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17 – UN MISTERIOSO BASTONE


Il dì 3 settembre 1814, così racconta la povera Giovanna Felice. Fui condotta alla strada spinosa, come già dissi. Il mio Signore di propria mano là mi condusse. Quale orrore mi cagionò nel rivedere questa strada così spinosa, tetra e stretta! Ma il Signore prese a consolarmi, con darmi parole certa che non sarebbe per mancarmi il suo aiuto; sebbene mi sarebbe mancata la vista sensibile della sua presenza, ma che avessi invocato il suo aiuto in tutti i miei bisogni, che avrei sperimentato il suo aiuto, che molto efficaci sarebbero le mie preghiere, e molto giovevoli per il prossimo, ma prima di farmi intraprendere il cammino, mi furono lavati i piedi, e mi fu somministrata preziosa bevanda. Nella lavanda dei piedi restai purificata, nella bevanda restai fortificata, ma non vidi chi mi lavò i piedi, né tanto meno chi mi porse la preziosa bevanda.

17.1. Immedesimata alla volontà di Dio


Ricevuti che ebbi questi due favori, sperimentai una certa innovazione di spirito, che mi rendeva come medesimata alla volontà di Dio. Il mio Signore di propria mano mi donava un misterioso bastone, non so se bastone si possa chiamare cosa così bella e meravigliosa, che non so manifestare. Mi fece intendere che questo sarebbe il mio sostegno in questo disastroso viaggio, che in questo bastone avrei sperimentato i salutari effetti della sua potenza, della sua sapienza, della sua bontà. Mi fece intendere ancora che questo bastone non sarebbe in mio potere, se avessi offeso la sua maestà, e se, per mia disgrazia, lo offendessi gravemente, il bastone sarebbe subito disparso.

A queste intelligenze lo spirito, pieno di timore, esclamò: «Gesù mio, per carità, se prevedete che vi abbia ad offendere, mandatemi la morte. Non permettete che neppure un momento sia separata da voi». Stringendo fortemente il misterioso bastone, mi misi in viaggio per la spinosa strada, stringendo ogni momento più il bastone, per timore o di non poterlo più adoprare, oppure che mi venisse involato per i cattivi miei portamenti.

Questa strada non solo è intralciata di spini, ma vi sono dei demoni in forma di orride bestie, che tuttora fanno prova di assalirmi, ma il misterioso bastone mi rende superiore a loro, non ardiscono molestarmi.

17.2. Si sollevava il mio corpo


Il dì 5 settembre 1814 racconta la povera Giovanna Felice di sé. Fui sorpresa da interna quiete, quando vidi in quella strada spinosa il mio spirito che si avanzava nel suo viaggio, appoggiato al misterioso bastone anzidetto. Nel ricevere la santa Comunione il mio Dio mi si è dato a vedere con tanta chiarezza, che la povera anima mia è restata rapita dall’infinita bellezza di questo amabile Signore. Sono restata alienata dai sensi, ma per timore che nessuno si fosse avveduto di quanto seguiva in me, ho procurato di richiamare lo spirito alla meglio, col privarlo di rimirare nuovamente quell’immenso bello.

Mi sono privata di rimirare oggetto sì caro, per non mancare all’obbedienza che professo a vostra paternità, sapendo quanto desidera che occulti il mio spirito, ma ciò nonostante la luce inaccessibile che si manifestava al mio intelletto, faceva ardere la mia volontà di amore ardente. La fiamma della carità sollevava il mio corpo da terra. Nel sentirmi tanto leggero il corpo, che per l’attrazione dello spirito si sollevava leggiadramente, mi raccomandai caldamente al Signore, acciò nessuno si avvedesse di questa grazia, e per quanto potei, procurai di stabilire immobile il mio corpo.

17.3. Nel bastone contemplo l’augusta Trinità


Dal giorno 5 settembre fino al giorno 10, racconta la povera Giovanna Felice. Vado camminando con molta fatica e stento la spinosa strada, provo i cattivi effetti della mia fragilità, dubitavo che in pena dei miei cattivi portamenti il Signore mi levasse dalle mani il prodigioso bastone.

Oh, di quanto conforto mi sei, o sovrano bastone, tu racchiudi in te la magnificenza di un Dio trino ed uno; in te contemplo l’augusta Trinità, tu mi simboleggi gli attributi di Dio, mio Signore, tu mi dimostri la figura del divin Verbo. Oh, quante belle cose in te scolpisco, il nobile prezioso segno della tua croce mi si dimostra in questo misterioso bastone. Ah, Gesù mio, come la povera anima mia si appoggia alla vostra santissima umanità, per vincere e superare gli incomodi del disastroso viaggio e le forti tentazioni, le tetre immaginazioni e fantasmi del tentatore, che con frequenza mi assalgono, mi cagionano una smania interna, che se non fosse lo spirito del Signore che le facesse forte resistenza, commetterei gli eccessi più enormi di impazienza, darei fuoco a me stessa. Provo una collera contro il mio prossimo, particolarmente con le figlie e padre delle suddette. Mi morderei le proprie carni, cose invero del tutto nuove, perché, per grazia di Dio, il mio carattere è pacifico.

