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40 – UNA CHIAVE PER LIBERARE LE ANIME DEL PURGATORIO
40.1. Tutto otterrai dal mio amore
Il
dì 1 novembre 1816, per particolare favore, in questo giorno fu il mio
spirito introdotto negli ampli spazi della divina immensità; fui
favorita dal divin Padre, dal Figliolo suo unigenito e dal divino suo
Spirito in una maniera molto particolare. Sollevata che ebbe Dio
l’anima sopra se stessa, per mezzo di particolarissimi sentimenti, le
mostrò l’infinito suo amore. La maestosa sua voce con questi amorosi
accenti nell’intimo del mio cuore fece risuonare: «Figlia», mi disse,
«diletta figlia, è infinito l’amore che ti porto. E se per compiacerti
dovessi disfare tutto il mondo e di nuovo per amor tuo tornarlo a
riformare, pur lo farei. Chiedi, dimmi cosa brami, tutto otterrai
dall’infinito mio amore».
A sentimenti tanto straordinari di
amore, l’anima s’inabissò nel proprio suo nulla e, piena di santa
umiltà, si confondeva ed insieme ammirava l’infinita bontà del suo
Signore; non ardiva parlare, ma con lacrime di tenerezza e di amore si
protestava per la più indegna peccatrice che abita sopra la terra; mi
conoscevo meritevole di ogni punizione, ma il mio Dio non cercava il
mio demerito, solo cercava di appagare l’infinito suo amore.
Di
nuovo mi fece ascoltare la sovrana sua voce: «Parla», tornò a dirmi,
«parla, domanda pure liberamente quanto brami e desideri».
Conobbi,
per mezzo di particolare cognizione, che compiaciuto lo avrei con
chiedergli qualche grazia. A questa cognizione lascio il soverchio
timore, e piena di fiducia nei meriti santissimi di Gesù, con umile
preghiera chiedo di liberare dal Purgatorio le anime purganti. A questa
mia richiesta, mi fu presentata una smisurata chiave: «Va’», mi sento
dire, «va’», a tuo arbitrio libera tutte quelle che ti piace liberare».
Poco
dopo tornai nei sensi, e mi trovai come smarrita, dicevo tra me stessa:
«Cosa farò, è sogno o è vero quanto mi è accaduto nel mio spirito?».
Tornò
a raccogliersi lo spirito, e mi parve di vedere i santi fondatori
trinitari con san Carlo Borromeo; questi santi mi condussero in un
luogo dove mi diedero a vedere il Purgatorio. Qual terrore, quale
orrore, quale spavento mi cagionò simile vista, oh, che gravi pene, oh,
che atroci tormenti soffrivano quelle sante anime, come si
raccomandavano per essere liberate!
A vista così
compassionevole, sentivo in me un gran desiderio di liberarle da quelle
pene. Avrei dato la vita ai più crudi patimenti; ma per essere una
povera peccatrice mi conoscevo insufficiente, nonostante la buona
volontà; mi rivolsi con viva fede all’amabilissimo mio Gesù, e lo
pregai con tanto ardore ed impegno che si degnò di apparire in quel
tenebroso carcere, cinto di chiara luce. Allora i santi fondatori
trinitari, unitamente al glorioso san Carlo, per mezzo delle loro
suppliche, ottennero a molte di quelle anime di essere liberate da quel
tenebroso carcere.
Molti furono i favori che in questi sei mesi
di digiuno il Signore mi compartì, per la sua infinita bontà e
misericordia, non solo a mio vantaggio, ma a vantaggio del mio
prossimo, particolarmente dei miei benefattori. Molte grazie dispensò
loro, come ancora si degnò il Signore, per mezzo delle povere mie
preghiere, liberare molte anime dal Purgatorio.
Il dì 1 novembre
1816, per ordine di Dio, sospesi il suddetto digiuno, ed ebbi ordine di
cibarmi di una minestra di legumi ed una pietanza di erba cotta.
40.2. Mi fece riposare sul suo Cuore
Dal dì 2 novembre 1816 fino al giorno 17 del suddetto mese il mio spirito li passò in particolare raccoglimento.
Il
dì 19 novembre 1816 nell’orazione subito levata, che fu per lo spazio
di buone tre ore, si raccolse il povero mio spirito e si trattenne a
parlare familiarmente con il suo Dio, che per la sua infinita bontà si
era dimenticato affatto dei miei falli; non altro parlava che di
predilezione, di amore, chiamava la povera anima mia «diletta sua
figlia, arbitra del suo cuore», capace di ottenere dal suo infinito
amore quanto brama e desidera.
