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8 – CONOSCEVO COSE RIGUARDANTI L’INFINITO AMORE


Descrivo la maniera che tenevo di orare, la maniera che teneva Dio in sollevare il mio spirito, acciò più chiaramente possa vostra paternità reverendissima conoscere se la povera anima mia va soggetta a inganni o a illusioni diaboliche: mi rimetto in tutto e per tutto al prudente e dotto suo giudizio.

Proseguo: Ero dunque bene spesso favorita dal Signore nelle orazioni. Fatta la orazione preparatoria, l’anima si sprofondava nel suo nulla, nel mettersi alla presenza di Dio; ricordevole dei miei misfatti, piangevo dirottamente con abbondanti lacrime le colpe mie. Da questa umiliazione e contrizione passava lo spirito ad un tratto di quiete perfetta: questa veniva originata da una viva fede, da una certa speranza che Dio si degnava infondere nell’anima mia. Quando lo spirito si tratteneva in questa perfetta quiete, allora per vie immaginarie Dio mi dava a conoscere cose molto belle, riguardanti l’infinito suo amore. Prendo a raccontare quel poco che Dio si degnerà ricordare alla mia mente, mentre lo prego a darmi grazia di soddisfare all’obbedienza.

8.1. L’immagine di bella colomba


Una volta fui condotta dallo Spirito del Signore in un amenissimo giardino, ma questo non era come sono i nostri giardini sensibili, era tutto diverso. Veramente non ho termini di spiegare cosa sì bella, ma alla meglio che potrò mi spiegherò. Fra le altre rarità, vi era una fonte di acqua viva, così bella che non è possibile descriversi; basta dire che in questa veniva simboleggiata la Triade Sacrosanta. Vi era un albero di smisurata grandezza, così bello che non ha pari; vi era una luce molto dissimile dalla nostra: questa sovrana luce trasformò il mio spirito sotto l’immagine di bella colomba.

Mi trovai dunque, così trasformata, sopra il muro di questo vastissimo giardino: guardo, e vedo il suddetto albero, che con l’amenità dei verdeggianti suoi rami e con la bellezza dei suoi preziosi frutti mi invitava, in una maniera quanto mai bella, speciosa per parte di intelligenza. Mi pareva che sotto la figura di quell’albero mi si rappresentasse la umanità ss. di Gesù Cristo, che mi invitasse a posarmi sopra dei verdeggianti suoi rami.

Prontamente obbedì la povera anima mia: promettendomi tutta la mia sicurezza, mi invitava a formare il nido nei verdeggianti suoi rami. «Vieni», sentivo dirmi, «vieni bella colomba mia, vieni a formare in me il tuo nido. Dentro profondo forame ti collocherò. Qui godrai la tua sicurezza».

Ai replicati inviti, l’anima mia spiccò il volo, distese le potenze dell’anima a guisa di ali; da forza superiore fui leggiadramente sollevata e, fatti tre giri nell’ampio giardino, in questo tempo Dio purificò il mio spirito per mezzo di quella luce, che tramandava da ogni intorno vampe di sacro fuoco. Posata che mi fui sopra il misterioso albero, fui introdotta dentro l’amoroso forame. Sì, nell’amoroso cuore del mio amorosissimo Signore fu introdotta la povera anima mia. Mio Dio, e come si possono spiegare i vostri distinti favori? Provai nell’anima mia un bene tanto particolare che io non capivo più in me stessa, e per essere affatto inesperta di questa scienza, e per essere le soprannaturali unioni molto frequenti e molto sensibili.

Quando tornavo in me stessa, il corpo lo trovavo come incadaverito, incapace affatto di ogni sensazione, sicché, quando, terminata l’orazione, avevo necessità di farmi vedere dai miei parenti, nel vedermi così tonta e stordita, mi beffavano, mi schernivano, disapprovando la mia condotta. Ma io, non curando le loro beffe, proseguivo a godere la quiete, la pace che mi aveva donato il mio Dio nell’orazione.

