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37 – TRE CUORI UN SOLO AMORE


37.1. Venerdì Santo 1816


Il dì 12 aprile 1816, Venerdì Santo, nell’orazione subito levata, era tutto afflitto il povero mio cuore, per vedermi in quella mattina priva della santa Comunione. Con calde lacrime e affannosi sospiri, ricorrevo al mio Dio, manifestandogli i miei desideri; l’invitavo con santo affetto a venire a visitare l’anima mia. Terminata la preghiera e mostrati i miei desideri, il Signore mi fece intendere che si sarebbe degnato di venire a visitare la povera anima mia, e altre due anime da me molto raccomandate.

Nell’assistere dunque alla Messa, unitamente alle anime suddette, si degnò Dio comunicarsi alle nostre anime in modo molto particolare. Mi si diede a vedere nella sua santissima umanità crocifisso, tutto risplendente di luce; tramandò dal venerando suo cuore tre dardi preziosi, che vennero a trapassare i nostri cuori. In quel prezioso momento di tre cuori se ne fece uno solo, mentre l’attrazione del dardo divino ci trasse il cuore dal petto e ci condusse nel prezioso cuore del nostro amorosissimo Gesù, e del nostro cuore ne formò uno solo con il suo, e così restammo con lui intimamente uniti. Per quanto è a mia notizia, le suddette anime godettero i buoni effetti di questa grazia.

Proseguo a raccontare come passai il resto del Venerdì Santo 12 aprile 1816. A mezzogiorno mi portai in una chiesa, per assistere alle tre ore della preziosa agonia del nostro Signore Gesù Cristo; dove per quattro ore continue stetti immobile in ginocchioni, senza soffrire il minimo nocumento; tanto si era internato lo spirito nella considerazione dei patimenti dell’amorosissimo Gesù, che mi ero affatto dimenticata di me stessa.

Immersa nell’afflizione dei suoi patimenti, ricordevole di averlo tanto offeso, deploravo con abbondanti lacrime le mie colpe. Al riflesso poi delle misericordie che Dio si è degnato usarmi, nonostante la mia grandissima ingratitudine, si riempiva di santi affetti il mio cuore. La gratitudine, l’amore mi faceva piangere e sospirare; si accendeva di santo amore lo spirito, e amava ardentemente il crocifisso suo bene. In questa guisa passai un buon tratto di tempo. Finalmente da particolare raccoglimento fu sopito lo spirito.

In questo tempo mi parve di essere da mano invisibile trasportata sopra un altissimo monte, sopra il quale vidi il crocifisso mio bene, che pendeva dalla croce. Quali affetti destò nel mio cuore la vista compassionevole dell’amoroso Signore, non so manifestare. Era circondato da ombra pallida di mesta luce, questa destava nel mio cuore un profondo rispetto e particolare devozione. La compassione, l’amore mi fece ardita, slanciandomi verso la croce, abbracciai strettamente la cattedra delle eterne misericordie; e tra lacrime e sospiri, offrii tutta me stessa al suo divino beneplacito, con una rinunzia particolare e generale di tutta me stessa. Per mezzo di intima cognizione, mi fece intendere che bramava fossi per amor suo crocifissa.

Appena l’anima ebbe questa cognizione, immantinente si dispose al gran sacrificio, e, sopraffatta dall’amor santo di Dio, chiedeva in grazia al crocifisso suo bene che si eseguisse in me quanto lui bramava, desiderando ardentemente di essere crocifissa per amore di quell’amoroso Signore, che miravo crocifisso per la nostra eterna salute.

Dato il mio consenso, fui per mezzo dei santi Angeli collocata sopra una croce, dai medesimi fu innalzata la croce e collocata di rimpetto al crocifisso mio bene. Salita che fu l’anima sopra la mistica croce, fu sopraffatta da dolci ma penose agonie, mentre lo spirito faceva prova di staccarsi dal corpo, per l’amore e per l’ardente desiderio che aveva di unirsi all’amato suo bene.