Io non so dire con quale maniera
mi parla il Signore, mentre non si serve di parole sensibili, né di
soliti accenti, ma per mezzo di particolarissime cognizioni mi dà a
conoscere cose così grandi, che io non so né conoscere né spiegare;
sopraffatta dall’ammirazione amo quel bene sommo, che non so né
conoscere né amare, ma piena di ammirazione avanti all’incomprensibile
mio bene, si umilia profondamente il povero mio cuore e si compiace che
Dio sia immenso e che non possa comprendersi da umano intelletto.
A
cognizioni così sublimi si accese nel cuore una viva fiamma del suo
santo amore. Raccolte le forze, come di volo, nel casto suo cuore mi
fece riposare. La compiacenza, l’affetto, l’amore, un’ardente fiamma di
santo amore bruciò il cuore, al sacro incendio l’anima mia tutta in Dio
si trasformò. In quel momento si ritrovò vicina al sole di giustizia,
che per partecipazione un altro sole mi fece divenire. Per compiacenza
il suo splendore mi comunicò; dopo avermi fatto quanto mai bella con il
suo splendore, che non ho termini di poterlo spiegare, pieno di
compiacenza, così prese a parlare: «Diletta
mia figlia, gradita mia sposa, vieni, entra e riposa nel casto mio
cuore. Amata colomba, deh spiega il tuo volo, il casto mio cuore tuo
nido sarà; e da questo momento la mia e la tua volontà una stessa cosa
sarà. È tanto l’amore che ti porto, che quanto brami e desideri ti
concederò».
A queste parole l’anima mia si umiliò
profondamente avanti al suo Dio, e riconcentrata tutta in se stessa,
così prese a parlare: «Mio Dio, dove sono io? Sogno o son desta? Oh
eccesso di amore! e donde procede l’immenso tuo amore, tanto parziale
verso di me? Io, la più vile tra le figlie di Adamo, sol cerco, sol
bramo compensare l’amore tradito. Angeli santi, aiutatemi voi a
compensare il mio amato bene! O santi del cielo, datemi voi le vostre
virtù! Mia cara madre, bella Maria, voi compensate la mia viltà». E in
questi accenti tutta mi offrii al mio caro Gesù, rivolta a lui, così
presi a parlare: «Cerco di ricondurre
anime all’amante tuo cuore. Ecco la mia vita, ecco il mio sangue: tutto
per tuo amore si verserà. Anime chiedo, caro Gesù mio, questa grazia
non mi negar».
Allora il Signore mi diede a vedere un
gran numero di anime che, per mio mezzo, voleva salvare. A questa vista
l’anima mia profondamente si umiliò, e riflettendo all’amore tradito a
confronto di tanto suo amore, da vivo dolore sentivo spezzarmi il
cuore. La gratitudine, la contrizione mi fece versare un profluvio di
lacrime. Per riparare in qualche maniera al disonore che il Signore ha
ricevuto da me, pensai che un’altra anima si offrisse al Signore, per
così compensare la mia ingiustizia.
Una fida compagna che mi ha
dato il Signore, questa gli offrii, perché con voti di castità,
obbedienza e povertà, potesse in qualche maniera compensare la mia
infedeltà. E poi mi rivolsi ai santi patriarchi Felice e Giovanni, che
si fecero presenti ai miei gemiti, al mio clamore. Rivolta a loro, così
presi a parlare: «Deh voi degnatevi, miei cari padri, di ricevere
quest’anima, e voi offritela all’eterno Dio, in compenso della mia
iniquità».
Allora il patriarca san Felice di Valois mi mostrò un
piccolo scapolare trinitario, e mi fece intendere che in quella forma
doveva essere lo scapolare che dovevo porre indosso alla giovane
zitella, poi il glorioso santo così prese a parlare: «Fin da questo
momento la riguarderai qual figlia, altro nome a lei imporrai».
La
mattina manifestai tutto al mio padre spirituale, il quale, dopo
essersi raccomandato al Signore, credette di mettere in esecuzione
quanto si è detto sopra. Sicché il giorno della festa del gran
patriarca san Felice di Valois si diede il santo scapolare trinitario
alla signora N. N. e gli si impose il nome di Maria Costanza del Cuore
di Maria. Il suddetto nome fu dato dallo Spirito del Signore, mentre io
dopo la santa Comunione incessantemente lo pregavo a manifestarmi qual
nome dovevo imporre alla suddetta giovane. Per parte di particolare
intelligenza ebbi cognizione di mettergli il suddetto nome, alludente
alle riprove che quest’anima darà della sua fedeltà e costanza.
Dal
giorno 19 novembre 1816 fino al dì 7 dicembre 1816, per aver trascurato
lo scrivere, non posso render conto; solo dirò che, per mezzo di
particolare ispirazione, ho ripreso il solito digiuno di una sola
cioccolata ogni ventiquattro ore. Questo si intraprese da me il dì 25
novembre 1816, giorno di santa Caterina, fino al giorno del santo
Natale, in preparazione a questo gran mistero m’invitò lo Spirito del
Signore ad intraprendere questo digiuno ad imitazione di questa
gloriosa santa; e, per sua infinita bontà, mi fece intendere che non
meno grato gli sarebbe stato il mio digiuno di quello di questa
benedetta santa.
