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33 – IL LATTE DELLA DIVINA MADRE
33.1. Le gravi afflizioni della Chiesa
Il
dì 2 dicembre 1815 ebbi notizia che il Sommo Pontefice, Papa Pio VII,
cesserà di vivere in tempo che sarà in Roma l’imperatore d’Austria.
Allora incominceranno le gravissime afflizioni nella Chiesa di Dio, i
religiosi e le religiose saranno espulsi con violenza dai loro
monasteri. Questo lo permetterà Dio per trovarsi sdegnato per i tanti
abusi introdotti nelle comunità, per le tante trasgressioni di regole.
Tutto il popolo era in gravissima afflizione; ma l’afflizione si faceva
maggiore, per l’elezione del nuovo Pontefice, che si faceva
dall’imperatore.
Oh che travagli! oh che pene! oh che
tribolazioni! Ma non per questo la Chiesa cattolica era senza capo,
altra elezione legittima aveva già fatto lo Spirito Santo, ma il
legittimo Papa era nascosto. Mi pareva che il cristianesimo si trovasse
nella maggiore oppressione.
Alla rappresentanza di questa
immaginaria afflizione, venne meno il mio spirito, fui sopraffatta
dalla pena nel vedere tanta crudeltà, perdetti ogni uso di riflessione
e di sensazione.
Raccomandiamoci caldamente al Signore, perché
molto possiamo mitigare il suo giustissimo sdegno, con le preghiere,
con le buone opere e con la pratica delle sante virtù.
Dio è
sdegnato assai, assai; ma Gesù Cristo non fa altro che perorare per la
nostra causa. Dunque uniamoci tutti a lui, e speriamo di ottenere la
grazia che non abbia tanto a patire il povero cristianesimo, ma che si
degni farci tutti buoni con la sua divina grazia.
33.2. Con la divina Madre nel coro dei Padri Trinitari
Il
dì 8 dicembre 1815, nell’orazione subito levata, dopo essermi
trattenuta due ore circa in profonda umiliazione, per conoscermi
meritevole di mille inferni, per la mia scelleratezza, per la mia
iniquità, piena di affannose lacrime deploravo le mie colpe, e, rivolta
ai meriti di Gesù e di Maria, chiedevo perdono dei miei falli.
Ero
tanto profondata nel mio nulla, che non mi ritrovavo; quando ad un
tratto fui sopraffatta da perfetta quiete; dalla quiete lo spirito
passò ad un riposo dolcissimo. In questo tempo mi parve di essere
trasportata nel coro dei Padri Trinitari; trovai quei buoni religiosi
in orazione, stava il mio spirito in qualche timore, perché non mi
pareva conveniente trattenermi qui, ma fui dal mio Angelo custode
obbligata a rimanere, per vedere quanto era per seguire.
Obbedì
umilmente il mio spirito, in un angolo del coro dei religiosi trinitari
si trattenne il mio spirito, quando improvvisamente vedo aprire una
finestra del coro, volgo lo sguardo e vedo come aprirsi il cielo, e
dalla sommità di esso vedo scendere molti Padri Trinitari, che per
mezzo della suddetta finestra si introducevano nel loro coro. Vennero
questi ad occupare i loro posti, oggi già vuoti; occupati che furono da
questi i posti, vedo dall’alto dei cieli scendere altri Padri
Trinitari, e con loro i santi patriarchi che, pieni di gaudio,
conducevano la divina madre, Maria santissima, corteggiata da immenso
stuolo di Angeli.
L’eccelsa regina si fece vedere in mezzo al
coro, piena di amore e di affetto verso i tre religiosi viventi; non
sto qui a dire quale onore, quale omaggio le rendessero tutti quei
santi religiosi, che erano scesi dal cielo, né il cortese ricevimento
che le fecero i santi fondatori, compiacendosi di renderla padrona del
loro santo Istituto. Le tributarono onore e gloria, qual celeste loro
sovrana, tutti dunque le facevano applauso.
I santi patriarchi
si degnarono di presentare i tre religiosi viventi a questa sovrana
signora; e lei, tutta amore, tutta carità verso i tre suddetti
religiosi, li chiamò a sé; e, fattili a sé avvicinare, prese nelle mani
un bellissimo vaso, lo accostò con somma modestia al suo petto
verginale, ne trasse il prezioso suo latte; distesa poi la sua mano
destra; ne dette a gustare ai tre religiosi suddetti, che, prostrati ai
suoi piedi, se ne stavano tutti contenti. Nel somministrare loro la
preziosa bevanda, diceva la divina Madre: «Prendete, miei cari figli, questa vi libererà dalla venefica infezione».
