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1938
II mio ritiro spirituale - Annuncio della Passione
Ogni volta che venivo a sapere di persone che facevano un ritiro
spirituale, dicevo: - Tutti lo fanno, io no! Non so cosa sia. - Osai
dire questo varie volte in presenza del mio direttore. Egli mi promise
che, se il padre provinciale glielo avesse consentito, sarebbe venuto a
dettarmelo. Per alti disegni di Dio il permesso fu concesso ed il 30
settembre 1938 venne il mio padre spirituale ad iniziarlo. Da tempo
vivevo nell'anima grandi agonie e, a volte, mi sentivo in procinto di
cadere in abissi spaventosi. Nei giorni del ritiro raddoppiarono le mie
sofferenze e gli abissi erano terrificanti. La giustizia dell'eterno
Padre cadeva su di me e mi gridava ripetutamente: - Vendetta, vendetta!
- mentre aumentavano le sofferenze dell'anima e del corpo. Non si
possono descrivere; bisogna averle sentite e vissute. Io passavo giorni
e notti rotolandomi nel letto mentre udivo quella voce minacciosa. Il
mattino del 2 ottobre 1938 Gesù mi disse che avrei sofferto tutta la
sua santa Passione, dall'Orto al Calvario, senza giungere al «
Consummatum est ». L'avrei sofferta il giorno 3 e poi tutti i venerdì
dalle ore 12 alle 15; ma che la prima volta Egli sarebbe rimasto con me
fino alle ore 18 per confidarmi le sue lamentele. Non mi rifiutai.
Avvisai di tutto il mio direttore. Attendevo il giorno e l'ora, molto
afflitta, perché né io né il mio direttore avevamo un'idea di quanto
sarebbe accaduto. Nella notte dal 2 al 3 ottobre, se fu molto grande
l'agonia dell'anima, fu grande anche la sofferenza del corpo: vomiti di
sangue e dolori terribili. Vomitai per alcuni giorni consecutivi e per
cinque giorni non inghiottii nulla. Con questa sofferenza sperimentai
per la prima volta la Passione. Quale orrore io sentivo in me! Che
paura e terrore! Era indicibile la mia afflizione.
Prima Crocifissione [3-10-1938]
Scoccato il mezzogiorno, venne Gesù a invitarmi così: - Ecco, figlia
mia, l'Orto è pronto e anche il Calvario. Accetti? - Sentii che Gesù
per qualche tempo mi accompagnò nel cammino al Calvario. Poi mi sentii
sola; e Lo vedevo là in alto, in grandezza naturale, inchiodato sulla
croce. Camminai senza perderlo di vista: dovevo arrivare presso di Lui.
Vidi due volte Santa Teresina: prima alla porta del Carmelo, nella sua
divisa, tra due consorelle, poi attorniata da rose e avvolta in un
manto celestiale.
[Una lettera al direttore]
« ... Cerco un po' di sollievo nella mia sofferenza. Aspetto l'ora
della mia crocifissione. Non posso parlare. Il cuore galoppa. Nella
mia anima c'è una ribellione, una sommossa. Il peso mi schiaccia.
Tenebra, notte tempestosa e triste. Mi trovo in un abbandono tremendo.
Mi pare di camminare tra l'odio di tutti di tribunale in tribunale.
Povera me! E non ho ricevuto Gesù! Confido però che Egli supplirà nelle
comunioni spirituali, nonostante la nausea che sento di me stessa e
l'orrore per la mia enorme miseria. Ieri si è calmata la tempesta.
Prima sentivo cose orribili. Il mio corpo era tutto trafitto come da
acuti ferri. Momenti terribili! Nonostante il breve sollievo, rimasi
sempre in una notte molto oscura, in una tristezza profonda. Posso dire
di aver passato tutta la notte a fare compagnia a Gesù sacramentato,
concentrandomi un poco nella tragedia della notte del giovedì santo. Mi
sembrava che Gesù mi invitasse all'Orto. Che movimento di gente!
Queste cose le sentivo nell'anima. Padre mio, quanto sto dettando mi
pare menzogna. Quanti dubbi! Quanti spaventi per la Passione! Ho già
detto a Deolinda che è un miracolo poter resistere a tanto: mi viene
meno il cuore. Gesù sia con me. Non aggiungo altro perché non posso...
