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2 – I FREQUENTI FAVORI DEL SIGNORE
2.1. La prima visione
Questi
consigli maligni mi avrebbero sicuramente vinta, se la pietosa Madre
sempre Vergine con grazia speciale non avesse fortificato il mio cuore.
Sentite come.
La mattina del 7 settembre 1803, vigilia della
Natività di Maria santissima, fui sorpresa da leggero sonno, mi apparve
un personaggio molto rispettabile, con autorevole comando mi obbliga ad
andare con lui. Vado, e questo si conduce sopra un alto loggiato, vedo
apparire nobile e leggiadra signora, ammantata di candide vesti,
maestoso era il suo portamento, teneva nelle sue mani bella e
risplendente colomba, questa spiegava le nobili sue ali e si sollevava
fino all’altezza dei cieli.
Nel veder tanto splendore e tanta
luce, fissai lo sguardo verso quella risplendente colomba, e con sommo
mio stupore, osservo che sotto le ali vi erano impressi i chiodi che
crocifissero il mio Signore, e questi li vedevo di colore sanguigno, ma
risplendenti al pari del sole. Questa nobilissima colomba tramandava
dardi di fuoco; allo sfolgoreggiare di questo sacro fuoco fui sorpresa
da sommo timore, mi apparve un brutto mostro e mi disse: «Fuggi, fuggi».
2.2. Un dardo di fuoco
Ero
già risoluta di dare mente al tentatore, quando il pietoso condottiere
mi impose di restare; ecco che quella divina colomba mi invia prezioso
dardo, di sacro fuoco restò colpito il mio cuore intimamente. Il
prezioso colpo mi cagionò deliquio mortale; tornata che fui, mi trovai
tutt’altro di quella di prima, mi intesi trasmutare in un’altra; tutto
fervore, tutta carità, sentivo nel mio cuore gli effetti mirabili di
quel dardo amoroso, qual vampa di sacro fuoco incendiava il mio
spirito, e mi rendeva quasi pazza; di amore accesa andavo esclamando:
«Hai vinto, hai vinto pure una volta, o santo amore! hai vinto la
durezza del mio ostinato cuore, o sacro dardo di amore, trapassa viepiù
il mio cuore!».
Non posso spiegare quali e quanti fossero i
mirabili effetti che producesse questa grazia di essere stata ferita
dal dardo amoroso, particolarmente nelle orazioni. Non avevo terminato
l’orazione preparatoria, che lo Spirito del Signore mi rapiva con tanta
forza, che il mio corpo come morto restava disteso sul suolo. La
frequenza di questi ratti, la violenza che faceva lo spirito al corpo,
che cercava di slanciarsi avidamente verso il suo Dio, cagionò un moto
irregolare nel mio cuore, molto sensibile, che scuoteva la sedia in cui
sedevo, il letto in cui riposavo. Stavo molto avvertita di non
avvicinarmi ad alcuno, mentre più volte mi domandavano cosa fosse quel
moto così violento che si sentiva nel mio cuore.
Per quanto
cautelata stessi, non passò molto tempo che i miei parenti si avvidero
del palpito violento del mio cuore, questi supponendo un male naturale,
vollero sentire il parere dei medici. Mi fu da questi ordinato il
levarmi del sangue, ma non furono giovevoli due buone sanguigne, mentre
il palpito veniva viepiù crescendo, per i frequenti favori che ricevevo
dal mio Signore, tanto nelle orazioni, quanto nella santa Comunione.
Finalmente, per liberarmi da questa vessazione dei medici e dei
parenti, che pretendevano di curare gli effetti, mentre si rendeva
impossibile curare la causa, che a me solo era nota, si raccomandai
caldamente alla mia benefattrice Maria santissima, acciò degnata si
fosse di liberarmi da quel palpito tanto sensibile. Questa divina Madre
mi esaudì, solo nelle orazioni e Comunioni, a seconda dei favori e
delle grazie di Dio, più o meno era violento il palpito del cuore.
Quanto fossero frequenti le comunicazioni di Dio con la povera anima
mia, non è possibile numerarle, ne riferirò qualcuna in particolare
alla maggior gloria del mio Signore Gesù Cristo.
2.3. La comunione quotidiana
Correva
l’anno 1803, il mese di dicembre, quando cresceva ogni giorno più nel
cuore della povera Giovanna Felice il fervore di piacere al Signore, e
per conseguenza, desiderosa di perfezionare il mio spirito, il mezzo
più efficace conoscevo per esperienza essere la frequente Comunione.