Nel tempo che l’anima si disfaceva di amore e in sante lacrime, l’amoroso Signore, traendo dal venerando suo cuore un amoroso strale, dolcemente colpì il mio cuore, il colpo mortale misticamente mi fece morire; prezioso momento che il mio buon Signore, per mezzo di ardente amore, al suo cuore mi unì. Per espresso comando di Dio onnipotente, il mio direttore così crocifissa sopra un monte mi trasportò, ferma e permanente sopra questo monte la croce stabilì e fissò; pieno di santo zelo, alla maggior gloria di Dio, e per l’altrui esempio a tutti fece palese quello che Dio vuole da me.

Oh, come in un baleno si riempì quel monte di nobili donzelle, di anime prescelte, che del trinitario Ordine vollero seguire l’esempio.

Il dì 13 aprile 1816, Sabato Santo, si riempì di sommo gaudio il mio spirito, per un certo particolare favore che ricevetti da Dio, che non so manifestare.

37.2. Gesù mi apparve qual trionfante guerriero


Il dì 14 aprile, giorno della Santa Pasqua, si accrebbe viepiù nel mio cuore il gaudio, e la letizia faceva esultare lo spirito; piena di santo affetto, con replicati atti di amore si slanciava lo spirito verso l’amante Gesù, e congratulandosi con lui per la gloria e per il trionfo riportato con la sua preziosissima morte; quando l’anima si fu inoltrata nella considerazione di sì vasto trionfo d’amore, e piena di ammirazione, con la grazia di Dio, ne penetrava la profondità, sopraffatta dall’amore, alla considerazione di simile eccesso, l’anima, sollevata sopra se stessa, lodava, amava, ringraziava incessantemente il suo amorosissimo Gesù.

Quando ad un tratto mi apparve il buon Gesù, qual trionfante guerriero, accompagnato da immenso stuolo di Angeli; ma la sua bellezza, la sua vaghezza non si può descrivere, un purissimo splendore scintillava dal suo volto, che teneva assorte le potenze dell’anima mia, e come incantata non avevo più che desiderare né che pensare; ma, sopraffatta dall’ammirazione, ardentemente amavo l’amabilissimo mio Signore. Salito sopra un monte si degnò benedirmi. I buoni effetti che cagionò nell’anima mia la sua benedizione non mi è possibile manifestare; restò il mio spirito estatico e come assorbito dallo splendore che tramandava da ogni intorno il venerando suo corpo, che per otto giorni ne godei i buoni effetti.

Ebbi nei suddetti otto giorni particolare ispirazione di chiedere al principe degli apostoli, san Pietro, un santo apostolo per guida, per direttore. Pregai dunque con grande istanza il gran principe degli apostoli, perché mi avesse, secondo il mio spirito, dato un santo apostolo per protettore. Non sdegnò il santo la povera mia preghiera, ma si degnò darmi per guida e protettore il glorioso san Giacomo il Maggiore, il quale mi apparve vestito da pellegrino, e mi mostrò una lunga strada, molto stretta, dritta e piana; mi fece intendere che questa mi avrebbe condotto direttamente al mio Dio, che in questa strada mi veniva significata la mortificazione. Mi esortò a darmi alla pratica di sì bella virtù.

Appena il santo ebbe ammaestrato il mio spirito intorno a questa virtù, che al momento nacque in me un gran desiderio di darmi alla pratica di questa bella virtù, come in effetti feci, con la licenza del mio padre spirituale mi diedi alla pratica di questa virtù con maggiore impegno di prima.

Dal dì 21 aprile 1816, giorno dell’ottava di Pasqua, fino al giorno della vigilia dell’Ascensione del Signore, il mio spirito ha sofferto pene gravissime di abbandono, di smarrimento, di ogni sorta di pene di spirito.

37.3. Unione del tutto particolare


Il dì 23, giorno dell’Ascensione, 23 maggio 1816, il mio spirito, illuminato da particolare luce e sollevato a contemplare gli alti misteri della nostra redenzione, a cognizione così sublime lo spirito si profondò nell’amore grande di Dio e si accese di santo e puro amore. L’amore mi fece ascendere ad una particolare unione con Dio, ma unione tanto particolare che non ho termini di poterla manifestare. Basta dire che dal giorno 23 suddetto fino al 2 giugno 1816 di questa unione ne godei i buoni effetti.

