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14 – LE NOZZE CON CRISTO


14.1. Ingolfata in Dio


Il dì primo giugno 1814 nella santa Comunione Giovanna Felice: era la povera anima mia tutta immersa in Dio, quando mi sorprende profondo sonno, ma questo non mi toglieva il piacere dell’intima unione, anzi viepiù restavo ingolfata in Dio medesimo, per qualche tempo restai priva di ogni idea sensibile, e se mi fosse domandato quanto tempo mi sono trattenuta con il mio Dio, le risponderei: in questo tempo ho sperimentato cosa che non so spiegare, di quali termini mi potrò prevalere? per dire il vero mi sono trattenuta in Dio, mio principio, mio fine, e comprendevo in un tempo stesso la brevità e l’eternità del tempo. Breve mi parve il tempo e insieme eterno mi parve il tempo che mi trattenni con lui; più non mi ricordavo di abitare un mondo sensibile, di avere un corpo fragile, ma dimentica affatto di tutto, godevo in Dio quanto mai si può godere come viatrice.

E se tanto è il gaudio che provò il mio cuore in questa felice unione, che non ho termini sufficienti di spiegare, cosa mai sarà quando, sciolti i miseri legami di questo corpo, potrà il mio povero spirito liberamente slanciarsi verso il suo Dio?

Questo desiderio mi ha fatto perdere ogni sorta di diletto, niente mi piace, per quanto bella sia, niente mi solleva, niente mi rallegra, ma tutto mi tedia, tutto mi nausea, per quanto dilettevole sia. Solo il pensiero che verrà il tempo felice che liberamente potrò amare il mio Dio, questo sì che consola il mio cuore!

Affidata sempre nei meriti di Gesù Cristo, mio Signore, dove ho fondato la mia speranza, le sue amorose piaghe mi rendono certa la speranza di poterlo amare eternamente, senza intervallo, senza riserva, ma lo amerò con tutta l’ampiezza del mio cuore. O momento, quanto mi fai sospirare!

14.2. Libera due trinitari dal purgatorio


Dopo tre o quattro ore che ero tornata alla mia casa, vedo apparire due religiosi trinitari, che umilmente mi pregavano di volerli liberare dal Purgatorio. «Cosa volete», dissi loro, «da me, o anime sante? non sapete che sono la creatura più miserabile, la più miserabile peccatrice che abita la terra?».

«Non altro vogliamo», soggiunsero, «che visiti nostro suffragio alla Scala Santa», mi dissero che i loro nomi erano uno Girolamo e l’altro Raimondo.

La mattina seguente riferii tutto al mio padre, il quale mi disse che non dessi mente a queste immaginazioni, che le avessi disprezzate.

Ma nonostante fossi andata il giorno medesimo a visitare la Scala Santa, il giorno dopo pranzo mi porto alla Scala Santa, con molto raccoglimento, unito a una certa presenza di Dio, che non so spiegare, per esser cosa intellettuale, senza che ne avesse parte la immaginativa.

La cognizione di Dio presente rendeva al mio spirito una dolcezza, una soavità che mi rapiva il cuore. Arrivata che fui a San Giovanni, andai a visitare prima la chiesa, dove più si aumentò il raccoglimento interno. Dopo essermi trattenuta circa mezz’ora, mi portai a visitare la Scala Santa, quando sono al primo gradino, vedo apparire i due religiosi trinitari, anche loro salivano con me la Scala Santa.

L’interno raccoglimento mi obbligava a trattenermi qualche tempo per ogni gradino. Queste benedette anime mi sollecitavano, sicché la carità mi affrettava a salire, il raccoglimento mi tratteneva. Per quanto mi affaticassi, circa un’ora vi misi; terminato che ebbi di salire all’ultimo gradino, mi ringraziarono della carità loro usata e, promettendomi di ricordarsi di me, rapidamente spiccarono al Cielo con violenza assai maggiore di quello di un forte razzo, che appena acceso il miccio scoppia velocemente.

