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19 – DOLCE RIPOSO IN DIO
19.1. Chiede per le figlie la grazia della vocazione
Il
dì 5 novembre nel salire la Scala Santa, ebbi forte ispirazione di
chiedere per le due figlie la grazia della vocazione. Mi raccomandai
dunque caldamente al Signore, acciò si fosse degnato di concedermi la
grazia per i suoi meriti e per i meriti di Maria SS.
Fatta che
ebbi la preghiera, vidi la beatissima Vergine, che pose nei loro cuori
due gioie bellissime, queste spero con la grazia di Dio che si
dilateranno e si faranno padrone del loro cuore, purché corrispondano
con la loro cooperazione, e, se ciò non fosse, guai a loro, guai a
loro! un torrente di afflizioni le aspetta, con pericolo della loro
eterna salvezza.
19.2. Nella messa liberi dal purgatorio
Il
giorno 14 novembre, dopo la santa Comunione, sentendo suonare le
campane a morto della chiesa dei Padri Trinitari di San Carlo alle
Quattro Fontane, dove io mi trovavo, non sapendo qual fosse il motivo
di questo suono funebre, si trovava in questo tempo il mio spirito in
sommo raccoglimento, quando mi fu manifestato che suonavano le suddette
campane per suffragare le anime dei Padri Trinitari che si trovavano in
Purgatorio.
Mi fu manifestato che nel celebrare la Messa cantata
i suddetti Padri sarebbero liberi dal Purgatorio. Questa notizia molto
consolò il mio spirito, quando da mano invisibile fui trasportata in un
certo luogo che io non so manifestare, dove ebbi la bella sorte di
vedere queste anime fortunate, che tutte ansiose stavano aspettando il
felice momento di potersi unire a quell’immenso bene, che ardentemente
bramavano di possedere.
I suddetti Padri non erano che nel
numero di tre o cinque, non potevo bene distinguere quanti fossero, per
la moltitudine di altre anime, appartenenti a questo sacro Ordine
Trinitario, che umilmente si raccomandavano per presto sortire da
quelle pene. Le loro premure destarono in me un gran desiderio di
liberarle da quelle pene. Mi raccomandai caldamente al Signore,
affinché degnato si fosse di consolare tutte le suddette anime.
Il
Signore si degnò di esaudire le mie povere preghiere, e mi fece
intendere che ascoltata avessi in suffragio di loro la Messa, che
unitamente ai Padri Trinitari sarebbero liberate ancora queste anime
appartenenti all’Ordine suddetto.
Nell’Introito tutte queste
anime mutarono aspetto, da pallide e smorte, da afflitte e dolenti al
momento divennero floride e vivaci, tutte assorte in Dio, ansiose
stavano aspettando il felice momento di poterlo possedere.
Nel
cantare la Dies illa si misero tutte in bell’ordine, nell’Oremus fu
data loro una certa disposizione, e divennero chiare come l’ambra,
furono purificate nei meriti di Gesù Cristo.
Al Sanctus apparve
candida luce, che le rese quanto mai belle. All’Elevazione furono per
mano degli Angeli condotte al Cielo. Nel dire Benedictus qui venit
furono ricevute dall’eterno Dio e annoverate tra i beati comprensori
del Cielo.
19.3. Nell’immensità del sommo Dio
Il 20
novembre 1814, giorno del gran patriarca san Felice di Matha, così la
povera Giovanna Felice racconta di sé. Dopo breve offerta e
rinnovazione dei voti, si tratteneva il mio spirito nel conoscere il
suo nulla; la mia ingratitudine piangevo e con abbondanti lacrime
deploravo le mie colpe, quando ad un tratto interna quiete prevenne il
mio cuore e al momento dalla grave afflizione passai in una quiete
molto perfetta, fui circondata da un bene che mi fece obliviare il male
che conoscevo in me. Questo bene donò al mio cuore pace, tranquillità e
amore verso quel bene che mi circondava; come il fuoco purifica l’oro,
così questa bella luce purificò la povera anima mia. Più non appariva
in me macula alcuna, ma investita dal suddetto bene, che non solo mi
circondava, ma mi penetrava, mi medesimava in se stesso. Benché mi
vedessi sì bella, non per questo dimenticai di essere la creatura più
vile che abita la terra; ma piena di ammirazione, rendevo onore e
gloria all’eterno Dio, e ne formavo il più alto concetto, ammirando la
sua infinita sapienza, che sa trovare la maniera di beneficare gli
ingrati.
