se ne stava la povera anima mia in questo profondo riposo, avendo una certa sicurezza di riposare in Dio, suo Signore.

Il dì 24, festa del glorioso san Giovanni Battista del 1817, si destò ad un tratto il mio spirito, e radunate le sue forze, per mezzo della grazia di Dio, furono sollevate le potenze dell’anima mia. Alla penetrazione più intima, molto sublimi furono le cognizioni che mi compartì Dio, dell’infinito suo essere. A queste cognizioni l’anima passò a fare atti di amore di Dio, confondendosi nel proprio suo nulla. Piena di gratitudine, piangeva amaramente le sue colpe, ne chiedeva umilmente perdono al suo Signore, offrendosi di patire ogni qualunque pena; per così compensare in qualche maniera l’amore tradito. Si degnò il Signore di gradire la mia offerta, e intimamente a lui mi unì, facendomi sperimentare gli effetti mirabili della sua divina grazia, concedendomi, per sua infinita bontà, quanto mi aveva promesso, cioè tre gradi di maggior perfezione, come già dissi di sopra. Di questa grazia immediatamente ne provai i buoni effetti, mentre in quell’istante si accrebbe in me la carità verso Dio e verso il prossimo, una profonda umiltà e un desiderio ardentissimo di piacere al mio Signore, a costo di ogni gravissimo patimento. Questi buoni desideri sono in me ancora permanenti, e spero che, per mezzo della grazia di Dio, saranno perseveranti fino alla mia morte.

41.8. La mia anima come splendida fanciulla


Il dì 27 giugno 1817 la mattina dopo la consueta orazione subito levata, mi ero data a sistemare gli affari della casa, quando ad un tratto fui sopraffatta dalla grazia del Signore, che mi rapì lo spirito e alienata dai sensi, mi resi affatto incapace di agire, priva di ogni sensazione, caddi in deliquio mortale, pallido e freddo se ne restò per molte ore il mio corpo.

In questo tempo il mio spirito si trovò in un luogo immenso, che io non so descrivere, in questo luogo mi fu dato a vedere l’anima mia. La vedevo dunque sotto la sembianza di bellissima donzella, semplice, pura, leggiadra, piacevole, avvenente, dotata di scienza celeste. Questa se ne stava seduta in un’isola deserta, lungi dai rumori del mondo, ebbria di santo amore, vicina al vasto oceano se ne stava. Questo oceano vastissimo denotava l’infinito amore di Dio, la vaghissima donzella si mostrava perduta amante del vasto oceano, e l’oceano si dimostrava tutto per lei propenso. A questa cognizione la donzella, ebbria di santo amore, scioglieva la voce al canto, suonando un celeste strumento nel vasto oceano la sua voce faceva risuonare.

Oh quali affetti intanto crescevano nel mio cuore, che dettati mi venivano dal celestiale amore! Mostravo al mio diletto l’ardente fiamma che mi incendiava il petto, che tutto mi consuma il cuore, il grande amore non poteva più contenere, con interrotti accenti mostravo al mio diletto l’affetto del mio cuore: «Oh dolce amore consumami, non aver di me pietà, annientami, annichiliamo, così resterà soddisfatto in qualche parte il povero mio amore». Così dicendo tornò Dio a favorirmi, unendomi a sé, in una maniera molto mirabile, fu tanto grande l’impressione che mi restò nel cuore di questa santa unione, che per cinque giorni perdetti ogni idea sensibile, quel poco che operavo si faceva da me per abito, senza comprendere le proprie operazioni.