14.3. Introdotta in luogo delizioso


Il dì 23 giugno 1814 la povera Giovanna Felice nella santa comunione fui introdotta in luogo ameno e delizioso. I santi Angeli mi condussero in un luogo che io non so spiegare, per la sua sublimità; questo luogo era abitato da molti sublimi personaggi, che al mio credere sono custodi di questo luogo, nel vedermi in questo luogo introdotta, mostrano la più alta ammirazione, lodando e benedicendo Dio, mi inchinavano ossequiosi e si congratulavano con me per l’alto favore compartitomi dall’infinità bontà di Dio, di avermi là introdotta. Le loro congratulazioni mi aumentavano la propria cognizione, si annientava lo spirito e rendeva onore e gloria al suo Signore, viepiù si andava inoltrando verso l’amante suo bene, che a braccia aperte stava aspettando il dolce momento di abbracciare la povera anima mia. In quei preziosi momenti che unita fui al mio Dio, quali cognizioni mi compartì il mio Signore, non posso spiegarlo, attesa la mia ignoranza, che non sa ritrovare termini adatti per spiegarla.

14.4. Il tentatore non vuole che scriva


E poi si aggiunge una continua molestia, che mi dà il tentatore nemico che non vuole assolutamente che scriva queste cose; ha procurato di farmi credere, per mezzo di varie suggestioni, e con farmi credere che il mio padre si fosse impazzito, gli fosse mancata la ragione. Ecco le sue parole: «Oh stolta che sei, a dar mente a questo frate pazzo, che cerca di aggravarti con lo sciocco comando di scrivere quanto passa nell’anima tua! Puoi benissimo, senza mancare all’obbedienza, negare di far ciò, dicendo che non puoi, che non hai tempo, che non sai spiegarti. Sai qual è il motivo di questo comando? il disapprovare il tuo spirito! Sappi che quando gli avrai consegnato i tuoi scritti, ti caccerà via, prima che lui ti cacci, vattene via da te! Credi forse di non trovare chi ti diriga? Dove ti accosterai, sarai ricevuta con molta attenzione».

Nel vedere che questa sciocca suggestione non dava la minima pena al mio cuore, e come chiamerò io indiscreto il mio padre, mentre sono più di quattro anni che Dio mi diede preciso comando di scrivere quanto passava nell’anima mia, questo comando lo ha avuto non solo una volta, ma più volte, e tutte le volte gli dicevo piangendo: «Mio Dio, mio Dio, dispensatemi per carità! Non ho coraggio di dirlo al mio padre, ma se è vostra volontà, lasciate che da se stesso me ne faccia un preciso comando».

Tutte le volte benignamente mi accordava la grazia; dunque avendomi fatto questo comando, non posso dubitare che non sia volontà di Dio, e che il suo non sia prevenuto da una ispirazione di Dio.

Non potendomi vincere, l’insidiatore nemico con le persuasive, si è servito e si serve tuttora delle minacce. «Lascia di scrivere», mi va dicendo, «guai a te! troverò la maniera di vendicarmi. Se vuoi vivere in pace lascia di scrivere, con i tuoi medesimi scritti ti confonderò avanti al tribunale di Cristo giudice. Con i tuoi scritti vincerò la causa. Tu vai formando il tuo processo, lascia di scrivere, sappi che, dopo che avrò faticato, io smarrirò i tuoi scritti. E non ti vergogni di scrivere tante sciocchezze? Affaticati a lavorare, bada alla casa e alla famiglia, non ti far sovvertire dall’imprudenza di uno stolto, che pretende di occuparsi senza ragione nel registrare cose che vengono cagionate dalla tua fantasia. Lascia di scrivere! lascia di scrivere; se no, troverò la maniera di farti amaramente piangere!».

Ma vedendo che non può ottenere niente, neppure con le minacce, si serve di altra astuzia. Quando scrivo, mi beffa, mi schernisce, mi insulta, mi va dicendo: «Cassa, cassa! oh che spropositi tu scrivi delle eresie! Queste sono cose che disonorano Dio. Ti pare piccola offesa il darti a credere di essere favorita da Dio? Stolta che sei! qual è il tuo merito, come puoi fingere simili fantasmi! I favori di Dio non sono per te, che hai tradito Dio! O, quanto lo troverai diverso da quello che te lo idei! Al tribunale di Cristo giudice ti aspetto. Oh, quanto tremerai!».

