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36 – PERDUTA NELLA DIVINA IMMENSITÀ


Il dì 8 marzo 1816, nella santa Comunione il Signore, mi fece sperimentare i particolari effetti della sua grazia, ma da qualche tempo a questa parte si degna Dio comunicarsi alla povera anima mia in una maniera che non mi è possibile più manifestare i particolari favori che si degna compartirmi, perché questi non sono per vie immaginarie, ma per vie di interne cognizioni, intime, profonde. Queste mi pare che siano molto più sublimi delle immaginarie, e molto più efficaci al povero mio spirito, ma per il mio scarso talento molto difficili di poterle manifestare.

Penetra l’intelletto e si profonda nell’immensità di Dio, la volontà ama ardentemente, e nell’amore dolcemente si riposa, e placidamente tutta in Dio si abbandona. L’anima perde ogni idea sensibile, e si perde affatto nella divina immensità, di maniera che non comprendo quello che si degna Dio operare nell’anima mia; mentre in quei preziosi momenti godo un bene che non so spiegare, mi pare propriamente di perpetuarmi in Dio.

Oh che consolazione, oh che dolcezza, oh che gaudio prova il mio cuore, più non ricordo di essere viatrice, mi pare di abitare nell’altezza dei cieli, tanto chiaramente si degna Dio comunicarsi alla povera anima mia, che mi pare di godere un paradiso di contenti; ma non ho termini sufficienti di manifestare i particolari favori che in quei preziosi momenti mi comparte, mentre neppure posso del tutto comprenderli.

36.1. I nuovi Cardinali


Riporto un fatto accaduto ad un’anima a me cognita, dice dunque la suddetta che in certo tempo nel farsi dal Sommo Pontefice la promozione di nuovi cardinali, la suddetta anima pregò il Signore, acciò avesse dato a questi novelli cardinali grazia di sostenere la santa Chiesa cattolica; si rallegrava con il suo Dio, e pregava a volerli benedire. Dice che, fatta la suddetta preghiera si addormentò, e le parve in sogno di trovarsi in un luogo dove vide i suddetti porporati, che ritenevano la somiglianza di bestie, a seconda dei propri vizi predominanti; a questa vista dice che inorridì, e nel sogno si rivolse verso Dio piangendo.

Allora dice che intese una interna voce che si lamentò del cattivo procedere non solo di questi, ma di tutti quelli che amministrano, e dimostrandole il disonore e il gravissimo torto che questi fanno alla sua divina giustizia, si protestava Dio di punirli severamente. Dopo il suddetto sogno, dice che il suo spirito restò in una gravissima afflizione, che altro verso non fece per molti giorni che piangere e sospirare, per aver veduto tanto disonorato Dio, e per la compassione che le fecero i suddetti, sebbene dice che in quel momento riconcentrò il suo spirito in se stessa, e disse fra sé: «Oh se Dio mi desse a vedere la povera anima mia ricoperta delle proprie miserie, molto più brutto di questi mi comparirebbe!».

Così si credette di essere molto più deforme dei suddetti, che aveva veduto, e piangendo i propri peccati restò con buona opinione dei suddetti porporati.

36.2. La presenza di Dio


Dal giorno 8 fino al giorno 17 marzo 1816 il mio spirito se l’è passato in sommo raccoglimento. Tre volte in questi giorni si è degnato Dio favorirmi in modo speciale, ma non so spiegare in nessun modo la maniera con cui Dio si degna comunicarsi alla povera anima mia, perché è molto diverso da quello che mi si degnava comunicarsi prima; ma per non mancare all’obbedienza qualche cosa dirò.

Il giorno 14 marzo 1816, circa le ore 4 italiane della notte, stavo scrivendo questi fogli, era tutto raccolto il mio spirito, quando fui sopraffatta da profondo sonno, che mi convenne di lasciar di scrivere. Credetti veramente sonno naturale, ma nell’abbandonarmi che feci, intesi una innovazione di spirito, che mi trasformò. Questo, per quanto potei capire, mi parve che non durasse più di un quarto d’ora. Mi desto, e mi trovo presente Dio, in una maniera che non so spiegare. La povera anima mia nel trovarsi tanto vicina al suo Dio, si struggeva di amore in lacrime, parte per ricordarmi i gravissimi torti fatti a questo buon Dio, parte per tenerezza e per gratitudine di vedermi tanto beneficata, con tanto demerito.