INCISO DI DEOLINDA
- Padre mio, cosa fu mai il venerdì santo: fu davvero giorno di
Passione! Prima di iniziare, che volto di afflizione aveva! Temeva il
trascorrere di quel giorno e diceva:
« Vorrei che fosse già passato ». La confortavo come potevo e
l'accarezzavo nonostante che anch'io fossi satura di paura e di
afflizione.
Durante la Passione non potei non piangere e vidi che quasi tutti gli
altri presenti piangevano. Che spettacolo commovente! L'agonia
dell'Orto fu lunga ed afflittiva. Si udivano gemiti molto profondi e
talora singhiozzava. Non le parlo della flagellazione e della
coronazione di spine! I colpi di flagello li prese in ginocchio e come
se avesse le mani legate. Le avvicinai un cuscino alle ginocchia, ma
lei cambiò posto, non lo volle. Ha le ginocchia in misero stato. Le
battiture non si contarono... durarono molto a lungo... La si vedeva
svenire. Anche i colpi di canna sulla testa coronata di spine furono
innumerevoli. Durante la Passione vomitò due volte: soltanto acqua
perché non aveva nulla nello stomaco. Il sudore era tanto che i
capelli erano impastati; le passai la mano sui vestiti e la ritrassi
bagnata.
Alla fine della coronazione di spine pareva un cadavere. Vennero ad
assistere il canonico Borlido [di Viana do Castelo] e due persone, così
pure il dott. Almiro de Vasconcelos [di Penafiel] e la sua sposa con
la sorella Giuditta. -
« La mia sofferenza fu dolorosa per alcuni giorni. Continuarono i
vomiti di sangue e una sete bruciante. Non c'era acqua capace di
saziarmi. Non potendo bere, ho passato giorni e notti con acqua che
scorreva per la bocca senza poterla inghiottire. Mi stancai ed erano
stanche le persone che mi assistevano. Dopo che ne era passata tanta
per la bocca supplicavo ancora: - Datemi acqua, molta acqua, botti di
acqua! - Mi sembrava di ardere: nulla mi saziava. Sentivo odori
orribili. Non volevo che le persone si avvicinassero a me: puzzavano
come cani morti. Mi davano viole e profumi da odorare, ma allontanavo
tutto: mi tormentava sempre lo stesso puzzo.
Nei giorni in cui potevo alimentarmi, sentivo cattivi gusti fino ad
averne nausea: ogni cosa esalava odori ripugnanti. Quante cose avrei da
dire se potessi descrivere quanto sento! Me ne manca il coraggio,
perché costa molto ricordare queste cose... » (lettera a p. Pinho,
7-4-1939).
Esami di teologi e di medici - Primo viaggio ad Oporto
Mentre aumentavano le grazie divine, aumentavano pure i dubbi e la
paura di ingannarmi e di ingannare il mio direttore e i familiari. Il
mio martirio peggiorava sempre più: mi pareva che tutto fosse falso e
inventato da me. Che sofferenza! Le tenebre mi avvolgevano, non v'era
luce che mi illuminasse il cammino. Per quanto il mio direttore mi
infondesse fiducia, nulla mi rassicurava. Mi abbandonai nelle braccia
di Gesù, fidente di non essere trascinata dalla corrente. Soffrivo
molto per le lacrime dei miei e pensavo: - Se manca il coraggio a loro,
come può non venire meno a me? -
Che umiliazione l'essere veduta da altri! Potessi soffrire sola e Gesù soltanto lo sapesse!
Subito alla seconda crocifissione, vennero alcuni padri della Compagnia
di Gesù. Che vergogna provai, non durante la passione, ma prima e
dopo! Cominciai a sentire che il mio direttore soffriva assai per causa
mia, cioè per quanto stava succedendo. Agli esami dei sacerdoti
seguirono quelli molto dolorosi dei medici i quali lasciavano il mio
corpo in misero stato. Mi pareva di essere giudicata da tribunali, come
avessi commesso i più grandi crimini. Entravano in camera mia, mi
esaminavano e poi si riunivano in sala a discutere il mio caso,
lasciandomi sotto il peso della più grande umiliazione. Se non erro, i
medici vennero in occasione della mia terza crocifissione.
