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3 – MI FECE RIPOSARE SOPRA IL SUO PETTO


3.1. Nel Cenacolo


Correva ancora l’anno 1804, quando fui favorita dal mio Signore con grazia molto singolare. Mi ero ritirata secondo il solito, al mio oratorio, circa le ore due della notte, mentre, come già dissi, posto che avevo le due figlie a dormire, invece di trattenermi in conversazioni con i parenti ed altri, mi ritiravo al luogo surriferito a fare orazioni. Mi pongo dunque come il solito alla presenza di Dio, umiliando me stessa, quando sopraffatta dallo Spirito del Signore, mi intesi come prendere per la mano e come condurre altrove, senza però conoscere chi mi conducesse.

In questo tempo perdo ogni idea sensibile, abbandonata con ogni sicurezza nello Spirito del Signore, mi lascio condurre a suo bell’agio. Ecco che ad un tratto mi trovo alla porta del Cenacolo, in Gerusalemme, senza sapere che luogo fosse questo. Mi trovavo come smarrita, andavo dicendo tra me: «Mio Dio, mio Dio, che luogo è questo mai, che luogo è questo?».

Mi fece intendere per parte di intelligenza, essere quello il Cenacolo. A questa notizia mi balzava il cuore nel petto per il contento, quando improvvisamente vedo aprire la porta. E come potrò io terminare il racconto? Mio Dio, lasciate che la vostra serva per un momento si dimentichi le sue scelleraggini, perché possa liberamente manifestare le vostre misericordie.

Aperta che si fu la porta, come già dissi, vidi nel mezzo del Cenacolo la tavola apparecchiata, disposti in bell’ordine i santi Apostoli, vedo il mio caro Gesù nel mezzo di questi, che amorosamente dispensava loro il suo santissimo Corpo. Il buon Gesù invitò ancora la povera anima mia ad approssimarsi a quella tavola nobilissima, ma il mio spirito fu sopraffatto da sommo timore, che non mi permetteva di potermi accostare, ma fui improvvisamente dallo Spirito del Signore là condotta a viva forza, mi pongo sotto la tavola, tenendo per sommo favore di stare sotto di questa. Eppure, chi lo crederebbe? il buon Gesù di propria mano mi trasse fuori, e mi fece sedere presso di lui. Divenni in quel momento l’oggetto delle più alte ammirazioni di questi nobili personaggi, che sedevano a quella lauta mensa. La loro ammirazione mi accresceva l’annientamento, l’umiliazione.

Il buon Gesù, per dimostrare l’amore infinito che portava alla povera anima mia, di propria mano mi comunicò. E chi mai potrà ridire i mirabili effetti che sperimentò il mio cuore? Ricevuto che ebbi il prezioso dono, sorpresa fui da dolce sonno, e il mio caro Gesù mi fece riposare sopra il suo petto. O dolce riposo! quali celesti dottrine mi vennero insegnate da questo divino Maestro, di qual scienza venne ammaestrata la povera anima mia, quali cognizioni non ebbe appartenenti all’infinito amore suo! Tutta mi sentii stemperare dall’amore di questo amoroso Signore.

3.2. Al Getsemani


Nell’anno 1804 tre volte fui condotta dallo Spirito del Signore al Getsemani, di maniera che avevo imparato la strada, e sapevo chiaramente conoscere quale fosse la strada che conduceva al Cenacolo e quella che conduceva al Getsemani.

Conoscevo un religioso francescano, che era stato molti anni a Gerusalemme, gli feci la descrizione di questi luoghi, gli domandai se veramente la situazione del Getsemani e del Cenacolo fosse come io l’avevo descritta, mi rispose di sì, che senza dubbio chi mi aveva così ben informato, credeva che vi fosse stato a visitare questi santuari, mentre con tanta precisione mi aveva indicato perfino la situazione dei suddetti luoghi. Senza far parola di quanto era passato nel mio spirito, lasciai credere alla sua giusta riflessione che persona che vie era stata mi avesse reso così bene informata.