Nel tempo che l’anima stava tutta sprofondata nel suo nulla, e piangeva con abbondanti lacrime i suoi peccati; Dio, mosso da compiacenza, si mostrava tutto amore, tutto benevolenza, verso la povera anima mia. Alla cognizione dell’infinito amore di Dio, mi cagionò dolce deliquio di amore, e, tutta nell’immenso seno del suo Dio si abbandonò la povera anima mia; in questo tempo perdetti ogni intendimento, per essermi tanto internata nell’immensità di Dio. In questa situazione l’anima non si avvede quanto Dio opera in lei, ma per parte di intima cognizione conosce di aver ricevuto grazie da Dio. Non so dir di più, non so spiegarmi meglio.

36.3. L’anima arrivò a lottare con il suo Dio


Dopo aver goduto di quella presenza di Dio, come già dissi, la sera del dì 14 marzo 1816, che riempì il mio cuore di gaudio e di dolcezza, il dì 15 del suddetto mese, nella santa Comunione, si riempì il mio cuore di gravissima mestizia. La tristezza e l’affannosa pena mi faceva piangere e sospirare; andava ogni momento più a farsi grande la mia pena, sicché in poche ore l’anima arrivò al colmo del patire. Sentivo lacerarmi il cuore dall’amarezza e dall’afflizione; lo spirito era circondato da gravissime pene, era immerso nelle pene più afflittive di spirito che possono mai ridirsi. In questo patire però non si allontanava l’anima dal suo Dio, ma con sommo ardore tra quelle pene avidamente lo cercava; Dio, invece di farsi trovare in aspetto piacevole, mi si dava a vedere in aspetto terribile e spaventoso, quasi sul momento di precipitarmi senza pietà; ma l’anima invece di fuggire questo Dio terribile, viepiù gli si avvicinava; più Dio si mostrava terribile, in atto di scaricare sopra di questa i più spietati flagelli, e più l’anima gli si faceva sotto, compiacendosi di restare annientata per compiacerlo. Con santo ardire andava replicando: «Annientami, annichilami, sempre tua sarò».

Ed intanto le si faceva più sotto senza timore, ma sopraffatta dalla compiacenza di dar gusto al suo amato bene, disprezzava ogni qualunque gravissimo male, ogni qualunque gravissima pena e quasi sfidando la sua divina giustizia a castigarmi con i più spietati flagelli.

Intanto l’anima, affidata alla sua divina grazia, pregava acciò mi volesse dare invitta costanza, per disprezzare ogni pena e travaglio per amor suo. A nostro modo di intendere l’anima arrivò a lottare con il suo buon Dio. Dio le mostrava la sua severità, e l’anima gli mostrava la sua fedeltà, la sua costanza, mediante il suo divino aiuto.

Che grazie siano queste, mi pare che non si possano esprimere da qualunque dotto oratore. Dunque cosa dirò io, che sono tanto miserabile e tanto vile? Mentre l’anima per mezzo della grazia viene tanto a sollevarsi sopra se stessa, e operando con sublimità di affetto, per mezzo della volontà veniva ad esercitare una costanza eroica, una fortezza invitta, una fiducia filiale, mentre l’anima tutta si appoggiava agli infiniti meriti del suo buon Gesù.

Dal giorno 15 marzo fino al giorno 21 del suddetto mese 1816, il mio spirito è stato in questa suddetta situazione, ora patendo pene gravissime, ora sopraffatta dall’amore, cercavo di patire di più.

36.4. Mi fece riposare tra le sue braccia


Il dì 22 marzo 1816, nella santa Comunione, il mio Dio, non più in aspetto terribile, come per il passato, ma in aspetto piacevole e benigno, mi manifestò. E come potrò mai ridire gli affetti scambievoli di Dio e dell’anima, che vicendevolmente andavano facendo tra loro? Mi fece riposare tra le sue braccia, mi strinse al suo seno purissimo, quante belle promesse mi fece! Mi promise che il giorno che la Chiesa celebra la festa della sua Risurrezione avrebbe favorita la povera anima mia con grazia molto particolare e distinta. Vorrei occultare la grazia, ma dubito di mancare all’obbedienza, a gloria di Dio la manifesterò. Mi promise di donarmi una fiducia straordinaria, soprannaturale: «Questa», mi disse, «ti sarà molto giovevole non solo a te, ma a tutti quelli che usano verso di te della carità. Abbandònati nella mia divina provvidenza. Non dubitare, vedrai quello che saprò fare per beneficarti!».