8.2. Mi aveva rapito il cuore


Prendo a raccontare una grazia, fra le tante che io non ricordo, mentre in questi nove mesi che dimorai alle falde del Santo Monte posso dire con verità, come è ben noto a vostra paternità, che il mio spirito era quasi sempre assorto in Dio, in una maniera molto particolare. Avevo quasi perduto del tutto la sensibilità, non curandomi più né di vedere, né di parlare, né di operare; ma fisso teneva sempre lo sguardo in Dio, che rapito mi aveva il cuore.

Più volte mi successe di non riconoscere neppure le proprie figlie; avevo veramente perduto ogni sollecitudine, il mio intelletto era tutto perso, occupato, assorbito in Dio, per le frequenti comunicazioni. Non passava giorno che Dio non si degnasse di favorirmi con grazie molto particolari.

Una mattina, dunque, dopo la santa Comunione, fu trasportato il mio spirito in una parte del Santo Monte, sopra una amena collina: questa era tutta smaltata di vaghi fiori. In questo luogo Dio, per quanto ne sono capace, mi si diede a conoscere per quel Dio di bontà che egli è, e, per mezzo di particolare intelligenza, mi fece conoscere che gran bene sia il possederlo. Ricevuta questa cognizione, l’anima mia si accese di santo amore, ma in una maniera che io non posso descriverlo. Mi sentivo tutta trasformata in amore verso il mio Dio: che cosa non avrei fatto per possederlo! Ero veramente per l’amore fuori di me stessa: avrei dato mille volte la vita per poterlo possedere. Ora lo spirito si slanciava rapidamente verso il suo amato Signore, mostrandogli la gran necessità che aveva il mio povero cuore di amarlo; ora perdeva affatto la forza e languiva di amore il povero mio cuore. Oh, quanta compiacenza mostrò il mio Signore nel vedermi per amor suo così languire che, presa la figura di vago fanciullo, mi prese ad interrogare se e quanto lo amassi io.

A queste sue parole, l’anima si accese di santo e puro amore. L’amabile fanciullo, pieno di cortesia, alla vicina fonte condusse l’anima mia, e leggiadramente salito sulla fonte fino alla sommità di questa, amorosamente mi invitava a lavarmi e purificarmi; in quella preziosa acqua s’immerse, e nell’immersione si trasformò in bella colomba di amore.

Il caro fanciullino di questa s’innamora, e per dimostrare a lei il suo affetto, sollevò le mani al cielo e, tramandando da queste vivo sangue dalle divine cicatrici delle sue divine mani e del venerabile suo costato, tramandò vivo sangue dirigendo verso la colomba le tre vive sorgenti del suo parziale amore, ne formarono a questa un salutare lavacro.

Ecco che la colomba, da candida che era, ne venne rubiconda e di celestiale splendore apparve ricoperta, ma la sua bellezza non si può descrivere. Di celestiale gaudio ripieno fu il mio cuore, la pace e la dolcezza assorta mi tenevano, il Paraclito Spirito distese il suo splendore e di celestiale fuoco mi circondava il cuore.

Oh, come in un momento si vide consumare la povera colomba dalle divine fiamme che il divino spirito mandava da ogni intorno! Eccola, alla fine, estinta in mezzo al sacro fuoco. Dopo essere stata per qualche momento estinta, di nuovo tornò a percuotermi il celestiale splendore: da morte a vita richiamò la povera colomba, che estinta se ne stava in mezzo al sacro fuoco. L’eterno Dio nuova vita mi ridonò. Quale impressione fece nel mio cuore questa particolare grazia non mi è possibile spiegare. Una totale rinnovazione di spirito mi parve di provare, una vita quasi divina mi pareva di possedere, tanta era l’unione e la partecipazione del bene che mi aveva comunicato l’eterno Dio. Questa grazia mi tenne per molti giorni come estatica, poco e niente capivo. L’essere così attratta mi rendeva oggetto di burla e di scherno, non solo ai parenti, ma anche alle persone che professavano qualche sorta di devozione. Ma non mi affliggevo per questo, lasciavo dire chi voleva dire, e la povera anima mia si rallegrava nel piacere al suo Dio, mentre altra brama non avevo che di contentare, di piacere, di amare il mio Signore, il mio amorosissimo Dio.