Desideravo ardentemente di riceverla quotidianamente, ma non avevo
coraggio di manifestarlo al mio confessore. Mi pareva troppo ardire,
come ancora tenevo celato al suddetto quanto passava nel mio spirito,
per mancanza di coraggio. Ricorsi dunque alla mia benignissima Madre
Maria santissima, con orazioni, con lacrime, con mortificazioni, con
promesse grandi, mentre qualunque sacrificio, benché gravoso, mi pareva
lieve in confronto del desiderio, dell’ardore, della brama che sentivo
di ricevere questo divin sacramento.
Non passò molto tempo che
fui esaudita. La vigilia della santissima concezione di Maria
santissima il dì 7 dicembre 1803 fui sorpresa da leggero sonno;
nuovamente mi apparve il mio carissimo condottiero, con il suo maestoso
portamento mi obbligò ad andare con lui. Riverentemente mi prostrai ai
suoi piedi, lo ringraziai per avermi, con la sua valevole
intercessione, ottenuto la remissione dei miei gravissimi peccati.
Mi
condusse dunque in un sacro tempio, dove vidi nel mezzo un altare
magnifico, riccamente adornato e illuminato, vidi nel suddetto tempio
nobilissima processione, era questa formata da molti religiosi, vestiti
di lana bianca, con cotte e stole, con torce accese nelle loro mani.
Era questa nobilissima processione preceduta da personaggio molto
insigne, nobile era suo portamento, molto ricchi erano i suoi
vestimenti, per sovrano guerriero lo ravvisavo, era scortato da molti
nobili altri guerrieri a lui inferiori. Restai ammirata di tanta
magnificenza, domandai al mio condottiero chi fosse quel nobile
guerriero, mi disse che quello era il glorioso san Michele Arcangelo.
Ecco
dunque che in bell’ordine disposta era la processione, in fine di
questa vi erano le persone più degne di questo sacro Ordine, vestiti
con i paramenti sacri. Infine di questa vedevo la gran Madre di Dio,
nobilmente vestita, portava nelle sue braccia il suo santissimo
Figliolo con molta reverenza. Qual tenerezza, qual sottomissione provò
il mio povero cuore, quante lacrime versarono i miei occhi, di amore,
di tenerezza! caldamente mi raccomandai a questa divina Signora ad
ottenermi la grazia di ricevere quotidianamente Gesù sacramentato. Mi
diede segno di avere esaudito le mie preghiere.
2.4. Non castigate la vostra Chiesa!
Prima
di collocarlo sopra l’altare si cambiarono scambievolmente le belle
corone, che tenevano sopra il loro capo; quella di Gesù se la mise
Maria, e quella di Maria se la mise Gesù. Collocato dunque che lo ebbe
sopra l’altare, si prostrò riverente ai suoi piedi, raccomandò tutto il
mondo, particolarmente Roma, il clero regolare e secolare, il sommo
Pontefice; così pregò questa divina Signora: «Sospendete, o mio diletto
figlio, il rigore della vostra divina giustizia; vi piaccia di non
castigare la vostra Chiesa con disperdere tanti vostri ministri.
ricordatevi che vi sono Madre, degnatevi di esaudirmi».
Il divino fanciulletto non volle esaudire le sue preghiere, alzò la sua onnipotente voce, così parlò: «La mia giustizia più non vuole sostenere tante abominazioni: siete mia Madre e mia creatura ancora».
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queste parole si prostrano tutti quei buoni religiosi con la fronte a
terra, adorando i divini decreti di un Dio giustamente sdegnato contro
di noi. Fummo tutti sorpresi da sommo timore, mentre chiaramente si
conobbe il castigo che era per mandare sopra di noi e sopra la sua
Chiesa.
I superiori, ovvero i fondatori di questo sacro Ordine
offrirono l’incenso delle loro buone opere, unito al culto che gli
rendeva tutto questo sacro Ordine. Allora il divino fanciulletto alzò
la sua onnipotente mano, e benedì con particolare benedizione non solo
i buoni religiosi, ma tutti quelli che appartenevano e che erano per
appartenere a questo sacro Ordine, mi pare di poter dire che tutti
quelli che si trovavano in quel vasto tempio, tutti appartenessero a
questo sacro Ordine. Anche io fui benedetta particolarmente e fui
ammessa nel numero di questi, mentre mi trovavo vicino al sacro altare,
per speciale grazia di Maria Santissima, potei godere la vicinanza di
quegli insigni personaggi; che erano capi di questa religione; che io
non conoscevo, mentre vestiti con i paramenti sacri, come dissi di
sopra.
Approssimata che si fu, unitamente a tutta la
processione, al magnifico altare, collocò sopra di questo il suo
santissimo Figliolo. La grazia mi ottenne.