A questi assalti lo spirito del Signore mi previene col somministrarmi fortezza, pace e sofferenza, ma ciò nonostante soffro lo strapazzo che mi dà il demonio, pieno di rabbia, vedendo che non mi può vincere, rabbiosamente tramanda una vampa di fuoco, che mi sento come incendiare, e rende cagionevole il mio corpo. In queste gravi afflizioni, spesse volte sono visitata dallo Spirito del Signore, che mi conforta con dolci parole, e mi assicura che sarò vittoriosa dei miei nemici, benché si scatenasse tutto l’inferno contro di me.

«Figlia», mi sento dire, «se io sono con te, chi sarà contro di te? chi ti potrà nuocere, chi ti potrà sovrastare?». A questa intellettuale intelligenza, il mio spirito riposa in Dio, suo Signore.

17.4. La mia condotta per confondere tante donne


Il giorno 11 settembre 1814 dopo pranzo mi trattenevo avanti al santissimo sacramento, quando ad un tratto, si è raccolto il mio spirito, eccomi sono trovata per la strada spinosa, come si è detto di sopra, appoggiato vedevo il mio spirito al misterioso bastone, che camminava, quando mi sono avveduta che dovevo passare rapido torrente di spumacciose acque, che, agitato dall’impetuoso corso, faceva prova di annegarmi.

Nel vedermi in pericolo così eminente, mi sono raccomandata al mio Signore; sono stata al momento esaudita per mezzo dunque del misterioso bastone, che ha l’attività di ingrandirsi e distendersi a suo talento, ai piedi di questo è apparso piccolo sgabello, dove sono salita, e così sono restata salva dall’impetuoso torrente. Piena di gratitudine e di affetto, ringraziai il misterioso bastone, che per liberarmi dall’imminente pericolo si fosse degnato di somministrarmi mezzo così efficace, come era il piccolo ma sicuro sgabello. In questo tempo, che stavo ringraziando, mi è sopraggiunto altro pericolo, non meno afflittivo del primo. Si è sollevato rabbioso vento, che faceva prova di balzarmi dalle mani il bastone e dai piedi il sicuro sgabello.

Oh, quanto mai fortemente stringevo con le mani il bastone e con i piedi procuravo di stabilirmi sopra il prezioso sgabello, porgendo calde suppliche all’Altissimo.

Oh, portento prodigioso, il bastone si è dilatato, si è disteso, e ha formato attorno a me piccolo recinto, che mi ha rassicurata, e dalle rapide acque e dal rapido vento, così circondata da questo miracoloso bastone, ho riposato sicura. In questa quiete, si è degnato il mio Dio manifestarmi i tratti misericordiosi della sua infinita carità verso la povera anima mia. Così coperta e circondata per liberarmi dalla potestà del nemico insidiatore, e da orrende tentazioni, mi ha degnato di questo favore per dimostrarmi l’affetto parziale che nutre verso l’anima mia e la singolare condotta con cui va regolando il mio spirito, mi ha dato a conoscere come mi devo portare verso di amore così infinito, vuole che viva staccata affatto da tutto il sensibile, viva morendo a tutto, per amor suo. Mi ha promesso di salvare le due mie figlie, ma scioccamente io ho chiesto di più: «Desidero, mio Dio, che non vi offendano queste due fanciulle, e questo lo chiedo per rendere onore e gloria a voi».

«Non cercare di più», mi sono intesa rispondere, «il salvare le anime è di sommo mio onore!». Queste parole mi hanno cagionato sommo dolore di avere oltraggiato Dio con il nefando spergiuro. Oh, non ti avessi mai offeso, bontà infinita! Mi fu di sommo orrore il ricordarmi di avere offeso un Dio tanto buono, che dalla pena credevo di morire soffocata dal pianto e dal dolore, quando mi è stato manifestato come le mie colpe non avevano apportato alcun documento a Dio, per essere quel Dio che è; ma che la mia condotta servirà per confondere tante vergini, che nei sacri chiostri, lontane dai pericoli, non seppero mantenere quanto promesso avevano nei santi voti.

«Io mostrerò loro l’anima tua, in mezzo a gravissimi pericoli con la mia grazia sapesti mantenere il voto di castità, rimprovero sarà alle vedove, che libere restarono dal vincolo del matrimonio, non seppero approfittarsi di merito così grande. Cosa dovranno soffrire di rossore e di confusione quelle madri che non per me, ma per il demonio educarono la loro prole! ». In questi e simili termini andava manifestandomi Dio le sue misericordie.