8.3. Vidi il precursore Giovanni venire verso di me


Del 1809, mese di giugno, il dì 23, vigilia del gran precursore Giovanni Battista, mi ero ritirata, secondo il solito, al caposcala, come già dissi al foglio..., a fare orazione. Fatta l’orazione preparatoria, fui sopraffatta da interno raccoglimento, da particolare illustrazione fu illuminata la mia mente e l’intelletto fu sollevato a contemplare l’eterna misericordia. Dopo aver profondamente adorato con l’intimo dell’anima l’eterno Dio, dopo essermi profondamente umiliata e inabissata nel proprio mio nulla, dopo aver riconosciuto Dio per assoluto padrone del cielo e della terra, dopo essermi offerta tutta al suo divino beneplacito, perché degnato si fosse di far di me quello che più gli piacesse, tutto ad un tratto fui sopraffatta da dolcissimo riposo.

In questo tempo mi trovai in spirito in luogo deserto, dove tutto spirava santità. Vidi da lungi il gran precursore Giovanni, che verso di me si approssimava; il mio spirito, pieno di venerazione e di rispetto, si prostrò dinanzi a lui, supplicandolo umilmente a volersi degnare di proteggermi.

Tutto intimorito era il mio spirito, alla presenza di questo gran santo; i miei occhi erano divenuti due fonti di lacrime, si sprofondava nel nulla la povera anima mia, e, fissi gli occhi in terra, un gelido timor mi scorreva nel cuore.

Il santo precursore con dolci accenti mi prese a consolare: «Non temere», mi disse, «non temere. Di nuova consolante apportatore sono io. A te vengo da parte dell’altissimo Dio, acciò ti prepari a ricevere gli alti favori dell’eterna sua bontà. «Vedi», mi disse, «là ti aspetta il Paraclito Spirito per celebrare con te i celesti sponsali. Io», diceva il santo, «io sarò il fortunato tuo condottiero. Oh, grazia ben grande, oh anima fortunata!», esclamava pieno di ammirazione, «oh infinita bontà dell’Altissimo!», e intanto mi additava da lungi la terra di promissione. L’ammirazione e l’esclamazione del santo precursore servirono al povero mio spirito di somma confusione: umiliando me stessa, non sapevo comprendere come mai si degnasse Dio di favorire con grazie tanto singolari un’anima tanto scellerata come sono io. Di santo orrore il cuore ripieno, piangevo, ma sentivo contento il cuore; una dolce violenza non mi permetteva il potermi partire, ma piena d’amore e di santi affetti, anelante diceva: «Il mio Bene dov’è?». Il santo timore vorrebbe balzarmi ben lungi di qua; la riverenza, il rispetto, l’amore dolce violenza facevano al cuore e non mi permettevano il potermi partire. Oh, dolce contrasto: quanta pena mi fai provar! Oh, come in un baleno da raggio inaspettato fu illuminato il cor! La fede, la speranza, la carità, l’amore trasmutar mi fecero l’anima e il cuore; una nova vita mi parve di respirare, e, tutto assorto in Dio, si profondava lo spirito in replicati atti di santa umiltà. Così passai il dì 23 giugno 1809.

8.4. Vidi la terra di promissione


Il dì 24 del suddetto mese, mi apparve di nuovo il suddetto Santo, tutto sfolgoreggiante di luce, e mi condusse sopra di un alto Monte, dove da lungi mi fece vedere la terra di promissione. Oh, come nel mirar la vaghezza, la bellezza, la fertilità di questa, la povera anima mia ardentemente desiderava il potervi entrare; ma piena di stupore restai, quando mi avvidi che non vi era strada che là mi potesse condurre, mentre la benedetta terra era segregata affatto da tutto il creato.

Il Santo, come già dissi, mi additava da lungi la sua amenità, la sua fertilità. La dimostrazione che mi faceva il Santo era tutta spirituale, intima, profonda, riguardante l’intelligenza dello spirito. Si accendeva nel mio cuore un amore ardentissimo verso Dio, la cognizione intellettuale mi faceva conoscere il significato di quello che nella immaginativa mi si rappresentava.

