[ Ritorna al sito Gesu confido in Te! - Torna all'indice ]
A
A
A
A
A
7 – TI AMO CON AMORE DI PREDILEZIONE
7.1. Natale 1807
La
notte del Santo Natale del 1807, da mano invisibile fui condotta in un
luogo, che io non so indiziare, dove mi apparve la divina Madre con il
suo santissimo figliolo Gesù bambino nelle sue braccia. Mi degnò non
solo di adorarlo, ma graziosamente lo collocò sopra al mio corpo, erasi
dolcemente adagiato sul suolo, e così poté la santissima Vergine
collocare il suo caro Bambinello nel mio seno, non per merito proprio,
ma solo per esuberanza del suo materno affetto.
Collocato che
ebbe il dolce suo bene, amorosamente lo vagheggiava, tramandando dai
purissimi suoi occhi dolci lacrime di consolazione; compiacevasi
altamente di vedermi tanto amata dal suo divin Figliolo. Di qual sorta
fossero gli affetti del mio povero cuore verso Gesù, verso Maria, io
non posso ridirlo; ma, sopraffatta da veemente amore, mi confondevo
altamente, riconoscendomi affatto indegna di sì eccelso favore, godevo
la beata visione con esuberanza di affetto, ora volgendo gli sguardi
verso Gesù, ora verso Maria, tramandavo dai miei occhi un profluvio di
lacrime. L’ardente fiamma della loro carità incendiava il mio povero
cuore, e dolcemente mi faceva languire di amore.
Nel mese di
marzo 1808 fui condotta dallo Spirito del Signore in luogo deserto,
dove passai la intera Quaresima in fervorose orazioni, digiuni e
penitenze.
7.2. Come santa Teresa e santa Geltrude
Nel
mese di aprile del suddetto anno 1808 fui condotta dal luogo deserto
alla sponda di vastissimo mare, dove mi apparve Gesù Cristo, Signor
nostro, e di propria mano mi condusse alla sponda di questo, e salir mi
fece in piccolo battello.
«Prendi», mi disse, «prendi,
questi sono i remi. Passar devi da questa all’altra sponda, dove
troverai il Monte Santo; fino alla sommità di quello ti aspetta l’amor
mio. Mostrati valorosa contro i nemici, che, con la mia grazia, di
tutti riporterai la vittoria. Figlia, ti benedico. Ti aspetto al Monte,
dove ti sono preparati i miei più distinti favori».
Rimirandomi con compiacenza, soggiunse: «Figlia,
ti ho creata per beneficarti; vedrai quello che saprà fare l’amor mio
verso di te. Ti amo con amore di predilezione, sono per favorirti non
meno della mia Teresa, o della mia Geltrude».
Dette
queste parole disparve, lasciando nel mio cuore i mirabili effetti
della sua particolare grazia. Avvalorata dalle sue parole, invocai il
suo potente aiuto e mi posi a remare. In questi remi venivano
significate le virtù della fortezza e della perseveranza, perché con la
fortezza dovevo vincere e superare tutti i miei nemici, e infrangere
tutti gli ostacoli che mi si frapponevano per andare liberamente al mio
Dio, tanto riguardo a me, quanto guardo al prossimo, disprezzando tutto
generosamente per amor di Dio; la perseveranza per mantenere fedelmente
tutto quello che gli avevo promesso nei santi voti e propositi,
rinunzia di intelletto e di volontà, come si è già detto di sopra.
Questi
remi erano molto adatti, mentre, per andare dove mi aveva additato Gesù
Cristo, bisognava molto faticare, perché si andava contro acqua. Mi
affaticavo quanto potevo, con la grazia di Dio, ma quando mi fui
inoltrata in questo burrascoso mare, fui inseguita da una nave molto
grande, dentro la quale vi era un popolo mal costumato, che viveva
senza regola, senz’ ordine, ma erano dominati dalle loro passioni.
Era
quella nave ripiena di demoni, che a tutto costo facevano prova di
predarmi, inseguivano con la loro grande nave il mio piccolo battello.
Veramente in quel momento fui sorpresa da sommo timore, per vedermi
quasi sul punto di cadere nelle loro mani. Scorreva questa nave or qua
or là, con tanta baldanza e sfacciataggine che si facevano contro di me
invincibili, mostrandomi la loro potestà. Con somma superbia cercavano
di atterrirmi, con dei brutti urli fecero prova che volontariamente mi
fossi fatta cadere dalle mani i prodigiosi remi, che mi aveva
consegnato Gesù Cristo, alzando ogni momento più le grida per
atterrirmi. Ma buon per me che mi ricordai di quanto mi aveva detto
Gesù Cristo, che con la sua grazia sarei vittoriosa dei miei nemici; il
suo santissimo nome invocai in aiuto, e più che mai mi affaticavo a
remare.