3.3. Gli esercizi di sant’Ignazio


Correva ancora l’anno 1804, quando pensai di fare otto giorni di ritiro, benché questo ritiro non riguardasse altro che l’interno, senza che i miei parenti si fossero avveduti di quanto passava nel mio spirito.

Mi servii del libro degli Esercizi di sant’Ignazio del Casani. Molto fu il fervore che Dio mi compartì, diversi furono i buoni sentimenti, fermi e stabili furono i propositi; ma perché avessero più valore, pensai di scriverli con il proprio sangue. A questo oggetto mi ferii con un coltello, e così potei scrivere i propositi. La carta scritta che avevo formato a guisa di cuore, la misi sotto il quadro del santissimo Crocifisso, che mi liberò dal colpo mortale della pistola, come già si disse al foglio numero tre.

Per mezzo di questo atto generoso, molto grande fu la vittoria che riportai sopra il mio amor proprio, assistita dalla grazia di Dio incominciai ad acquistare una certa libertà di spirito, molto necessaria a chi desidera approfittare nello spirito. Questa fu la grazia che il Signore mi fece, per l’atto generoso che avevo fatto per amor suo.

Molta fu la ripugnanza che ebbi a soffrire di dovermi ferire di propria mano, al solo pensarlo venivo quasi meno, tremavo dall’apprensione, mi raccomandavo alla gran Madre di Dio, piangendo le mostravo la mia debolezza. Fatta la preghiera, vinsi la ripugnanza, e intrepida presi il coltello, invocai l’aiuto di Dio, mi ferii, e così potei scrivere a gloria del mio Signore i propositi fatti.

Vado dal mio confessore e gli rendo conto di quanto avevo fatto; egli mi disse che avvertissi bene di non fare mai più cosa alcuna senza la sua licenza, mi ordinò di prendere la suddetta carta e bruciarla davanti all’immagine del santissimo Crocifisso suddetto. Obbedii senza la minima pena; in questa occasione feci voto di obbedienza, cioè di obbedire con perfezione il confessore pro tempore e di essere a questo perfettamente soggetta.

3.4. Il demonio non lascia di perseguitarmi


Non lasciava il demonio di perseguitarmi, per farmi deviare dall’intrapreso tenore di vita; si servì di personaggio molto saggio e prudente per disapprovare il mio spirito, mi fece dire da altre persone che molto meglio sarebbe per me e per la gloria di Dio lasciare alle religiose tanta ritiratezza, che avessi pensato a compiacere i parenti, mentre questi altro non facevano che mormorare, pensassi di fare la vita da secolare e non da religiosa, che al Signore non piaceva la mia condotta; mi fece dire ancora che avessi pensato di piacere al consorte, che questo voleva il Signore da me. Siccome mai ebbi alcun trasporto a quanto permette il matrimonio, non essendo richiesta dal consorte, era per me di sommo contento, altro sollievo non avevo che trattenermi lungamente con il mio caro Gesù, desiderando di essere tutta sua.

Mentre non altro fine ebbi di passare allo stato matrimoniale che levarmi dall’angustia che soffrivo nella casa paterna. Era mio padre negoziante di campagna, attese le cattive stagioni e il malanimo di diverse persone, fecero sì che comparisse fallito, non ostante il suo ricco patrimonio di cinquantasettemila scudi di capitali, i pretesi creditori si impadronirono dell’asse patrimoniale, e lo depauperarono, e al povero mio padre convenne vedere languire la sua numerosa famiglia di otto figli, cinque maschi e tre femmine.

I fratelli avevano poco e niente giudizio, avevano di frequente qualche questione tra loro, il vitto e vestito era molto scarso, motivo per cui cercavo a tutti i costi di collocarmi.