Se potessi aprire la mia anima e permettere di vedere ciò che in essa
avviene e il perché vivo quei giorni, lo farei per il bene delle anime
mostrando quanto soffro per amore di Gesù e per loro. Solo a questo
fine mi sono sottomessa a tali sofferenze. Quando il mio direttore mi
propose questi esami, fu per me un grande tormento; una forte
repulsione si levò in me; ma l'obbedienza ordinava: tacqui e li
accettai per Gesù. Mancavano i medici a completare il mio calvario!
Alcuni furono dei veri aguzzini introdottisi nel mio cammino. Essi
decisero di mandarmi ad Oporto. Mi costò assai sottomettermi. Temevo il
viaggio per il mio stato di salute. Quando il medico curante, Giovanni
Alves, me ne parlò, gli risposi: - Proprio lei che nel 1928 non permise
che andassi a Fatima, ora che sono molto peggiorata vuole che vada ad
Oporto? - È vero che non ho voluto, ma ora vorrei. - Gli domandai se il
mio direttore sapeva di questa risoluzione. Avendomi risposto
affermativamente, cedetti alla sua richiesta. Il giorno 6 dicembre
1938, verso le undici fui tolta dal mio letto e posta su
un'autolettiga. Nella mattinata ero stata visitata da persone amiche;
quasi tutte avevano pianto. Da parte mia avevo cercato di rallegrare
tutti fingendo di non soffrire. Il viaggio fu doloroso. Impiegammo
quasi tre ore e mezza perché dovemmo fare parecchie soste, per il mio
stato di salute. Ad Oporto, nel consultorio del dott. Roberto de
Carvalho, mi si fece una radiografia. Fui da lui trattata molto
delicatamente e, congedandomi, mi disse: - Povera ragazza, quanto
soffri! -
Di là mi portarono al Collegio delle Figlie di Maria Immacolata, ove
mi trattarono molto bene. Però soffersi per i rumori della strada fino
a perdere quasi i sensi più di una volta. Fui esaminata dal dott.
Pessegueiro; ma servì soltanto ad aumentare la mia sofferenza.
Anche il viaggio di ritorno fu penoso. Appena rientrata nella mia
cameretta fui circondata da persone amiche. « ... Eccomi di nuovo
nella mia casetta. Ero attesa ansiosamente. Pare che ci siano stati
molti commenti. La popolazione era indignata contro mia madre che
aveva consentito il mio trasporto. Ora si calmerà nuovamente; ma sia
fatta la volontà di Dio. Sono pronta a tutto. Pare che il Signore mi
chieda ora il maggior sacrificio. Si incomincia a sapere qualche cosa;
chi dice una cosa, chi un'altra a mio riguardo.Mi riferiscono che si
parla di me come di una santa e questo non lo vorrei Che inganno!
Pazienza! Qualsiasi cosa avvenga o dicano accetto tutto per amore di
Gesù. È Lui che mi chiede di non negargli nulla; e anch'io lo voglio.
Ma, povera me, vi sono momenti in cui costa molto. E i dubbi... i
dubbi, mio buon padre, quanto mi tormentano! Se non ci fosse stata lei
a consolarmi, non so cosa sarebbe di me. I medici fino ad oggi non si
sono fatti vivi. Siamo partiti da Oporto alle 14,30. Abbiamo viaggiato
lentamente e siamo arrivati alle 18: era già buio. Ciononostante si
radunò molta gente presso la nostra porta. Sono molto ammalata! Proprio
ora stanno riscaldando l'acqua perché le coperte non bastano a darmi
calore; la febbre sale e sento dolori terribili.
Soffro tutto per amore di Gesù che ha sofferto per me... » (lettera a
p. Pinho, 13-12-1938). Il 26 dicembre 1938 fui visitata dal dott.
Elisio de Moura che mi trattò con crudeltà. Tentò di mettermi a sedere
su una sedia con violenza; non riuscendovi, mi ributtò sul letto e fece
varie esperienze che mi causarono sofferenze orribili. Mi turò la
bocca, mi rovesciò contro il muro facendomi prendere un forte colpo al
capo. Nel vedermi quasi svenuta mi disse: - Giovannina, non perdere i
sensi. -
Involontariamente piansi, ma offersi a Gesù le mie lacrime e tutti i
miei dolori che furono molti. Gli perdonai tutto perché era venuto come
studioso del mio caso.