Il mio intelletto restò illuminato da quello splendore che circondava il Battista; lo spirito fu sollevato nell’ampiezza della divinità della immensità di Dio. Nella imaginativa mi si rappresentava l’amenità, la fertilità di questa benedetta terra, con la dimostrazione la più magnifica che possa concepire la mente umana, di bello, di dilettevole, e quanto mai di prezioso e di magnifico possa comprendere tutto l’universo unito insieme. Oh, come in tutte queste magnificentissime cose riconosceva il gran Dio degli eserciti, lo riconosceva per quell’Onnipotente Dio che egli è, ripieno della sua gloria in cielo e in terra. Piena dunque di rispetto e di riverenza si sprofondava nel suo nulla la miserabile anima mia; la cognizione, la penetrazione di sì alto mistero rendeva estatico il mio spirito.

8.5. Nella terra di promissione


Ecco che alla meglio che ho potuto le ho dimostrato quanto passò nella mia immaginativa: non ardisco però manifestare neppure un accento riguardo alla cognizione intellettuale che Dio si degnò comunicarmi per mezzo di particolare intelligenza. Mentre mi manca la maniera di spiegare cose sì alte, sì sublimi, che il povero mio intelletto non poté neppure comprendere del tutto; proseguo dunque a manifestare quanto passò nella immaginativa. In questa visione mi venivano in questa benedetta terra dimostrate le ricchezze celestiali: oh, come la povera anima mia desiderava il potervi andare! Ma, come già dissi, non vi era strada che là mi conducesse. Piena di affetto, alla benedetta terra rivolta, le mandavo i più infuocati sospiri, porgevo le più ferventi suppliche all’Altissimo.

Rivolta al mio condottiero, con calde lacrime lo pregavo a volermi là condurre; benché mi riconoscessi affatto indegna, affidata nei meriti del mio caro Gesù, speravo di ottenere la grazia. In questo tempo vidi apparire molti Angeli che, per comando di Dio, alzarono un magnifico ponte per mezzo del quale poté la povera anima mia avere l’ingresso: così poté introdursi nella benedetta terra.

Accompagnata dal santo precursore e da molte schiere angeliche, e così piena di gaudio, entrai nella terra di promissione. I santi angeli mostravano il più alto loro stupore per vedermi tanto favorita da Dio; la loro ammirazione rendeva al povero mio spirito una profondissima umiltà. Appena posi i piedi in questa benedetta terra, mi fu dal mio buon Dio comunicata una purità angelica, che rendeva il mio spirito puro e semplice come una colomba.

L’amor santo di Dio serpeggiava nel mio seno e nel mio cuore, formava un vivo incendio ardentissimo di amore. Cosa mai dirò di questa benedetta terra? Non è possibile che possa ridire la sua magnificenza, ma per non mancare all’obbedienza, pur qualche cosa dirò. Vi era un vastissimo Monte, che conteneva quanto di bello e di prezioso e di raro possa mai immaginarsi, di argento di oro finissimo, di pietre preziosissime, di perle lucidissime. Dal ricco suo seno tramandava tanta ricchezza, tanta vaghezza, assai più di quello che possa mai comprendere spirituale intendimento di anima che, per mezzo della grazia soprannaturale, le venga da Dio permesso penetrare .

Non è veramente spiegabile, tutto quello che dico è poco, e tutto quello che potessi mai dire sarà sempre poco, in paragone della bellezza, della vaghezza di questa benedetta terra. Vi era una vastissima valle smaltata di bellissimi fiori che tramandavano un odor soave; vi erano nobilissimi alberi di frutti gratissimi, ma dove mi inoltro? Che pretensione è la mia, descrivere magnificenza che neppure del tutto potrei comprendere. Oh stolta, oh sciocca che sono! Tutto questo luogo spirava soavità e dolcezza; qui si godeva una deliziosa primavera, non terrestre ma celeste. Tutto quello che in questo divin luogo vidi, in paragone di quello che sensibilmente noi vediamo di bello nel nostro mondo sensibile, senza esagerazione è tanto differente quanto è differente la creta dall’oro finissimo: non è paragonabile. Il santo mio condottiero mi conduceva or qua or là, additandomi ora una cosa, ora un’altra; intanto il mio spirito andava inebriandosi di amore verso il Creatore del tutto. Mentre contemplavo la magnificenza di queste belle cose, amavo ardentissimamente il mio amabilissimo Creatore, e, invece di prendere compiacenza in queste, il mio spirito cercava solo Dio e, rivolto al santo, tutto amore, diceva: «Il mio Dio, il mio Dio dov’è?».