Il
mio spirito, nel vedere che quei buoni religiosi erano stati favoriti
dalla divina Madre con tanta cortesia, anche io, animata da filiale
speranza, desideravo ricevere grazia dall’eccelsa regina; a questo
oggetto mi raccomandavo caldamente ai santi patriarchi, ma questi mi
fecero intendere che quello non era né tempo né luogo.
A questa
notizia il mio spirito si umiliò profondamente; in questo tempo mi
parve di vedere che quei religiosi, che erano scesi dal cielo, si
mettessero in ordine di processione, e con torce accese nelle loro
mani, condussero l’eccelsa regina nella loro chiesa.
Allora i
santi patriarchi mi dissero che questo era il tempo che potevo dalla
divina Madre ottenere quanto bramavo. I santi gloriosi si degnarono di
presentare al suo trono le mie suppliche, stava la divina Madre
all’altare maggiore, scortata da moltitudine di Angeli, assisa se ne
stava in ricco seggio, circondata da splendidissima luce.
La
povera anima mia, annientata nel suo nulla, trema qual foglia, che da
impetuoso vento viene dibattuta; non osavo accostarmi, benché la divina
Madre amorevolmente mi guardasse, e i santi patriarchi mi facessero
coraggio; piangevo dirottamente, ricordandomi la mia infedeltà: «E
come», dissi, «io potrò accostarmi alla divina Vergine, se mi trovo
colpevole? Ah Madre santissima», esclamai, «lasciatemi partire! Troppo
disonore faccio al vostro puro cuore!».
Piangendo dirottamente ero sul punto di partire, ma la pietosa Madre non mi permise di partire: «Figlia», mi disse, «non paventare; quello che perdesti per colpa, riacquistasti per grazia; vieni a me liberamente».
Alle
parole amorose ed insieme autorevoli di questa Vergine e Madre, la
povera anima mia fu sopraffatta da viva speranza; invece di partire, mi
prostrai ai suoi santissimi piedi, ma in lontano, senza avvicinarmi.
La
divina Madre, vedendo il mio timore, ordinò ai santi patriarchi che a
lei mi conducessero. La povera anima mia non si oppose; ma, avvalorata
da viva fiducia, mi presentai a lei umilmente e rispettosamente.
Sentivo tanto amore verso di lei, che mi cagionava nello spirito un
gaudio, una letizia che mi faceva esultare, porgevo dunque a lei i miei
più cordiali ringraziamenti, e fra le altre espressioni che le faceva
il mio povero cuore, una era questa: «Madre», le diceva, «Madre
pietosa, Madre amorosa; tutti i giorni miei, cara Madre, a voi li devo».
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questa espressione l’anima mia aveva cognizione particolare di tutte le
grazie che questa divina Madre mi ha compartite in tutto il tempo della
mia vita passata; l’anima mia a questa cognizione si accendeva di santo
amore verso di lei, e dall’amore e dal gaudio non potevo più contenere
me stessa: disciolta e liquefatta la povera anima si era alla sua
presenza.
La divina Madre si compiacque di vedermi così amante di lei: «Figlia», mi disse, «prendi questo mio latte, questo ti renderà forte nei travagli, costante nei pericoli, sicura nella morte».
Lei
stessa, con le sue santissime mani, per mezzo di ricchissimo vaso, mi
fece gustare una dolcezza di paradiso. Dopo aver goduto un bene
inarrabile, desiderai di far comune a tutti grazia così particolare,
particolarmente quelle persone che mi usano della carità. La supplicai,
dunque, di concedermi la grazia; la divina Madre, tutta amore, a me
rivolta, mi disse: «Prendi nelle tue mani il vaso, ma avverti che
nessun cuore immondo a questo si appressi».
«Ah, Madre», io le
dissi, piena di santo timore, «ritenete pure il vaso nelle vostre
santissime mani, perché io non ho tanta cognizione di conoscere quali
siano i cuori immondi di cui mi parlate. Ritenete, dunque, nelle vostre
santissime mani il vaso, che io vi pregherò perché vi degniate di farne
gustare a quelle anime che le professo tante obbligazioni».
Pregai
dunque per diverse persone, che credo bene di non nominare, e anche
queste ebbero la bella sorte di gustare il prezioso suo latte; ma non a
tutti quelli che raccomandai potei ottenere la suddetta grazia.
La
divina Madre non acconsentì che tutti gustassero di quel prezioso
liquore, ma ciò nonostante si degnò di benedirli tutti, compartendo
loro una particolare ispirazione, secondo il loro bisogno, per
ravvedersi dei loro errori; poi si degnò di alzare la sua mano destra
per benedire tutti, e disparve, lasciando nel mio cuore un paradiso di
contento, che mi tenne tutto il resto della giornata, e buona parte
della notte, assorta in Dio.