A sentimenti così particolari di carità, la povera anima mia si profondava nel suo nulla e si umiliava profondamente, e, ammirando l’infinita bontà di Dio, si struggeva di amore in lacrime.

36.5. Nel patire lodavo e benedicevo il Signore


Dal giorno 22 marzo 1816 fino al giorno 3 di aprile 1816 il mio spirito ha sofferto pene molto gravose, temporali e spirituali; ma per grazia di Dio, l’anima è stata sempre rassegnata nel divino beneplacito, nel patire lodava e benediceva il suo Signore. Benché molto sensibile mi fosse il suddetto patire, ciò nonostante l’anima si rassegnava tutta in Dio; rassegnata che si era nel divino beneplacito, sperimentai nell’intimo dell’anima un profondo raccoglimento.

Nel tempo che stavo così raccolta, mi si manifestò Dio sotto i più spietati patimenti e mi fece intendere che, se bramavo possederlo, dovevo con generosa costanza affrontare quei patimenti che mi si presentavano.

A questa cognizione non paventò lo spirito, ma con eroica fortezza, compartitami dalla grazia di Dio, affrontavo virilmente il patire, disprezzando quanto mi si frapponeva per andare liberamente a Dio. Con santo ardire calcavo, infrangevo con fortezza invitta il patire, e mi slanciavo liberamente nell’amoroso seno del mio Dio, che, pieno di compiacenza, godeva in se stesso nel vedermi, per amor suo, disprezzare tutte quelle gravissime pene.

Si degnò di rendermi partecipe del suo gaudio, del suo contento. Oh, come esultava il mio povero spirito in Dio, suo Signore! Oh, che dolcezza sperimentò il mio cuore! Non mi è possibile poterlo ridire.

36.6. Chi ascolta te, ascolta me


Il dì 6 aprile 1816 nella santa Comunione mi apparve il Signore sotto la forma di nobile giovanetto. Lo vedevo accompagnato da molte schiere angeliche, che tutto amore e tutta carità veniva con sommo giubilo a stabilire nell’anima mia l’augusto suo trono. Pieno di santo affetto, diceva: «Figlia, diletta figlia, chi ascolta te ascolta me; mentre in te risiede il mio Spirito. Quelli che avranno fiducia saranno dalle tue parole consolati».

A queste espressioni l’anima restò profondamente umiliata, e volgendosi al suo Dio, con molte lacrime di tenerezza: «Mio Dio», diceva, «che più non mi conoscete che sono la creatura più miserabile che abita la terra? E come potete trovare in me la vostra compiacenza, se sono tanto miserabile e peccatrice? Ah, Gesù mio, partitevi da me, ne sono troppo indegna; andate a formare il vostro trono in quelle anime che vi sono fedeli».

I veraci miei sentimenti non rimossero punto il divino Signore dalle sue amorose idee, ma anzi molto più stabilmente si fermò nel mio cuore, e, manifestando con maggiore energia i divini suoi affetti, arrivò a chiamare questa misera anima «arbitra del suo Cuore, oggetto delle sue compiacenze».

L’anima, nel vedersi così sopraffatta dall’amore di Dio, si abbandonò tutta negli eccessi della sua infinita misericordia, traendo dal cuore una fiamma vivissima di carità, riamava quanto più poteva l’amorosissimo suo Dio, con quella stessa fiamma di carità che si degnò comunicarmi per mezzo dell’intima sua unione.

Sopraffatta l’anima dal divino incendio, s’inabissò in Dio, suo Signore; mi parve di restare come incenerita, come annientata in me stessa, mi trovavo tutta tutta trasformata in Dio; perdetti ogni idea sensibile, restò il mio corpo alienato dai sensi.

Dal dì 6 aprile 1816 fino al dì 10 del suddetto mese, il mio spirito, per il fatto suddetto, restò come estatico. L’interno raccoglimento mi toglieva ogni idea sensibile, quando, per adempiere agli affari domestici, procuravo con molta fatica di scuotermi, adempito che avevo l’obbligo del mio stato, tornava Dio, per mezzo di un tocco interno, a richiamare lo spirito intimamente, in maniera che restavo inabile a proseguire ad agire sensibilmente.

Il dì 11 aprile, Giovedì Santo, nella santa Comunione, mi favorì Dio con particolare grazia, ma per essere cosa intellettuale, il mio scarso talento non mi permette di poterlo manifestare. Il gaudio, la dolcezza inondarono il mio cuore, e lo facevano ardere di santo amore.