Ero nella massima indifferenza, la prima apertura che mi si fosse data ero pronta ad abbracciarla, molto volentieri sarei entrata in monastero, molte volte vi fu provato, ma non mi fu possibile. Provai perfino di andare a servire qualche signora che stesse in monastero, sentivo un trasporto grande allo stato monastico, quando potevo avere un breviario alla mano ero nel mio centro, mi trattenevo le ore sane a recitare i salmi e le lezioni con somma consolazione del mio cuore. Nonostante che mi fossi dimenticata del voto fatto, come si disse al foglio numero due.

3.5. «Sei a me consacrata»


L’ambasciata dunque di questo personaggio mi fu di somma pena, altro non facevo che ricorrere di frequente alle orazioni, con lacrime e sospiri sfogavo le mie pene con il mio caro Gesù. Gli dicevo: «Gesù mio, come va questa cosa, voi mi fate conoscere che il regolarmi in questo modo è di vostro piacimento, e questo vostro ministro biasima la mia condotta. Gesù mio, vi chiedo, per carità! fatemi conoscere quello che devo fare per piacervi».

Piangendo e sospirando passavo le ore intere cercando di sapere la volontà di Dio; quando nel profondo silenzio della notte, dopo molte lacrime, lo spirito fu sopraffatto da interna quiete. Dolce voce così mi parlò: «Figlia, perché così ti lamenti, sappi che sei a me consacrata».

A queste parole qual mi restassi non so spiegarlo.

«Mio Dio, e come sono consacrata a voi?», prese a dire la povera anima mia, «Ah, Gesù mio, io non vi intendo, cosa volete dirmi; io consacrata a voi? E come, se non sono più libera di me! Ah, Gesù mio, quanto mi pento di non essermi a voi consacrata», piangendo dirottamente; non capivo il giusto senso delle sue parole, che volevano ricordarmi il voto fatto. Per ben tre volte si degnò di parlarmi così, per tre notti consecutive, la terza notte mi ricordai il voto fatto, a questa ricordanza qual mi restassi non posso spiegarlo, credetti veramente di morire, passai tutta la notte in amare lacrime cagionate dal gran dolore che mi recava il ricordarmi la mia infedeltà; venivano questi sentimenti dolorosi accompagnati da una certa speranza nell’infinita bontà di Dio, che sarebbe per perdonarmi il mio gravissimo fallo.

La mattina di volo vado al mio confessore, piena di affanno e di pena, gli racconto il fatto surriferito, con tante lacrime e con tanto dolore, che corsi il pericolo di morire ai suoi piedi.

Questo ministro del Signore mi fece coraggio, e mi fece considerare il giusto senso delle amorose parole: «Figlia», mi disse il mio confessore, «coraggio, queste non sono parole di rimprovero, ma sono parole per voi molto consolanti. Dio non vi rimprovera con queste parole, ma vi dà la consolante nuova che a lui appartenete, e insieme vi ricorda di non essere stata a lui fedele, quasi scusando la vostra dimenticanza. Per nova consolazione vi dice che siete a lui consacrata. Figlia, datevi pace, e ringraziate il vostro amoroso Signore dell’alto favore che vi fa. Riflettete al tempo che vi parlò, quando voi eravate in angustia, per il timore di non piacere a lui. Queste parole vi rendono certa del piacere che ha della vostra condotta. Con queste parole vi volle consolare. Figlia, apprendete il giusto senso, mentre io vi spiego le sue parole. «Figlia», vi disse, «perché così ti lamenti? Sappi che sei a me consacrata!». E dove volete trovare parole più dolci, più consolanti di queste? Rallegratevi, che ne avete giusto motivo. Ciò nonostante dalla Penitenzieria vi farò avere la dispensa del voto. Io farò il memoriale a vostro nome, e voi vi contenterete di fare la penitenza che vi darà».

Di qual consolazione, di molto conforto mi furono le parole di questo buon padre gesuita, mio confessore.

3.6. Mi domandò quanto lo amassi


Correva l’anno 1805, mese di giugno, giorno 24, festa del grano precursore san Giovanni Battista.