Piena di ammirazione lodavo l’infinito suo amore,
intanto per mezzo di queste cognizioni, si accendeva la volontà di
santo amore; e senza avvedermi di essermi tanto inoltrata, mi trovai
negli ampi spazi dell’immensità del sommo Dio. Dai santi patriarchi
Felice e Giovanni di Matha fui accompagnata in questa immensità, fui
intimamente unita, fui intimamente assorbita. Padre mio, non ho termini
sufficienti di spiegare in realtà grazia sì grande, solo Dio le può far
conoscere, per mezzo di intima illustrazione, quello che io, per la mia
insufficienza, non so manifestare.
Il dì 27 novembre 1814 nella
santa Comunione fui sopraffatta da interna quiete. Il mio spirito
godeva la presenza di Dio, senza vedere, senza operare, ma dolcemente
riposavo in Dio, e in profondo silenzio amavo quanto mai creatura
intellettuale può amare il suo Creatore. Non ho termini sufficienti per
manifestare la profonda estasi, si degnò sollevare il mio povero
spirito, quanta cognizione mi donò il mio Dio delle sue divine
perfezioni! Oh, come la povera anima mia a queste cognizioni restò
assorta in Dio! Oh, come si struggeva di amore verso l’infinito bene,
che conosceva in Dio suo Signore! Tutto il resto della giornata fui
incapace di altra riflessione. Mi trattenni più o meno immersa in
quell’infinito bene, che conosciuto e goduto avevo nella santa
Comunione, come si è detto di sopra.
Dal giorno 27 fino al
giorno 30 del suddetto mese di novembre, il mio spirito ha sempre
goduto una interna quiete, un profondo raccoglimento, perché la mattina
nella santa Comunione il mio Dio tornava a sollevare il mio povero
spirito. La interna illustrazione mi teneva tutta la giornata sopita in
Dio, mio Signore.
Dal giorno 30 novembre 1814 fino al dì 4
dicembre il mio spirito l’ha passato in piangere amaramente le sue
colpe, in una maniera tanto viva, che credevo di morire di dolore, al
riflesso di avere offeso un Dio tanto buono. Questo dolore era
accompagnato da una certa speranza in Dio; questo dolore non riguardava
altro che Dio offeso, non i miei vantaggi; mentre mi protestavo, con
tutta la sincerità del mio cuore, che più volentieri mi seppellirei
all’inferno, piuttosto di vedermi ingrata al mio Dio.
19.4. Un santo pellegrinaggio a Nazaret
Il
dì 5 dicembre 1814 mi trattenevo nella chiesa di Sant’Andrea, noviziato
dei Padri Gesuiti, con licenza del mio confessore. Per otto giorni mi
portai alla suddetta chiesa a fare la santa Comunione, ad onore del
glorioso san Francesco Saverio, mio protettore ed avvocato. Il terzo
giorno del suddetto ottavario, dopo la santa Comunione, si raccolse il
mio spirito intimamente, quando mi apparvero i santi Angeli che sono
soliti favorirmi, e mi invitarono a fare con loro un santo
pellegrinaggio.