33.3. La nostra cara Madre, la santa Chiesa
Il
dì 10 dicembre 1815, nella santa Comunione, ero tutta afflitta, per
essere stata, nell’orazione subito levata, molto distratta e senza
raccoglimento. Riconoscevo la poca diligenza che avevo usato nel
cacciare le distrazioni; chiedevo dunque perdono al Signore, mi
umiliavo, mi confondevo, piangevo amaramente le mie colpe; quando fui
sopraffatta in un momento da interna quiete.
In questo tempo mi
si diede a vedere la nostra madre, la santa Chiesa, sotto la forma di
donna veneranda: la vedevo esteriormente tutta adorna, tutta bella;
questa la vedevo supplichevole all’augusto trono di Dio, che qual Madre
pietosa pregava per noi, poveri suoi figli; ma particolarmente pregava
per il clero regolare e secolare.
Mio Dio, con mio sommo timore
proseguirò, sebbene sono molti giorni che mi seguì questo fatto, adesso
che scrivo, e ancora sento balzarmi il cuore nel petto per l’orrore,
per lo spavento, ma per non mancare all’obbedienza proseguo.
Supplichevole,
dunque, pregava incessantemente per noi. Macché! Dio, sdegnato alle sue
preghiere, con tono di voce sonora così le diceva, la sua voce non è
sensibile, ma il sentimento era tutto spirituale; per mezzo di
intelligenza intellettuale, mi dava a conoscere quanto sono per
raccontare.
La santa Chiesa pregava, e Dio sdegnava le sue preghiere; e, armato di giustizia, così diceva: «Prendi parte nella mia giustizia, e giudica la tua causa!».
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queste tremende parole, la veneranda matrona impallidì, e, presa parte
nella giustizia di Dio, di propria mano si spogliava dei suoi
adornamenti.
Vidi poi venire tre angeli esecutori della divina
giustizia, che davano di mano a spogliare la veneranda matrona. Si
ridusse la forte donna in stato umile e negletto, priva di forze, tutta
spogliata, e quasi era sul punto di cadere. Allora dall’eterna sapienza
le fu somministrato un forte bastone per reggere la sua debolezza. La
divina potenza coprì il capo di lei con ricco cappello, l’inclita donna
aveva perduto ogni splendore, se ne giaceva nelle tenebre, tutta mesta
e dolente per l’abbandono dei suoi amati figli.
Il divino
Spirito la circondò con la sua immensa luce. Rivestita che fu l’inclita
matrona di questa luce, tramandò il suo splendore in quattro diverse
parti, dove questa divina luce faceva cose mirabili.
Gli
abitatori di questi luoghi erano come addormentati, all’apparire di
questa divina luce si destavano; e, lasciati i loro errori, di volo si
portavano ad onorare l’inclita donna, la nostra cara madre, la santa
Chiesa. Tutti si compiacevano di militare sotto gli auspici di questa
eccelsa donna, tutti confessavano Gesù Cristo Signore nostro.
Al
momento compariva la nostra madre, la santa Chiesa, tutta adorna e
gloriosa più di prima. Gli ordini religiosi davano a lei il grande
onore, formavano come un magnifico tempio per sostenerla con tutte le
loro forze. Sei erano le colonne che la sostenevano, queste erano sei
corpi di religione, questi sei ordini erano quelli che rendevano
gloriosa la nostra madre, la santa Chiesa; sollevata a questa
onorificenza, tutti venivano ad onorarla, adottando le massime del
nostro santo Evangelo.
33.4. La mia misera natura
Dal
dì 12 fino al 20 dicembre 1815 il mio spirito ha goduto particolar
raccoglimento, ma il gran desiderio di vincere e superare la mia misera
natura mi teneva, e tuttora mi tiene, in qualche afflizione.
Lo
spirito desidera di essere crudo carnefice del corpo, di propria mano
vorrebbe farne spietata carneficina; nonostante questo buon desiderio,
la parte inferiore, la mia debolezza, me ne contrasta l’esecuzione.
La
povera anima mia, nel vedersi così misera, geme, si raccomanda al suo
Signore, acciò faccia possibile per grazia quello che per natura mi si
rende impossibile.
Si umilia lo spirito, si annienta, riconosce
il suo nulla, si raccomanda, piange, sospira per ottenere dal suo
pietosissimo Dio la sospirata grazia di vincere e superare il mio amor
proprio, di superare me stessa, negando al corpo non solo ogni sorta di
soddisfazione, ma con affliggerlo, aggravarlo sotto i più spietati
tormenti, ridurlo in una penosissima schiavitù.