All’invocazione del santissimo nome di Gesù, tutti
restarono annegati, e così potei con sicurezza tragittarmi dall’una
all’altra sponda. Dopo aver riportato la vittoria dei miei nemici, come
già dissi, prima di arrivare al Monte Santo, da vento benefico fui
trasportata in una isola deserta, dove dimorai circa nove giorni;
questi giorni furono consumati dalla povera anima mia in piangere i
propri peccati, nell’esercizio delle sante virtù, e nel raccoglimento.
Intanto lo Spirito del Signore andava disponendo l’anima mia,
liberandola da molti abiti cattivi, e da molte cattive inclinazioni,
per così renderla degna di salire il Sacro Monte. Era in questo tempo
veramente l’anima mia guidata puramente dallo Spirito del Signore.
Mentre senza indugio si faceva guidare dal suo beneplacito, senza la
minima opposizione, compiacendosi nella volontà del suo amato Signore,
si andava il mio spirito purificando nel santo amore, che sentiva
tratto serpeggiare nel seno.
7.3. Quale appassionata amante
Passati
i nove giorni, fui condotta in altra isola, dove il mio spirito, per
avere maggior disposizione, si sollevava a Dio con replicati affetti di
amore, si tratteneva in particolari esclamazioni di vivi affetti verso
il suo amorosissimo Signore.
Rimproverando la mia ingratitudine,
mi rallegrava nella sua infinita misericordia. Sopraffatto dall’amore,
languiva il mio povero cuore, e lo spirito desiderava ardentemente di
arrivare a salire il Santo Monte, dove speravo di arrivare a possedere
il mio bene, il mio sommo amore.
Il Santo Monte era di rimpetto a quella isola dove io dimoravo, sicché i miei sguardi erano sempre colà rivolti.
Quale
appassionata amante, che non altro cerca che il suo oggetto amato, così
la povera anima mia, nella quiete che quivi godeva, era continuamente
rivolta all’eterno suo Bene; con dolci esclamazioni e infocati sospiri
desiderava il felice momento di potersi a lui avvicinare. L’ardente
desiderio di poterlo possedere mi teneva le intere giornate fuori di me
stessa; in questo tempo più del solito mortificavo la mia carne, con
quotidiane discipline, cilizio e lunghe orazioni, perfino a fare cinque
e sei ore continue di orazione, dove l’anima andava consumando il tempo
della sua dimora nella suddetta isola.
Siccome l’anima
ammaestrata dallo Spirito del Signore, conosceva che il tempo lungo che
quivi dovevo trattenermi lo potevo con i replicati atti di virtù e con
lunghe e ferventi orazioni molto abbreviare, a questa notizia, presi a
mortificare più del solito il mio corpo, nonché il mio spirito,
tenendolo umiliato, annientato, confuso, con meditazioni tetre ed
afflittive, con continue lacrime di dolore di aver offeso il sommo Dio.
7.4. Poveri e infermi
Molto
particolare fu la carità che mi donò il pietoso iddio verso i miei
prossimi, mentre per sovvenirli non aveva alcun riguardo, ma a costo di
ogni mia fatica e incomodo procuravo di sovvenirli, con la licenza
della suocera, prendevo delle grascie che erano in casa, di ogni genere
come sarebbe di vino, di carbone, di porcina, di latticini, e tutto
davo, con il permesso della suddetta mia suocera, ai poveri.
Li
visitavo infermi ai pubblici ospedali, facendo loro i letti, pulendo le
loro teste con pettinarle, votando i loro vasi immondi, e, per
mortificarmi, più volte appressavo a quelli la bocca, con somma mia
ripugnanza e conati di stomaco. Ma lo spirito dava coraggio al corpo,
nel patire, gli diceva: «Mira, deh, mira il Santo Monte: fino alla
sommità di quello ascenderai, e ancor tu parteciperai di quel Bene
immortale. Patisci con pazienza, patisci allegramente, patisci con
azione di grazie. Dio sarà la nostra mercede».
Avvalorata da
viva fiducia, prendevo più lena a patire, sicché senza alcun riguardo
mi esercitavo in certe mortificazioni ripugnanti alla natura, come
sarebbe lambire gli sputi altrui sul suolo, appressare la bocca ai vasi
immondi, con somma mia ripugnanza e con conati veementi di stomaco.