Il mio spirito, riconoscendosi affatto indegno,
ricusava la grazia, ma i suddetti santi angeli mi fecero coraggio a
sperare nei meriti di Gesù Cristo Signore nostro, le loro parole
riempirono il mio cuore di santi affetti, sperando vivamente nei meriti
del mio caro Gesù, intrapresi il santo pellegrinaggio. Mi trovai dunque
in luogo deserto, scortata dai santi Angeli suddetti, che precedevano
il mio cammino. Mi furono in questo luogo donati santi desideri, ma
particolarmente mi fu donata una santa umiltà, che mi faceva conoscere
il mio nulla. Questa cognizione rendeva un santo raccoglimento al mio
povero spirito, questo raccoglimento durò fino al giorno sette del
suddetto mese di dicembre.
Il dì 7 dicembre 1814, nella suddetta
chiesa, nella santa Comunione mi trattenevo a piangere i miei
gravissimi peccati, quando ad un tratto mi sono trovata nel luogo
deserto in compagnia dei santi Angeli, come si è detto di sopra. In
compagnia dei suddetti ho proseguito il santo pellegrinaggio. Mi hanno
condotta in Nazaret, alla piccola casa della gran Madre di Dio.
Ho
veduto questa divina Signora con il suo castissimo sposo san Giuseppe.
Li vedevo circondati di candida luce, erano ambedue assorti in Dio. Mi
degnarono, questi divini personaggi, di farmi baciare i loro piedi
santissimi. A grazia così grande il mio spirito provava gli effetti più
efficaci di carità, di umiltà, di gratitudine.
Oh, quanto si
umiliava il mio povero cuore nel vedermi così favorita da Giuseppe e da
Maria. Oh, che dolcezza di spirito nel trovarmi vicino a questi
nobilissimi personaggi! Oh, quale amore non mi compartivano! Il loro
solo sguardo fu sufficiente per infiammarmi il cuore di santo amore. I
santi Angeli condottieri, pieni di ammirazione, lodavano e benedicevano
Dio per l’alto favore che mi veniva compartito da questi incliti
personaggi. Lodavano la loro santità, si rallegravano con la povera
anima mia, dicevano: «Oh, anima fortunata! qual eccellente favore ti
viene compartito dalla nostra regina!».
A questi rallegramenti
dei santi Angeli, il mio spirito viepiù si umiliava e si confondeva nel
suo nulla, conoscendosi affatto indegno di simile favore. Pregavo la
divina Signora a volerla annoverare nel numero delle sue serve. Allora
la gran Madre di Dio si degnò di abbracciare la povera anima mia, e la
annoverò tra le sue predilette figlie. A questo oggetto pose sopra
l’anima mia nobile segnale in segno di predilezione.
19.5. L’Immacolata Concezione
Il
dì 8 dicembre 1814, nell’assistere alla Messa conventuale alle
Sacramentarie, il mio spirito da interna illustrazione ad un tratto ha
Dio e in compagnia mi trovai dei miei santi Angeli condottieri. Questi
mi invitarono a proseguire il santo pellegrinaggio. Il mio povero
spirito ricusò l’invito: «O santi Angeli», così presi a dire, «e come
potrò io proseguire il santo pellegrinaggio, se mi conosco affatto
indegna per i miei gravi peccati e per la mia cattiva corrispondenza?
Dispensatemi, per carità! non posso accettare il vostro invito senza
oscurare la gloria del mio Dio!».
Piangendo dirottamente,
rinunziavo all’invito dei santi Angeli, per il timore di oscurare la
gloria del mio Signore, quando da forza superiore dolcemente mi è stato
rapito lo spirito, e sono stata condotta in compagnia dei santi Angeli
sopra un alto monte della Galilea, dove mi è stato manifestato l’alto
onore dell’Immacolata Concezione di Maria SS. sempre Vergine. Che
grande onore apporta a questa divina Madre la sua Immacolata Concezione!
Nel
vedere tanta magnificenza, si riempì il mio spirito di gaudio, di
contento, di giubilo, di gioia. Di questa sua ricchezza si degnò farne
partecipe la povera anima mia, con donarmi semplicità di mente e purità
di cuore.