17.5. Il favore di adorare la santissima croce


Il dì 14 settembre 1814 nella santa Comunione racconta Giovanna Felice di sé. Dal lago in cui mi ritrovavo, come dissi di sopra, mi sono trovata in un’amenissima valle. Vedevo in questa molti spiriti celesti, nel mezzo di questa valle, vedevo la santissima croce, tutta sfolgoreggiante di luce, adorata da molte schiere angeliche. Anche io sono stata fatta degna, per la grazia di Dio, di favore tanto grande di adorare la santissima croce. Sono stata invitata da questi beati spiriti, con il nome di amica di Dio.

A queste parole si è inorridito il mio spirito, e non ho osato di inoltrarmi, ma annientata nel mio nulla mi confessavo per quella che sono, la più vile tra tutte le creature. Presa da questo sentimento si umiliava lo spirito e ricusava la grazia; quando una forza superiore là mi ha condotto, e insieme con i santi Angeli ho adorato la santissima croce, segno adorabile della nostra salute.

17.6. Introdotta nel secondo tabernacolo


Il dì 18 settembre mi sono trovata in luogo magnifico, che non so nominare, vedevo in questo luogo ripieno di spiriti celesti, che festosi a me si approssimavano, e cortesemente mi invitavano ad andare con loro. Dopo aver confessato la mia scelleraggine, mi sono inoltrata nel mezzo di questo immenso luogo, vedevo risplendentissima luce; questi messaggeri celesti si compiacevano di corteggiare la povera anima mia, e vicendevolmente con me si congratulavano per l’alto favore che ero per ricevere dall’Altissimo.

A questi grandi encomi la povera anima mia restava ammirata di tanto e magnifico applauso. Era questo molto più grande di quello che possa ricevere una sovrana, quando sia invitata dal Re suo sposo alla reggia. A mia confusione facevano a gara di potermi corteggiare. Questo sovrano stuolo di santi Angeli mi ha condotto con gran festa al mio Signore, ma nell’avvicinarmi a quella immensa luce mi andava mancando la forza, e le potenze dell’anima venivano, per mezzo di quella luce a perdersi in quell’immensità, ma prima di più inoltrarmi, mi è stato coronato il capo di preziosa corona, mi è stato dato nelle mani un segno di maggioranza, ossia di governo altrui, in questo tempo la luce mi ha sopraffatta e sono come morta, riposando placidamente in questa luce stessa, più non capivo, più non riflettevo, ma come persa nell’immensità di Dio ero restata come estinta, quando i santi Angeli mi hanno circondato, la luce si è distesa in forma di bara, e così sono stata introdotta nel secondo tabernacolo del Signore.

Di quale unione Dio mi abbia degnata non è spiegabile. Dopo di avermi manifestato gli affetti più teneri della sua infinita carità, mi ha dato a conoscere di quanta utilità sarò al mio prossimo, per parte della sua grazia verranno da me beneficate tante anime.

17.7. Sàziati di me!


Il dì 22 settembre 1814 ero fuori modo afflitta per aver mancato alla carità del prossimo con parole, dopo essermi confessata proseguivo a piangere amaramente il mio peccato, quando ad un tratto fui sorpresa da interna quiete, la più intima che si possa mai dire. In questa quiete ho veduto il mio spirito in figura di candida pecorella vicino al mio Signore, che sotto l’aspetto di amoroso pastore, mi accarezzava.

Oh, quante finezze faceva questo pastorello alla sua pecorella! Dopo averla accarezzata, la baciava; le partecipava la sua dolcissima saliva, ovvero per meglio dire, mi partecipava dolcissima acqua, che scaturiva dalla sua divina bocca, e questa era come prezioso liquore, di questo mi porgeva con la sua mano santissima.

«Nutrisciti, saziati di me», diceva, ponendo nella bocca della pecorella il prezioso liquore; ma, come questo non fosse bastante a saziare l’infinito amor suo, si è degnato di unire la bocca sua alla bocca della pecorella, e amorosamente l’affiatava, perché questa vivesse della sua stessa vita.

E come potrò io spiegare i mirabili effetti che ha sperimentato il mio cuore. Lascio a vostra paternità il poterlo immaginare, il che sarà più facile di quello che posso io ridire.

Dopo aver ricevuto tutto questo bene, mi fece riposare presso di lui, e in segno di sicurezza poneva sopra la pecorella il suo bastone, mi diceva: «Figlia, non temere i tuoi nemici. Sarai di questi vittoriosa».