Ricevuta la santa Comunione con sommo raccoglimento, il mio Dio mi fece fare tre atti di amore, domandandomi cortesemente e amorosamente quanto lo amassi. A questa interrogazione quale affetto si destò nel mio cuore io non ho termini di spiegarlo, quali offerte gli feci di tutta me stessa, e molto si accrebbe di amore nel mio spirito. «Sì», gli risposi speditamente, «sì, mio amoroso Signore, vi amo assai più di me stessa, e per amor vostro sono prontissima a dare il sangue e la vita, non una volta, ma mille volte, se mille vite possedessi tutte le sacrificherei alla vostra maggior gloria. Ah, Gesù mio, vi offro questa mia vita, degnatevi di riceverla, non come mia, ma come vostra. Fate pur voi di me quello che vi aggrada».

Molto gradì l’offerta, e si degnò chiamarmi con il dolce nome di sua diletta figlia.

3.7. Riparazione eucaristica


Il giorno 30 luglio 1805 la povera Giovanna Felice racconta di sé: Ero tutta afflitta e angustiata per non sentire in me alcuna disposizione per ricevere la santa Comunione. Mi trattenevo ascoltando la santa Messa, pregando il mio Signore Gesù Cristo, acciò degnato si fosse a darmi qualche disposizione per poterlo ricevere. Avevo già pensato di comunicarmi in altra Messa, quando udii invitarmi amorosamente.

«Figlia», sento dirmi, «figlia diletta mia, vieni a ricevermi. Allontana da te il soverchio timore, il mio invito ti rende degna. Vieni a compensare le ingiurie che ricevo in questo sacramento!».

A queste parole da forza superiore fui condotta alla balaustra dell’altare. Mille affetti in uno mi facevano balzare il cuore in seno; piena di santo affetto, così presi a dire: «Sì, mio Dio, voglio compensare le ingiurie che avete ricevuto e che tuttora ricevete in questo sacramento. Ma ditemi voi, o Salvatore adorabile, cosa mai devo fare».

Andavo intanto immaginando di fare le penitenze più rigide per dargli qualche compenso. «Mio Dio», dicevo, «ditemi quello che devo fare. Sono pronta a morire sotto i più spietati flagelli e tormenti per potervi piacere e compensare le ingiurie che avete ricevuto da me e che ricevete da tanti peccatori, fratelli miei. Ditemi, di grazia, quello che devo fare».

«Figlia», soggiunse il mio Signore, «non altro devi fare che offrire i miei meriti al mio eterno Padre».

Pregai acciò si degnasse ispirarmi come dovevo offrire i suoi meriti; mi parve che in questa maniera dovevo dire: «Eterno Padre, vi offro i meriti di Gesù Cristo, vostro Figliolo, milioni di volte ogni punto della mia vita, ogni respiro del mio cuore, per compensare le ingiurie che avete ricevuto da me e da tanti peccatori, fratelli miei. Miserere nobis, miserere nobis, Sacro Cuore del mio Gesù, fa’ che ti ami sempre più».

Permise Dio in questo tempo che il mio confessore si allontanasse dalla chiesa dove confessava, che era vicino alla mia abitazione, e per le molte sue occupazioni poco attendeva al confessionario, sicché molto di raro potevo parlargli, sebbene molte furono le esibizioni che mi fece, per sua carità, volendo a costo di ogni suo incomodo proseguire a dirigere la mia povera anima. Dopo molte orazioni, mi parve che, per la gloria di Dio, dovevo allontanarmi dal suddetto, e così feci.

3.8. Nuovo confessore


Mi raccomandai caldamente al Signore, acciò mi avesse ispirato a chi dovessi affidare l’anima mia. Mi portai dunque, a questo oggetto, in una chiesa, mi raccomandai al mio protettore sant’Ignazio, acciò mi avesse ottenuto dal Signore lume per fare buona scelta, mentre erano molti i confessori che erano in questa chiesa. Andai dove fui ispirata, mi presento al confessionario, dove fui ascoltata da un ministro di Dio con somma carità, molte furono le interrogazioni che mi fece, e al momento si fece padrone del mio cuore, mi promise di assistere la povera anima mia con tutto l’impegno, con tutta premura, purché fedelmente avessi obbedito, e gli avessi manifestato quanto passava nel mio spirito, e prontamente avessi eseguito quanto sarebbe per comandarmi. Io gli promisi che quante volte fosse volontà di Dio, che dovessi proseguire sotto la sua direzione, gli promettevo di obbedire prontamente.