Oh, come restò purificato il mio cuore da questo bene!
cosa provai di contento non è possibile poterlo ridire. Dopo di questa
purificazione, come dissi di sopra, restò rischiarato l’intelletto, e
vidi sopra questo monte cose così grandi, cose così belle che non può
la nostra bassa mente comprenderle.
Mi pareva propriamente di
stare in paradiso! Padre mio, io non posso dire di più, per essere cosa
superiore ad ogni umana intelligenza, è molto più conveniente il
silenzio di quello che oscurare con languide immagini la grandezza, la
magnificenza, la ricchezza, l’amenità, la giocondità di questo luogo.
Non la finirei mai di lodare cosa così immensa. Oh, come la povera
anima mia amava ardentemente il suo Dio! si struggeva di amore verso
quel bene che mi conteneva.
19.6. Che cosa brutta è il peccato!
Dall’otto
dicembre fino all’undici il mio spirito ha goduto una interna quiete,
un intimo raccoglimento, una carità molto bene ordinata, che mi faceva
amare il bene e detestare il male.
Dall’undici fino al 17 il mio
spirito è stato sopraffatto da dolore così eccessivo di avere offeso
Dio, che tratto tratto restavo, per l’eccessivo dolore, come
tramortita, per la chiara cognizione che Dio si degnava comunicarmi di
sé e di me.
Padre mio, oh che cosa brutta è mai il peccato! oh che cosa indegna è l’offendere un Dio di infinita bontà!
A
queste cognizioni mi volgevo verso la povera anima mia,
rimproverandola, così le dicevo, piena di orrore: «Anima mia,
offendesti Dio e potesti? e come ne avesti cuore! Offendesti un Dio di
infinita bontà! Ah, creatura ingrata, dimmi qual fu la cagione che
tradisti Dio, forse ti mancò di soccorrerti nei tuoi bisogni? Ah,
ingratissima peccatrice, confessa a tua maggior confusione l’aiuto
speciale che ti prestò nel tempo che vergognosamente lo avevi tradito,
e non pensavi che a soddisfare la tua vanità, e scioccamente ti ponevi
in gravi pericoli. La sua infinita sapienza si impiegava tutta per
trovare maniere prodigiose, perché non conoscessi la malizia del
peccato, donando al mio intelletto una prodigiosa semplicità, e così
non potevo conoscere la malizia del peccato.
Oh, amor grande, oh
amore infinito! Mio Dio, qual confusione è la mia! Ah, potessi disfare
quanto feci contro di te, mio sommo amore! Molto più volentieri
annienterei me stessa, che soffrire di vedermi ingrata al vostro
amore», le suddette espressioni erano accompagnate da abbondanti
lacrime, che dalla grazia di Dio mi venivano somministrate. Al riflesso
di avere offeso un Dio di infinita bontà, cresceva a dismisura la pena
mia. Dal dolore credevo ogni momento di morire, ma benché fosse molto
gravosa la pena, l’ambascia del mio cuore, ciò nonostante non avrei
ceduto la suddetta pena per qualunque consolazione di spirito, estasi o
ratto, perché in questa pena trovavo ogni contento; anzi mi compiacevo
di essere dalla contrizione, dal dolore distrutta, per dare una qualche
soddisfazione all’amor tradito.
Il dì 18 dicembre 1814, così
racconta di sé la povera Giovanna Felice. Nella santa Comunione dalla
suddetta afflittiva situazione, il mio Dio si degnò farmi passare in
uno stato di pace, di dolcezza, di gaudio; si degnò sollevare il mio
povero spirito in un grado di unione così perfetta, che credetti di
restare estinta per l’esuberanza degli affetti, e per il gaudio che mi
veniva somministrato dall’intima unione di Dio. Io più non mi
distinguevo, ma tutta immersa, tutta da Dio ero contenuta, in guisa
tale che era divenuta una stessa cosa la povera anima mia con il suo
Dio. Non so spiegare di più.