Correva l’anno 1803,
la vigilia del Santo Natale, quando il mio confessore per particolare
impulso di Dio fu obbligato a darmi la santa Comunione quotidianamente.
Quali e quanti fossero i buoni effetti che produceva in me questo
divino Sacramento è veramente impossibile poterlo ridire, pure qualche
cosa dirò, per obbedire a vostra paternità reverendissima, che così mi
comanda.
2.5. Da timida pecorella a forte leone contro il demonio
Correva
l’anno 1804, quando il mio Dio mi fece vedere da quale pericolo mi
aveva salvato per mezzo della sua infinita misericordia, mi fece vedere
in quale stato si era ridotta la povera anima mia per i miei peccati.
Mi vidi dunque in una caverna profondissima, afferrata da forti e
orrendi giganti, che erano sul momento di uccidermi, mentre mi trovavo
distesa sul suolo e questi forti giganti avevano posto il loro forte
ginocchio sopra il mio petto, impugnato avevano un tagliente ferro, lo
avevano appuntato alla mia gola, erano sul momento di uccidermi. In
questo pericolo così eminente, invocai il mio Dio, acciò mi salvasse la
vita. Immediatamente vedo apparire una luce chiarissima, all’apparire
di questa si misero in fuga i forti giganti. La misera situazione in
cui ero non mi permetteva di potermi da me alzare. Proseguo dunque a
raccomandarmi al Signore, quando vedo apparire, in mezzo a quella luce
forte braccio, nobile mano che mi trasse fuori dal mortale pericolo.
Stavo rendendo infinite grazie al mio Dio, e immersa nel pianto, per
avere veduto in quale stato mi avevano ridotto i miei peccati, quando
sonora voce così mi parla: «Eri già esangue quando ebbi compassione di
te. Se la mia misericordia non fosse stata tanto liberale, cosa sarebbe
di te?». A queste parole fui sopraffatta da sommo timore.
Non
tardò il demonio con le sue insidie di desuadermi dall’intrapreso
metodo di vita, mentre ad altro attendevo che alla santa orazione, alla
pratica delle sante virtù, particolarmente alla mortificazione dei
sentimenti, ero molto diligente di mortificare gli occhi, e la gola
procuravo di mai soddisfare; quando questo forte nemico mi fece
intendere, per mezzo di vive suggestioni, che avessi pure dimesso il
pensiero di attendere alla vita spirituale, mentre sarebbero tali e
tante le forti tentazioni; persecuzioni e insidie che lui avrebbe
ordito contro di me, che vittima sarei restata della sua forza. Le
insidie di costui mi rendevano molta pena; perché scioccamente mi dava
a credere di non poter resistere alle forti battaglie di questo
orgoglioso nemico.
Una mattina, dopo ricevuta la santa
Comunione, con santa semplicità raccontai tutto a Gesù Cristo, e
piangendo gli dicevo: «Gesù mio, sicuramente resterò vinta, Gesù mio,
pensateci voi». In questo tempo fu sopito il mio spirito, e il mio caro
Gesù mi si diede a vedere sotto forma di pastorello. La povera anima
mia la vedevo in forma di pecorella, questo divino pastorello mi
chiamava a sé, dopo avermi accarezzato, pose sopra la mia fronte
prezioso segno, e mi fece intendere che, per parte di questo segnale,
nessuno dei miei nemici mi avrebbe potuto prevalere
Incominciai
in quel momento a sperimentare i buoni effetti, intesi in quel momento
somministrare al mio spirito forza sufficiente per vincere i miei forti
nemici, sicché da timida pecorella passai a possedere la forza di forte
leone, armata di fede, di speranza e di carità in quello che tutto
regge e governa, io stessa sfidai i miei orgogliosi nemici.
2.6. Cambia confessore
Correva
l’anno 1804, mese di settembre, quando fui obbligata, con somma mia
pena, di dare ascolto a particolare ispirazione, che mi obbligò a mutar
confessore, nonostante la pena di entrambi. Per obbedire al mio Dio,
che così mi comandava, mi portai dunque ad un altro sacerdote, che
trovai in confessionale, senza che sapessi chi fosse; ma, come piacque
al Signore, trovai un uomo di molta esperienza.
Questo ministro
di Dio, esaminato che ebbe il mio spirito, si avvide del lavoro della
grazia di Dio, sebbene non gli manifestai niente di quanto passava nel
mio spirito, nel tempo delle orazioni e Comunioni; prese dunque a
coltivare la povera anima mia, qual giardino prediletto di Gesù Cristo.