Questa suggestione veramente mi fa pena, perché fondata mi pare sulla verità, non dice male: «qual merito è il mio per essere favorita da Dio?»; è vero, verissimo che ho tradito, il tribunale di un Dio offeso mi fa tremare, la povera anima mia non sa che rispondere, mi umilio, mi riconosco immeritevole dei favori di Dio, mi metto a piangere e ricorro al mio caro Gesù: «Gesù mio, i vostri meriti mi rendono degna dei vostri favori. Non permettete che il nemico mi prevalga». Così resta confuso, pieno di rabbia fugge, mi promette però di assalirmi con maggior forza in altre occasioni, facendomi credere che sicuramente sarò infedele al mio Dio, per mezzo di una forte insidia che lui tenderà, se ne parte per tornare con più gagliardia ad assalirmi.

14.5. La sublime unione


Il dì 14 giugno, la povera Giovanna Felice così racconta di sé. Fui favorita per speciale favore del santo precursore Giovanni, e condotta fui in luogo molto elevato, dove mi si diede a vedere in modo speciale Dio; fui sublimata all’alto posto di sua sposa; si degnò il medesimo Dio di stringere con la povera anima mia la sublime unione matrimoniale. Questo si fece per mezzo di una chiarissima luce che venne a penetrarmi tutta e a comunicarmi i suoi splendori. Assai più di quello che tersissimo cristallo esposto al sole sul meriggio riceve in sé non solo la sua immagine, ma ancora le sue nobilissime qualità. E se il sole fosse capace di amare, al certo non altro amerebbe che il tersissimo cristallo, e nel cristallo verrebbe ad amare se stesso e il cristallo dove meglio potrebbe trovare le sue compiacenze se non nel sole, di cui ne scolpisce l’immagine in se stesso e gli partecipa delle sue nobilissime prerogative? Invero che mira uno specchio investito dal sole, non dubita che quello sia il sole medesimo.

Con questa debole similitudine vengo a spiegare il grado di questa intima unione, che Dio degnò la povera anima mia; ma la cosa è molto più sublime, e mi pare che non si spieghi a sufficienza questa similitudine. Il mio cuore non è pago, chiedo in carità a vostra paternità di insegnarmi il modo con cui potermi spiegare. In questo sublime luogo mi ci condussero i santi Giovanni Battista ed Evangelista, questa unione si fece in luogo a loro appartenente, di questo luogo loro sono abitatori e custodi, apporta loro sommo onore, l’abitare questo luogo li distingue come personaggi di gran merito.

Molto onore fu per l’anima mia povera la speciale protezione di questi nobilissimi personaggi. Le schiere angeliche ed altri santi, che spettatori furono di questo gran favore, tutti lodavano e benedicevano il sommo Dio, pieni di ammirazione per vedermi tanto inoltrata, anzi per meglio dire tanto unita a un Dio di infinita maestà, che più non mi distinguevo, tanto ero unita a lui.

14.6. Favorita dalla Santissima Trinità


Il dì 27 giugno 1814, dopo ricevuta la santa Comunione, il mio spirito restò sopito. In questo sopimento gli fu comunicata dal Signore una certa agilità, per cui potei penetrare gli occulti gabinetti di Dio, e ricevere i favori più singolari del suo paterno amore. Come padre mi strinse amorosamente al suo seno; come amico mi donò i suoi meriti, in maniera molto particolare, per mezzo dei quali fui sublimata all’alto posto di diletta sua sposa.

Eccomi dunque favorita dalla Triade Sacrosanta! Mio Dio, quanta umiliazione apportano alla povera anima mia i vostri favori! Questi mi rammentano al vivo la mia ingratitudine. Piena di confusione proseguo, a gloria del medesimo Dio, l’abbraccio, dunque, dispose il mio spirito a ricevere i meriti di Gesù Cristo; in modo particolare i meriti mi fecero degna di ascendere all’alto posto di sposa. Questi sono tre gradi di unione, per cui l’anima mia si sollevò a Dio, in una maniera tanto particolare che venne a formare le alte compiacenze di un Dio onnipotente; sebbene sappiamo e crediamo che Dio non può trovare compiacenza fuori di se stesso. Dunque per parte dell’intima unione, venne a rimanere la povera anima mia in se stesso, colmandola di grazie e di meriti.

