[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A
A
A
A
A
38 – PER TRE GIORNI RAPITA IN DIO
38.1. Il patrocinio di san Michele dei Santi
Il
dì 5 luglio 1816, festa del beato Michele, nell’assistere alla Messa
cantata, nella chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, fui
sopraffatta da particolare raccoglimento, dove mi parve di vedere che
dall’alto dei cieli scendeva una moltitudine di Angeli, che tutti
festosi venivano per assistere al gran sacrificio della Messa cantata
da quei buoni padri trinitari.
Questi angelici spiriti erano
vestiti uniformemente, in tre diverse legioni erano divisi: la prima
era vestita con veste candida, con scapole con croce rossa e turchina,
la seconda legione era vestita di color turchino, la terza di colore
rosso, ma erano una quantità che occupavano tutta la chiesa. Tutti
erano disposti in bell’ordine.
Al Gloria della Messa mi parve
vedere altre schiere angeliche, che festose, giubilanti conducevano con
somma gloria ed onore il beato Michele. Il beato era preceduto dai
santi patriarchi dell’Ordine trinitario, e qual diletto loro figlio,
l’onoravano, col dargli un posto a loro immediato. Collocato che si fu
il beato Michele in quel nobilissimo seggio contiguo ai santi
patriarchi, fu onorato da quei cittadini celesti suddetti,
ossequiandolo con incenso e profondi inchini, lodavano e ringraziavano
la santissima Trinità per i favori concessi al nostro glorioso santo.
Ossequiato
che fu, con volto piacevole a me rivolto con gesti cordiali mi fece
coraggio, e mi fece intendere che mi fossi approssimata a lui. A questo
piacevole invito la povera anima mia, umiliata profondamente in se
stessa, sopraffatta da santo timore, non osava avvicinarsi a lui, ma i
santi patriarchi con autorevole paterno comando, mi obbligarono ad
approssimarmi a lui. Con santa umiltà mi avvicino, e il beato, preso il
lembo della sua cappa, me lo diede a tenere nelle mie mani; piena di
riverenza, bacio, stringo al mio cuore il prezioso pegno.
Oh
qual meraviglia! mi sento il cuore trasmutarsi da incendio di santo
amore. Oh come in quel momento il povero mio spirito si unì al suo
sublime spirito! In questa guisa mi condusse in luogo molto eminente,
dove unitamente ai tre religiosi trinitari celebranti mi condusse alla
divina Madre; l’amorosa Signora, per mezzo del suo diletto servo,
piacevolmente ci accolse, e per dimostrarci il suo particolare affetto,
ci degnò di darci a tenere l’estremità del suo prezioso manto.
Oh,
che grande onore è mai questo! fummo noi degnati di avvicinarci
all’augusto trono della sovrana imperatrice del cielo e della terra. Oh
quanto sei onnipotente, o gran santo, quanto amato sei dalla divina
madre, Maria! Per tuo mezzo fummo onorati. Dégnati, o gran santo, di
proteggerci in vita e in morte, e saremo sicuri, per mezzo del valevole
tuo patrocinio, di pervenire a quella gloria, per lodare Dio per tutta
l’interminabile eternità.
Autorizzati dall’alto favore
compartitoci dalla divina Madre, fummo liberamente introdotti negli
ampli spazi della divinità di Dio, dove al momento perdemmo il nostro
proprio essere, e come atomi comparivamo davanti al suo tremendissimo
cospetto. Eccoci inabissati nel proprio nulla, ma chi lo crederebbe?
Dio, per sua infinita bontà, ci traeva dal proprio nulla, per potersi
in noi compiacere. Tramandò un raggio della splendidissima sua luce ad
investirci, e così ci rese quanto mai belli e risplendenti, e per mezzo
della sua grazia ci formò oggetto delle alte sue compiacenze.
La
suddetta comunicazione apportò al mio spirito un bene molto
particolare. Per ben 24 ore ne godei i buoni effetti: umiltà profonda,
raccoglimento interno, pace, dolcezza, soavità di spirito tennero tutte
occupate le potenze dell’anima mia, mi comunicò Dio un gran desiderio
di darmi tutta alla penitenza.