Allora il Battista mi additò un magnifico palazzo, e mi disse esser quello il palazzo del sommo Re; che preparata mi fossi, che là sarei introdotta per celebrare con il sommo Re i celesti sponsali. A questa notizia il mio spirito fu sopraffatto da santo timore, inabissata nel proprio nulla, mi confondevo, e confessandomi indegnissima di sì alto favore, piangendo dirottamente, mi raccomandavo caldamente al mio santo condottiero, acciò mi avesse tratto fuori da questo luogo, perché non volevo oscurare la gloria di un Dio di infinita maestà, riconoscendomi affatto indegna di tanto onore. Questi sentimenti furono in me permanenti, e tutta la giornata la passai piangendo, deplorando le mie colpe. Sentivo nell’intimo del cuore un amore ardente verso il mio Dio, che rapidamente mi univa al sommo suo amore; tornava ad umiliarsi lo spirito, e viepiù si accendeva di carità.

8.6. Nell’abitazione del sommo Re


Il dì 25 giugno 1809, da immenso stuolo di angeli fui condotta al regio palazzo. Prima di giungere al regio palazzo, vi era una ripida gradinata; salita che ebbi l’alta scala, con mio sommo stupore, vidi che il magnifico palazzo non aveva porta corrispondente alla sua magnificenza. Andavo dicendo fra me stessa: «Cosa veramente da stupire, palazzo così magnifico, scala così grande, eppure, chi lo crederebbe? non vi è porta corrispondente da poter entrare».

Oh, come la povera anima mia restò attonita, e piena di stupore! non conoscevo la giusta cagione come sì bello edificio non avesse porta corrispondente alla sua magnificenza. Altro non vi era che una piccolissima porta, non più grande che la bocca di un forno: questa era di forte metallo. Era questa ben chiusa e sigillata, di maniera che non si poteva penetrare. Il santo Battista, conoscendo la mia ignoranza, mi ammaestrò: «Sappi», mi disse, «che l’abitazione del sommo Re non ha porta corrispondente alla sua magnificenza, per denotare a quelli che vogliono entrare che si devono umiliare, annientare, assottigliare, per così penetrare questa angusta porta».

Oh, che grande elogio fece il santo precursore della santa umiltà! Mi fece conoscere quanto doverosa sia ad ogni creatura questa virtù, e quanto onore renda al sommo Dio. A questa dimostrazione del Santo, il mio spirito conobbe la necessità di questa virtù, e con le lacrime e con sospiri si raccomandava al suo Dio, acciò si degnasse concedermi la santa umiltà.

A questa preghiera, sento ad un tratto una totale innovazione di spirito, che giustificò il mio cuore, e la grazia del Signore per quel momento mi trasmutò in un serafino di amore. In quel momento restò purificato il mio spirito, per mezzo della suddetta grazia: mi comunicò Dio tutte quelle disposizioni che richiedeva un sì alto favore.

Si annientò dunque l’anima, si sprofondò nel proprio suo nulla, e così ebbe libero l’ingresso. Si dischiuse al momento la feral porta e l’anima, bene assottigliata con la grazia di Dio, nel magnifico palazzo fu introdotta.

Oh, cosa dirò mai di questa magnificenza! Mio Dio, datemi grazia di spiegare alla meglio che posso le vostre incomprensibili misericordie, perché la mia ignoranza non oscuri la vostra gloria. E voi, Angeli santi, che spettatori foste dell’alto favore che mi degnò l’eterno Dio, voi insegnatemi, voi suggeritemi termini che atti siano a descrivere con vive immagini quello che io per la mia ignoranza non so manifestare.