Volgo lo sguardo e vedo in qualche distanza una moltitudine di lupi che mi insidiavano, ma non gli era permesso di avvicinarsi, per la rabbia ruggivano e dispettosamente con i loro artigli zappavano la terra. A questo vedere, tutta sollecita mi volgevo al buon pastore per il timore che quei lupi si avvicinassero. Fui assicurata che nessuno mi avrebbe molestato. Assicurata su di ciò riposai in pace.

17.8. Il Signore mi invita al suo talamo

Il dì 28 settembre 1814 fui sopraffatta da un dolce sonno. Dopo breve riposo mi destai dalla dolce armonia che si udiva da ogni intorno. Tra questi armoniosi suoni, si udiva voce dolcissima, che replicatamente mi invitava; questa era la voce del mio Signore, che trasportato dall’infinita sua carità, mi invitava al suo talamo.

A questi amorosi inviti, la povera anima mia si confondeva in se stessa, e piangendo dirottamente per la umiliazione che mi apportava il favore di Dio, riconoscendomi affatto indegna, sentivo intanto un amore grande verso il mio Signore. La gratitudine mi struggeva, l’amore mi accendeva di affetti santi verso il liberalissimo donatore, mentre la povera anima mia stava struggendosi di amore, mi fu comunicata una dolcezza celestiale, che mi teneva alienata dai sensi, quando ho veduto apparire il glorioso san Michele arcangelo, sfolgoreggiante di chiarissima luce; mi faceva coraggio di inoltrarmi viepiù. Lui stesso, accompagnato da moltitudine di Angeli, si è degnato di accompagnarmi al talamo del mio Signore.

Immensi applausi, infiniti onori ricevetti da quei cortigiani celesti, ma segnatamente dal glorioso san Michele. Questo inclito principe, per la sua umiltà, reputava per favore il potermi presentare all’Altissimo. A queste cognizioni chiarissime la povera anima mia si umiliava profondamente e ne rendeva a Dio l’onore, la gloria, annientando se stessa nel proprio nulla tutta tutta si rallegrava nel suo Signore.

Intanto mi andavo inoltrando verso l’infinito essere di Dio, accompagnata da immenso stuolo di spiriti celesti, come si è detto di sopra. Quando siamo vicini a quella immensità, sono stata sopraffatta da nuova luce, che mi ha internata in un caos di luce infinita. Ho perduto a questa ogni idea sensibile, sono stata per pochi minuti assorbita da quella immensa luce. Quando mi sono destata da questo sopimento, si udivano armoniose voci, che cantavano: «Quis ascendet in montem Domini, aut quis stabit in loco sancto eius, innocens manibus et mundo corde», con quel che segue del Salmo, fino al Gloria.

Non è spiegabile il gaudio che ho sperimentato, la fiamma della carità che mi ha comunicato il mio Signore. In questa unione mi ha promesso di esaudire le mie povere preghiere, e di beneficare tutte le persone che mi beneficano, e tutte quelle che mi beneficheranno per il tempo a venire: tutti saranno benedetti eternamente.

17.9. Un gaudio infinito


Il dì 2 ottobre 1814 racconta la povera Giovanna Felice, sono stata sorpresa da dolce riposo, quando nel sonno stesso vedevo intellettualmente il mio spirito in prezioso gabinetto reale, che riposava dolcemente sopra preziosissimo drappo smaltato di preziosissime gemme, ai pizzi di questo vi erano quattro fiocchi d’oro finissimo, che lo adornavano, la luce che tramandava questo luogo rendeva illustre questo ricchissimo drappo, in questo riposo intanto godeva il mio cuore una dolcezza, un gaudio di paradiso, quando ho veduto apparire i santi Angeli, che sono soliti favorirmi, che mi hanno asperso di fiori in tanta copia, che i fiori venivano a formare bellissimo manto, che mi copriva da capo a piedi. I fiori erano di color bianco, rosso e turchino, avevano un odore gratissimo di paradiso, intanto la luce andava crescendo ogni momento più, finalmente è apparsa in mezzo a questa il sovrano Re della gloria, che innamorato della vaghezza e della fragranza dei fiori, rapidamente con gli splendenti suoi raggi mi investiva, mi univa a sé intimamente. Goduto di questo bene l’anima restava tutta assorta in Dio, godendo un gaudio infinito, lodava benediceva amava, quanto mai dir si possa, il suo Signore.

Quando sono nuovamente apparsi i santi Angeli suddetti, e con sommo rispetto prendevano quei fiori e formando delle piccole croci le ponevano in tre bellissimi vasi triangolari. Quello che osservai è che non mischiavano le croci che davano componendo; ma ognuno le poneva nel suo rispettivo vaso, sebbene le croci fossero del tutto compagne. Le croci erano composte di fiori rossi e turchini, tutte raggiate di fiori bianchi. Questa operazione veniva a rendere al mio povero spirito una umiltà tanto profonda che non è spiegabile.