Nel
sentire la mia giovanile età di anni ventinove, che non soffrivo la
minima molestia della carne, mentre erano passati tre anni che il mio
consorte più non mi ricercava, ne tampoco io ricercassi di lui, ma
tutta intenta a deliziarmi con il mio Signore Gesù Cristo crocifisso,
dove trovavo ogni mio sollievo e consolazione, questo buon ministro del
Signore volle sapere qual fosse il motivo della dimenticanza del
suddetto; quando intese che era per l’amicizia che aveva contratto con
altra donna, procurò di impedire questa amicizia con farne intesi i
superiori; ma tutto indarno. Obbligò a me di richiedere; allora gli
dovetti dire che infatti era di cattivo male, conoscendo chiaramente
che il suddetto non aveva più alcun diritto sopra di me, ma che il
Signore mi voleva tutta per lui. Conoscendo la buona disposizione che
il Signore aveva dato al mio intelletto, mi obbligò a lasciare le
orazioni vocali, che solevo recitare quotidianamente, ma che tutto il
tempo che avevo, dopo avere adempito il mio dovere, lo avessi impiegato
nella santa orazione mentale, la sola recita del Rosario, e questo
ancora voleva, che trattenuto avessi il mio intelletto a meditare per
mezzo quarto d’ora circa i misteri del suddetto.
Fu molto facile
alla povera Giovanna Felice obbedire al suo confessore, mentre le mie
povere orazioni venivano prevenute dalla grazia del Signore. Nella
recita del santo Rosario non solo mi trattenevo un mezzo quarto d’ora,
ma eziandio mi passavano le ore intere, quando mi avvedevo che stavo
ancora alla prima posta del Rosario, tanto era la penetrazione del mio
intelletto, che si profondava a meditare i misteri del suddetto
Rosario. Una volta tra le altre, nel meditare i misteri dolorosi, fui
trasportata dallo Spirito del Signore nell’orto del Getsemani, dove mi
si diede a vedere il buon Gesù agonizzante. Si degnò in questo luogo di
darmi molti ammaestramenti. I buoni effetti che produsse questa visione
li lascio immaginare a vostra paternità degnissima, per non dilungarmi
di più.
2.7. Persecuzioni e angustie per la condotta del marito
Varie affiliazioni, persecuzioni e angustie che passò la povera Giovanna Felice nel 1804.
Per
la cattiva condotta del consorte, che aveva sprecato tutta la metà del
suo patrimonio, dovetti lasciare il piccolo appartamento che abitavo, e
ritirarmi in quello del mio suocero, soffrire di vedere venduto parte
del mobilio di questo, per riparare in qualche parte ai molti debiti
che aveva formato, come ancora dovessi spogliarmi di varie gioie che
avevo, consistenti in diversi anelli, pendenti, vezzo di perle,
orologi, ma tutto per amore di Gesù mi riuscì facile.
Dovetti
dunque lasciare libero il mio appartamento e abitare una camera
dell’appartamento di mio suocero, e convivere con suocera, cognate, zie
ed altri, che formavano il numero di nove o dieci persone. Mi fu
assegnata da questi una camera che aveva tre comunicazioni, sicché si
rendeva comune a tutti, e per esservi persone di diverso sesso, molta
era la soggezione, la pena, l’incomodo.
Avevo due figlie: una di
anni tre, l’altra di anni cinque; molto dovetti soffrire per queste,
mentre una delle due cognate aveva preso tanto sopravvento sopra le
suddette, che io non avevo più padronanza alcuna, ciò per mantenere la
pace e per le necessità che avevo di essere mantenuta dal suocero,
giacché il consorte non pensava più né a me né alle figlie, mi
conveniva soffrire di vedere strapazzare le figlie, non solo con
parole, ma alle volte con percosse irragionevoli. Sentivo al vivo la
pena, ma tutto mi pareva poco, in paragone di quello che meritavano i
miei peccati, tutto offrivo in sconto di questi. Permise ancora il
Signore che questa buona cognata mi perseguitasse in varie maniere.
L’altra
ragione del mio patire fu per vedermi priva di un luogo libero, per
potermi con libertà trattenere in orazioni, in questa angusta
situazione, domandai in grazia alla mia suocera di potermi ritirare per
fare le mie orazioni in un piccolo ripiano di scala, che conduceva al
pianterreno e alle cantine. Scelsi questo luogo perché era segregato
dall’appartamento, per avere libertà di potermi trattenere con il mio
Dio, senza che alcuno si fosse avveduto di quanto seguiva, mentre il
più delle volte ero sorpresa dallo Spirito del Signore, che
violentemente mi rapiva, e non era in mio potere resistere alla sua
forza, sicché ora mi trovavo distesa sul suolo, ora dalla violenza il
mio corpo balzava senza ritegno, ora mi trovavo con le mani distese al
Cielo, e il mio corpo lo sentivo leggero al pari di una paglia, mi
scuotevo come intimorita, alle volte la forza dello spirito faceva
prova di tirarsi dietro anche il corpo, quando mi avvedevo di questo
cagionava in me sommo timore.