38.2. Il buon sacerdote mi chiese la benedizione
Terminata
la Messa cantata, con stento mi portai alla mia casa, mancandomi quasi
del tutto le forze naturali; dove fui visitata da un sacerdote
forestiero di santa vita, il quale mi disse che Dio gli dava un forte
impulso di unirsi al mio povero spirito, e che sentiva precisa
necessità di manifestarmi tutta la sua vita, il suo spirito, svelarmi
la sua coscienza.
Procurai a questa umile sua richiesta di
oppormi, col dimostrargli la mia insufficienza, la mia viltà, la mia
miseria, immeritevole affatto di tanto onore; ma il suddetto, preso
dallo Spirito del Signore, mi obbligò ad ascoltarlo, protestandosi che
il fine per cui voleva manifestarmi la sua vita, altro non era che per
essere raccomandato al Signore. Con profonda umiltà mi manifestò il suo
spirito, la sua coscienza.
Nel sentire le misericordie che Dio
aveva compartito a questo suo servo, la povera anima mia si umiliò
profondamente, nel vedere con quanta fedeltà corrispondeva questo
ministro del Signore. Nell’ascoltare la sua austera penitenza, la
continua orazione, le particolari comunicazioni che aveva con Dio,
quanto amor di Dio possedeva questo eroico spirito, cose tutte che ad
altro non servirono che a confondermi ed annientarmi nel proprio mio
nulla.
Terminato che ebbe il racconto, mi disse che voleva
pregarmi di una gran carità, che non gliel’avessi negata, mentre la
chiedeva per amor di Dio. Il mio spirito non era ancora del tutto
tornato nei sensi, per la comunicazione avuta, come già dissi, sicché
poco e niente ero presente a me stessa, ma tutto riconcentrato lo
spirito era in se stesso, godevo un bene molto particolare, godevo una
semplicità di mente, una purità d’intenzione, che non mi permettevano
di prevedere quello che questo servo di Dio fosse per domandarmi. Gli
dissi: «Chieda pure, che, per amor di Dio, le prometto di fare quanto è
per domandarmi».
Il buon sacerdote, pieno di umiltà, mi disse
che voleva da me essere benedetto, piangendo mi disse che non gli
negassi questa grazia. Qual sorpresa fu per me, non so dirlo; la sua
richiesta riempì il mio spirito di santo orrore, risposi piena di
confusione: «E come ardirà la creatura più vile che abita la terra
benedire un ministro di Dio?».
Ero risoluta di non compiacerlo;
ma da interno sentimento fui obbligata a condiscenderlo, mentre Dio mi
fece intendere che la richiesta di questo suo ministro era di molto suo
onore e di somma sua gloria, che dovevo assolutamente compiacerlo. A
questa cognizione chinai il capo ai voleri di Dio, con profonda umiltà
mi posi in ginocchioni e, recitando il Magnificat, profondata nel mio
proprio nulla, mi umiliai dinanzi al mio Dio, poi mi alzai in piedi,
invocando l’aiuto di Dio, benedii il buon sacerdote con il piccolo
scapolare trinitario che tenevo indosso.
Il Signore si compiacque di fargli sperimentare i buoni effetti della povera mia benedizione, con donargli una viva contrizione.
Quanto
mi restò obbligato il suddetto non è spiegabile, in quel momento gli
convenne partire dalla mia casa senza poter proferire parola, tanto era
sopraffatto dalla grazia di Dio e dalle abbondanti lacrime che versava
dagli occhi; ma dopo pochi giorni mi favorì, e mi raccontò quanto di
bene aveva sperimentato nel suo spirito per mezzo della povera mia
benedizione.
La suddetta grazia si deve attribuire al beato
Michele, che, come già dissi, poco prima si era degnato di farmi
ritenere nelle mie mani la sua beata cappa.
Il buon sacerdote
tornò a chiedermi la benedizione, ma Dio non mi permise di contentarlo,
ma solo di implorare sopra il medesimo le divine benedizioni. Il buon
sacerdote si alzò in piedi, restando contento e soddisfatto,
promettendomi di ricordarsi di me nelle sue orazioni.