Fra le tante cose che gli dovetti dire, per renderlo informato del mio interno, gli dissi che avevo il voto di castità, ma che questo non era perpetuo, ma solo di tempo in tempo, da rinnovarsi secondo l’obbedienza del confessore pro tempore. Gli dissi ancora che era terminato il tempo prescrittomi dal passato confessore, perciò avesse detto come mi dovevo regolare, mentre non mancavano altro che tre giorni, perciò desideravo rinnovare il votò. Mi disse che avessi sospeso la rinnovazione del suddetto voto, perché voleva discorrere più a lungo riguardo al mio spirito, perciò mi disse che fossi andata in altra giornata.

Mi porto in altro giorno dal suddetto e mi disse: «Sapete che ho pensato? Invece di fare il voto, voglio che vi soggettate al vostro consorte; voglio che voi siate la prima a richiedere al suddetto quanto vi spetta».

A questo comando qual fosse la mia pena solo il mio Dio lo sa, che ne fu testimonio. Passai tutta la giornata raccomandandomi caldamente al Signore, piangendo e sospirando gli dicevo: «Mio Dio, mio sommo amore, per piacere a voi, Gesù mio, desidero obbedire al mio confessore, ma non voglio mancare di fedeltà a quanto vi ho promesso. Voi siete onnipotente, tutto potete, mi raccomando alla vostra carità. Voi lo sapete quanto più volentieri passerei le fiamme ardenti. Sì, molto più facile mi sarebbe, di quello che fare questa obbedienza; ma son contenta di obbedire, benché mi dovesse costare la vita. Gesù mio, per quella ripugnanza che soffriste voi, nel dar la vostra vita in mano a spietata morte per amor mio, degnatevi di ricevere la mia obbedienza».

A questa preghiera, mi sentivo rispondere amorosamente: «Figlia, non dubitare, io ti difenderò. Sei a me consacrata, io ti custodirò. Se mi vuoi piacere, devi obbedire senza timore, figlia diletta mia, non sarai molestata».

A queste parole vidi candida luce che mi circondò, e mi fu comunicata una semplicità, una purità soprannaturale; fui sopraffatta da interna quiete, e il mio spirito risposava dolcemente in quella bella luce, che mi circondava.

Richiedo quanto l’obbedienza mi aveva comandato, e per grazia di Dio mi venne negato. Oh, quanto mai grandi furono i ringraziamenti che resi al mio Dio! Fui assicurata dal Signore che mai sarebbe stato molestato il mio corpo, mentre a lui apparteneva, per essere io a lui consacrata.

Tornai al mio confessore e non ebbi coraggio di manifestargli tutto l’accaduto, solo gli dissi la negativa avuta dal consorte. Mi comandò nuovamente di richiedere, e fui per la seconda volta assistita dall’infinita bontà di Dio, nella stessa maniera sopra accennata.

Tornai al mio confessore, e gli rendo conto di quanto era passato nel mio spirito. Molto mi gridò, perché non avevo la prima volta manifestato la grazia del Signore. Mi diede licenza di fare il voto di castità per tre mesi, per poi rinnovarlo di tempo in tempo.

Molto grande era la premura, la carità che mi usava questo buon ministro del Signore, e mi diceva che molto lume gli compartiva il Signore per guidare l’anima mia, e che, in molti anni che dirigeva anime, solo di due o tre aveva ricevuto tanto lume da Dio per dirigerle. Questo mi servì di consolazione e di prontamente obbedire a quanto mi comandava.