In questi dieci giorni perdetti ogni idea sensibile, e assorta tutta in Dio, se ne stava la povera anima per le frequenti comunicazioni che aveva con il suo Dio. Dovetti in questi dieci giorni privarmi affatto di conversare, perché nessuno si avvedesse di quello che passava nel mio spirito.

Si combinò in questi giorni che mi furono a trovare certi santi religiosi e, dovetti soffrire il rossore, la confusione di vedermi tutto ad un tratto incapace di ogni sensazione, per il forte tocco di Dio, che rapidamente chiamò lo spirito. Sicché, alienata dai sensi, restai con mia somma confusione alla presenza di quei santi religiosi, che mi avevano favorito di una loro visita.

Cosa mai godé il mio spirito in questi giorni non mi è possibile manifestarlo. Sopraffatta da interna quiete e da particolare raccoglimento e da particolare cognizione di se stessa, si profondava nel proprio suo nulla, e Dio la degnava di innalzarla, per mezzo di sublimi cognizioni dell’infinito suo essere. A queste cognizioni l’anima operava cose molto grandi verso il suo Dio; e Dio, compiacendosi nell’anima, la univa a sé intimamente, di maniera che, per lo spazio di dieci giorni, il mio spirito non fu capace di comprendere nessuna cosa sensibile, per le frequenti comunicazioni che aveva con Dio, molte furono le grazie che si degnò Dio compartirmi per mio e per l’altrui vantaggio, e sono: l’efficacia della preghiera per gli altrui vantaggi, beneficare tutti quelli che mi fanno del bene e salvarli, come ancora salvare tutte quelle anime che sono a me unite, per mezzo di particolare unione.

Le grazie particolari che Dio si degnò compartirmi furono tre gradi maggiori di fede, speranza e carità. Queste tre grazie mi furono compartite dalle tre divine Persone, che nell’unità e trinità si degnarono favorirmi con specialità di affetto, e introdurmi nel vastissimo oceano della loro divina immensità. Un solo Dio in tre persone divine: oh portento incomprensibile, io non ti posso né comprendere, né spiegare! Mi umilio dunque nel profondo del mio nulla, e profondamente ti adoro e ti riverisco, ti confesso per quel Dio immenso, incomprensibile che sei. Per mezzo di queste ed altre simili cognizioni, l’anima restò inabissata e tutta perduta in Dio.

37.4. Pativa il corpo, ma godeva lo spirito


Dal dì 23 maggio 1816, giorno dell’Ascensione del Signore, fino al giorno della Pentecoste, intrapresi un digiuno più rigido del quotidiano, non prendendo altro cibo che una scarsa cioccolata con poco pane ogni ventiquattro ore, dormire poche ore sopra un duro pagliaccio, fare cinque e sei ore di orazione continua, sempre in ginocchioni. Negai in questi otto giorni al mio corpo il bere, sicché non gli permisi di prendere neppure un sorso d’acqua. Pativa il corpo, ma godeva lo spirito illustrazioni di mente, contrizione dei peccati, intimo raccoglimento, amore ardente, che dolce e soave mi rendeva il patire.

Il dì 2 giugno 1816, festa della Pentecoste, in questa solennità fui favorita da Dio con particolare grazia e favore, ma non so, non posso manifestare quello che passò nel mio spirito; solo posso dire che per otto giorni continui godei quella grazia di quel distinto favore con molto profitto del mio spirito.

37.5. Pene interne gravissime


Dal dì 16 giugno 1816 fino al dì 22 giugno 1816 il mio spirito fu sopraffatto da pene interne gravissime, che lo ridussero all’ultima desolazione, ma nonostante mai lo spirito si dipartì dal suo Dio, ma con costanza invitta, somministratami dalla grazia, affrontavo il patire, e con petto forte sfidavo l’inferno tutto, compiacendomi di essere straziata dalla gravissima pena che soffrivo, per amore di quel crocifisso Signore, che si compiacque di essere straziato per amor mio.

Più si faceva grave la pena, più trovavo forte lo spirito. Tanto fu grande il patire interno ed esterno di questi giorni, che più volte mi ridusse a stare stramazzone sul suolo, eppure lo spirito, pieno di coraggio, tutto affrontava per amore del suo Signore, protestandosi con somma frequenza che se il possedere Dio mi fosse dovuto costare un inferno, non di pena, ma di contento mi sarebbe questo patire.