7.5. Per piacere al mio amorosissimo Dio
Nell’inverno
lasciavo che il mio corpo intirizzisse dal freddo, non permettendo mai
di riscaldarsi; nell’estate lo lasciavo soffrire gli ardori del caldo,
non permettendogli mai alcun refrigerio. Andavo ben coperta dai panni,
e da questo i miei parenti prendevano motivo di schernirmi e burlarmi e
trattarmi da stolta; tenevo sempre le finestre chiuse quanto più
potevo, non bevevo mai fra giorno, a costo di qualunque mia pena; il
venerdì mi astenevo dal bere, in memoria di quella ardentissima sete
del buon Gesù, sicché dal giovedì fino al sabato al mezzogiorno non
bevevo neppure una stilla d’acqua.
Le mani erano mortificate da
me con colpi di disciplina di ferro; le dita le mortificavo con tenerle
sotto le ginocchia; la lingua la mortificavo con lo strascinarla in
terra, segnando con questa molte croci; ma particolarmente una fra le
altre la facevo della lunghezza di mezza canna; mi trattenevo per lo
spazio di mezzo, o tre quarti d’ora, con la fronte per terra, umiliando
me stessa e adorando l’eterno Dio. Per lo spazio di buoni tre quarti
d’ora tenevo le braccia in forma di croce e, per il timore che si
piegassero per la stanchezza, le legavo, perché stessero sospese in
alto in forma di croce. Mi esercitai per qualche tempo in queste
mortificazioni, ma poi dalla obbedienza mi furono proibite: il mio
direttore dubitò che mi si guastasse la salute.
Tutto questo si
praticava da me al solo fine di piacere al mio amorosissimo Dio. Gli
occhi li tenevo sempre bassi e modesti, né mai li lasciavo trascorrere
sopra di alcuna persona, particolarmente di sesso diverso. L’esercizio
di questa virtù mi costò moltissime burle e scherni e beffe, non solo
dai parenti, ma eziandio di altre molte persone. Mi esercitavo in casa
in offizi bassi, come sarebbe scopare, provvedere alla cucina legna e
carbone, avendomi mia suocera consegnato la dispensa e la cantina. Per
scemare la fatica ai domestici, io mi caricavo sulle proprie forze
carichi molto gravosi di legna e carbone, ed altre fatiche manuali,
come sarebbe custodire il pollaio, misurare la biada per i cavalli
della carrozza, ed altre cose laboriose e vili che occorrevano in casa.
7.6. Passai al terzo stato
Digressione.
Spero di avere adempiuto a quanto vostra paternità reverendissima mi ha
comandato nei passati fogli, cioè di manifestare quali fossero le
mortificazioni che esercitavo, avendole nei passati fogli solo
accennate e a bella posta occultate. Avendo nel presente foglio fatto
la dichiarazione, spero di aver soddisfatto alla santa obbedienza.
Ecco
manifestato quanto, con la grazia di Dio, praticai per molto tempo, fin
tanto che dall’obbedienza quelle mortificazioni più ripugnanti mi
furono proibite. In mezzo a queste mortificazioni il mio spirito era
sempre intento e rivolto all’oggetto amato; sospirava il felice momento
di arrivare alla sommità del Santo Monte, dove mi aspettava il mio
Signore. Finalmente, una mattina, dopo la santa Comunione, nel mese di
giugno 1808, fui condotta nella terza isola, che è quanto dire che con
la grazia di Dio passai al terzo stato, dove la povera anima mia
ricevette una particolare giustificazione.
Oh, come si accese di
santo amore la povera anima mia! Dal divino Spirito fui tragittata in
questa terza isola, mentre, come dissi, le altre due isole da me
abitate per l’addietro, erano di rimpetto al Santo Monte, ma questa
terza di cui intendo parlare mi pareva si trovasse ai piedi del Santo
Monte, dove l’anima mia con ogni facilità dall’isola passava a godere
l’amenità del sacro Monte, tutte le volte che Dio si degnava chiamarla
per unirla a sé intimamente.
7.7. Vittima dell’amore
Fui
dunque dal divino Spirito condotta per mezzo del suddetto battello alla
suddetta isola. Il divino Spirito mi favorì della sua grazia, sotto
simbolo di vento amenissimo, di aura di paradiso, per mezzo di interna
dolcezza mi condusse dolcemente, soavemente sospingendo il mio battello
con somma leggiadria. Facendomi provare gli effetti mirabili della sua
divina carità, si fece padrone del mio cuore, e l’anima mia restò
vittima dell’amore. E sperimentai nell’anima e nel cuore un deliquio
poco meno che mortale; per l’esuberanza dei buoni effetti che mi
cagionò, questo distinto favore, mi tenne per molte ore alienata dai
sensi, e per dieci o dodici giorni restai poco e niente presente a me
stessa. Questi favori mi facevano oggetto di scherno e di burla dei
miei parenti, ma l’anima mia era incapace di ogni apprensione, ma
contenta se ne stava in se stessa, godendo l’amato suo bene; non
curando, non amando cosa alcuna della terra, godeva veramente un
paradiso di delizie.