33.5. Il sacro abito trinitario
Il
dì 21 dicembre 1815, nella santa Comunione, così la povera Giovanna
Felice racconta di sé. Ero tutta intenta a chiedere la vittoria su me
stessa, e tra lacrime e sospiri speravo di ottenere dal mio Signore la
grazia per i suoi meriti infiniti, tra le lacrime e i sospiri fui
sopraffatta da leggero sonno. In questo tempo mi parve di vedere la
città di Roma in stato di gravissime afflizioni e travagli, tutti erano
afflitti e spaventati, erano pieni di mestizia e di timore: vedevo il
popolo ammutinato, vedevo una gran rovina.
Nel vedere tutto
questo ammutinamento di popolo così afflitto e spaventato, vedevo
rovinare le case, i palazzi; vedevo una chiesa incendiata, che era sul
punto di rovinare. Tutti i circostanti erano spaventati, nessuno aveva
animo di penetrare il rovinoso tempio per l’imminente pericolo che
sovrastava.
Un’anima a me cognita, mossa da spirito superiore,
cercò di inoltrarsi nel rovinoso tempio; ma prima di esporsi al grave
pericolo, prese licenza dal suo padre spirituale, che si trovò
presente. Ottenuto dal suddetto il permesso, piena di santo ardire, per
liberare il santissimo Sacramento, si gettò in mezzo alle ardenti
fiamme; i circostanti restarono altamente meravigliati, credendo
sicuramente che l’imprudente zelo le dovesse costare la vita; ma, come
piacque a Dio, la suddetta anima, con la sacra pisside nelle mani,
comparve illesa in mezzo al grande incendio.
Allora il popolo
alzò le grida: «Miracolo, miracolo dell’onnipotente Dio!». Tutti
sopraffatti da viva fede e da vera devozione piangevano di tenerezza e
di contrizione, confessando vera quella fede che prima disprezzavano;
pieni di umiltà si percuotevano il petto, andava ogni momento più a
farsi grande il concorso del popolo, e viepiù cresceva la devozione.
Intanto la suddetta anima consegnò la sacra pisside ad un certo
religioso a me cognito, subito si fece portare gli abiti sacri e,
vestitosi, sollecitamente prese il santissimo Sacramento. Al momento il
devoto popolo si mise in ordine di processione, e al momento si
provvide di torce per accompagnare magnificamente il santissimo
Sacramento.
Il citato religioso condusse alla sua chiesa la
sacra pisside, e la espose alla pubblica venerazione; da più di cento
lumi fu adornato il sacro altare, mentre tutti si facevano un pregio di
regalare cera e tutto quello che faceva bisogno per la magnifica
esposizione. Mi pareva che Dio si degnasse di fare molti miracoli e
grandissime conversioni; grande era il concorso del popolo che di notte
e di giorno a gran folla alla chiesa si portava. E, per appagare la
devozione, per quindici giorni e quindici notti restò esposta alla
pubblica venerazione la suddetta sacra pisside.
Il sommo
Pontefice di quei tempi, saputo questo fatto, volle portarsi in persona
alla suddetta chiesa, e volle del suddetto fatto esser pienamente
informato. Il sommo Pontefice volle parlar con il confessore della
citata anima. Il Santo Padre, dopo essere stato del tutto informato,
volle conoscere la suddetta anima, si portò dunque la suddetta dal
Papa, il quale le disse che liberamente avesse domandato quello che
voleva, mentre il suo cuore era disposto a compiacerla. Allora la
suddetta, prostrata ai piedi del Vicario di Gesù Cristo, gli domandò in
grazia di fondare un ordine di trinitarie scalze, e le fu accordato, e
in quel momento stesso il Sommo Pontefice le destinò un monastero, e le
promise di essere lui il protettore di questo ordine. Richiese di
ascriversi all’ordine trinitario con vestire il santo abitino, dovette
dunque a questo oggetto portarsi un Padre Trinitario al sacro palazzo
per fargli nella cappella papale la sacra funzione di ascrivere il
Sommo Pontefice all’Ordine Trinitario.
Molti vescovi, cardinali,
prelati e signori vollero ascriversi a questo sacro Ordine, con
prendere il santo abitino. Il sommo Pontefice conferì un vescovato al
citato Padre Trinitario. Intanto la detta anima, in compagnia di molte
altre compagne, entrarono nel monastero a loro assegnato dal Sommo
Pontefice e subito le fece provvedere di quanto faceva loro bisogno,
dimostrando tutto l’impegno di proteggerle e sostenere questo sacro
istituto.
Molte anime di santa vita abbracciavano questo sacro
istituto, e molte persone di nobile condizione si tenevano per molto
fortunate di poter vestire il sacro abito trinitario.
Mi
protesto di non voler in nessun modo sostenere quanto ho raccontato, ma
solo manifestare a vostra paternità reverendissima come passai il tempo
in quel suddetto sonno.