In questa guisa andava Dio purificando il mio spirito, per così disporlo a ricevere dall’infinito suo amore un favore molto distinto. Con la grazia di Dio, io aggiungevo all’interno patire digiuni, penitenze, lunghe orazioni, bramando di essere un puro perfetto olocausto, e qual vittima di amore, finire la vita per sostenere virilmente l’amore.

37.6. Negli spazi della divinità di Dio


Il dì 23 giugno 1816, vigilia del glorioso san Giovanni Battista, ho avuto particolare comunicazione con Dio, per mezzo della valevole protezione del lodato santo. Dopo la santa Comunione mi apparve il santo, circondato di splendidissima luce, riccamente vestito, portava un manto reale, tutto intessuto di perle e di preziosissime gioie. Questo manto denotava la sua purità, la sua umiltà, la sua carità, era di una bellezza, di una vaghezza senza pari.

Oh, come la povera anima mia, allo sfolgoreggiare di tanta luce, restò estatica, e piena di ammirazione! Tanto questo gran santo era rassomigliante all’amabilissimo mio Gesù, che al primo aspetto mi parve una divinità. O glorioso santo, non è spiegabile il tuo onore, la tua gloria. Felice è quell’anima che gode la protezione di questo gloriosissimo santo. Qual rispetto, qual venerazione sentiva il mio spirito verso di lui, tutto si profondava nel suo nulla, si umiliava davanti alla sua grandezza; ma il santo, qual maestro di umiltà, con volto affabile e piacevole, m’invitò ad approssimarmi a lui, non con parole, ma in sommo silenzio. Si fece da me intendere, per mezzo di interna cognizione. Pieno di sommissione, a lui si avvicinò il povero mio spirito, e l’umilissimo santo mi degnò darmi a sostenere la coda del suo prezioso manto, in questa guisa m’introdusse in un luogo altissimo, con questo mi veniva a significare che mi degnava della sua particolare protezione; ma quando fummo per penetrare viepiù la suddetta altura, ebbe il mio spirito bisogno di maggiore aiuto. Allora il santo stese il suo braccio destro, e si degnò reggere e sostenere il mio povero spirito, e così il glorioso santo ebbe il piacere di condurmi, senza alcun mio merito, perfino negli ampli spazi della divinità di Dio.

Introdotta che fu in quella immensità, l’anima si umiliò profondamente, e, sopraffatta da sommo timore per vedersi tanto sollevata senza alcun merito, s’inabissò in quella incomprensibile immensità, tutta si perdette in Dio, il quale si degnò mostrarle gli affetti più vivi del suo infinito amore. Per mezzo dei sentimenti più vivi e perfetti della sua parzialissima carità, la chiamò «oggetto delle alte sue compiacenze», le fece intendere come segregata l’aveva dal numero dei viventi, per averla intimamente unita a sé; mi fece intendere ancora che si compiace assai più in un’anima a lui unita di quello che si compiaccia in tutto il resto degli uomini.

A queste cognizioni la povera anima mia si disfaceva di amore in lacrime di gratitudine e di confusione, ricordevole di averlo tante volte offeso e disgustato. Dio si degnò stringerla al suo castissimo seno.

Oh, come la povera anima mia, tra i purissimi amplessi del celeste suo sposo si liquefaceva tutta di santo amore. Molto di più potrei dire, ma la mia insufficienza più non mi permette il potermi spiegare. Si contenti dunque per carità che resti con questi pochi e rozzi sentimenti soddisfatto l’obbligo di obbedienza, che mi corre di manifestare in scritto il mio spirito.

Dal dì 23 tutto il dì 24 godei un bene di spirito tanto particolare, per mezzo del mio gran protettore san Giovanni Battista, che mi tenne assorta in Dio per molti giorni, dal dì 24 giugno 1816 fino al dì 4 luglio 1816, per avere negligentato lo scrivere, non posso rendere conto di diverse cose molto particolari seguitemi in questi giorni per parte della grazia di Dio.