14.7. Crocifissione mistica


Il dì 5 luglio 1814 nella santa Comunione, la povera Giovanna Felice così racconta di sé. Ero tutta intenta a piangere le mie colpe, pensando quanto disonore, quanto disgusto abbia recato alla bontà di Dio il mio spergiuro, gliene domandavo mille volte perdono, piangendo amaramente, ero trapassata dal dolore, e quasi come morta mi abbandonai in braccio al dolore. In questo tempo che il mio spirito era come morto, fui inchiodata da mano invisibile sopra una croce. Mi spiego, non il corpo, ma lo spirito fu crocifisso misticamente, che è quanto dire furono in me crocifissi cinque proprie inclinazioni, ossia cinque movimenti di propria volontà, che devono essere in noi crocifissi per potersi sollevare a Dio, e penetrare, per mezzo di una certa agilità, le divine perfezioni; e per mezzo di queste cognizioni resta infiammata la volontà dalla perfetta carità.

Quando fui un poco rinvenuta, mi trovai vestita da Terziaria Trinitaria, crocifissa sopra la croce, mi erano manifestati i desideri del mio Dio, per parte di intima intelligenza, per parte di intima cognizione conoscevo i suoi desideri, i suoi affetti, la sua volontà; sicché, in occulto silenzio, si intendevamo assai più di quello che intendersi si possono eloquenti parole. Mi servirò delle parole per spiegare in qualche maniera i sentimenti.

Dopo fatiche e stenti, per la continua molestia che mi dà il nemico tentatore, che mi vorrebbe impedire l’obbedire il mio confessore, che assolutamente mi comanda che scriva quanto passa nel mio spirito, la notte del 10 luglio 1814 avevo diversi fogli scritti, pensai di legarli prima di consegnarli al mio direttore, per vedere se erano in buon ordine. Macché, quando sono per leggere, invece di leggere i buoni sentimenti che mi aveva comunicato lo Spirito del Signore, leggo cose contro la fede. Oh Dio, qual pena provai: «E come va», dicevo, «ho creduto di scrivere cose che rendessero onore e gloria al mio Dio, e invece leggo cose che molto disonorano Dio».

Nel tempo che ero così perplessa per la diversità degli scritti, sentivo all’orecchio tanti urlacci di molte voci che mi confondevano, sentivo certi fischiacci, come quando la plebe disapprova pubblicamente qualche azione, che fanno urli, fischi per disapprovare, così fece il maligno tentatore, mi aveva quasi sovvertita, poco mancò che non strappassi in minutissimi pezzi i fogli scritti. Giudicai il mio padre imprudente e indiscreto, trovandomi in questa situazione angusta pensai di leggere in tempo più opportuno i suddetti scritti, piangendo mi rivolsi a Dio.

14.8. Qual figlia prediletta


Il dì 15 luglio 1814, così racconta la povera Giovanna Felice di sé. Mi ero dimenticata di accusarmi di una mancanza di poca carità verso il mio prossimo. Ero tutta intenta a piangere i miei peccati, quando fu rapito il mio spirito, e condotto in luogo molto eminente, dove il mio Dio mi diede a conoscere l’amore, l’affetto particolare che nutre verso la povera anima mia. Nel tempo che il mio Dio mi significava per parte di intima cognizione gli amorosi trasporti dell’infiammato suo amore, la povera anima mia, gli notificava la necessità che ha di amarlo con tutta l’ampiezza del cuore. Questi amorosi trasporti di due cuori amanti, venivano uniti dalla perfetta carità di Gesù Cristo.

E tutte queste cose in Dio le conoscevo, come in vasto specchio, che ad un tratto più oggetti si scolpiscono, tutti insieme e tutti distinti, così mi pare di spiegare in qualche maniera quanto sperimento in me, quando sono favorita dal mio Signore. Piena di ammirazione la povera anima mia nel conoscere il gran trasporto di un Dio di infinita maestà, tutto intento ad amarmi. E come potrò spiegare i grandi affetti del mio povero cuore verso questo buon Dio, quali fossero di numero e quali nella loro estensione, si degnò consegnarmi con specialità di affetto alla sua santissima Madre, perché mi ammaestrasse nelle celesti dottrine e nella pratica delle sante virtù, acciò mi aiutasse la sua valevole protezione a santificare la povera anima mia. Odo amorosi accenti, che dolcemente così suonavano alle mie orecchie: «Mulier, ecce filius tuus». A queste parole il mio Dio consegnò la povera anima mia alla sua santissima Madre, fui ricevuta dalla divina Madre qual sua figlia diletta.