40.3. La Chiesa ridotta all’ultima desolazione
Il
dì 8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione della santissima
Vergine Maria, nostra tenerissima madre, nell’assistere alla Messa
cantata si raccolse il mio spirito intimamente; in questo tempo Dio si
degnò sollevarmi ad un grado molto particolare di unione, mi mostrò la
sua divina giustizia sdegnata contro gli uomini, fui trasportata in
spirito in un luogo eminente, dove mi fu mostrata l’orrida scena del
tremendo castigo che Dio è per mandare sopra la terra, per i nostri
enormi peccati. Io al solo rammentarlo sento riempirmi di terrore, e lo
spirito è sopraffatto da profonda mestizia. Prego incessantemente il
Signore a mitigare il suo sdegno, per i meriti del suo santissimo
Figliolo Gesù.
Proseguo: «Mi si fece dunque vedere l’orrida
scena. Mio Dio! qual terrore! Vidi da un lato la morte del nostro Sommo
Pontefice. Dio, tutto piacevole, a sé lo chiamava; e lui piacevolmente
ne riceveva l’invito, placidamente se ne moriva. Alla sua morte ecco la
gravissima rovina della nostra santa Madre, la Chiesa; ecco Dio
sdegnato contro di noi! Oh, che spavento; oh, che timore! La nostra
cara madre, Maria santissima, stava a braccia aperte per riparare lo
sdegno di Dio; ma Dio non ascoltava né preghiere, né sacrifici, né
vittime; ma eccoci già schiavi di un barbaro, che inferocisce contro di
noi e della nostra madre, la santa Chiesa.
Povere religiose,
poveri religiosi! tutti fuori dei sacri chiostri, sarete espulsi non
con dolcezza, ma a viva forza. Erano devastati i sacri templi, il culto
di Dio era profanato. E da chi? Da quelli che per ogni ragione
dovrebbero sostenerla: erano quelli che sfacciatamente si ribellavano e
cercavano la totale distruzione della nostra cara Madre, la santa
Chiesa, e in un momento era da questi figli ribelli ridotta all’ultima
desolazione.
Ma buon per il piccolo gregge di Gesù Cristo, che
fedele e costante al suo Dio, in mezzo a tanta barbarie seppe
conservare pura e intatta la divina legge del santo Evangelo, ed i suoi
dogmi sacrosanti. Le fervide preghiere dei buoni fedeli presto mossero
il cuore di Dio a liberarci dalla fiera persecuzione.
Improvvisamente
si vide uno splendore che circondò la nostra cara Madre, la santa
Chiesa, e i fedeli figli suoi. E in un momento da mano onnipotente
furono distrutti i fieri persecutori.
A questo gran prodigio, di
nuovi figli si vide arricchita la santa Chiesa, quelli che non
credevano in Dio, all’apparire il nuovo splendore, seguaci del
Crocifisso divennero. Il mio spirito a tutto questo gran teatro di
affanni e di contenti non so dire qual mi restassi, mentre credetti di
perdere la vita affatto.
40.4. Un favore eccezionale: una particolare cognizione di Dio
Il
dì 24 dicembre 1816, vigilia del santo Natale, la mattina subito levata
passai tre ore e mezza in orazioni. In questo tempo mi preparai per
fare una buona confessione. Il Signore si degnò compartirmi un lume
molto particolare di propria cognizione, questa cognizione eccitò in me
un vivo dolore di avere offeso Dio, e piangendo amaramente le mie
colpe, ne domandavo di tutto di vero cuore perdono al Signore.
In
mezzo a questa contrizione era molto grande il raccoglimento che mi
comunicò il Signore. Da questo raccoglimento passai in una perfetta
quiete, in un baleno si sollevò il mio spirito, e penetrò un luogo
immenso, che io non so descrivere in nessuna maniera. In questo luogo
l’anima mia dolcemente si riposò nell’immensità di Dio.
Terminata
la suddetta orazione, il mio spirito restò tutto assorto in Dio; poi,
secondo il solito, mi portai alla chiesa per fare la santa Comunione.
Dopo la santa Comunione mi fece sapere il Signore che mi fossi
preparata, che in quella santa notte mi voleva favorire con particolare
grazia. La dolcezza, la soavità, il raccoglimento rese estatico il mio
spirito.