L’amorosissimo Dio mi fece intendere che
queste grazie, questi favori che si degnava compartire alla povera
anima mia, non si degnava accordare a tutte le anime che lui ama,
neppure dopo lunghissime penitenze ed esercizi delle più sode virtù
facendomi così conoscere quale e quanta debba essere la mia
gratitudine, la mia corrispondenza.
A questa cognizione l’anima
mia si umiliava profondamente e con abbondanti lacrime, piena di
stupore, andavo ripetendo fuori di me stessa: «Quid est homo quod memor
es eius?... Mio Dio, mio Signore, e chi mai sono io, che tanto mi
amate? Sia benedetto il vostro amore, sia benedetto il vostro ss. Nome,
sia benedetta la vostra infinita bontà e misericordia!».
In
mezzo a queste espressioni, godevo una dolcezza di spirito molto
particolare che mi tenne, come già dissi, per ben dodici giorni sopita,
poco, quasi niente presente a me stessa. Questo supimento nasceva dalle
interne illustrazioni che il divino Spirito si degnava compartirmi.
Dimorai dunque per lo spazio di circa tre mesi in questa isola. Bene
spesso ero invitata dall’eterno Dio al Sacro Monte, dove mi favoriva
con grazie molto particolari, ora conducendomi in una parte, ora
dall’altra del vastissimo Monte. Ora mi faceva ascendere sopra le amene
colline; facendomi gustare i buoni effetti della particolare sua
carità, come al suo luogo dirò, mi dava a vedere il Monte Santo, la
terra di promissione, la santa Città, il regio palazzo del sommo Re.
Ora mi conduceva nei preziosi giardini, facendomi sperimentare i buoni
effetti della sua grazia: non avevo veramente che desiderare.
Restai
dunque per qualche tempo in questa isola, ma bene spesso ero chiamata
da iddio al santo Monte: m’invitava per mezzo di certi tocchi interni,
per mezzo dei quali l’anima si solleva e iddio si degnava favorirla
della sua particolare grazia, conducendomi ora nei preziosi giardini,
ora sopra le amene colline, dove mi dava a vedere cose molto belle e
misteriose.
7.8. L’amoroso Giardiniere
Più volte mi
si fece vedere nella sua ss. umanità, sotto la forma di piccolo
giardiniere, tutto intento a lavorare la povera anima mia, che sotto la
forma di bella pianta mi si rappresentava, coltivata dal nobile
giardiniere.
Una volta, fra le altre, mi si fece vedere tutto
intento a coltivare, l’anima mia, che sotto la forma di pianta di olivo
la vedevo. L’amoroso giardiniere, dopo aver con piccolo zappetto
lavorato d’intorno alla pianta e levate tutte le cattive erbe, da
bellissima fonte vicina con prezioso vaso il nobile giardiniere prese
dell’acqua, ma, prima di attingere il misterioso vaso, lavava nella
fonte le sue ss. mani.
Oh misterioso portento! dalle cicatrici
delle mani tramandava tanto sangue che l’acqua non più bianca, ma rossa
compariva! Allora prese il vaso e lo attinse nella fonte, e tutto
amore, e tutta carità, innaffiò la pianta suddetta, ma non già come
usiamo noi, di annacquare le sole radici delle piante, ma l’esperto
giardiniere con quel misterioso vaso triangolare mandava in alto la
prodigiosa acqua, e, spruzzando la frutta e le fronde dell’albero,
passava a bagnare le radici di acqua e di sangue insieme. In questo
tempo nell’anima sperimentavo un bene molto particolare, che purificava
il mio cuore: un bene che ricreava lo spirito e mi faceva bramare di
rendere copiosi frutti all’amato lavoratore.
Ma, come poco fosse
il suddetto favore, di nuova grazia mi degnò il Signore. Dopo aver
spruzzato di acqua e di sangue la suddetta pianta, ascese sopra una
vicina collina, mirando la pianta tutta aspersa del suo prezioso
sangue, dolcemente se ne compiaceva; sollevate le mani al cielo,
tramandò dalle cicatrici del suo ss. corpo tanta luce che il riflesso
dello splendore rifletteva nella pianta che, per essere così spruzzata
di acqua e di sangue, partecipava dello splendore per parte di interna
attrazione. La forza dello splendore penetrava le radici, e la pianta
si sollevava e si univa alla luce, che dolcemente la tirava. In questo
tempo la povera anima mia si sentiva dolcemente tirata dall’onnipotente
Dio. Tre mesi circa abitai la suddetta isola, e altri nove mesi dimorai
alla falda del Monte Santo, dove dallo Spirito del Signore ero
condotta, ora in una parte, ora dall’altra.
Ero dunque bene spesso favorita dal Signore nell’orazione.