Per pura misericordia di Dio
godevo molta libertà, mentre quando avevo mandato alla scuola le
piccole figlie, dopo averle istruite nelle cose appartenenti alla
dottrina cristiana, dopo varie orazioni, che quotidianamente le facevo
recitare, restavo in santa libertà. Per lo spazio di circa sette anni
spendevo sei ore in orazioni, e queste divise in quattro tempi: la
mattina, subito levata, mi ritiravo al mio caposcala, mi trattenevo in
orazione per un’ora circa, dopo mandavo a scuola le ragazze, come dissi
di sopra, e mi portavo alla chiesa, mi trattenevo un’ora e mezzo o due.
Il giorno dopo pranzo altre due ore, la sera dopo che avevo custodito
le figlie, tornavo all’orazione, e mi trattenevo altre due ore, sicché
sei ore o sette mi trattenevo in orazione, senza mai tediarmi, ma
sempre più avida di più orare.
Non avevo altra azienda in casa
che di cantiniere e gallinara, ero molto attenta al mio dovere, del
resto andavo a tavola apparecchiata, come suol dirsi, senza alcun
pensiero.
Non andò molto in lungo che una vecchia zia, che
doveva trapassare la mia camera, non si avvedesse che io mi levavo
prima di lei, mentre ella era molto sollecita a levarsi, questa cosa
molto mi dispiacque, me ne lamentai con il Signore nelle mie povere
orazioni.
2.8. Sono Gesù Nazareno
Il Signore mi fece
intendere che due erano le ragioni per cui aveva permesso che mi
venisse destinata quella pubblica camera: primo per esercizio di
pazienza, secondo per dare buon esempio a questa famiglia.
Intanto
mi diede a vedere una strada stretta, ripidissima, per la quale voleva
che io camminassi, dalla parte sinistra di questa vi era uno sprofondo
rovinosissimo, che faceva terrore il solo mirarlo. Conobbi la gran
difficoltà che vi era di reggermi per questa stretta strada senza
rovinare in quel precipizio. Mi rivolsi al mio Signore, piangendo
dirottamente: «È impossibile, Gesù mio, è impossibile che io possa
camminare questa strada senza precipitare».
Allora mi apparve
Gesù Cristo, e mi fece vedere come questa strada, tanto difficile non
mi sarebbe, mentre lui avrebbe sempre scortato la povera anima mia,
acciò sicura fosse di non rovinare in quel profondo. Mi fece vedere
come questa strada mi avrebbe sicuramente con il suo aiuto condotto al
cielo, mi fece ancora intendere con quanta facilità si può deviare dal
retto sentiero: mi fece osservare come certe tortuose strade, che
vedevo unite a quella dritta strada, conducevano altronde che al cielo,
mi fece intendere che poco ci vuole per deviare dal retto sentiero.
Conosciute
che ebbi queste cose, mi raccomandai al mio caro Gesù, acciò volesse
aiutarmi. Mi pongo dunque a camminare, scortata da Gesù Cristo
medesimo. Molto facile trovai il camminare per questa, ma quando mi
fece intendere che non sempre voleva accompagnarmi nella medesima
maniera, ma che si sarebbe nascosto, per vedere come mi fossi portata,
così mi disse e disparve.
Tornata in me stessa e mi trovai tutta
smarrita: «Mio Dio», dicevo, «è vero oppure sogno quanto ho veduto? Mio
Dio, e come crederò che quel nobile giovanetto, tanto amabile, che ha
destato nel mio cuore tanta purità, tanta devozione, sia Gesù Cristo?».
Stavo
perplessa se credere lo dovessi, quando dallo Spirito del Signore
nuovamente là fui condotta, e mi si diede a vedere il mio caro Gesù, e
così mi parlò: «Figlia, che non mi conosci? sono Gesù Nazareno».
E per accertarmi del vero, mi mostrò le sue cicatrici, mi fece coraggio
a camminare, mi disse ancora che avessi invocato il suo nome in tutti i
miei bisogni, che avrei sperimentato il suo particolare aiuto. I buoni
effetti che produsse nel mio cuore furono molto copiosi, senza
dilungarmi di più, lascio a vostra paternità immaginarlo.