In questo tempo mi apparvero due Angeli di nobile
aspetto e di grado maggiore di quelli che in altre occasioni si sono
degnati favorirmi della loro presenza e assistenza. Ebbi cognizione
particolare, e seppi che quei sublimi spiriti, che mi avevano favorito
della loro presenza in quella santa notte del santo Natale, erano del
settimo coro degli Angeli. I suddetti spiriti celesti sono destinati da
Dio, per particolare privilegio, di proteggere, di custodire il santo
Ordine trinitario. I suddetti Angeli santi disposero il mio cuore a
ricevere il celeste favore. Circa la mezzanotte fui alienata dai sensi,
e in questo tempo Dio si degnò favorirmi la particolare grazia che mi
aveva promesso nella santa Comunione.
Il favore fu molto
particolare, motivo per cui non ho termini sufficienti per poterlo
spiegare. Una moltitudine di santi Angeli furono spettatori del gran
favore che mi compartì il Signore, e pieni di ammirazione lo lodavano,
lo benedicevano, e con la povera anima mia si rallegravano, e qual
tempio dello Spirito Santo mi ossequiavano.
Ai loro ossequi
quale umiltà profonda sentiva il povero mio cuore, riconoscendomi per
la più vile di tutte le creature che abitano la terra. Si profondava
l’anima nel proprio suo nulla, e piena di gratitudine amava
ardentemente, lodava incessantemente, ringraziava cento milioni di
volte il suo Signore, e con tenerezza di cuore e con dolci lacrime
tutta tutta si offriva al Signore, senza intervallo, senza riserva, ma
tutta tutta mi donavo a lui.
In quella santa notte il Signore mi
concesse una grazia molto grande, che io gli chiesi per due religiosi
trinitari. Mi promise dunque il Signore che avrebbe dato grazia ai
suddetti religiosi di perseverare nel bene operare fino alla fine della
loro vita, e per conseguenza si sarebbero sicuramente salvati. La buona
notizia della vita eterna dei suddetti religiosi mi apportò somma
allegrezza di spirito.
Dopo aver ascoltato la Messa della
mezzanotte, mattina del santo Natale, volli ascoltare ancora quella del
mezzogiorno. A tale effetto, dopo sbrigati gli affari domestici della
mia casa, mi portai alla chiesa con sommo raccoglimento, godendo ancora
di quel bene che il mio Dio mi aveva comunicato la notte, come si è già
detto di sopra.
Fu dunque il mio spirito chiamato a somma
attenzione, e riconcentrato in se stesso intimamente; riconcentrato
così profondamente mi si diede a vedere molto da lungi un prodigioso
splendore. Fui invitata ad inoltrarmi. A questo invito mi fu comunicata
particolare penetrazione di intelletto, Dio mi degnò di particolare
intelligenza e mi diede particolare cognizione di se stesso e
dell’infinito suo essere.
Quando l’anima mia si compiaceva
infinitamente in Dio e prendeva altissima compiacenza nell’infinito suo
essere, quando ero già immersa in questa infinita magnificenza, il mio
Dio mi obbligò ad abbassare lo sguardo, e mirare questo mondo
sensibile, e mi diede a vedere le grandissime iniquità che in questo si
commettono.
Che indignazione, che iniquità! Mio Dio, datemi
grazia voi per poterlo manifestare, mentre al solo pensarlo io
raccapriccio, e si riempie di confusione ed orrore il mio spirito.
Abbasso dunque lo sguardo e vedo Maria santissima con il suo santissimo
Figliolo tra le sue braccia santissime, la vedo mesta e dolente, la sua
mestizia destò nel mio cuore viva compassione e ardente amore, e mossa
da cordiale affetto, domando a lei la cagione del suo dolore,
offrendomi, benché indegna peccatrice, ad ogni sorta di patimenti, per
così dare qualche conforto all’affannato suo cuore.
La pietosa
Madre gradì la povera, ma sincera mia offerta, mentre in quel momento
mi sarei data in mano ai più spietati carnefici, acciò avessero fatto
di me il più crudele scempio, per così dare qualche conforto alla mia
amabilissima madre Maria. La divina Madre a me rivolta, così mi dice:
«Mira, o figlia, mira la grande empietà!».
A queste parole vedo
che arditamente tentano i nostri apostati di strappargli arditamente e
temerariamente il suo santissimo Figliolo dal suo purissimo seno, dalle
sue santissime braccia. A questo grande attentato la divina Madre non
più chiedeva misericordia per il mondo, ma giustizia chiedeva
all’eterno divin Padre; il quale, rivestito della sua inesorabile
giustizia e pieno di sdegno, si rivolse verso il mondo. In quel momento
si sconvolse tutta la natura, e il mondo perdette il suo giusto ordine,
e si formò sulla terra la più grande infelicità che mai possa dirsi né
immaginarsi.
Cosa così lacrimevole e afflittiva che renderà il
mondo all’ultima desolazione. Non posso dir di più. Preghiamo il
Signore caldamente, acciò si degni mitigare verso di noi il suo
giustissimo sdegno. Quale timore, quale spavento mi apportò simile
vista non ho termini di poterlo spiegare.